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tipologia: Analitici; Id: 1543246


Area del titolo e responsabilità
Tipologia Periodico
Titolo Andrea Binazzi, Raffaele Pettazzoni
Area della trascrizione e della traduzione metatestuale
Trascrizioni
Trascrizione Non markup - automatica:
RITRATTI CRITICI DI CONTEMPORANEI

RAFFAELE PETTAZZONI

Nel 1952, quando, nei « Libri del tempo » di Laterza, usci Yltalia religiosa di Raffaele Pettazzoni furono in molti, tra i laici progressisti, a recensire e a citare il libro come un momento alto della battaglia contro il confessionalismo della Chiesa cattolica e contro l’affermarsi nella vita sociale e politica di un modo di concepire la religione che non lasciava spazi per la storia, ma tutto tendeva a risolvere in termini di autorità. Ernesto De Martino, sul « Mondo » del 14 marzo 1953, dedicò al libro un lungo articolo dove le forti riserve metodologiche e teoriche lasciavano immediatamente il campo all’apprezzamento dell’opera come « documento significativo dello sforzo compiuto da questo studioso per legare le ricerche storico-religiose alla problematica del mondo moderno » 1. Secondo il De Martino, dagli scritti raccolti nel volume traspare la preoccupazione « che si stiano preparando giorni duri per le sorti dell’idea laica in Italia, e che quindi anche i frutti della sua [del Pettazzoni] fatica di storico delle religioni rischino di andar dispersi, o quanto meno la loro maturazione ritardata ».

Altri, come Piero Calamandrei, da una diversa angolatura, ma per linee convergenti, nel compiacersi di aver trovato nel libro del Pettazzoni la Resistenza collocata tra i momenti della storia religiosa d’Italia e nel-l’insistere sul carattere di « insurrezione morale » di quel moto popolare, affermava, dilatando e anche magari genericizzando l’intento dell’autore: « Religione vuol dire serietà della vita, impegno per i valori morali, coerenza tra il pensiero e l’azione: la religione non è soltanto quella che si celebra nelle cerimonie liturgiche »2.

Questo libro, insieme ai primi volumi, pressoché contemporanei, di Miti e leggende, fece conoscere il Pettazzoni anche tra il largo pubblico e

1 E. De Martino, Italia religiosa, in « Il Mondo », 14 marzo 1953, p. 4.

2 P. Calamandrei, Passato e avvenire della Resistenza, ora in Scritti e discorsi politici, voi. I, Storia di dodici anni, Firenze 1966, tomo n, p. 51.176

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lo collocò decisamente tra gli intellettuali italiani impegnati a contrastare l’egemonia del clericalismo. In questo schieramento, del resto, egli si era già venuto a trovare quando, tra le famose Lettere scarlatte, fu pubblicata una sua lettera al « Mondo » scritta per chiarire pubblicamente la vicenda delPvm Congresso internazionale di storia delle religioni che la presidenza del Consiglio non giudicava opportuno si svolgesse a Roma. In quella lettera il Pettazzoni, con la consueta misura e con grande spirito di tolleranza, faceva appello alle ragioni della scienza e della cultura, ma anche a quelle del buon senso secondo le quali era ingiustificato, e perfino esagerato, pensare che un congresso intemazionale di studiosi avrebbe potuto mettere in discussione i rapporti tra Stato e Chiesa stabiliti dal Concordato e chiedeva pubblicamente, riprendendo una richiesta di Benedetto Croce, che gli oppositori esponessero le loro ragioni, se ne avevano di valide3. In quelli e negli anni successivi, fino alla morte, il Pettazzoni, oltre a proporre con sempre maggiore insistenza, anche se non senza oscillazioni, una visione storica delle religioni, partecipò attivamente alla battaglia civile per la libertà religiosa: nel 1957 fu relatore al sesto convegno degli Amici del Mondo su Stato e Chiesa-, nel 1958 parlò a Roma, al Teatro Eliseo, insieme ad Arturo Carlo Jemolo, individuando nella « carenza del principio della libertà religiosa » « un segno dell’arretratezza » dell’Italia e invitando i partiti « laici di massa », sensibili « ai riflessi politici della situazione religiosa italiana», a non preoccuparsi «dei frutti senza occuparsi della radice »4. Riprendeva, in quell’intervento, il problema delle minoranze religiose non cattoliche, di fatto discriminate e private dei diritti garantiti loro dalla Costituzione, che già aveva affrontato nell’ultimo saggio delYItalia religiosa, chiuso da un’amara riflessione: « La libertà religiosa esiste ed esisterà negli Stati Uniti finché i cattolici vi sono e vi saranno in minoranza. Il giorno in cui... i cattolici saranno diventati maggioranza, allora essi, in nome delle prerogative spettanti all’unica Chiesa vera, reclameranno per sé soli il diritto alla libertà »5.

Mentre VItalia religiosa suscitò grande consenso come momento della battaglia anticlericale, come opera storica subi l’attacco dei crociani, soprattutto per il modo in cui vi era affrontata la storia religiosa dell’Italia, dominata, secondo il Pettazzoni, dal contrasto tra la « religione dell’uomo » e la « religione dello Stato » o « religione civica ».

3 Un congresso « non opportuno », in « Il Mondo », 19 gennaio 1952, poi in Religione e società, a cura di M. Gandini, Bologna 1966, pp. 157-159.

4 Ver la libertà religiosa in Italia, poi in Religione e società, cit., p. 211.

5 Italia religiosa, Bari 1952, p. 154.RAFFAELE PETTAZZONI

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Il voler ricondurre - scrive il De Martino nell’articolo citato - questa storia all’antitesi fra religione dell’Uomo e religione dello Stato... il voler ricondurre la storia religiosa d’Italia a questa polarità, da ricercarsi nell’epoca dei Comuni, nel Rinascimento, nel Risorgimento e persino nella Resistenza, non ci sembra un pensiero ricco di energia storiografica, capace cioè di darci uno sviluppo unitario, ma piuttosto uno schema classificatorio a cui assegnare, non senza mortificarli, fatti disparatissimi per genesi, significato e funzione.

Era un duro attacco, ma ancor più drastico risultò il giudizio espresso dal De Martino su « Società » (xi, 1953, p. 231), dove l’opera del Pettaz-zoni veniva considerata priva di « legittimazione critica e metodologica ».

Dello stesso parere non si dimostrò invece Delio Cantimori in una lunga recensione pubblicata su « Belfagor » del settembre 1953, dove tracciava un profilo del Pettazzoni che riprenderà poi, più ampiamente, nel necrologio apparso nel 1960 sulla « Nuova Rivista Storica »: « Nel secondo saggio della presente raccolta, il Pettazzoni ci offre una novità molto interessante, che metteremmo volentieri, per importanza intrinseca e per il momento che segna nello svolgimento intellettuale di questo nostro grande studioso, accanto alla introduzione alla nuova edizione... di La religione nella Grecia antica. Si tratta di una serie di capitoletti intitolata Momenti della storia religiosa d'Italia »6. L’analisi del Cantimori, rapida, ma ricca di sfumature, tende soprattutto a valorizzare, al contrario di quella di De Martino, la quantità di stimoli e di suggestioni che scaturisce dalle pagine di questi capitoli, mette in guardia dal considerarle, lasciandosi magari trarre in inganno dalla semplicità espositiva, schematiche e superficiali. Coglie infine un carattere essenziale del Pettazzoni quando osserva che « la storia delle religioni, rampollante da una vena che ha percorso meandri e stratificazioni di filologia, teologia, etnografia, storia, poesia, filosofia, e di esse è saturata, tende nel Pettazzoni ad acquetarsi in una semplicità e sobrietà di formulazioni che soltanto a chi fosse viziato da complicate terminologie pseudofilosofiche potrebbe apparire come semplicismo » (ivi, p. 797).

