Area della trascrizione e della traduzione metatestualeTrascrizioni | Trascrizione Non markup - automatica: p. 32 Rinascita n. 19 Luigi Russo e i trent'anni di "Belfagor „ La copertina di un numero di Belfagor. In basso: Luigi Rus',so con Emilio Sereni e Giulio Trevisani di Sergio Antonielli Un punto fermo nella storia ormai trentennale di Belfagor mi sembra costituito dal fascicolo straordinario del novembre 1961, nel quale amici e allievi di Luigi Russo ricostruivano la figura del maestro, scomparso il 14 agosto di quell'anno, con una serie 'di saggi storicamente disposti e una varia raccolta di « immagini e ricordi ». Quel fascicolo, per i nomi e per l'impegno di coloro che vi scrissero (i primi in elenco, sul fron- tespizio, sono Francesco Flora, Eugenio Garin, Walter Binni, Natalino Sapegno), conserva ancora una sua solennità. Ma non è questo aspetto che ora intendo sottolineare. L'importanza del fascicolo mi sembra da vedere nel carattere critico che assunse in esso la commemorazione, ossia nel tacito accordo, in cui tutti gli scriventi si trovarono, di frenare e comporre il loro cordoglio in discorsi rigorosi e scientificamente proficui. L'omaggio all'uomo e allo studioso diventava un omaggio, per dirla con un'espressione tipica ,del Russo stesso, allo « spirito critico ». Precisamente in questo « soirito » è da vedere, più ancora che la complessiva coerenza della singolare « rassegna di varia umanità », la corrispondenza fra i due quindicenni, prima e dopo il 1961, in cui la sua storia appare distinta. Ricordo che in quell'anno tra i famigliari e gli amici del Russo, postosi il dilemma se continuare o chiudere la pubblicazione di Belfagor, i dubbi che emersero riguardavano più che altro la possi-lità di restare nel solco tracciato. Già il primo numero era uscito in un momento di particolare fervore: nel gennaio del 1946. Inoltre la vena polemica del Russo, quella sua personale facoltà d'inter vento sull'attualità, culturale e politica, chi avrebbe potuto ricrearla? L'arcidiavolo machiavelliano era per bocca sua che si era rimesso a parlare. E si badi bene: nella figura dell'arcidiavolo a cui rimandava, per via diretta, il titolo, non si era riflessa soltanto una trovata. Si era riflessa una sintesi particolare di vita culturale e di vita civile. Da una par te il Belfagor del titolo rimandava al Machiavelli, ossia allo studio dei classici; da un'altra, al gusto beffardo di porsi in polemica contro ogni sorta di conformismo. In qualche modo, escogitando quel titolo, il Russo aveva detto gloria al Machiavelli, come a suo tempo aveva fatto il De Sanctis. La formula originale di Belfagor, fin dal primo numero, fu appunto quella della fusione della severità scientifica, diciamo pure accademica, col più scoperto impegno etico-politico. Tanto nello studio dei classici, quanto nella organizzazione della cultura o nel maneggio dei pubblici affari, si potevano incontrare i dilettanti, i disonesti. Contro costoro, nessuna misericordia. Gli studi per il Russo, e il loro concretarsi in istituti scolastici, erano parte di quella vita nazionale che ci aveva data il Risorgimento e che non si doveva tradire. Da qui la sua vena pedagogica, il suo continuo interesse per i problemi della scuola, nonché la sua continua distribuzione di moniti, esortazioni, rimproveri. Per meglio intenderci, facciamo un esempio. Il numero 'di novembre del 1957 si apre con un saggio di Scevola Mariotti su Ovidio. In nota, il Russo si dichiara lieto di ospitare il ,saggio, ma al tempo stesso se la prende con l'allora vigente governo Zoli e, in genere, con la faziosa politica delle sovvenzioni elargite ad alcuni enti e negate ad altri. Nello stesso numero c'è un saggio di Giovanni Cecchetti sul testo di Vita dei campi e sulle correzioni del Verga. Venti pagine dopo, il Russo in prima persona scrive commosso per la morte di Giuseppe Di Vittorio. Il numero l'ho scelto ad arte, anche perché 'a firma di un altro diavolo, Astarotte (ripreso dal Pulci), vi è pubblicata una no-terella « Per la libertà perpetua di San Marino », in cui si condanna un fatto ohe non va dimenticato e che si può considerare paradigmatico di come si possa rovesciare un governo di sinistra mediante intrighi all'interno e illecite pressioni dall'esterno. Tuttavia, qualsiasi numero si consulti, la formula si troverà rispettata. Altre riviste sono potute sembrare più significative o importanti sul piano specifico dei lavori letterari in corso. Belfagor non ha mai accolto la letteratura, come si dice, creativa in prosa o in versi. Ma alle lunghe la sua formula della severità negli studi, congiunta all'impegno morale e politico, doveva rivelarsi più resistente di tante altre. Prima o poi, doveva diventare di attualità anche quel « problema della scuola » per la cui democratica impostazione la rivista si era battuta fin dall'inizio. Nel senso appunto della fedeltà alla formula originaria va vista la corrispondenza maggiore fra primo e secondo quindicennio. Il vuoto lasciato dal Russo, nessuno lo avrebbe colmato. Nessuno, è ovvio, avrebbe potuto dare stilistico seguito alla sua vena, dotta e sarcastica, di polemista. Ma la «ricetta » era buona e attenersi ad essa si sarebbe dimostrato giusto, tanto