Area della trascrizione e della traduzione metatestualeTrascrizioni | Trascrizione Non markup - automatica: Alberto Caracciolo A PROPOSITO DI GRAMSCI, LA RUSSIA, E IL MOVIMENTO BOLSCEVICO 1. Uno studio della posizione e del pensiero di Gramsci in rapporto alla Rivoluzione russa, al partito bolscevico, all'Internazionale comunista, ci fa pensare a quello, piú volte intrapreso ed oggi rinnovato da valenti studiosi, sulle relazioni tra giacobinismo italiano e Francia repubblicana. Anche qui, mutati tanti altri elementi, si tratta infatti di individuare quanto vi sia nel pensiero e nel movimento politico di autoctono, antecedente all'importazione di idee da un grande paese rivoluzionario, e quanto vi sia di acquisito ex post. Nel nostro caso naturalmente ben diversa è la forza dell'elemento originario italiano, per la personalità di Gramsci e per la maturità stessa del movimento socialista: ma l'ordine di problemi appare non privo di analogie. La ricerca che ci interessa è complicata dal significato vivamente « attuale » di ogni suo risultato. Di fronte alla facilità con la quale Gramsci dopo la Liberazione è diventato oggetto di commemorazione « ufficiale », di oleografia, di forzato inserimento in schemi politico-dottrinari in atto, o per converso è stato preso a campione di tutti i « ritorni alle origini », una valutazione storica piú consapevole abbisogna di cautele, riflessioni, apporti critici molteplici. Non avendo dietro di noi un lavoro abbastanza completo, ci limiteremo dunque ad esporre nella presente comunicazione alcune avvertenze metodologiche o tecniche, e a suggerire una prima posizione di problemi, rimandando ad altra occasione un'analisi piú diffusa. E limiteremo il discorso strettamente agli anni della rivoluzione e della direzione leniniana in Russia. 96 1 documenti del convegno 2. La ricerca è resa difficile anzitutto da alcune circostanze che valgono per ogni studio gramsciano, ma che pensiamo doveroso segnalare nuovamente in questa sede. In primo luogo sta quella di possedere ancora una edizione assai parziale degli scritti anteriori al carcere. Gli scritti del 1917-18, ripubblicati su Rinascita quest'anno, lasciano ancora desiderare altri articoli dello stesso periodo che solo adesso, a dodici anni dalla Liberazione, sono in corso di ristampa. Quelli dell'Ordine Nuovo, benché raccolti in volume, contengono omissioni che ognuno di noi ha potuto rilevare. Un vuoto completo vi è poi per la parte che inizia col 1921, benché naturalmente sia sempre possibile supplirvi con una minuta ricerca sui giornali del tempo. Tutte deficienze, queste, che ci inducono ad unirci alla diffusa richiesta di una edizione completa e criticamente valida dell'opera gramsciana, e a sollecitare anzi la facoltà ai singoli studiosi di accedere alla consultazione dei « quaderni » manoscritti che l'Istituto Gramsci ha in consegna e che devono considerarsi patrimonio di nessun altro che dell'intera cultura moderna italiana. A parte questo discorso di carattere redazionale, nell'esaminare le condizioni di una ricerca come la nostra dobbiamo menzionare alcune difficoltà di ordine piú generale per gli studi gramsciani. Accade qui in fondo la stessa cosa che per tutti i personaggi molto vicini a noi, personaggi che conservino una specie di « paternità spirituale » su movimenti politici in atto. Esiste cioè un giudizio ufficiale che circola, che diventa senso comune, e che rischia di indurre lo studioso non pienamente smaliziato a partire, piuttosto che dai testi originali, già subito dalla « interpretazione autentica » che ne dànno i contemporanei. Nel nostro caso specifico questo senso comune fa pensare a prima vista a un Gramsci semplicemente «leninista », che riporta in termini italiani l'esperienza dei bolscevichi. Molte questioni vengono perciò ridotte a una