Questa immagine di qualcosa che da una vena profonda e tortuosa finalmente esce alla luce, è quanto di più efficace si abbia a disposizione per caratterizzare, almeno appunto a livello di immagine, l’approdo del Pettazzoni alla storia delle religioni e anche, indirettamente, alcune delle fonti principali da cui egli attinge la materia della sua storia. È vero che spesso si parla di « indirizzo storicista » per designare l’orientamento metodologico del Pettazzoni, ma l’espressione, se non viene adoprata con

6 D. Cantimori, « UItalia religiosa» di R. Pettazzoni, poi in Studi di storia, Torino 1959, p. 793.178

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molta cautela e in senso molto generale (per distinguere, per esempio, nettamente il Pettazzoni dalle cosiddette correnti irrazionalistiche) rischia di portare fuori strada e di suggerire la collocazione del Pettazzoni in un’area della quale egli certamente non fece parte.

La sua formazione si svolse lungo linee indipendenti sia dal neoidealismo sia dalle correnti pragmatiste e futuriste che furono all’avanguardia all’inizio del Novecento e dalle quali in vario modo scaturirono gli orientamenti culturali predominanti in tutta la prima metà del secolo in Italia. Dopo gli studi della prima giovinezza compiuti a S. Giovanni in Persiceto, dove era nato nel 1883, si laureò nel 1905 con una tesi sui Misteri cabirici di Samotracia presso la facoltà di lettere dell’Università di Bologna, città « degli studi positivi, dove quello che si presentava come rinnovamento idealistico e addirittura ammodernamento della cultura italiana non aveva fatto gran breccia »7. Potremmo proseguire ricordando le riviste alle quali collaborò prima della fondazione dei suoi « Studi e materiali di storia delle religioni », ma sarà sufficiente, per dare un’idea della sua formazione e dei suoi interessi, tener presente che nel 1909 diventò ispettore del Museo preistorico ed etnografico Pigorini di Roma e che, in quella veste, si recò in Sardegna a seguire un’importante campagna di scavi (ne trasse, nel 1910-11, alcuni brevi saggi rifusi poi, nel 1912, nel libro su La religione primitiva in Sardegna). Gli articoli e gli scritti pubblicati tra il 1910 e il 1912, con un rallentamento tra il 1915 e il 1918 dovuto alla sua partecipazione alla prima guerra mondiale, spesso preparatori di opere più vaste, testimoniano del fatto che i suoi presupposti rinviano a una tradizione culturale lontana da quella del neoidealismo italiano. Ne è la riprova il capitolo intitolato La storia delle religioni della voce Religione dell’Enciclopedia Italiana. La storia delle religioni nasce quando si manifesta un « interesse per le religioni dei popoli stranieri ». Un criterio certamente assai elementare, ma non privo di capacità esplicative e che soprattutto rinvia a una visione tutta mondana della storia delle religioni dove essenziale risulta l’abbandono della distinzione tra religione vera e religioni false (vero il Cristianesimo, false le religioni pagane). Il grande cantiere poi dove fu costruita questa disciplina gli sembra quel secolo xvn durante il quale comparvero le prime descrizioni delle religioni del mondo « tutte fondate sopra descrizioni dei viaggiatori, i giornali di viaggio, le relazioni dei missionari, ecc. »8, anche se poi sarà Vico il vero precursore. Dell’Enciclopedia Italiana il Pettazzoni fu tra i direttori di

7 D. Cantimori, Raffaele Pettazzoni (1883-1959), in «Nuova Rivista Storica», xliv (1960), p. 179.

8 La storia delle religioni, voce Religione, in Enciclopedia Italiana, voi. xxix, p. 30.RAFFAELE PETTAZZONI

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sezione, chiamato a questo incarico da Gentile nel 1925 9, e redasse molte voci, con rara precisione e grande capacità di sintesi.

Due anni prima il Pettazzoni era diventato titolare della cattedra di Storia delle religioni dell’Università di Roma voluta da Gentile 10. Quest’ultimo, sempre nel 1925, aveva raccomandato a Ernesto Codignola una collezione di «Testi e documenti di tutte le religioni più importanti» progettata dal Pettazzoni. « Ti raccomando », scriveva Gentile, « questo progetto di una collezioncina di Testi religiosi del Pettazzoni. Io credo che Vallecchi dovrebbe accogliere questa proposta perché la materia, come sai, presenta oggi un interesse larghissimo tra le persone colte non meno che tra gli studiosi; e poi il Pettazzoni dà tutte le garanzie di serietà e di coscienza » n. Vallecchi non pubblicò la collana, che uscì poi, alcuni anni dopo, presso Zanichelli di Bologna.

Ma questo interessamento e questa buona disposizione del Gentile non devono trarre in inganno. Non risulta infatti che il filosofo siciliano abbia mai modificato il giudizio che della storia delle religioni e del Pettazzoni aveva formulato in due recensioni pubblicate sulla « Critica » del 1922, una dedicata a Dio: formazione e sviluppo del monoteismo nella storia delle religioni, voi. I: L’essere celeste nelle credenze dei popoli primitivi del Pettazzoni e l’altra alla traduzione italiana della Storia delle religioni del Foot Moore. Opera « insigne » quest’ultima « che con poderoso sforzo abbraccia tutte le religioni storiche dei popoli civili, e ne traccia con discreta larghezza e copia di particolari la storia... », ma storia « da erudito... da critico... da spirito indifferente a quell’umanità, che crede di poter studiare soltanto perché se n’è tratto fuori per mettersela innanzi e poterla guardare meglio... Ma rimane sempre inesplorata quella tale sorgente da cui tutti i problemi derivano, e in cui è il principio di tutti questi fatti ». Manca a una storia delle religioni così concepita « quel senso della vita comune ed eterna più che storica, ideale più che reale o contingente, onde si ha propriamente il diritto di congiungere insieme e riconnettere, per quanto è possibile, tutte le religioni in una sola storia » 12. Segue di poco a

9 Cfr. G. Turi, Il fascismo e il consenso degli intellettuali, Bologna 1980, p. 55.

10 Fu una di quelle cattedre, ricorda il Cantimori, istituite « allo scopo di procurare una possibilità di lavoro scientifico a uno studioso che si dedichi ad un tipo di ricerca e di indagine fino a quel momento non preveduto nell’ordinamento generale delle Università » (Conversando di storia, Bari 1967, p. 193).

11 Centro Codignola di Firenze. Carte Ernesto Codignola. Lettere di Giovanni Gentile a Ernesto Codignola. Lettera del 20.V.1925. Ringrazio Franca Gazzarri San-tagostino, segretaria del Centro, per avermi segnalato questa lettera.

