Area della trascrizione e della traduzione metatestualeTrascrizioni | Trascrizione Non markup - manuale o riveduta: I due mesi cruciali per l'avvenire di Cuba La grande sfilata del 2 gennaio e i calcoli affannosi degli osservatori militari occidentali — Sono mature le condizioni per una politica estera più articolata che persegua la «pace con dignità» DI RITORNO DA CUBA, gennaio. Nel suo ultimo discorso, il due gennaio, Fidel Castro ha voluto ribadire soprattutto questo concetto: la rivoluzione cubana è sempre disposta a discutere con gli Stati Uniti per vedere di risolvere i conflitti, ma per ora gli Stati Uniti non si dimostrano affatto propensi a questo: perciò Cuba deve seguitare a dar l'esempio, ai popoli dell'America latina, di una fermezza intransigente, garantita dalla forza delle sue armi, dalla compattezza risoluta del suo popolo e dalla solidarietà del campo socialista. Nella tribuna d'onore, mentre Castro parlava, gli addetti militari di diversi paesi occidentali avevano la mente occupata da calcoli. Avevano assistito poco prima a un'imponente sfilata delle forze armate. Gli addetti militari hanno l'occhio esercitato: dall'entità e dalla qualità delle armi che vedono sfilare, possono calcolare con esattezza quasi perfetta il valore di tutto un esercito. Quest'anno, a Cuba (secondo informazioni che ho potuto raccogliere molto da vicino), gli addetti militari sono giunti alla conclusione che le forze armate cubano hanno un potenziale cinque volte superiore a quello di una normale nazione moderna, rispetto al numero degli abitanti. Questo calcolo confermava i precedenti rapporti dei servizi segreti. Potenza In base ai rapporti dei servizi segreti anglo-americani, un autorevole settimanale britannico spiegava ai suoi lettori, alla fine di dicembre, che l'aumento del prezzo dello zucchero sul mercato mondiale era giustificato dalla convinzione che un'operazione militare con armi convenzionali contro Cuba non ha più molte probabilità di riuscire. Costerebbe troppo; le perdite degli attaccanti, sarebbero gravissime. Senza bombe atomiche, l'isola è una fortezza quasi imprendibile. Durante la sfilata del due gennaio, quello che ha più colpito gli osservatori militari è stato la potenza dei mezzi di difesa antiaerei e antisbarco: missili per colpire aerei a qualunque altezza, missili teleguidati per la difesa costiera, aerei da caccia MIG dell'ultimo modello, contraerea dotata di una gran quantità delle armi più moderne. Alla vista di tante novità i cubani sommergevano di abbracci e strette di mano i sovietici frammischiati alla folla. La vicenda dei missili installati in ottobre e poi ritirati era dimenticata. Grandi ovazioni accoglievano le parole di Fidel:«Le armi che avete visto sfilare e quelle che non avete visto, sono la nostra migliore garanzia... Questi sono i primi elementi di un armamento nuovo, al cui impiego i soldati cubani si stanno addestrando...». Il cervello degli osservatori militari occidentali stava lavorando: quanti soldati devono essere in servizio permanente, per un simile esercito? Ho saputo più tardi che la cifra stabilita nelle ambasciate occidentali è di circa trecentomila uomini. Possono sbagliarsi, ma non di molto. Cuba — come ha detto Castro — è preparata per respingere un'aggressione cinquanta volte più potente di quella di Plaja Giron. Ho passato due mesi nell'isola. Sono arrivato il 28 ottobre, nel momento in cui Krusciov annunciava il ritiro dei missili e Castro fissava i suoi cinque punti. Soldati e miliziani non volevano staccare il dito dal grilletto. Milioni di cubani avevano visto la morte in faccia senza smettere di sorridere. Sono ripartito dopo la celebrazione del quarto anniversario della rivoluzione. In due mesi i cubani hanno imparato cose nuove, incancellabili: hanno misurato la propria forza che non è fatta solo di armi (in