differenza di linguaggio, quando invece significano differenze reali. Molti svolgimenti del pensiero gramsciano attraverso il tempo vengono trascurati, dandosi l'immagine di un unico personaggio che è sempre se stesso 0 almeno che, superate le giovanili incertezze, è subito padrone di un monolitico corpo di concezioni. Sono un po' questi gli errori in cui sembra essere caduta la oleografia gramsciana di questi tempi, e in cui incorre in piú punti lo stesso libro recente di Ottino, per tanti versi peraltro notevole e spregiudicato. È insomma una situazione nella quale occorre molta vigilanza critica per non cadere in un appiattimento dei Alberto Caracciolo 97 problemi, specie a proposito di questioni delicate come quella dei rapporti Gramsci-leninismo, Gramsci-esperienza russa. Ancora come avvertenza per la ricerca, occorre aver presente che malgrado la ferrea disciplina d'azione invocata dal Comintern, malgrado la stretta dipendenza da un'unica centrale mondiale, il movimento comunista alle sue origini si presentava ben altrimenti articolato da quello di oggi, che pur si è tentati di prendere come punto di riferimento. V.s trovavano posto gruppi, frazioni, personalità assai autonome, e si aveva di conseguenza — almeno finché visse Lenin — un dibattito di idee estremamente vario ed aperto. Anche nella sua volontaria e affermata disciplina, Gramsci con gli altri comunisti italiani portò cosí un contributo originale, derivato da situazioni ed esperienze diversissime da quella russa. Lo portò anzi in forme molto aperte, ciò che consente allo studioso di avere davanti agli occhi per quel periodo una documentazione abbastanza ricca sulle posizioni sostenute da singoli settori e personalità del comunismo mondiale, senza ricorrere alle complicate «letture fra le righe » che si rendono necessarie per cogliere le divergenze nei successivi periodi del Comintern o del Cominform. Basti pensare alle grandi discussioni del 1921-1923 fra i vari gruppi italiani (ordinovisti, bordi-ghiani, socialisti di Serrati) e la centrale esecutiva, per le quali disponiamo ancora di vasto materiale. Non mancano naturalmente serie lacune nelle fonti. Riguardo al problema dei rapporti con la Russia sovietica, alle lacune dovute al carattere semiclandestino dell'opera di Gramsci e alle distruzioni fasciste, se ne aggiungono altre. Vi è intanto una povertà di documentazione da parte di testimoni oculari. I protagonisti della Internazionale comunista, che potevano recare importanti testimonianze da vari angoli visuali, sono in gran parte scomparsi, o nelle rare pubblicazioni memorialistiche hanno mostrato di restare strettamente legati, nella protesta o nella disciplina, agli strascichi attuali di antiche polemiche. Questo non ci fa disperare, perché è nel mestiere dello storico muoversi fra testimonianze nelle quali la verità è offuscata da mille circostanze soggettive. $ però, in un campo già scarso di documentazione, una nuova ragione di cautela critica. Vi è poi un altro fatto deplorevole, ed è la mancanza assoluta, al giorno d'oggi, di fonti russe utili a questo genere di ricerca: carte degli archivi di partito, di governo, della Internazionale. La questione è stata 98 I documenti del convegno sollevata piú volte, per esempio al congresso internazionale di scienze storiche dei 1955, per quanto riguarda gli archivi diplomatici. Lo scorso anno sembrò che si andasse verso la riapertura in Russia di tutti gli archivi. Di fatto però non si vede niente di nuovo, o si osservano utilizzazioni di documenti cosí evidentemente lacunose che inducono a chiedersi se non valga meglio il silenzio 1. Certo è che molto ameremmo sapere, attraverso fonti russe, del periodo di permanenza di Gramsci nell'Unione sovietica, dei suoi studi, delle sue conoscenze malgrado la scarsa simpatia che ha circondato fin qui in URSS la storia della Internazionale e la figura stessa di Gramsci. È da augurarsi che una piú distesa temperie politica e autonomia scientifica possa migliorare in avvenire la disponibilità di questo genere di fonti. 