12 G. Gentile, La storia delle religioni, ora in La religione, Firenze 1965, appendice, pp. 453-454.180

ANDREA BINAZZI

questa la recensione al libro sull 'Essere celeste. Il lavoro del Pettazzoni « attesta una vasta erudizione nel campo dei fatti e in quello delle teorie » ed è opera « solidamente impiantata ». Ma la sua teoria sulla formazione del monoteismo lascia perplessi « dal punto di vista filosofico, che non è certamente quello dell’autore, ma al quale non si vede come l’indagine del Pettazzoni possa definitivamente sfuggire »13. Secondo il Gentile, il Pettazzoni

che opportunamente cita Vico, deve distinguere una genesi ideale da una genesi storica della religione: questa può essere molto illuminata da quella, e può essa stessa suggerire intuizioni e interpretazioni che siano motivo a quella di geniali dottrine: come fu il caso del Vico. Ma la genesi ideale della religione non si può trascurare del tutto. Essa coincide con la ricerca del concetto di essa: che è la sola ricerca in cui si può ottenere una risposta scientifica a questioni come queste cosi dottamente agitate dal Pettazzoni sul significato delle credenze fondamentali del genere umano (ivi, p. 301).

Con Svolgimento e carattere della storia delle religioni, questo il titolo della lezione inaugurale tenuta a Roma, il Pettazzoni sembrava voler fare i conti con obiezioni « filosofiche » di questo tipo, proprio nel momento in cui delineava il programma generale del suo insegnamento accademico. Scritti di molto posteriori confermano come egli considerasse sufficiente assumere dal pensiero storicistico l’« idea di svolgimento » che gli permetteva di porre alla base del suo lavoro « il principio che ogni singolo fatto storico-religioso è una formazione, e come tale lo sbocco — e quindi l’indice - di uno svolgimento anteriore e insieme il punto di partenza di un ulteriore sviluppo, e un fatto storico sarà per noi sufficientemente spiegato solo quando sia debitamente inserito nella sua propria linea di sviluppo » 14. Ugo Casalegno, al quale si deve l’unico studio sistematico sul Pettazzoni finora pubblicato 15, vede in questo testo e nelle opere di questo periodo la « svolta storicista » del Pettazzoni, anche se poi si affretta a segnalare i limiti di una etichettatura di questo genere: ne rimane fuori, se non altro, proprio quell’autonomia della religione che giustifica l’intento di farne una storia a sé, senza ridurla a storia di qualcos’altro, intento che

il Croce non avrebbe mai considerato legittimo. Il filosofo napoletano, che molti anni prima aveva avuto apprezzamenti decisamente positivi per il giovane storico delle religioni quando quest’ultimo gli aveva mandato un

13 G. Gentile, ree. a R. Pettazzoni, Dio ecc., in « La Critica », xx (1922), p. 298.

14 Svolgimento e carattere della storia delle religioni, Bari 1924, p. 23.

15 U. Casalegno, Dio, esseri supremi, monoteismo nell’itinerario scientifico di Raffaele Pettazzoni, Torino [1979].RAFFAELE PETTAZZONI

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articolo sul mito 16, reagì duramente alla Lezione inaugurale, affermando categoricamente che gli studi storico-religiosi non nascevano in Italia « per alcun bisogno né speculativo né morale, ma unicamente per bisogno di erudizione » 17. Il giudizio era aspro e definitivo e riecheggiò spesso, successivamente, nelle posizioni dei crociani a proposito della storia delle religioni e del suo fondatore in Italia.

Particolarmente severa, per esempio - di una severità sorprendente, quasi inspiegabile -, la recensione, ancora nel 1937, delPOmodeo alla Confessione dei peccati, che finiva con un provocatorio accostamento del Pettazzoni al De Maistre, entrambi responsabili, secondo l’affrettata argomentazione delPOmodeo, di aver accreditato « l’interpretazione catartica della penitenza » rivelatasi sempre secondo lui, infondata e infeconda.

« Indubbiamente una tale formula - scriveva POmodeo - era necessaria al Pettazzoni come punto di riferimento per la silloge dei documenti: e questo minimo denominatore comune di tutti i fatti penitenziali è utile come principio di classificazione: ma bisogna mettere in chiaro che esso è uno schema simile a quelli delle scienze naturali, e non un concetto storicamente costruttivo ». L’opera, insomma, è frutto di rara, scrupolosa erudizione e in quanto tale meritoria al pari di tutti i repertori che « recano incremento all’esperienza umana dello storico », ma è da ritenere che « la costruzione di una teoria sulla vasta silloge dei documenti non solo sia fallita al Pettazzoni e sia rimasta senza presa sui documenti, ma che sia essa stessa impossibile », almeno come « sintesi storica secondo un organico processo di sviluppo »18.

Il Pettazzoni trovò poi il modo di rispondere a queste critiche severe e respinse, oltre all’accostamento al De Maistre, anche l’accusa di essersi limitato a una erudita classificazione dello schema religioso della confessione, ricordando che il suo intento era quello di « individuare quella data forma o complesso di civiltà - e la relativa area di estensione - cui la confessione, nella constatata uniformità dei suoi schemi primitivi, geneticamente risalga, e in cui abbia avuto origine »19. Si dovrà semmai discutere se questa forma sia da rintracciare in un matriarcato primitivo o altrove: qui, sembra dire il Pettazzoni, si misureranno i risultati dell’indagine storico-religiosa e a questo serve la raccolta dei documenti e delle fonti.

A mano a mano, poi, che il suo lavoro procedette attraverso le grandi

16 Forma e verità del mito, in « Nuovi Argomenti », vi (1959), pp. 49-50.

17 B. Croce, ree. a R. Pettazzoni, Svolgimento ecc., in « La Critica », xxn (1924), p. 313.

18 A. Omodeo, ree. a R. Pettazzoni, La confessione dei peccati, in « La Critica », xxxv (1937), p. 368 (ora in II senso della storia, Torino 1948, pp. 115-119).

19 R. Pettazzoni, Saggi di storia delle religioni e di mitologia, Roma 1946, p. xx.182

ANDREA BINAZZI

opere sulla Confessione dei peccati, sui Misteri, ecc., la distanza tra lui e i neoidealisti aumentò, proprio con il chiarificarsi nella sua mente di quei concetti che avrebbe poi precisato di non aver appreso a nessuna scuola20. Si trovò quasi sempre da solo a cercare spazio per far conoscere il lavoro suo e della sua scuola romana. Ne troviamo una testimonianza puntuale nelle lettere indirizzate a Ernesto Codignola in qualità di direttore della « Civiltà moderna ». AlPinizio del 1930, gli spedi un estratto delle voci da lui redatte per la seconda edizione della Religion in Geschichte und Ge-genwart, insieme a una lettera dove gli proponeva che i suoi scritti fossero recensiti sulla rivista:

... Io sto battagliando da tempo contro studiosi stranieri intorno al concetto di monoteismo e al suo sviluppo nella storia delle religioni. Recentemente ho avuto modo di far conoscere largamente le mie idee in proposito, avendo avuto Pincarico di scrivere Particolo « Monoteismo » e « Monolatria » per la più diffusa enciclopedia tedesca di scienze religiose, di cui ora si pubblica la seconda edizione. Che all’estero certi problemi trovino maggiore interesse che da noi è noto. Ma che proprio debbano restare inosservati in Italia non è giusto. Per ciò le mando Pestratto contenente il mio articolo con la speranza che « La Civiltà Moderna » possa farne cenno o, come spero, più che un semplice cenno, dal momento che il mio scritto si presta facilmente, cosi a me pare, a dar occasione e materia ad un articolo. A Lei non mancano collaboratori adatti...21

