Area della trascrizione e della traduzione metatestualeTrascrizioni | Trascrizione Non markup - automatica: Adriano Seroni LA DISTINZIONE FRA « CRITICA D'ARTE » (ESTETICA) E « CRITICA POLITICA » IN GRAMSCI. IL CONCETTO DI « LOTTA CULTURALE» E LE INDICAZIONI METODICHE PER UN NUOVO STORICISMO CRITICO Nei limiti di una « comunicazione » sarò necessariamente breve: procederò per indicazioni, non pretendendo offrire soluzioni organiche con la conseguente ampiezza dimostrativa. Le citazioni saranno ridotte all'essenziale. Gli elementi fondamentali del problema che ci interessa sono: a) « critica e storia dell'arte » 1, oppure « fatti di carattere estetico, o di arte pura » 2; b) « critica politica » o « critica del costume » 3 oppure « fatti di " politica culturale " (cioè di politica senz'altro) » 4; c) la necessaria « fusione » , e lo studio dei modi in cui essa può avvenire perché si abbia il « tipo di critica letteraria propria della filosofia della prassi » 5. Per discorrere attorno a questi tre elementi e alla loro relazione, dobbiamo, in limine, precisare che la interdipendenza dialettica fra i due « distinti » è immediatamente fissata da Gramsci in un passo dal 1 L. V. N., p. 6. 2 L. V. N., p. 12. 3 L. V. N., p. 6. 4 L. V. N., p. 12. 5 L. V. N., pp. 7, 19-21. 260 1 documenti del convegno quale abbiamo tolto la prima citazione, nel passaggio da una posizione negativa ad una impostazione positiva: « Il rapporto artistico mostra, specialmente nella filosofia della prassi, la fatua ingenuità dei pappagalli che credono di possedere, in poche formulette stereotipate, la chiave per aprire tutte le porte (queste chiavi si chiamano propriamente " grimaldelli "). Due scrittori possono rappresentare (esprimere) lo stesso momento storico-sociale, ma uno può essere artista e l'altro un semplice untorello. Esaurire la questione limitandosi a descrivere ciò che i due rappresentano o esprimono socialmente, cioè riassumendo, piú o meno bene, le caratteristiche di un determinato momento storico-sociale, significa non sfiorare neppure il problema artistico. Tutto ciò può essere utile e necessario, anzi lo è certamente, ma in un altro campo: in quello della critica politica, della critica del costume, nella lotta per distruggere e superare certe correnti di sentimenti e credenze, certi atteggiamenti verso la vita e il mondo; non è critica e storia dell'arte, e non può essere presentato come tale, pena il confusionismo e l'arretramento o la stagnazione dei concetti scientifici, cioè appunto il non conseguimento dei fini inerenti alla lotta culturale » 1. Proviamoci a rifare il ragionamento, nel citato passo gramsciano evidentemente polemico nei confronti del positivismo, mettendo in rilievo il passaggio conclusivo. Accortamente, a nostro parere, Gramsci pone in primo piano il concetto di lotta culturale e dei fini ad essa conseguenti; e in ciò fare distingue nettamente la critica politica e la critica del costume dalla lotta culturale: cioè la critica politica e la critica del costume non sono che aspetti parziali della lotta culturale, i cui fini pertinenti consistono nella vivificazione e precisazione dei concetti scientifici (nel nostro caso dei principi del giudizio estetico). Ora, che Gramsci ponga l'accento sulla lotta culturale è fatto naturale, logico diremmo, in un marxista, dal momento che la lotta per il rinnovamento della società non può non condurre il soggetto attivo della lotta a dover scontrarsi con la cultura della vecchia società e con lo spirito e il « mondo » espresso dalle stesse opere d'arte nate in quella vecchia cultura. Di fronte a tale lotta, necessità di carattere propagandistico immediato possono condurre i1 politico a considerare la produzione 1 L. V. N., p. 6. Il corsivo, qui e avanti, .è nostro. Adriano Seroni 261. artistica solo dal punto di vista dei contenuti, « nella lotta » — dice Gramsci — « per distruggere e superare certe correnti di sentimenti e credenze, certi atteggiamenti verso la vita e il mondo »; ma è evidente che lo stesso politico, in quanto animi e diriga una lotta culturale, non può (pena la sconfitta in questa stessa lotta) limitare il proprio lavoro alla direzione suddetta. Resta, insomma, chiarito che il perdere di vista la distinzione posta da Gramsci nuoce, non come a volte par che si. creda, solo al lavoro dell'artista o del ,critico d'arte, ma nuoce ugualmente, anzi soprattutto, al lavoro di chi, conducendo una lotta politica. generale, non può contemporaneamente non condurre una lotta culturale. Ci sembra, insomma, che il rapporto fra i due elementi debba venir precisato attraverso una distinzione, nell'atteggiamento