3. Chi rilegga gli scritti di Gramsci fra il '17 e il '19 sulla Rivoluzione russa è colpito non solo dal consenso entusiastico, ma anche dall'idealizzazione, dalla trasposizione in una propria diversa inquadratura politica del grande rivolgimento in atto. Sono gli anni dell'entusiasmo essenzialmente libertario per questo nuovo edificio che sarà « una organizzazione della libertà di tutti e per tutti, che non avrà nessun carattere stabile e definito, ma sarà una ricerca continua di forme nuove, di rapporti nuovi, che sempre si adeguino ai bisogni degli uomini e dei gruppi, perché tutte le iniziative siano rispettate purché utili, tutte le libertà siano tutelate purché non di privilegio » 2. Qualche cosa di questa volontà di interpretare la esperienza russa in un modo piú prossimo alla propria esperienza nazionale che allo svolgimento obiettivo dei fatti, seguita anche nel periodo di maggiore responsabilità politica di Gramsci. Non vi è in questo né una incapacità di osservazione né in alcun modo una mistificazione. Vi è piuttosto, da un lato il risultato di quel lungo isòlamento dei socialisti italiani dalla vicenda russa, che Gramsci stesso aveva deplorato 3, e dall'altro 1 Un tipico esempio di ciò abbiamo già rilevato in un articolo su Passato e presente, n. 1, p. 41. 2 Articolo « L'organizzazione economica ed il socialismo », Il Grido del popolo, 9 febbraio 1918, non firmato. 3 Oltre i passi già ripubblicati nel volume L'Ordine nuovo, e che riguardano il 1919-1920 (vedi specialmente p. 406 e p. 414), si ritrova questo concetto nella Relazione al Comitato centrale del 3 luglio 1925: « Le esperienze dell'I. C., cioè Alberto Caracciolo 99 — a noi sembra — la tensione di una mente che vorrebbe piegare a sé le realtà piú distanti e ricondurle tutte intere alla misura della propria passione. Un importante esempio di questo modo di vedere si trova nella questione del rapporto tra Soviet russi e Consigli di fabbrica italiani. E si può cominciare da qualche rilievo sulla precisione stessa dei dati d'informazione adoperati da Gramsci nel suo tentativo di istituire un parallelismo fra le due esperienze. Prendiamo il caso dell'apporto fisico di operai alla direzione delle fabbriche in Russia, nel 1921. Pur avvertendo i pericoli di burocratizzazione che si stanno manifestando in quel periodo 1, Gramsci manifesta fiducia nelle capacità di autogoverno operaio in Russia, e la conferma con cifre ottimistiche sulla presenza di operai alla direzione industriale: « In regime comunista... l'industria sarà amministrata dagli operai stessi... In Russia le competenze industriali sono uscite dai Consigli di fabbrica, non dalla burocrazia sindacale: in Russia il 60 % [corsivo nostro} delle officine sono dirette oggi da operai che si sono formati nei Consigli di fabbrica, vivendo la vita rude del lavoro industriale » 2. Ora, non sappiamo da. quali fonti Gramsci traesse queste cifre, ma è da osservare che proprio in quel torno di tempo un'inchiesta ufficiale aveva rilevato, come riporta il Dobb, che nelle aziende censite l'apporto operaio non avrebbe invece superato il 36 %, di fronte a una maggioranza di ex-impiegati, ex-proprietari, ex-direttori, ecc.3. Le stesse preoccupazioni su sviluppi burocratici in nuce, benché presenti, passavano dunque per Gramsci in secondo piano di fronte alla enorme importanza globale dell'esperienza sovietica. Quando si parla della gestione e dell'iniziativa operaia, si entra del resto in uno dei punti di piú netta differenza fra la concezione ordinovista e gramsciana e quella sovietica. Quando è stata osservata, tale differenza non solo del partito russo ma anche degli altri partiti fratelli, non giunsero fino a noi e non furono assimilate dalla massa del partito altro che saltuariamente ed episodicamente. In realtà il nostro partito si trovò ad essere staccato dal complesso internazionale», ecc. 1 Vedi soprattutto le preoccupazioni per « nuove forme di sindacalismo » e « nuove situazioni burocratiche che in tre anni sono venute costituendosi », nel-l'art. « Sindacati e consigli », L'Ordine Nuovo, 5 marzo 1921, non firmato. 