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Noi siamo, oggi, in una fase tale di studi su Gramsci che ci occorre innanzitutto uscire dal generico e cominciare a proporci, direi, due serie di studi: 1’una — ed è quella sulla quale vorrei brevemente soffermarmi — che ci serva a chiarire la posizione storica del pensiero di Gramsci per quello che riguarda determinati problemi, quelli appunto che sono oggetto della relazione testé tenuta; l’altra, invece, che verifichi nella ricerca alcuni spunti gramsciani e li porti avanti autonomamente. Qualche cosa, in questa seconda direzione, è stato già fatto in questi anni, e bisogna dire che in realtà si è già constatata la vitalità, l’attualità delle interpretazione storiche e dei suggerimenti storiografici che si trovano nell’opera politica di Gramsci. Ma nonostante questo — anzi forse proprio per questo — recentemente si è aperta una polemica sul valore storiografico degli scritti di Gramsci; una polemica, che nel corso del 1956 ha toccato il suo apice ed il suo momento più interessante in seguito ad uno scritto di un giovane storico liberale, Rosario Romeo, che ha suscitato grande interesse, e alle risposte che lo hanno seguito. Nello scritto di Romeo, come già in altri scritti su Gramsci, si parte da una pregiudiziale che esprime diffidenza verso l’opera storica di Gramsci, cioè si dice : « qui si tratta di un pensatore politico, non di uno studioso di storia, le sue tesi sono tesi politiche ». Questa pregiudiziale fu già avanzata — come è noto — dal Croce e dall’Antoni e poi ebbe una formulazione un po’ più approfondita da parte dello Chabod, il quale precisò, in un saggio su Croce storico, che le tesi di Gramsci sulla mancata rivoluzione agraria nel Risorgimento e la critica che Gramsci fa ai democratici del Risorgimento di non avere or 33.504
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ga.nizza.to la rivoluzione agraria, sono le proiezione nel Risorgimento di un problema che in realtà era il problema di Gramsci, era un problema del 1920 e non del 1848 o del 1860.
Non voglio discutere sulla questione di ordine teoretico, cioè sul rapporto fra coscienza politica e coscienza storica, fra giudizio politico e giudizio storico, ma prima di tutto sarà invece da vedere se questa affermazione regge, cioè se veramente il problema della rivoluzione contadina non fosse già presente, non dico soltanto nelle cose, ma nella coscienza stessa degli uomini del Risorgimento.
In realtà, basta leggere la letteratura politica del Risorgimento, e soprattutto quella immediatamente posteriore alla unificazione, per trovarvi larghissimamente sviluppata la critica al Risorgimento cosi come si è svolto, e per ritrovare nel pensiero stesso di questi protagonisti molti elementi che poi avranno sviluppo successivamente ed anche nel pensiero di Gramsci.
Faccio pochi esempi. Prendiamo uno fra i critici più intelligenti della società italiana appena unificata, un Leopoldo Franchetti, borghese, conservatore e cosciente di appartenere alla borghesia, che accusa e critica la borghesia alla quale egli sa di appartenere, quella borghesia — egli dice — che è diventata padrona dello Sta.o e dei Comuni, perché sfrutta, impoverisce il contadino meridionale, perché — per esempio — attraverso la privatizzazione dei demani comunali, fatta nel modo che tutti sanno, ha tolto ai contadini le terre che a loro spettavano in forza delle leggi eversive della feudalità, ecc. ecc.
Ora, quando Franchetti diceva queste cose (e dopo di lui e con lui molti altri le hanno dette, ma io non devo esporlo a voi che lo sapete benissimo) aveva chiara coscienza di un fenomeno storico che si svolgeva sotto i suoi occhi e che poi la storiografia successiva ha spesso dimenticato. Specialmente una certa storiografia di carattere liberale questi fenomeni se li era dimenticati. Mi viene in mente, a questo proposito, quello che dice Engels nel suo libretto su Feuerbach: che la coscienza di certi fenomeni ed in particolare la coscienza della lotta di classe è sempre in qualche modo presente in coloro che ne sono attori, e molte volte sono gli storici che poi fanno il buio laddove le cose erano chiare nella coscienza dei contemporanei. In realtà, questo è avvenuto.