del politico verso il prodotto artistico, di due elementi: vi è una politica culturale (o politica senz'altro), che può esprimersi semplicemente come richiesta di temi e contenuti nuovi, tale da far preferire al politico l'opera mediocre che ponga al proprio centro nuovi contenuti e nuove tematiche all'opera. di buon livello artistico che li ignori, o ne sia estranea, o addirittura li combatta; e vi è il momento, più maturo, di una lotta culturale, che non solo non rifiutando, ma cercando di migliorare l'azione della critica d'arte,. vede il rinnovarsi o meno della cultura attraverso i risultati positivi o negativi (sul piano artistico) dei prodotti artistici, e su questi opera. attivamente per il progresso e la precisazione dialettica dei concetti scientifici. È importante ribadire il fatto che, qualora non si giungesse a questo secondo momento, alla fine l'opera stessa generale del politico resulterebbe monca, priva di uno dei suoi aspetti fondamentali. Dunque, la distinzione fra critica d'arte e critica politica non è da considerarsi un « distinto » crociano, ma da vedersi nel suo rapporto• dialettico che prepara il principio della fusione: l'elemento catalizzatore che opera è — s'è visto — quello della lotta culturale. Per chiarire,. sia pure in modo elementare, il riferimento a Croce, basterà ricordare la. conclusione relativa alla precisazione del concetto di « storia letteraria. e artistica » : « Da quei lavori storici — scrive il Croce — che si servono delle opere d'arte ma per intenti estranei (biografia, storia civile, religiosa, politica, ecc.)... bisogna distinguere accuratamente la storia dell'arte e della letteratura » '. Se noi riandiamo col pensiero alla vecchia. 1 Estetica, Bari, 19417, p. 143. 262 I documenti del convegno Storia della letteratura italiana del Vallardi, pubblicata sotto la direzione di Pasquale Villari (si pensi, soprattutto, a quell'esempio clamoroso che è la Storia della letteratura italiana nel sec. XVI del Canello), ci balza evidente il progresso che segna, nei confronti del positivismo, la notazione crociana. Ma è altrettanto evidente che la distinzione del Croce fra arte ed estraneo all'arte finiva per negare una qualsiasi relazione attiva (cioè dialettica) fra i due ordini di fatti, cristallizzandoli sia in schema di giudizio estetico (poesia e non poesia), sia in schema di metodologia storica (storia dell'arte pura, altre storie nelle quali le opere d'arte sono assunte allo stato documentario). Il rapporto introdotto da Gramsci e il suo concetto della fusione ricostituiscono l'unità fra critica estetica o puramente artistica e lotta per una nuova cultura; non solo, ma, attraverso l'elemento lotta culturale, come s'è visto, anche con la lotta politica generale. Ecco il concetto come è espresso da precise parole di Gramsci: « il tipo di critica letteraria propria della filosofia della prassi... deve fondere la latta per una nuova cultura, cioè per un nuovo umanesimo, la critica del costume, dei sentimenti e delle concezioni del mondo, con la critica estetica o puramente artistica nel fervore appassionato, sia pure nella forma del sarcasmo » 1. La preminenza da noi concessa alla necessità della lotta culturale ci par ribadita in questa citazione; e del resto trova una piú certa conferma attraverso la lettura del paragrafo dedicato ai criteri metodici della critica letteraria 2; dove, chiaramente, al principio crociano della distinzione astratta fra poesia e non poesia è opposto il metodo della tendenza culturale (« Pare certo che l'attività critica debba sempre avere un aspetto positivo, nel senso che debba mettere in rilievo, nell'opera presa in esame, un valore positivo, che se non può essere artistico, può essere culturale e allora non tanto varrà il singolo libro, salvo casi eccezionali, quanto i gruppi di lavoro messi in serie per tendenza culturale » 3. È ciò che si è fatto da noi, in questi anni del dopoguerra, in direzione del « realismo », cioè della creazione di una letteratura e di un'arte che tendesse al « nazionale-popolare »; ed è opera stata fatta con coraggio e talora 1 L. V. N., p. 7. 2 L. V. N., pp. 19-21. 