E fa i nomi di Banfi e di Santoli. Due anni dopo (20.vn.32), sollecita una recensione alla traduzione francese della seconda parte della Confessione dei peccati, Papera che stava diventando, tra quelle del Pettazzoni, e a ragione, la più nota fuori d’Italia. Nel 1934, in un post scriptum, chiede al Codignola: « Quando uscirà la recensione di Salvatorelli sulla mia Confessione dei peccati nella "Civiltà moderna”? »22. Pettazzoni aveva ormai cinquantanni, da circa dieci era ordinario di storia delle religioni; nel 1925 aveva fondato « Studi e materiali di storia delle religioni », la rivista sua e della sua scuola romana. Sorprende, perciò, che uno studioso come lui, autore di una vasta produzione scientifica, sentisse il bisogno, non soltanto di sollecitare una recensione a una rivista - cosa di per se stessa non particolarmente degna di nota - ma di farlo lamentandosi dell’indifferenza che circondava i problemi storico-religiosi in Italia. Il Codignola inviò gli scritti sul monoteismo e poi, Panno successivo, la traduzione

20 L'onniscienza di Dio, Torino 1955, p. x.

21 Centro Codignola di Firenze. Carte Ernesto Codignola. Lettere di Raffaele Pettazzoni a Ernesto Codignola. Lettera del 26.ii.1930.

22 Ivi. Lettera del 29.iu.1934. Il Salvatorelli aveva recensito nel 1933 YAllwis-sende (cfr. «Civiltà moderna», v (1933), pp. 196-198).RAFFAELE PETTAZZONI

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tedesca del saggio sulla religione nazionale del Giappone ad Antonio Banfi che ne scrisse due recensioni attraverso le quali propose una lettura meno scontata di quelle alle quali si è fatto riferimento prima, da un lato sottolineando « il carattere ben rilevato dal Pettazzoni, di assoluta novità del monoteismo rispetto al politeismo », il suo fondarsi « non sulla tradizione, ma sulFassoluta, radicale originalità di una viva esperienza prettamente religiosa »23 e dall’altro cogliendo felicemente l’originalità del metodo seguito dal Pettazzoni nel ricostruire un aspetto fondamentale della vita religiosa del popolo giapponese.

Lo scritto del Pettazzoni, ricco di dottrina, limpido nel disegno delle linee fondamentali del processo storico, luminoso ed insieme equilibratissimo e prudente nell’uso del metodo di comparazione è un modello di studio della vita religiosa di un popolo il cui processo è riconosciuto nel suo rapporto allo sviluppo generale della cultura e le cui forme, lungi dall’essere definite secondo astratte e indeterminate categorie della religiosità, sono colte nella loro concreta e complessa interiore contaminazione di motivi24.

Resta comunque la netta sensazione che il Pettazzoni proceda per conto proprio, in stretta relazione con le grandi fonti della conoscenza dei fatti religiosi, con gli autori classici, con gli storici delle religioni, gli etnologi e gli antropologi stranieri25. Gli interlocutori del suo dialogare furono costantemente il Tylor, il Frazer, lo Schmidt, il Lévy-Bruhl, il Lang, Max Miiller: le loro opere gli offrirono la materia fondamentale delle sue riflessioni sull’evoluzionismo, sul comparativismo, sulla scuola storico-culturale. A questi si aggiunsero più tardi van der Leeuw e Eliade. La ricerca empirica, la raccolta cioè dei documenti e delle testimonianze, gli forniva un prodotto che aveva bisogno di essere analizzato e interpretato, non piegato forzatamente a dimostrare una teoria precostituita. Anzi,

i concetti sono sempre in movimento, il pensiero si arrischia a muoversi con i fatti e perciò in modo non sempre lineare, tanto che, per esempio, non sembra che al Pettazzoni sia apparso strano risolvere il fatto religioso nella storia delle religioni e contemporaneamente mantenere il valore autonomo della religione con una conseguente scienza che sembra affiancarsi alla storia delle religioni.

23 A. Banfi, ree. a R. P., Monotheismus ecc., in « Civiltà moderna », n (1930), p. 401.

24 A. Banfi, ree. a R. P., Die Nationalreligion ecc., in « Civiltà moderna », in (1931), p. 806.

25 Va tenuto presente che già nel 1912 il Pettazzoni aveva sentito il bisogno di recarsi a Leida per partecipare al iv Congresso internazionale di storia delle religioni.184

ANDREA BINAZZI

Per lui il compito principale è quello di ricostruire le religioni, o alcuni aspetti di esse, tenendole dentro la civiltà di cui non sono altro che una forma. Nella prefazione alla prima edizione della Religione nella Grecia antica, si era limitato a segnalare che il suo interesse andava a quei particolari momenti di crisi che avrebbero potuto dare luogo a « un rinnovamento originale della religione », com’era stato quello caratterizzato dal manifestarsi della religiosità dionisiaca26. Trent’anni dopo, nell’introduzione all’edizione del 1953 della stessa opera, il Pettazzoni precisa invece che una delle idee generali che gli si sono venute chiarendo nel tempo è che la religione è « una forma della civiltà, e storicamente non s’intende se non nel quadro di quella particolare civiltà di cui fa parte, e in organica connessione con le altre sue forme, quali la poesia, l’arte, il mito, la filosofia, la struttura economica, sociale e politica: concezione ovvia, che fu già variamente applicata allo studio della civiltà europea e, più recentemente, allo studio delle civiltà primitive » (pp. 9-10). Certo, si tratta di una enunciazione generalissima, ovvia dice l’autore, insoddisfacente anche, potremmo aggiungere noi, perché quell’« organica connessione » indica un orizzonte generale entro cui muoversi, non davvero un modello esplicativo. Ma va tenuto presente da dove si parte, va tenuto conto delle teorie con le quali il Pettazzoni ha dovuto porsi in relazione e anche di un movimento interno che sembra avere caratterizzato sempre il suo pensiero. Evoluzionismo, comparativismo tipologico, teoria del monoteismo originario non consideravano la connessione tra i fatti religiosi e il modo di essere complessivo di una civiltà e delle diverse società. Di qui la sua polemica degli anni Venti verso quelle posizioni teoriche, ma dalla stessa radice nasce anche la critica serrata dell’uomo archetipico di Eliade consegnata agli ultimi suoi appunti (« L’uomo, fin da quando comincia ad essere uomo è insieme archetipico e storico, mitico e razionale, magico e religioso. Non esiste una umanità archetipica, anteriore all’uomo storico »27).