Oggi, però, si nota anche in seno alla storiografia liberale, da parteGastone Manacorda
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di elementi più giovani, di una nuova generazione di studiosi, che si sono formati in un nuovo clima, si nota, dicevo, che certi interessi si sono risvegliati; ed a me pare che, nonostante il dissenso che il Romeo tende a sottolineare con le tesi politiche, con le posizioni filosofiche fondamentali di Gramsci, non ci sia poi un dissenso reale in quello che riguarda alcune constatazioni storiche, sebbene nel suo scritto aleggi sempre questa riserva: che in fondo le idee di Gramsci sono tesi politiche che si sovrappongono alla storia, anche se poi quando si va a vedere in concreto, stringi stringi, si può finire con l’essere d’accordo.
Perché rimane questa riserva, questa diffidenza, questa pregiudiziale negativa? Proprio perché non si è fatto lo sforzo di risalire a quelle che sono state le origini di queste idee di Gramsci; io credo che a quella letteratura critica del Risorgimento, a cui accennavo prima facendo rapidamente soltanto il nome di Leopoldo Francherai, si debba ricollegare Gramsci e che ci sia un tramite abbastanza evidente, che non è stato ancora sufficientemence messo in luce, attraverso il quale questo pensiero giunge fino a Gramsci; ed a me pare che questo tramite sia principalmente quello di Salvemini.
La ricerca sulle fonti italiane del pensiero di Gramsci è appena agli inizi. Si è insistito, e giustamente per una parte, sulla derivazione da Antonio Labriola. Io non ho nulla da eccepire su questo. Il giudizio di Gramsci su Labriola come il primo, in Italia, che affermi l’autosufficienza della filosofia della prassi (cioè che i!l marxismo non ha bisogno di altri presupposti filosofici) indica indubbiamente che Gramsci stesso si pone su questa linea; tuttavia a me pare che circoli una tendenza a semplificare la genealogia intellettuale di Gramsci per quello che riguarda in particolare il pensiero politico italiano.
Indubbiamente la derivazione di Gramsci da Labriola ce, nessuno vuole negarlo, ma anche nel campo della storia delle idee, anzi specialmente in esso, come è noto, gli svolgimenti non sono mai semplici e lineari, anzi sono sempre complessi ed impuri; e se la linea Labriola-Gramsei ci sembra la più pura, la più genuina, la più facilmente riconoscibile, io credo, però, che dobbiamo domandarci se in questo non centri un pochino il desiderio di trovare le cose troppo ben fatte, di trovare a Gramsci un precursore diretto, sul quale non ci sia da fare quasi nessuna eccezione.
A me sembra che il nesso fra il pensiero di Gramsci e quello di506
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Labriola abbia ancora da essere studiato storicamente, che questo studio debba condurre a sostituire a una precesa derivazione diretta, un po’ schematica, la reale complessità del rapporto fra i due pensatori. Bisogna collocare questo rapporto nella storia culturale italiana della fine del secolo XIX e del principio del secolo XX; perché se, da un lato, è chiaro che si risale da Gramsci a Labriola attraverso Croce, che in qualche modo è discepolo-antagonista di Labriola e maestro-antagonista di di Gramsci; dall’altro lato, a me pare che a Labriola stesso, per quello die riguarda la sua metodologia applicata ai problemi della politica italiana, si risalga attraverso Salvemini.
Circa il rapporto fra Salvemini e Labriola come iniziatore del materialismo storico in Italia vorrei soltanto ricordare la più recente testimonianza dello stesso- Salvemini in una lettera pubblicata in occasione della sua morte, su Mondo operaio. Scrive Salvemini: «Nel 1894 tutto il nostro gruppo diventò socialista. Fino a quel momento io ero stato sotto l’influenza di Taine e di Villari. Entrambi parlavano dell’ambiente, ma il loro ambiente era l’ambiente intellettuale, e non l’ambiente economico e sociale. Gli scritti di Marx sulla Francia del 1848, 1851, 1870 mi diedero il sentimento delle strutture economiche e sociali che sono al di sotto dell’ambiente intellettuale. Nel 1896 la lettura di Antonio Labriola II Materialismo storico mi orientò definitivamente. Mi orientò, dico, come una preziosa ipotesi di lavoro, con l’aiuto della quale riuscii a risolvere nella storia della lotta fra magnati e popolani a Firenze molti problemi che fino a quel momento erano rimasti nebbiosi nel mio spirito. La seconda grande influenza benefica sulla mia vita intellettuale la ebbe Carlo Cattaneo; nei primi mesi del ’99, quando conobbi i suoi scritti sul 1848 in Lombardia i quali erano pensati con lo stesso metodo di'pensiero di quelli di Marx sulla Francia del 1848 ».