3 L. V. N., p. 20. Adriano Seroni 263 intelligenza; quel che non si è fatto, troppo spesso, è stata la sperimentazione del giudizio estetico, ragion per cui si è dato patenti di « opere d'arte » anche ad opere che interessavano soltanto per la loro tendenza culturale). Gioverà ora introdurre alcune serie di esempi, positivi e negativi, per saggiare, nel corpo vivo degli scritti gramsciani, la consistenza della problematica critica che abbiamo accennato. Esempi positivi all'interno della esperienza graniciana. a) la notazione, estremamente importante, su Dante, « ammirazione » e « amore », e conseguentemente il consiglio di leggere i classici con distacco 1. Mi è già avvenuto, in un recente articolo pubblicato sugli Studi danteschi 2 di notare che, in una posizione del genere, Gramsci si trova d'accordo con uno studioso di ben diversa formazione e tendenza qual è lo Spitzer; b) la profonda e fondamentale intuizione della posizione storica della poesia di Leopardi 3: il poeta non è staccato dal tempo, ma vi è riimmerso storicamente; esprime, da artista, una crisi storica; c) le considerazioni sul folclore e sulla poesia popolare, con la negazione della « spontaneità » della poesia tradizionale. Nei casi citati, Gramsci ha saputo impostare lo studio di importanti questioni, fornendo lo spunto per una interpretazione critica basata sulla relazione fra gli elementi di fondo del metodo critico all'inizio accennata. La giustezza di queste impostazioni gramsciane si pub chiaramente sperimentare: nel caso di Dante, ad esempio, la notazione gramsciana conforta la tesi degli studiosi moderni che, contro le argomentazioni crociane (e in parte contro la stessa distinzione desanctisiana), affermano la sostanziale unità e organicità del mondo dantesco e della poesia della Commedia. Quanto a Leopardi, basterebbe indicare tre ordini di fatti: il riacquisto alla piú alta poesia leopardiana del canto La ginestra tutt'in-rero contro le distinzioni fra strofe poetiche e strofe didascaliche; l'atten- 1 L. V. N., p. 125. 2 VOI. XXXIII, fasc. 2, p. 180. 3 L. C., p. 205. 18. 264 I documenti del convegno zione della moderna critica leopardiana ad opere come I paralipomeni o la satira I nuovi credenti (contro dunque la concezione di un Leopardi astratto dal suo tempo); infine, la rivalutazione del pensiero leopardiano nella sua organicità (contro, anche questa volta, la svalutazione operata dal Croce). Da queste note consegue (ed è, in un certo senso, l'elemento originale della nostra comunicazione) il fatto fondamentale della indagine critica organica sull'artista; filo questo che lega le molte sparse notazioni gram-sciane dei Quaderni e delle Lettere su problemi letterari e su scrittori. A proposito di questa nostra affermazione, giova osservare che Gramsci, indicando il « tipo » della nuova critica in De Sanctis 1, non fa mai riferimento a quella ch'è certo la parte piú debole, e ormai superata, del pensiero desanctisiano: quella distinzione fra mondo intenzionale e mondo poetico, accentuata dal Croce fino alla divisione; né mi pare molto azzardato affermare che la posizione gramsciana al proposito sia invece assai vicina alla relazione poetica-poesia, istituita dalle tendenze piú vive della moderna critica letteraria. Della critica desanctisiana è invece, conseguentemente, accentuato l'elemento passionale, la figura della lotta culturale e del conseguente atteggiamento polemico e, a volte, sarcastico. De Sanctis (ed ecco che il quadro degli elementi di fondo si completa) come critico militante. E qui sarebbe opportuno inserire alcune serie di esempi positivi neI lavoro desanctisiano, presenti a Gramsci, nei quali la scientificità delle distinzioni accennate nella loro relazione è sempre presente e vigile: a) l'uomo guicciardiniano. Gramsci, riprendendo il noto tema, insiste a mettere in guardia il lettore, che non si tratta dell'arte dello• scrittore, ma di un atteggiamento morale del critico determinato dalle necessità di una lotta culturale diretta contro certi vizi tradizionali dell'intellettuale italiano 2; b) lo Zola di De Sanctis. Non mancano ancora oggi lettori frettolosi che attribuiscono al De Sanctis della conferenza al Circolo t'ilciogico di Napoli e dei noti saggi su Zola un ripensamento circa la. portata del caso Manzoni. Ora, in questo esempio, gli elementi fonda- 1 L. V. N., p. 7. 2 R., p. 140. Adriano Seroni 265 mentali sono assai evidenti e chiari: la lotta condotta dal De Sanctis pet una cultura realistica porta il critico, sul piano culturale, ad opporre ad uno scrittore fra i grandissimi qual è Manzoni uno scrittore di minor statura come Zola. Ma, leggendo senza prevenzioni culturali le pagine desanctisiane su Zola, ben ci si accorge che mai al critico si affaccia l'intenzione di diminuire la portata artistica dell'opera manzoniana. È invece in questione una critica all'atteggiamento ideologico manzoniano. Ed è qui che s'innesta la tanto discussa notazione gramsciana sull'atteggiamento morale del Manzoni verso gli umili (e si potrebbe riproporre la distinzione fra « amore » e « ammirazione » e il metodo del « distacco », oggi s'intende, proposti da Gramsci per Dante). Ma, d'altra parte, l'« appassionato fervore » polemico proprio degli scritti desanctisiani su Zola giova, ci pare, alla stessa felice determinazione e caratterizzazione della « novità » di certi personaggi dello scrittore francese. (A questo proposto, mi sia consentito di rinviare ad un mio scritto su De Sanctis, Zola e la cultura italiana moderna)1. Esempi negativi Il fatto che si sia accennato a serie di esempi positivi (ne abbiamo, necessariamente, elencati solo alcuni) sottintende la possibilità di esempi negativi. E qui è necessaria una premessa. Il critico militante è ad ogni momento sottoposto a sbagliare, e sbagliare soprattutto perdendo di vista quella relazione dei tre elementi di fondo che s'è accennato in principio del nostro discorso: il « fervore », la passione lo possono a volte condurre a perder di vista, in primo luogo, la distinzione necessaria fra critica d'arte e critica politica. Ciò avvenne al De Sanctis per alcuni aspetti « minori » del Rinascimento, quando il critico e lo storico parvero confondere l'atteggiamento morale dello scrittore e la sua portata culturale in senso del « progresso » con i risultati artistici dei prodotti letterari; ciò avvenne a Gramsci nel caso della letteratura italiana del primo Novecento (da Pascoli a Ungaretti). A nostro avviso, le pagine gramsciane sui « nipotini di padre Bresciani » — pur anche illustrate e meglio chiarite dal citato paragrafo sui criteri metodici della critica i 1 Nel volume Nuove ragioni critiche, Firenze, 1954, p. 137 sgg. 266 1 documenti del convegno letteraria — costituiscono un esempio di prevaricazione dell'elemento della critica politica: la lotta contro l'irrazionalismo portò Gramsci ad agire senza la necessaria distinzione non solo fra i valori artistici in giuoco nel suo discorso, ma anche senza il necessario riguardo al riflettersi nei modi tipici di quella letteratura di forti contraddizioni e contrasti agenti nel tempo. Errore di distinzione estetica che, si badi bene, fini per divenire errore di distinzione storica e perfin morale: come nell'accomunare in un unico giudizio negativo la produzione di un poeta come Ungaretti e quella di un dilettante della penna come Malaparte. L'errore si comprende e si spiega meglio, se pensiamo a due ordini di fatti: che, intanto, Gramsci non poté aver visione diretta e sufficiente dei testi letterari presi in esame, e che subí inoltre l'influsso di una nota posizione crociana, quando il filosofo dei « distinti », impaurito delle conseguenze di alcuni punti della sua prima estetica, sviluppò un'azione polemica indistinta nei confronti di quella letteratura. È innegabile anche il fatto che l'apparizione dei giudizi gramsciani quando già si era giunti ad una certa precisazione dei valori di quella letteratura ha reso piú dannoso l'errore: troppo spesso giovani critici seguaci di Gramsci, trascurando le premesse di carattere generale, si sono rifatti a quest'esempio negativo, riproponendo, in guisa di schema cristallizzato, il brescianesimo e l'antibrescianesimo. Chiusa qui l'esemplificazione, ci sia consentita un'ultima annotazione, che, riallacciandosi a quanto dicevamo all'inizio, può avviare una prima parziale conclusione sul tema che ci interessa: i modi di quella possibile fusione fra critica estetica e lotta per una nuova cultura in un nuovo umanesimo ecc. Gramsci non tratta mai ex professo degli strumenti di indagine: ma intanto ci sembra che l'insistere che egli fa sui concetti di arte pura e di critica estetica, l'introduzione, anche per exempla, del rapporto linguistico presuppongano come punto di partenza metodico la lettura sperimentale dei testi, la conoscenza « scientifica » delle caratteristiche storico-politiche dei periodi (soprattutto l'attenzione alle contraddizioni; quindi il rifiuto di ogni schema cristallizzato e il rifiuto di ogni possibile uni-formismo di un momento storico) e il rapporto vitale fra conoscenza testuale e conoscenza storica. Dunque, il rifiuto di ogni estetica normativa, che impedirebbe ogni possibilità di indagine unitaria, storica, organica dell'opera d'arte. Adrian° Seroni 267 Su questo punto, si aprirebbe forse un nuovo discorso; che, anche alla luce delle esperienze piú recenti, ci ricondurrebbe, anche in questa sede, a riproporre la nostra istanza del leggere e sperimentare, i cui tratti fondamentali abbiamo indicato in un nostro studio recente 1; al quale mi sia permesso, ponendo fine a questa comunicazione, rinviare lo studioso. 1 A. SERONT, Leggere e sperimentare, Firenze, 1957.
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