Mi sembra che il Pettazzoni migliore si scopra tentando di seguirlo in alcune analisi attraverso le quali egli cerca di individuare le forme specifiche in cui una religione si connette con la civiltà alla quale appartiene e non dimenticando quel presupposto dal quale egli si fece sempre guidare

- nella polemica con lo Schmidt come in quella con il van der Leeuw che cioè l’indagine sui diversi aspetti della vita religiosa di un popolo deve sempre preoccuparsi di organizzare i dati empirici perché essi possano dire

26 La religione nella Grecia antica fino ad Alessandro, Bologna 1921, p. vii.

27 Gli ultimi appunti, ora in Religione e società, cit., p. 125.RAFFAELE PETTAZZONI

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qualcosa sulle concezioni che vi si riflettono e deve rinunciare a pensare che essi debbano essere piegati a supporto di teorie generali.

Significativo, da questo punto di vista, è il saggio sulla lapidazione, da considerarsi lavoro preparatorio della Confessione dei peccati, dove è in questione il rapporto tra « legge sacrale » e « legge morale ». È pericoloso, secondo il Pettazzoni, lasciarsi guidare nella ricostruzione di una pratica di questo tipo, da quanto troviamo codificato nel diritto, perché da questo saremmo indotti a credere che la lapidazione avesse avuto fin dall’inizio « una particolare connessione » con i reati di furto. « Anzi », aggiunge il Pettazzoni, « è verosimile che nell’opera relativamente tarda di codificazione e sistemazione giuridica facilmente sia stato oscurato o alterato il senso primitivo della lapidazione, quale invece si potrà cogliere soltanto risalendo alle fasi più arcaiche: quelle fasi in cui alla forma primitiva della società corrispondeva anche una religione primitiva, ed anche la lapidazione potè ben avervi un carattere religioso, ma secondo un tipo di religiosità prepoliteistico e direi quasi presacrificale... »28. Primitivamente la lapidazione non è soltanto sacrificio, ma anche catarsi, anzi, scopo del saggio è quello di dimostrare che essa « è tutta catarsi, cioè liberazione, allontanamento, religiosità negativa... ». Ne è un esempio quanto accadeva in tempi più lontani in Arcadia.

Era costume degli Arcadi che chi volontariamente avesse varcato il recinto inviolabile di Zeus Lykàios fosse lapidato, e chi inavvertitamente vi avesse messo piede fosse bandito... Costume, evidentemente, sacrale: legge sacrale, non legge morale: certo non quella legge per cui in Grecia si lapidarono traditori e parricidi e simili, e nemmeno quella onde altrove si lapidarono eretici e scomunicati; e tuttavia legge, e legge religiosa, per cui non l’entrare in un santuario in genere è colpa, eppure è colpa gravissima entrare in quel dato santuario, in quel dato luogo che è l’unico ed eccezionale, che in base a certe esperienze (quali che esse siano) è sentito come sacro, che è come dire carico impregnato traversato da energie possenti e pericolose, che si trasmettono per contatto; [chi vi entra] dev’essere allontanato, sia col bando sia con la lapidazione: che son mezzi diversi e diversamente graduali, ma concorrenti allo stesso fine. Il quale è dunque in primo luogo quello di cacciare, di espellere, di separare, di interporre una distanza, di alzare una barriera; e, quando il mezzo prescelto è la lapidazione, può avvenire che il lapidato resti ucciso; ma non è questo lo scopo originario del lapidare... (ivi, pp. 22-23).

Non è importante qui discutere sulla validità o meno della conclusione

28 La «grave mora» (Dante, Purg., 3, 127 sgg.): studio su alcune forme e sopravvivenze della sacralità primitiva, in « Studi e materiali di storia delle religioni », I (1925), p. 8.186

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tratta, ma limitarsi a segnalare il tipo di analisi che l’ha resa possibile. Nella prefazione al primo volume della Confessione dei peccati ritorna su alcune questioni generali: « La ricerca, condotta nel senso della storia delle religioni, tende a disegnare lo svolgimento della pratica confessionale in necessaria connessione con lo svolgimento dell’idea religiosa di peccato. Anzi che distribuita in uno schema tipologico, la materia è lasciata entro i quadri naturali del luogo e del tempo... »29. La storia delle religioni, da parte sua, lungi dall’essere la specificazione storica di idee generali, si configura come un criterio, una « veduta d’insieme » che via via si precisa e nel precisarsi offre anche al materiale empirico, talvolta, la possibilità di diventare significativo. « Gli svolgimenti particolari », scrive infatti il Pettazzoni, « della confessione nelle singole religioni hanno dovuto in gran parte essere costruiti insieme con la teoria generale. Specialisti avrebbero potuto far meglio, ciascuno nel proprio campo. Ma non pochi aspetti, anche particolari, soltanto nella veduta d’insieme hanno potuto venire alla luce, ciò ch’è appunto l’ufficio e la ragion d’essere della * storia delle religioni ’ » (ivi, p. xi). La fecondità di questo punto di vista generale si verifica poi nella interpretazione delle testimonianze sulla confessione presso i popoli primitivi. Lo Schmidt piegava le testimonianze sulla confessione dei peccati alla sua tesi del monoteismo primordiale e si rifiutava perciò di pensare che presso i primitivi questa pratica avesse un carattere essenzialmente magico, fosse basata « su la magia della parola » (ivi, p. 60) e si ponesse in relazione con colpe di tipo prevalentemente sessuale. Il Pettazzoni procede in modo del tutto diverso. « Come c’è un peccato concepito ‘ magicamente ’, cosi c’è anche una confessione di tipo magico... È questo tipo di confessione che prevalentemente si trova rappresentato, insieme con la concezione magica del peccato, presso i primitivi... la confessione tende a conseguire un bene attraverso la eliminazione di un male... Ma anche questa confessione dominata da motivi ‘ eudemonistici *, ignara della contrizione e del rimorso, ha tuttavia un suo carattere religioso in rapporto col carattere religioso del peccato pur magicamente concepito, ossia in rapporto col carattere religioso della magia in genere... » (ivi, p. 56). Siamo, come si vede, nel pieno di una ricerca molto complessa, nel corso della quale l’ambiente socio-culturale fa da sfondo alla ricostruzione delle forme confessionali ed è presente quel tanto che basta a respingere l’omologazione di tutti i tipi di confessione secondo lo schema peccato-pentimento-espiazione, dove il peccato sarebbe connotato esclusivamente in senso etico.

29 La confessione dei peccati, voi. i, Bologna 1929-36, p. ix.RAFFAELE PETTAZZONI

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Quando scrive, nel 1945, il breve saggio su Monoteismo e « Urmono-theismus » dove riassume con precisione e con chiarezza in quali termini fosse venuta modificandosi Poriginaria impostazione del problema e individua il punto di svolta nelPimportanza crescente che venne assumendo per lui lo studio degli attributi divini (« ... lo studio degli attributi doveva condurmi più lontano »), il Pettazzoni sembra scavare dentro le connessioni della religione con le altre forme della civiltà e con la società riallacciandosi anche al suo primo lavoro sulla religione greca con quella efficace e precorritrice analisi del mito dionisiaco che vi era contenuta. Viene da pensare alle ricchissime descrizioni della Confessione, all’insistenza sulla specificità delle sue diverse forme quando si legge, in Monoteismo e « Urmonotheismus » : « venni persuadendomi sempre più che la identità e l’unicità di natura degli esseri supremi era da abbandonare ... e che non tutti gli attributi appartenevano necessariamente a ciascun essere supremo, ma quale all’uno e quale all’altro secondo la sua natura. Né questa natura, con i suoi propri attributi è casuale e fortuita, ma condizionata essa stessa dall’ambiente culturale in cui ciascun essere supremo si è formato »30. L’etnologia31, parente stretta della storia delle religioni, dovrà assumersi il compito di « verificare e determinare » gli ambienti e le culture da cui si originano gli attributi.