È una testimonianza di grande interesse. Vi si trovano tre nomi: quello di Marx, quello di Labriola e quello di Cattaneo. Da Salvemini, dunque, siamo ricondotti da un lato a Labriola e a Marx; dall’altro, a Cattaneo. E il nome di Cattaneo ci invita a considerare l’opera di Gramsci, per un certo aspetto, come il punto di approdo di un filone di pensiero politico italiano, e di riflessione critica sul Risorgimento, che prende le mosse proprio da Cattaneo.
Come il prof. Garin ha ricordato stamane, oggi vi è una ripresa di studi su Cattaneo, una ripresa che non è certamente dettata soltanto daGastone Manacorda
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un interesse erudito; quindi quello che io sto dicendo potrebbe essere interpretato come un indulgere iad una moda. Perciò vorrei subito precisare che i riferimenti diretti di Gramsci a Cattaneo sono scarsissimi, non solo, ma ci sono alcune cose interessanti : ad esempio per due volte Gramsci cita l’edizione in volume de La città del Cattaneo della quaile egli aveva notizia, mi pare di capire, attraverso una recensione (come per molti altri libri) con il desiderio di leggerla perché sente che li troverebbe qualche cosa che lo interessa vivamente, vi troverebbe trattato quel problema di città e campagna che è uno dei temi Centrali del suo pensiero; ma Gramsci non conosce questo scritto, che prima del suo arresto non era stato mai ripubblicato. Cosi, non tricorda, Gramsci, gli scritti di carattere economico di Cattaneo. Viceversa, mi sembra di derivazione nettamente cattaneiana la critica al ’48 : il giudizio sulla politica piemontese nel ’48, la questione dei rapporti fra Piemonte e Lombardia, la Lombardia più illuminata, più evoluta rispetto al Piemonte, ecc.; idee che poi sono rimaste molto vive anche nella storiografia recente, soprattutto nell’opera di Cesare Spellanzon.
Ma è chiaro che nello stabilire questa derivazione gramsciana, o meglio nel considerare il pensiero gramsciano anche come punto di approdo della critica del Risorgimento, non possiamo fermarci soltanto allesame dei rapporti diretti fra Cattaneo e Gramsci; oi occorre ricostruire la storia del formarsi di certe idee, del loro svolgersi e del loro confluire, poi, nei pensiero di Gramsci; quindi, una duplice ricerca che implica, fra l’altro, una biografia intellettuale di Gramsci, lo studio della sua formazione culturale e, quindi, anche delle sue letture negli anni giovanili, ecc.: cose tutte nelle quali siamo ancora ad uno stato prelucano.
Però, come dicevo prima, una derivazione chiara e più immediata ce, ed è quella da Salvemini. A Salvemini direttamente, senza dubbio Gramsci deve molto, nonostante la grande distanza che li separa poi sul terreno delle soluzioni politiche, nonostante la polemica con Salve-mini degli anni de LOrdine Nuovo, (questa è un’altra questione), e nonostante che le soluzioni che il Salvemini al principio del secolo proponeva, siano assolutamente estranee a Gramsci. Del federalismo cat-taneiano, — ad esempio —- non è rimasta neppur l’ombra nel pensiero di Gramsci; tuttavia ritengo che egli gli debba molto, a Salvemini, non solo sul terreno dell'analisi, della ricognizione dell’Italia post-risorgi508
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mentale, ma anche nella individuazione delle forze della rivoluzione italiana.