2 Articolo « Il partito comunista », L'Ordine Nuovo, febbraio 1921, non firmato. 3 M. DOBB, Storia dell'economia sovietica, Roma, 1957, p. 151. 100 I documenti del convegno si è generalmente attribuita a una sorta di giovanile infatuazione o all'influenza di teorie sindacaliste e volontaristiche non marxiste. Altri potrà esaminare se non vi sia invece qui precisamente una sensibilità verso la piú genuina concezione marxiana dello Stato comunista come Stato dei produttori, come palestra di autogoverno, come luogo che rivaluta e torna a far emergere progressivamente dalla società politica la società civile. Si tratta comunque di una inclinazione inconfondibile del pensiero gramsciano, che lo distingue dal pensiero di Lenin e che •a sua volta distingue il movimento dell'« Ordine Nuovo » — tutto generato dal basso, articolato, autogovernato — dal movimento dei Soviet russi tendente alla centralizzazione. Non si può confondere il ruolo dei Soviet nella rivoluzione e dopo, col ruolo dei Consigli di fabbrica torinesi. Innanzitutto i Soviet, come organi di potere, erano diversi dai veri e propri Consigli di azienda che in Russia (seppure con compiti modesti, per la povertà dell'iniziativa proletaria in molti luoghi e anche per l'accentramento in atto, fin dalla primavera 1918, nella direzione economica dello Stato) erano stati creati. E cosí non si può parlare in Russia di gestione operaia nel senso proprio di questa parola, neppure dopo il « decreto sul controllo » del 14 novem- bre 1917, benché Gramsci scriva piú volte che « l'esistenza del Consiglio dà agli operai la diretta responsabilità della produzione », e che « nell'organizzazione per fabbrica si incarna dunque la dittatura proletaria » 1_ Il paragone gramsciano cosí consueto, fra i Soviet ed i Consigli torinesi, imperniati appunto sull'idea del « controllo operaio », della autonomia dei produttori, di un potere statale nascente dalla fabbrica, appare pertanto arbitrario nei fatti. Esso vale piuttosto, agli occhi di una nostra critica, come indicazione di una tendenza di cui Gramsci riconosce in Russia alcuni elementi, e che si sforza di immaginare vittoriosa e di portare nel proprio paese fino alle estreme conseguenze. Per questo, laddove egli piú liberamente prefigura il significato di un movimento consiliare che giunga al potere dello Stato, abbiamo davanti agli occhi un quadro già molto diverso da ciò che era in atto in Russia. Attraverso l'esperienza e la propaganda, egli dice, le istituzioni consiliari « si svilup- 1 « Sindacati e consigli », dell'ottobre 1919, giá ripubblicato nel volume L'Ordine Nuovo, pp. 38-39. Alberto Caracciolo 101 parono, si incorporarono nuove •e piú importanti funzioni amministrative, e finalmente, diventati organi costituzionali dello Stato proletario, realizzarono l'autonomia sovrana del lavoro nella produzione », ecc.', e quindi la Rivoluzione russa confermerebbe che « la costruzione dei Soviet politici comunisti non può che succedere storicamente a una fioritura e a una prima sistemazione dei Consigli di fabbrica » 2. Per Gramsci il Consiglio di fabbrica è autentico ed essenziale organo di potere, e questo non viene delegato al partito politico, né tanto meno al suo apparato, che è puro strumento. « La soluzione effettiva — scrive Gramsci nella