sul piano della cultura, quanto su quello dela politica. Prendo un numero del secondo quindicennio, questa volta a caso: maggio 1973. Nella prima sezione, un saggio di Sergio Moravia su « Gli "idéologues" e l'età dei lumi »; fra le « noterelle e schermaglie », íl testo di un discorso di Nenni al Senato (18 maggio 1973) su « Lo squadrismo protetto ». Chiaro che il merito di avere continuato nell'opera dei fondatore spetta in primo luogo a coloro che si sono assunta, dal 1961 in poi, la cura pratica della rivista, e particolarmente a Carlo Ferdinando Russo, direttore attuale. Ma credo si debba aggiungere una osservazione circa le ragioni per cui la continuazione dell'opera del Russo si è resa obiettivamente possibile. Scriveva Gramsci, modellando sul De Sanctis la figura nuova del critico: « Insomma, il tipo di critica letteraria propria della filosofia della prassi è offerto dal De Sanctis [...]: in essa devono fondersi la lotta per una nuova cultura, cioè per un nuovo umanesimo, la critica del costume, dei sen timenti e delle concezioni del mondo con la critica estetica o puramente artistica nel fervore appassionato, sia pure nella forma del sarcasmo » (Quaderni del carcere, ed. curata da Gerratana, (pag. 2188). Luigi Russo, proprio a un modello desanc-tisiano si era studiato di rifarsi. L'insegnamento del De Sanctis, indipendentemente dai giudizi particolari, legati al tempo, gli si era manifestato proprio in una « fusione » del genere indicato da Gramsci, certo non esclusa la « forma del sarcasmo ». Non è adesso il caso di procedere a un'analisi della formazione culturale del Russo. Dovremmo citare anche íl Carducci, il Croce e il Gentile. Quello che va ripetuto è che se pensiamo a lui, la complessa indicazione del « ritorno al De Sanctis » diviene un concreto punto di riferimento, il titolo di un effettivo momento della cultura italiana novecentesca. Una sera d'estate del 1951, ai familiari raccolti sul retro della sua casa al Fiumetto, a Marina di Pietrasanta, Luigi Russo diede lettura di alcune pagine appena composte. Si trattava della prima puntata di una nuova rubrica bel-fagoriana, « Nascita di uomini democratici », che sarebbe durata circa due anni. La straordinaria lettura terminò nell'imprevisto di una commozione generale: non tanto per il potere coinvolgente dei casi, o per il risaputo fascino del lettore, quanto per il carattere esemplare che quella storia di una coscienza democratica, sprigionatasi dal fondo religioso e feudale della provincia siciliana, veniva a dimostrare immediatamente e con forza. Consustanziato all'intellettuale e allo scrittore, riprendeva corpo quell'uomo secondo storia che il De Sanctis aveva sempre ricercato sia nelle pagine critiche, sia per l'appunto in quelle di memoria autobiografica: « Del senso religioso della popolazione siciliana io ho tenerissimi ricordi. Avevo sette anni e ho assistito alla predica di un quaresimale, in cui un vecchio prete, parlando delle fiamme dell'inferno, faceva accendere nel buio tetro della chiesa delle vampate di zolfo (un giuoco che noi ragazzetti ripetevamo con estrema facilità a casa: un po' di polvere nella mano, un fiammifero acceso, e poi il lancio in aria della polvere) E...]. Mio padre era costretto a servire alla corte del sindaco del mio paese, e talvolta a prestare i servizi più umili nella casa baronale del comandatore. Quello che io chiamo co-mandatore era un sempice commendatore, ma nella mia fantasia bambina (e fantasia bambina era quella anche di molte persone adulte del mio paese) commendatore •era sinonimo di colui che comanda. Il comandatore del mio paese era un generoso signorotto, che 'aveva seguito Garibaldi nella spedizione del '60, come picciotto; apparteneva a una famiglia nobilesca, che aveva le sue diramazioni in tutta l'isola, perché erano in dieci fratelli, e il più potente risiedeva a Palermo » (Belfagor, settembre 1951). Scopo di simili rievocazioni, nella mente del Russo era quello di mostrare « che uomini democratici, comunisti o socialisti, non si diventa da un giorno all'altro; si tratta di lente formazioni e tradizioni storiche ». La coscienza democratica è dal profondo della realtà nazionale che si genera. Ora per questo penso sia stato possibile insistere in un lavoro, la continuazione di Belfagor, che sotto altri aspetti poteva sembrare impossibile: perché le vicende italiane posteriori al 1961 hanno continuato a produrre certi anticorpi, ossia hanno seguitato a chiedere per opposizione certi chiari termini di orientamento e di polemica. Contro l'affievolirsi dello spirito critico, contro il tecnicismo fine a se stesso, il professionismo come giustificazione di aridità morale, gli inquinamenti da consumismo, nel campo della letteratura non è mai venuta a cessare la domanda di un atteggiamento di tipo desanctisiano. Difficile, interpretare una simile domanda ed esaudirla nel più aggiornato dei modi. Ma rispettando la formula iniziale, Belfagor non è venuto meno al suo compito. BE LFAG OR RASSEGNA DI VARIA UMANITÀ FONDA, DA LUIGI RUSSO CASA EDITRICE LEO S. OLSCHKI-FIRENZE ANNO XXXI N. 2 31 MARZO 1976 7 maggio '76 LJ Testimonianze I1a parola ~.i ` A.. ,JJ~ areuliavolo
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