Intanto, è comune in Gramsci e in Salvemini la avversione politica verso il riformismo e, quindi, la polemica contro la sordità dei riformisti alla questione meridionale; nello stesso ambito, la polemica contro il giolittismo, contro l’alleanza riformistico-giolittiana il cui significato profondo — come tutti ricordano — è particolarmente messo in luce nelle Note sulla quistione meridionale; ma è comune anche l’idea, conseguente a questa analisi, che questo sistema di forze può essere abbattuto, può essere rovesciato e può dar luogo ad un rinnovamento profondo della società italiana soltanto attraverso l’alleanza degli oppressi del Sud e di quelli del Nord, come diceva Salvemini.
Se non erro — ed amerei essere corretto e che l’affermazione mia fosse rettificata ed integrata se mi inganno — Salvemini è il primo che abbia dato una netta formulazione a questa idea dell’alleanza fra gli oppressi del Nord e del Sud. Salvemini scriveva nel 1900, sulla Critica sociale, che non vi è lotta fra Nord e Sud, ma vi è lotta fra le masse del Sud ed i reazionari del Sud, vi è lotta fra le masse del Nord ed i reazionari del Nord, e soggiungeva che come i reazionari del Nord e del Sud si uniscono insieme petr opprimerle le masse del Nord e del Sud, cosi le masse delle due sezioni del nostro Paese avrebbero dovuto unirsi per sconfiggere « a fuochi incrociati » la reazione.
Se noi riflettiamo che a questo punto era pervenuta la critica al Risorgimento al principio del secolo, ci rendiamo conto come Gramsci, essendosi formato in questo clima, avendo maturato in questo clima e, credo, molto su queste letture, le sue idee sulla situazione italiana, fosse pervenuto nella disposizione di chi poteva accogliere l’idea leninista della alleanza fra operai e contadini; e, quindi, da un lato, tradurre efficacemente il leninismo in italiano, e dall’altro- portare avanti la coscienza rivoluzionaria italiana su un piano più elevato nella situazione del dopo-guerra.
Vorrei dire, in sostanza, che non è vero che la consapevolezza del problema contadino italiano nasca soltanto nel primo dopo-guerra, che il problema contadino giunga ad essere una realtà soltanto nel primo dopo-guerra e che, quindi, Gramsci lo trasferisca arbitrariamente nel Risorgimento. Si avrebbe, secondo me, maggior ragione di. dire che laGastone Manacorda
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coscienza di questo problema culmina in Gramsci ed acquista in lui una maggiore forza e, quindi, una maggiore profondità. Perché culmina in Gramsci? Perché siamo nel momento (il primo dopo-guerra, appunto) in cui di questo problema si vede e si formula già la possibile soluzione nella realtà. Ed allora, il momento in cui il contrasto sociale ereditato dal Risorgimento appare superabile nella realtà, il momento in cui si vedono già in atto le forze che possono superarlo, che possono creare un mondo diverso, questo è anche il momento in cui si raggiunge la comprensione storica dei termini reali di quel contrasto, cioè questo è il momento in cui si può effettivamente capire «come le cose sono effettivamente andate », il momento in cui si può capire la storia perché si può rifarla. Questo è il momento in cui non si è più tuffati nella polemica, ma il passaggio dal momento polemico, dal momento critico, che è ancora legato all’azione, al momento storiografico deve essere colto in un nesso che è continuo, in cui non ce ad un certo punto un salto, quasi che gli uomini politici smettessero di pensare e venissero gli storici a mettere le cose a posto. Sarebbe comodo per gli studiosi di storia; ma essi, invece, debbono fare i conti anche con l'ininterrotto svolgersi della coscienza critica della realtà sociale.
Io vorrei rifarmi, a questo proposito, ad una delle citazioni che felicemente sono state ricordate stamane dal prof. Garin, cioè a quel detto di Gramsci, che « condanna in blocco il passato soltanto chi non riesce a differenziarsene ». Quel detto di Gramsci contiene implicita l’idea che il momento nel quale si passa dalla coscienza dei contemporanei a quella dei posteri, dal giudizio politico al giudizio storico, si realizza nella storia delle idee, soltanto in quanto nella storia dei fatti, appunto, si supera il passato, ci si differenzia dal passato. Ora, nel primo dopoguerra, noi siamo, non dico nel momento, ma in un momento importante della differenziazione dal passato, dal Risorgimento, dal processo di unificazione e di costruzione dello Stato unitario.