primavera del 1920 — può essere attuata solo dalla massa stessa e solo attraverso i Consigli di fabbrica. La massa non si lascerà piú lusingare dalle promesse mirabolanti dei capi sindacalisti quando si abituerà, nella pratica dei Consigli, a pensare che non esistono diversi metodi nella lotta di classe„ ma uno solo: il metodo che la massa stessa è capace di attuare, con suoi uomini di fiducia, revocabili ad ogni istante; quando si convincerà che i tecnici dell'organizzazione, appunto perché tecnici, perché specialisti, non possono essere revocabili e sostituibili, ma se non possono essere revocabili e sostituibili devono essere limitati a funzioni puramente amministrative, non devono avere nessun potere politico. Tutto il potere politico della massa, i1 potere di indirizzare i movimenti, il potere di condurre la massa alla vittoria contro il capitale, deve essere degli organismi rappresentativi della massa stessa, del Consiglio e del sistema dei Consigli, responsabile dinanzi alla massa, costituito di delegati che, se appartengono al Partito socialista oltre che alle organizzazioni sindacali, sono controllati anche dal partito, che segue una disciplina stabilita dai congressi ai quali ha partecipato l'avanguardia rivoluzionaria di tutta. la nazione » 3. 4. Da questo nodo di problemi emergono altri due aspetti caratteristici del pensiero gramsciano. L'uno, sul quale non possiamo qui soffermarci, riguarda la funzione del partito operaio rispetto alla classe, fun 1 «Per l'Internazionale comunista », del 26 luglio 1919, 0. N., pp. 19-20. 2 « Lo strumento di lavoro», del 14 feb. 1920, 0. N., p. 79. 3 « L'unità proletaria », del 28 feb. 1920, 0. N., pp. 100-1. 102 I documenti del convegno zione chte indubbiamente, come è già stato rilevato 1, è assunta da Gramsci sí come avanguardia, ma in un senso assai piú educativo-stimolatore che non direttivo-rappresentativo. L'altro riguarda la concezione di egemonia e di consenso nella rivoluzione. Il potere diffuso dei Soviet, dalla fabbrica alla regione e al centro, è quello che per Gramsci garantisce che vi sia pienezza di egemonia proletaria, e organica partecipazione alla direzione statale. Attraverso il controllo esercitato dai Consigli, « la classe operaia, essendosi conquistata la fiducia e il consenso delle grandi masse popolari, costruisce i1 suo Stato » 2. Il momento dell'egemonia, del consenso è essenziale alla rivoluzione. Ora per Gramsci l'esempio russo soddisfa compiutamente a questa esigenza. Perché « in Russia tende a realizzarsi cosí il governo col consenso dei governati, con l'autodecisione di fatto dei governati, perché non vincoli di sudditanza legano i cittadini ai poteri, ma si avvera una compartecipazione dei governati ai poteri. I poteri esplicano una immensa opera educatrice, lavorano a rendere colti i cittadini, lavorano alla realizzazione di quella Repubblica di saggi e di corresponsabili che è il fine necessario della rivoluzione socialista... » 3. Emerge l'idea di una egemonia che deve essere in atto già prima della rivoluzione, e nel corso di essa e dello stabilimento delle basi del nuovo Stato; l'idea di uno Stato che si crea attraverso un lungo lavoro preparatorio, un periodo e una lotta mediante i quali bisogna « dare maggior sviluppo e maggiori poteri alle istituzioni proletarie di fabbrica già esistenti, farne sorgere di simili nei villaggi, ottenere che gli uomini che le compongono siano dei comunisti consapevoli della missione rivoluzionaria che l'istituzione deve assolvere » 4. Mentre è vivissima la polemica contro ogni possibilità di giacobinismo dei bolscevichi, per la quale un pugno dii uomini si sostituirebbe alla « libera voce della coscienza universale », e verrebbe instaurata una illimitata dittatura. 