L’opera dove questo punto di vista trova la sua espressione più esauriente è senz’altro L’onniscienza di Dio che vide la luce nel 1955 nella Collana di studi religiosi, etnologici e psicologici dell’editore Einaudi, forse uno di quei « tre titoli in cinque anni » a cui accenna sbrigativamente Pavese nel 1949 in una lettera a Ernesto De Martino, il « padre putativo » della collana (« Con Pettazzoni, saprai che ci siamo intesi. Tre titoli in cinque anni »32). In questo testo l’autore è come se facesse i conti con il suo lavoro precedente e anche con le principali posizioni del secolo nel campo della storia delle religioni, in particolare con quella corrente del

30 Monoteismo e « Urmonotheismus », in « Studi e materiali di storia delle religioni », xix-xx (1943-46), p. 175.

31 II Pettazzoni tenne, dal 1936 al 1938, Pincarico di etnologia a Roma. Venne interessandosi in misura crescente a questo campo di studi in relazione con la storia delle religioni. Nel 1938, su proposta sua, Pvm Convegno Volta fu dedicato all’Africa ed egli vi presentò una relazione sugli Orientamenti attuali dell’africanistica (cfr. Acc. d’Italia, Atti deU’VHI Convegno Volta, Roma 1939, pp. 53-60): sarebbe interessante approfondire il significato della partecipazione del Pettazzoni al convegno, non riducibile a puro e semplice momento del consenso degli intellettuali al fascismo, come sembrano invece pensare M. Lospinoso e A. M. Rivera nei loro interventi pubblicati in aa.w., Matrici culturali del fascismo, Bari 1977, pp. 225-256.

32 C. Pavese, Lettere. 1926-1950, a cura di L. Mondo e I. Calvino, voi. n, Torino 1966, p. 667.188

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comparativismo che rappresentava quanto di più fecondo e suggestivo fosse stato prodotto in tanti anni di lavoro. Suggestivo, perché, per quanto ci si sforzi di assumere un punto di vista relativistico, sembra insopprimibile, nel campo dell’indagine antropologica ed etnologica, questa tentazione del mettere a confronto le culture e le religioni e le società in modo tanto più appassionato quanto più esse sono lontane tra loro, quasi per un bisogno di sintesi, o forse di possedere una chiave di lettura unica.

La « mitologia comparata » sorta a seguito della rivoluzione copernicana prodotta dall’applicazione, nel 1800, della linguistica allo studio della mitologia, approdava alla conclusione che tutti i popoli della famiglia indoeuropea possiedono un dio del cielo che assume la forma greca, quella indiana, ecc. Di fronte ad essa si eleva l’altrettanto suggestivo universalismo della comparazione estesa a tutti i popoli, indipendentemente dalla famiglia linguistica alla quale appartengono. « Fra queste due posizioni antitetiche, cioè fra il particolarismo della “mitologia comparata”, applicata soltanto a ciò che è linguisticamente comparabile e l’universalismo indiscriminato della comparazione antropologica, estesa a tutto ciò che è formalmente ed esteriormente comparabile, c’è posto per una terza via che, badando alle differenze non meno che alle somiglianze, eserciti la comparazione su tutto e soltanto ciò che è comparabile storicamente, perché appartiene a civiltà omogenee »33. Il Pettazzoni esprime in questi termini quella che chiama « rivalutazione storicistica del comparativismo » e precisa più analiticamente, tornando al motivo degli attributi: « L’attributo dell’onniscienza è una nota costante che accompagna l’idea di Dio nel suo svolgimento: non l’idea astratta di Dio in un teorico svolgimento uniforme (secondo lo schema evoluzionistico dei tre gradi, animismo, politeismo, monoteismo), bensì una particolare idea di dio, culturalmente condizionata nella sua formazione e storicamente differenziata nel suo sviluppo » (ivi, p. 635). E più avanti, sempre più nettamente: « L’idea primitiva dell’Essere supremo non è un assoluto a priori. Essa sorge nel pensiero umano dalle condizioni stesse dell’esistenza umana, e poiché le condizioni variano nelle diverse fasi e forme della civiltà primitiva, varia anche in seno a queste la forma dell’Essere supremo » (ivi, pp. 648-649).

Aveva dunque ragione il Pettazzoni ad affermare che lo studio degli attributi divini lo aveva portato lontano e aveva ben visto, moltissimi anni prima, il Banfi quando gli aveva riconosciuto il merito di aver colto le forme della vita religiosa di un popolo « nella loro concreta e complessa interiore contaminazione di motivi » guardandosi da definirle « secondo

33 Vonniscienza di Dio, cit., pp. 632-633.RAFFAELE PETTAZZONI

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astratte e indeterminate categorie della religiosità » M. Perché il problema, alla fine, si riduce a questo, di vedere se e come è possibile mantenere contemporaneamente l’esigenza di ricostruire la genesi storico-culturale dei diversi aspetti della vita religiosa di un popolo o dei diversi attributi del divino e quella della comparazione tra le religioni e le culture. Il Pettazzoni lo risolve sottolineando il fatto che la religione è una forma della civiltà e che perciò la comparabilità non è fra le religioni, come se ci fosse una universale religiosità di cui ognuna sarebbe specificazione particolare, ma tra le civiltà. Dagli eventuali tratti comuni a queste, discende la comparabilità di quelle. La polemica verso il padre Schmidt acquista un respiro molto ampio proprio nel momento in cui si sostanzia di riferimenti precisi al materiale empirico raccolto. Nell’epoca più remota la civiltà umana ha attraversato, dice il Pettazzoni, la fase della caccia e aggiunge:

Il complesso del Signore degli animali è uno degli elementi caratteristici di questa primitiva civiltà e della sua religione. Il Signore degli animali non è il riflesso di un trascendente Essere supremo. Il Signore degli animali, che assiste l’uomo nella aleatoria impresa della caccia, piena d’incognite e di rischi, che gli fa scoprire la pista della selvaggina (Boscimani), che gliela spinge dentro alle trappole (Algonkini settentrionali), che gli apre gli occhi per vederla (Damara), che lo fa mirar dritto per colpirla (Pigmei), questo è il suo Essere supremo, perché da lui dipende giorno per giorno la sua esistenza, perché egli ha in mano la sua vita e la sua morte (L’onniscienza cit., p. 648).

« Zeus », scrive il Pettazzoni nell’introduzione alla nuova edizione (1953) della Religione nella Grecia antica, « porta scritto in fronte il suo trasparente indoeuropeismo. Ma Zeus non è più per noi, come era per la ‘ mitologia comparata soltanto la forma greca dell’essere supremo celeste comune a molti popoli nomadi ed allevatori » (p. 15). Ma in questa introduzione il discorso va oltre, e il quadro d’insieme dell’interpretazione delle divinità greche viene riplasmato, anche se il Pettazzoni sembra preoccupato di presentarlo come uno sviluppo di temi già presenti nell’edizione del 1921. Qui aveva «accennato» (ivi, p. 17) alla connessione delle divinità rivali, Demetra e Dioniso, con la vita materiale e spirituale dei contadini. Ora aggiunge, in termini nuovi: « Nella colleganza delle due divinità si riflette un determinato complesso di condizioni economiche e di rapporti sociali... Se è vero che la religione è una forma della civiltà, organicamente solidale con le altre forme, è ovvio che ci sia un rapporto anche tra la vita religiosa e la vita sociale, anche tra le religioni e la struttura economica della società » (ivi, pp. 16-17).