Nel pensiero di Gramsci il Risorgimento è visto nella profondità di una nuova prospettiva, e certi problemi vi prendono nuova luce, e certe idee che già erano vive nella coscienza dei contemporanei riemergono ed acquistano il vigore di una interpretazione storica mentre là avevano soltanto un valore polemico. Al principio del secolo jl catta-neiano Salvemini era ancora immerso ed impegnato nella battaglia, pe510
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r altro già perduta, del federalismo, cioè era ancora in una delle tante posizioni di ribellione contro lo Stato unitario (ce ne più di una, come è noto); mentre venti o venticinque anni dopo, dopo la prima guerra mondiale, ed ancora di più dopo l'avvento del fascismo, cioè in una situazione storica che consente e favorisce il distacco, il marxista Gramsci, nonostante il tono polemico di molte sue affermazioni anche riguardanti uomini del Risorgimento, non protesta, non condanna, ma constata, prende coscienza da un nuovo punto di vista di quel processo storico.
Tutti ricordano un ,ampio frammento dei Quaderni di Gramsci in polemica contro le cosiddette « interpretazioni » del Risorgimento, contro i « romanzi ideologici » che, per la loro tendenizosità, hanno soltanto — egli dice — un significato di carattere politico immediato ed ideologico e non un reale valore storico. Questa letteratura — egli dice — ha soltanto una importanza documentaria per i tempi di cui parla; nella storia — ad esempio — della polemica politica in Italia fra il 70 ed ili ’900 è chiaro che scrittori come Turiello e Mosca hanno il loro posto,, ma il loro pensiero non ha un effettivo contenuto storico.
Non entro nella sostanza della discussione, perché qui bisognerebbe distinguere fra i vari autori che cita Gramsci e dissentirei da alcuni giudizi, ma non è su questo che voglio soffermarmi; voglio dire, invece, che mi pare che il giudizio polemico contro Gramsci, che è stato lanciato prima dal Croce e poi ripreso da altri, tenda, in sostanza, ad ascrivere Gramsci stesso a questa letteratura, e per le ragioni che ho svolto mi pare che questo giudizio non corrisponda alla realtà. A questo punto, bisogna passare ai problemi storici concreti, ad esaminarli, uno per uno, cioè fare quel secondo lavoro al quale io accennavo in principio.
Mi limito soltanto ad accennare che per quello che riguarda il periodo più recente, quello nel quale Gramsci fu ancora attore politico* o per lo meno quello più vicino a lui, molti suoi giudizi appaiono più discutibili, come è logico; anzi direi che su questi temi, quasi per paradosso, si verifica perfino che contengano maggiore verità storica certi giudizi che sembrano più polemici, più politici.
Per esempio, a proposito di Giolitti, a me sembra che il giudizio -che si trova ad un certo punto nei Quaderni, secondo il quale Giolitti, in fondo, sarebbe un continuatore di Crispi, che si sarebbe mantenuto,Gastone Manacorda
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essenzialmente, nel solco di Crispi sostituendo al giacobinismo di temperamento di Crispi la solerzia e la continuità burocratica, sia un giudizio politico di tipo polemico che non si può trasferire sul piano storico. Mi pare che qui Gramsci non intenda a fondo il valore della lotta politica che si svolse all'interno della borghesia, (ma anche con la partecipazione, per la prima volta sul piano della politica nazionale, delle forze proletarie) alla fine del secolo XIX. Viceversa, mi sembra che resista all’analisi storica, che del resto è appena iniziata, l’esame più profondo del sistema giolittiano e delle alleanze di classe sulle quali esso poggia, come è delineato nelle Note sulla questione meridionale e ripreso in parte nei Quaderni.
