Area della trascrizione e della traduzione metatestualeTrascrizioni | Trascrizione Non markup - automatica: Officina (1955-1959) Fascicolo bimestrale di poesia. I serie (nn. 1-12, maggio 1955-aprile 1958) redattori: Francesco Leonetti, Pier Paolo Pasolini, Roberto Roversi. Arti grafiche Calderini, Bologna. II serie (nn. 13-14, marzo-aprile 1959 - aprile-giugno 1959) redattori: Franco Fortini, Francesco Leonetti, Pier Paolo Pasolini, Angelo Romanò, Roberto Roversi, Gianni Scalia. Bompiani editore, Milano, formato: cm. 21,5x14. Officina, col sottotitolo di • « fascicolo bimestrale di poesía », fu fondata a Bologna nel 1955 da F. Leonetti, P. P. Pasolini e R. Ro-versi. Al comitato redazionale originario si aggiunsero ben presto A. Romanò, G. Scalia e F. Fortini, la cui attiva partecipazione alla vita della rivista fu resa ufficiale solo a partire dal n. 13. Il numero in questione dava inizio a una nuova serie di Officina, edita da Bompiani, destinata ad esaurire la sua attività nel giro di pochi mesi, per un totale di due soli fascicoli usciti. Le motivazioni del fatto, piuttosto che nei dissapori insorti fra Pasolini e l'editore, andranno ricercate, al di là della mera occasionalità, nella rapida trasformazione del quadro politico-culturale in cui Officina aveva svolto la propria funzione e in una crisi ormai irreversibilmente acuita all'interno del gruppo circa i motivi alla base dell'operazione, fino ad allora dialetticamente condivisi. Sorretta da un'ambigua ispirazione gramsciana, la rivista avverti l'urgenza di procedere ad una revisione della tradizione letteraria ermetico-novecentesca nell'ambito di un'attualità altrettanto insoddisfacente. Si. trattò di impostare una polemica bifronte, da condurre parallelamente su due versanti, nei riguardi del novecentismo, appunto, e del neorealismo: il rifiuto perentorio dell'autosufficienza da un lato, e dall'altro quello di un facile impegno, incanalato in rigidi schematismi e incapace di costituire un'alternativa accettabile prima ancora che un valido strumento di reazione antier-metica. Officina si mosse dunque alla ricerca di una nuova definizione ideologica della poesia, facendo proprie le esigenze di chiarificazione e di approfondimento della cultura italiana degli anni Cinquanta: un rinnovamento, per usare le parole di Romanò, che non costituisse « un semplice aggiornamento tematico e formale come quello in atto dalla fine della guerra in poi », ma che una volta liquidati i miti « dell'individualismo romantico, dell'evasio-nismo decadente, del conformistico anticonformismo dei poeti borghesi » partecipasse in modo davvero incisivo e responsabile alla risoluzione dei problemi della società e dell'uomo contemporaneo. In questa prospettiva si situano le riletture della recente tradizione letteraria alle spalle, per misurare distanze e rinvenire agganci (« Pascoli » di Pasolini, « Leopardi » di Leonetti, « Manzoni » e « La scapigliatura » di Romanò, « Serra » e « I crepuscolari » di Scalia); gli interventi di più esplicita teorizzazione dei motivi di poetica (si vedano le citate Analisi critico-bibliografiche di Roma-nò); le inquietanti prese di posizione pasoliniane sullo « sperimentalismo » a carica polemico-eversiva; e, naturalmente, la pubblicazione dei testi creativi che l'intera équipe dei redattori, ad eccezione di Scalia, andava producendo. Fra i suoi « ospiti » Officina accolse Gadda, Caproni, Bertolucci, Luzi, Bassani, Ungaretti, Sbarbaro, Penna, Rebora, Volponi, Erba e Pagliarani. Le presenze di questi ultimi autori all'interno del discorso militante della rivista (alcuni sono rappresentanti del filone ermetico) appaiono diversamente giustificate e giustificabili: uno dei tanti aspetti, talvolta positivamente contraddittori, della complessa esperienza officinesca. Di tutti rende ragione il bel saggio di G. C. Ferretti ad apertura della recentissima antologia di Officina, Torino, Einaudi, 1975, cui si rimanda fra l'altro per l'estrema difficoltà di reperimento dei fascicoli originali. (m. m.)
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