34 A. Banfi, ree. cit., p. 806.190

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Si tratta di riflessioni e di considerazioni chiaramente riconducibili alla presenza ormai, in quegli anni, in Italia e non soltanto in Italia di quello che potremmo chiamare il marxismo delle sovrastrutture con tutte le connesse banalizzazioni. Mentre il Pettazzoni dichiara di essersi fermato al « rapporto organico » religione-struttura economica della società, altri sono andati « molto più in là », fino a tentare, come George Thomson, « una interpretazione marxistica di tutta la storia greca con particolare riguardo alla religione ». « Con ciò s’introduce », commenta il Pettazzoni, « un pensiero diverso, e alla organica interdipendenza tra la religione e le altre forme della civiltà, compresa la forma economica, subentra il concetto sistematico di questa come valore fondamentale, e delle altre forme come ‘ soprastrutture ’... » (ivi, p. 17). Com’è chiaro, in queste considerazioni più che la polemica contro il Marx del l'ideologia tedesca, opera di certo non identificabile attraverso quei termini, c’è il rifiuto, sul piano generale, di una spiegazione dell’origine della religione e dell’origine delle classi sociali a partire dall’economia intesa come « valore fondamentale » e il desiderio di riprendere immediatamente a dimostrare che l’origine di tutte le forme di differenziazione tra gli uomini e tra le classi è storico-culturale. Tornando infatti a Demetra e Dioniso, Pettazzoni precisa che in realtà sono dei che appartengono a una religione « diversa dall’olimpica, ricca di esperienze e spiriti suoi propri, intimamente connessa con la vita agricola e con le vicende della vegetazione, legata ad una particolare condizione economico sociale e radicata [sottolineatura nostra] nella tradizione culturale di un substrato etnico che sopravvive in una classe inferiore - mentre la classe superiore è erede di tutt’altra tradizione religiosa, portata da un diverso fattore etnico, culturale e sociale » (ivi, p. 21).

D’altra parte, sia la riproposizione di opere concepite in tempi lontani, sia il completamento e perfezionamento di linee di ricerca avviate decenni prima, sia il concepimento di nuove prospettive di indagine, sono la testimonianza che, pur nel permanere di una linea fondamentale di continuità, il pensiero del Pettazzoni fu sempre caratterizzato da un notevole movimento. Un esempio molto chiaro è rintracciabile nella struttura dell’O/z-niscienza di Dio dove è sensibilmente modificato il progetto concepito negli anni Venti. Si passa dallo studio del monoteismo (la sua « formazione » e il suo « sviluppo ») al progressivo concentrarsi dell’attenzione sugli attributi divini e soprattutto su quello dell’onniscienza con uno spostamento che, se non impedisce di considerare questo lavoro come il « coronamento » della ricerca prima pianificata, tuttavia la concentra « definitivamente... su l’attributo dell’onniscienza divina come complesso ideologico e come esperienza religiosa ».

Come riprova della fecondità di questa direzione assunta dalla ricerca,RAFFAELE PETTAZZONI

191

ma anche per spiegare una diffidenza molto accentuata verso posizioni di tipo speculativo (quelle che conducono a respingere come sterile un certo metodo non perché tale si sia rivelato, ma perché non coerente con il sistema filosofico assunto come valido), è utile soffermarsi un momento sul capitolo ddT Onniscienza dedicato a Giano, certamente uno dei più belli delPintera opera, veramente emblematico del modo di procedere del Pettazzoni. Le fonti letterarie, artistiche, iconografiche vengono utilizzate con grande equilibrio e armonia, per il contributo che ognuna può dare per l’interpretazione di questa famosa divinità. C’è tutta una tradizione secondo la quale, com’è noto, Giano sarebbe il nume della ianua e il suo bifrontismo non sarebbe che un riflesso delle due facce della porta. Da qui discenderebbe anche il carattere di Giano come Dio dell’inizio, del comin-ciamento: nei miti spesso Giano è primo re del Lazio, fondatore di templi, coniatore di monete, ecc. Il Pettazzoni vuol invece dimostrare che questi attributi non sono quelli originari di Giano e che, come farà vedere anche meglio qualche anno dopo occupandosi in modo specifico della iconografia di questa divinità, l’averglieli attribuiti è il risultato di un’operazione del tutto ideologica, sovrapposta al concreto, storico svolgersi del culto di questo dio. Era infatti molto diffusa una teoria generale riguardo alla religione romana « secondo la quale le divinità romane sarebbero state originariamente sentite come vaghe manifestazioni di una numinosità diffusa nella natura o concentrata su certi determinati oggetti materiali, e solo in processo di tempo, al contatto e per influenza della religione greca e dell’arte greca, quei primitivi numi avrebbero cominciato ad assumere contorni precisi, secondo i tipi iconografici delle divinità greche assimilate »35. Giano come Terminus, Fons e Vesta, insomma.

Il Pettazzoni non vuol discutere questa teoria, si limita a portare le ragioni per le quali, almeno in un caso, quello appunto di Giano, essa può essere smentita. Chiarita l’etimologia del nome, il Pettazzoni segnala che, per quanto riguarda il cominciamento, gli autori classici gli attribuiscono una posizione di costante precedenza nella liturgia, e che nel calendario « era sacra a Giano la prima festa dell’anno ». Com’è possibile, allora, ammettere che tutte queste « norme e consuetudini » possano essere « entrate nella tradizione religiosa, nel diritto sacro, nella prassi liturgica, semplicemente in virtù di un dato ideologico, cioè della concezione di Giano come dio di ogni cominciamento, ricavata ecc. ecc. »? È necessaria senz’altro qualche correzione. Intanto la « priorità temporale di Giano, difficilmente riconducibile ad un complesso spaziale puntualizzato nel ianus

35 Per l}iconografia di Giano, in « Studi Etruschi», xxiv (1955-56), p. 89.192

ANDREA BINAZZI

o nella ianua, ci appare in una luce nuova se riferita a Giano come Dio del tempo ». In alcune monete poi del m secolo a.C. la testa di Giano è sostituita da una ruota a raggi (simbolo solare), mentre sull’altra faccia compaiono simboli astrali, « per lo più la mezzaluna accompagnata da una stella, cioè dal pianeta Venere come stella della sera »36. Se poi a tutto questo si aggiunge che presso altre religioni gli esseri solari sono bicefali o tricefali e come tali vedenti davanti e di dietro, cioè da ogni parte, allora si capisce, secondo il Pettazzoni, come il bifrontismo e l’inizialità « risultano radicati nella originaria natura solare del dio, anziché dipendenti dal suo svolgimento secondario in dio della ianua » (ivi, p. 256).