Il discorso, invece, che si deve fare sui temi più strettamente legati al Risorgimento è un po’ diverso. La recente discussione suscitata dallo scritto di Romeo ha messo in luce che la realtà, la fondatezza, la concretezza storica di certi temi gramsciani non può più essere disconosciuta. Vorrei soltanto aggiungere, a questo proposito, per l’esatto intendimento del pensiero gramsciano, che il problema contadino del Risorgimento in Gramsci è solo un aspetto del problema più generale che Gramsci imposta, che è quello della direzione politica e delle forze rivoluzionarie sulle quali potevano fare assegnamento i partiti del Risorgimento. Dico questo, perché isolando il problema contadino e mostrandolo come centrale nel pensiero di Gramsci si rischia di dimenticare la complessità ed anche l’ampiezza della sua visione storica. Ad esempio, io ho letto con stupore che si accusi Gramsci di non avere tenuto conto deHa situazione internazionale e quindi della impossibilità di una rivoluzione agraria italiana nell’Europa del 1848 che non era la Francia del 1789. Ma questo, in Gramsci, è detto e ripetuto più di una volta, e stupisce che studiosi anche autorevoli dicano che questo aspetto nei Quaderni è trascurato, mentre c’è ad ogni pagina; ed io vi risparmio le citazioni, meno una che mi pare le riassuma un po’ tutte, là dove Gramsci dice testualmente che « Il Risorgimento è svolgimento storico contradditorio e complesso che risulta integrato da tutti i suoi elementi antitetici, dai suoi protagonisti e dai suoi antagonisti, dalle loro lotte, dalle modificazioni reciproche che le lotte stesse determinano ed anche dalla funzione delle forze passive e latenti come le grandi masse agricole, oltre, naturalmente, la funzione eminente dei rapporti internazionali ».512
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Certo, se si isolano talune affermazioni di Gramsci come quella che « l’azione sui contadini era sempre possibile », si può aprire la discussione : che valore ha affermare una possibilità nel passato? Ripeto, su queste questioni io non apro la discussione di carattere teoretico, però vorrei dire che per lo meno altrettanto discutibile è la tendenza a fare della storia avvenuta non solo l’unica storia reale, l’unica storia di cui si può parlare — su questo siamo d’accordo, — ma a farne anche la storia ideale.
A me sembra che Rosario Romeo non si sia accontentato di stare nella storia accaduta, nella storia reale. Quando ad un certo punto, egli dice che se le cose fossero andate diversamente, cioè se si fosse fatta la rivoluzione contadina, in Italia si sarebbe creata una democrazia rurale, quindi lo sviluppo del capitalismo sarebbe stato più lento, ragione per cui il progresso generale economico, sociale e politico in Italia sarebbe stato ritardato, ecc. ecc., e quindi che le cose cosi come sono andate, sono andate nel migliore modo possibile, che non c’era altra via fuori di quella di calpestare il contadiname per spremerne le ricchezze che erano necessarie per l’accumulazione del capitale, ecc. ecc., mi pare che egli idealizzi, tenda a fare di uno svolgimento storico concreto un modello, o un ideale (e non faccio questione di scelta politica, in questo caso). Ancor più, quando Romeo istituisce il confronto con la Francia, e dice che là le cose sono andate peggio perché la Rivoluzione aveva creato la piccola proprietà rurale, ecc., e contrappone lo sviluppo capitalistico italiano a quello francese come qualcosa di preferibile, ancora una volta egli idealizza la recente storia d’Italia.
Idealizzazione per idealizzazione, posto che la scelta fosse tra questi termini, posto che in Gramsci sia idealizzata la storia di Francia, mi terrei quella; ma la scelta non è questa, la scelta è fra la concretezza storica, lo stimolo, quindi, alla individuazione 'di reali problemi storici che troviamo in Gramsci, oppure la rinuncia a questo; e — fìngendo di fare storia — la prosecuzione di una polemica che in realtà è di carattere politico.
Ma qui vorrei concludere questo mio intervento sulla relazione del prof. Cessi, esprimendo un voto: chi studia l’opera di Gramsci incontra una grande difficoltà per il modo in cui è stata condotta l'edizione dei Quaderni del carcere. Perciò io faccio voti che si prepari presto una nuova edizione che rispecchi fedelmente l’ordine cronologico di comGastone Manacorda
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posizione dei Quaderni, per quanto è possibile, e [rispetti la collocazione che i singoli frammenti hanno in ciascun Quaderno; e non entro in particolari, perché so che la questione presenta anche varie difficoltà, (frammenti scritti due volte in Quaderni diversi, ecc.). Io mi limito a sottoporre all’attenzione del Convegno questa questione che ritengo pregiudiziale aUapprofondimento degli studi gramsciani. | |
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