ottobre, la mobilitazione è stata totale: le minacce aggressive degli USA non fanno che saldare sempre più la popolazione intorno alla direzione rivoluzionaria); e poi hanno sentito lo stesso Fidel dire che la politica internazionale è un affare complesso e delicato e hanno visto il governo, fermo sui principi, portare a termine un negoziato difficile con gli Stati Uniti (quello sullo scambio dei prigionieri) con grande vantaggio per Cuba e per la pace. Così, per quanto concerne la politica estera, l'anno nuovo si è profilato tra questi due popoli: essere pronti a difendersi e trattare tutte le volte che si può, vale a dire quando non si deve rinunciare a nulla che possa incrinare la saldezza rivoluzionaria. E' quello che a Cuba si chiama «paz con la dignidad». Naturalmente i cubani non escludono l'ipotesi di nuovi tentativi aggressivi da parte delle forze controrivoluzionarie e dell'imperialismo statunitense Un'altra ipotesi che si fa a Cuba è quella del blocco del petrolio. Il petrolio che giunge dall'URSS è quello che consente a Cuba di far funzionare le centrali termoelettriche, di far camminare i trasporti e l'ancora inqente parco automobilistico privato. Senza petrolio i cubani tornerebbero a un'economia primitiva, bruciando alcool da canna da zucchero. Ci sono state sere in cui Fidel parlava di questo, seduto in mezzo agli studenti, alla Università dell'Avana. Gli studenti Diceva che bisognava prepararsi a tutto,«cerrare el cinturon», fare da soli, tornare alla pastorizia e alla agricoltura con l'aratro tirato dai buoi, andare a cavallo, invece che in automobile. Tutto, pur di non cedere all'imperialismo yanqui. Gli studenti lo stavano a sentire con facce decise e gli ponevano altre domande e poi Fidel lanciava una battuta e tutti ridevano allegramente, con quella forza d'animo che viene dalla solidarietà, in guerra. In questa psicologia, ci sono anche elementi di un pionierismo antico come la umanità, e del coraggio tipico dei cubani. Poi c'è la coscienza rivoluzionaria della giustizia e della libertà che tra i giovani è totale e intatta. I dirigenti rivoluzionari cubani, però, si rendono conto del fatto che adesso occorre anche definire una politica estera più avanzata, basata su iniziative più complesse che nel passato. Uno dei massimi dirigenti ha accennato davanti a me, in una conversazione, alla esigenza di una più varia iniziativa diplomatica, soprattutto verso certi paesi dell'America latina che non sono completamente succubi degli Stati Uniti. L'episodio ' dello scambio dei prigionieri non era considerato all'Avana come un fatto da isolare nella sua particolarità irripetibile. Lo stesso Fidel Castro, in privato, insisteva rulla buona impressione che avevano lasciato in lui i contatti personali con l'avvocato statunitense Donovan,che aveva protetto gli interessi delle famiglie dei prigionieri. durante i negoziati per il loro rilascio. Forse, se Kennedy non avesse ripreso quel volgare linguaggio provocatorio davanti ai «mercenari», il 31 dicèmbre, il discorso di Fidel, il 2 gennaio, avrebbe contenuto un riferimento più esplicito e ampio alle possibilità di riannodare un dialogo, anche con gli Stati Uniti. Comunque, la porta rimane aperta largamente verso tutti gli altri paesi. Prova ne sia l'offerta fatta alla chiesa protestante canadese, l'otto gennaio, di inviare dei missionari a Cuba. Le porte sono aperte a tutti i negoziati leali. Ora il governo rivoluzionario ha interrotto la concessione dei visti a chi vuol emigrare negli Stati Uniti: si vuole, in cambio di questi visti, che una compagnia aerea americana ripristini i voli regolari tra Miami e l'Avana. Negoziare, non è vano. Saverio Tutino | | Trascrizione secondaria non visualizzabile dall'utente | | Trascrizione secondaria non visualizzabile dall'utente | |
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