Ma tutta YOnniscienza riporta anche in primo piano la questione del comparativismo e della scienza delle religioni. Il modo stesso in cui, con il consueto tono dimesso, il Pettazzoni riassume, nella prefazione al volume, il metodo del lavoro, mantiene aperto il problema e, con esso, la tensione (che è anche oscillazione) tra i momenti nei quali la religione è storia della religione e quelli dove essa si presenta come oggetto di possibile indagine scientifica. Come era accaduto per La confessione dei peccati, anche questo lavoro « è condotto... sui due piani distinti, ma congiunti, della fenomenologia e della storia religiosa, intese come momenti complementari e indissolubili della scienza delle religioni nella sua essenziale unità... La interpretazione fenomenologica, fondata su la tipologia formale, è integrata con l’assegnazione dell’attributo dell’onniscienza a un determinato ambiente storico-culturale » (ivi, pp. xi-xn).

Sorprende, dopo la perentorietà di queste righe, dove il problema sembra quello di integrare la fenomenologia, leggere in uno degli ultimi scritti pubblicati lui vivente, dedicato interamente al comparativismo, che, se è vero che « l’interpretazione fenomenologica, per esplicita ammissione del van der Leeuw, ‘ diventa pura arte e vana fantasticheria appena essa si sottrae al controllo della ermeneutica filologico-archeologica ’ », tuttavia « questo programmatico appello alla storia non garantisce, a quanto pare, la comparazione fenomenologica dal rischio di cadere in un morfologismo puramente estrinseco e formale, senza consistenza storiografica. E la ragione... la ragione vera, è che la fenomenologia riconosce bensì il valore strumentale della storia, ma idealmente tende a trascendere la storia erigendosi a scienza religiosa a sé, distinta dalla storia. Ciò che manca alla fenomenologia religiosa, ciò che essa esplicitamente ripudia, è l’idea di svolgimento »37. In antitesi a questa fuorviante interpretazione fenomeno-logica si collocherebbe quella storicistica che assume come centrale l’idea

36 L’onniscienza di Dio, cit., p. 250.

37 II metodo comparativo, ora in Religione e società, cit., p. 107.RAFFAELE PETTAZZONI

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di svolgimento, ma che approda a « una storiografia senza adeguata sensibilità religiosa ». Il Pettazzoni non ritiene che le due posizioni si escludano a vicenda, ma che possano rivelare la loro complementarità entro « una comparazione che, superando il momento descrittivo e classificatorio, valga a stimolare il pensiero alla scoperta di nuovi rapporti e all’approfondimento della coscienza storica ».

Se la consistenza teorica di questa conclusione non è del tutto soddisfacente, è tuttavia fuori discussione l’efficacia esplicativa del punto di vista del Pettazzoni ed il rigore con il quale egli respinge la distinzione del Toynbee tra civiltà dinamiche e civiltà statiche, come sarebbero quelle primitive. Scrive con vigore polemico e con forza persuasiva, tornando a sottolineare energicamente la connessione tra le diverse forme della civiltà con una interessante sfumatura che sembra suggerire un rapporto genetico tra di esse che andrebbe oltre il generico connettersi delle une alle altre.

Fatto è che le civiltà ‘ statiche ’ primitive, prima di esser tali (se pur lo furono mai realmente), furono anch’esse in pieno movimento. E questo dinamismo investe anche le forme elementari della civiltà — le forme della caccia, della pastorizia e dell’agricoltura -, le quali non sono schemi astratti, anzi mondi concreti... tutte solidalmente connesse, corrispondendo alla diversa struttura economica una diversa struttura sociale, nonché una diversa ideologia ed anche una diversa religione, compresa una diversa nozione dell’Essere supremo (ivi, p. 109).

Viene in mente, leggendo queste righe, la rivendicazione appassionata del valore della storia contro Eliade, negli ultimi appunti, e, sempre di questi fogli, la decisa negazione che l’uomo primitivo possa appartenere a una specie diversa dall’uomo moderno. Il mondo degli archetipi « è il mondo mitico delle origini, nel quale l’uomo si rifugia nei momenti critici, quando è in gioco la sua esistenza, e vi si rifugia per superare la crisi, per assicurarsi un nuovo periodo di esistenza tranquilla, normale »38. Non si dimentichi che proprio i miti e le leggende avevano occupato moltissimi anni della sua vita di ricercatore e che a contatto di essi gli si era venuta chiarendo quella idea della « verità » del mito (« verità che non è di ordine logico, bensì di ordine sacrale, magico, religioso »39) che è un’altra di quelle scoperte feconde che il Pettazzoni consegnò a chi avrebbe continuato a lavorare nel campo di studi che aveva occupato tutta la sua esistenza.

Andrea Binazzi

38 Gli ultimi appunti, cit., p. 126.

39 forma e verità del mito, cit., p. 52.194

ANDREA BINAZZI

NOTA BIBLIOGRAFICA

La presente sintesi bibliografica è stata desunta dal lavoro di Mario Gan-dini, II contributo di Raffaele Pettazzoni agli studi storico-religiosi: appunti per una bibliografia, in Raffaele Pettazzoni e gli studi storico-religiosi in Italia, scritti di E. De Martino, A. Donini, M. Gandini, Bologna 1969, pp. 1-45. Del Gandini vedi anche II punto sugli studi pettazzoniani, in idoc internazionale [mensile di documenti e studi in una prospettiva internazionale], xiv (1983), pp. 54-58. A questo appassionato studioso del Pettazzoni va il mio ringraziamento per il molto materiale che mi ha generosamente fornito e che ha agevolato il mio lavoro.

Per la bibliografia, ci si deve riferire anche a quella che completa il libro di Ugo Casalegno citato nel testo.

La religione primitiva in Sardegna, Piacenza 1912; La religione di Zarathustra nella storia religiosa dell'Iran, Bologna 1920; La religione nella Grecia antica fino ad Alessandro, Bologna 1921 (n ed., Torino 1953); Dio: formazione e sviluppo del monoteismo nella storia delle religioni, voi. i: L’essere celeste nelle credenze dei popoli primitivi, Roma 1922; I misteri: saggi di una teoria storicoreligiosa, Bologna 1924; Svolgimento e carattere della storia delle religioni, Bari 1924; La confessione dei peccati, Bologna 1929-36; Religione e politica religiosa nel Giappone moderno, Roma 1934; Saggi di storia delle religioni e di mitologia, Roma 1946; Divinità del paganesimo degli antichi popoli europei. Le scritture sacre, Roma 1945-46; hliti e leggende, Torino 1948-1963; Nozioni di mitologia, a cura di E. Cerulli e A. Becattini, Roma 1948-49; Mitologia e monoteismo, a cura di studenti universitari, Roma 1950-51; Italia religiosa, Bari 1952; Le religioni misteriche nel mondo antico, a cura dell’assistente, Roma 1952-53; Essays on thè History of Religions, Leiden 1954; L’onniscienza dì Dio, Torino 1955; L’essere supremo nelle religioni primitive (L’onniscienza di Dio), Torino 1957; Letture religiose, Firenze 1959; Religione e società, a cura di M. Gandini, prefazione di V. Lanternari, Bologna 1966.
 


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Data pubblicazione Anno: 1984 Mese: 3 Giorno: 31
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Titolo KBD-Periodici: Belfagor 1984 - 3 - 31 - numero 2


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