1 Vedi tra gli altri gli scritti pubblicati nello scorso anno da R. Guiducci, G. Scalia, M. Spinella. Deformate dalla volontà di ricondurre il pensiero gram-sciano alla prassi attuale, invece, le conclusioni che trae F. Ferri su Rinascita, settembre 1957. 2 « Controllo operaio», L'Ordine Nuovo, 10 feb. 1921. 3 « Per conoscere la rivoluzione russa », Il Grido del popolo, 22 giugno 1918, non firmato. 4 « La conquista dello Stato », L'Ordine Nuovo, 12 luglio 1919, O. N., p. 18. Alberto Caracciolo 103 Tutto il pensiero gramsciano era teso, come si può vedere anche nelle analisi sulla situazione italiana, verso questa concezione dell'ege-mania e del consenso diffuso come necessità anteriori alla rivoluzione. Per questo egli, vedendo la Rivoluzione russa di lontano, non poteva immaginarla che come un blocco di consapevolezza e di egemonia bene acquisita. Egli riteneva che tanto il proletariato industriale quanto quello agricolo fossero preparati, anche culturalmente, alla direzione della nuova società 1. Insisteva sul « carattere essenzialmente democratica dell'azione bolscevica, rivolta a dare capacità e coscienza politica alle masse, perché la dittatura del proletariato si instaurasse in modo organico e risultasse forma matura di regime sociale economico-politico » 2. Sottovalutando le preoccupazioni che i bolscevichi, specialmente dal periodo della N. E. P. in poi, avevano a proposito della immaturità della classe operaia, della ristrettezza del ceto politico dirigente, e della pericolante egemonia sui contadini, respingeva ogni possibilità di soluzione che significasse in qualche modo paternalismo o repressione in luogo di allargamento del consenso. Non possiamo qui altro che proporre sommariamente questo argomento di grande rilievo teorico. E vero comunque che nelle speranze e nei giudizi del primo Gramsci è viva l'idea dell'egemonia come condizione per il potere. Essa è abbastanza vicina a quella di Lenin, ma non ha nulla a che fare con la prassi staliniana di una attribuzione al gruppo dirigente di partito, per un periodo di tempo indefinito, dei poteri essenziali della società e dello Stato. E sarà poi da vedere se ed in quale misura, dopo la sua andata in Russia nel 1922-23, Gramsci non sarà indotto a temperare il suo ragionamento, almeno per quanto riguarda l'esperienza sovietica. Un articolo del 1926, se scritto dalla sua penna, farebbe pensare ad una accettazione dell'idea di una egemonia che si compia dopo la presa del potere, dove si dice che « il gradualismo socialista diventa possibile solo quando il potere è passato nelle mani della classe operaia e quella ha creato un nuovo Stato al posto dello Stato capitalistico » 3. Comunque vari passi dei Quaderni e gli stessi sviluppi « Note sulla rivoluzione russa », Il Grido del popolo, 29 aprile 1917, non firmato. 2 « L'opera di Lenin », Il Grido del popolo, 14 sett. 1918, non firmato. 3 « Riformismo e lotta di classe », L'Unità, 16 marzo 1926, non firmato. 8. 104 1 documenti del convegno impressi da Gramsci alla azione del partito comunista dalla crisi Matteotti in poi fanno ritenere che il pensiero di Gramsci sulla questione del consenso rimanga sostanzialmente fermo. La stessa lettera dell'ottobre 1926 al Comitato centrale sovietico, purtroppo esclusa fino a ieri alla conoscenza dello studioso', dimostra un uso specifico e molto interessante del termine egemonia, laddove questo nella terminologia russa e internazionale era interamente assorbito dal termine dittatura del proletariato. Dando la sensazione di una persistente originalità del pensiero gramsciano rispetto agli sviluppi che dopo Lenin i dirigenti bolscevichi diedero alla questione. 1 Pubblicata nel 1938 in Francia dalla rivista Problemi della rivoluzione italiana, ed ora, in copia fotografica, da Corrispondenza socialista, dicembre 1957.
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