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tipologia: Analitici; Id: 1472534


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Tipologia Periodico
Titolo Giovanni Testori, Il Fabbricone
Responsabilità
Testori, Giovanni+++
  • ente ; ente
  autore+++    
Area della trascrizione e della traduzione metatestuale
Trascrizioni
Trascrizione Non markup - automatica:
IL FABBRICONE
I
Quando le sirene cominciarono a fischiare, le nuvole che fin là eran rimaste quiete all'orizzonte, diedero inizio alla cavalcata; bianche, gialle, grigie, orlate qua e là di nero invasero in poco tutto il cielo e gettarono sulle case, sulle ortaglie e sui primi appezzamenti di campagna le loro ombre improvvise -e sinistre.
«Vien il temporale! »; andiamo, sù! »; «in fretta! »; « il temporale! » — si sentiva gridar per le strade, nell'affanno che tutti avevano di raggiunger al più presto le case; il vento intanto sollevava dappertutto terra e carte, polvere e immondizie.
Anche il fabbricane, tagliato in due dall'ombra d'una nube e da uno degli ultimi raggi di sole, si mise subito in allarme; persiane che sbattevano; panni, camicie e mutande che s'agitavano sui fili; un gran chiudersi di finestre; un gran trafficar sui ballatoi e contro le ringhiere; « vieni dentro! Sù, sù, che arriva la fine del mondo! »; parole, grida, urli e bestemmie; contro la cinta, la fila dei pioppi si agitava intanto da una parte e dall'altra.
Allora dall'estremo della periferia, dove le ultime case cedevano alle cascine o si perdevan nei campi, tra il brontolio dei primi tuoni, parti la scarica dei razzi antigrandine; cannonate che salivano veloci ed esplodevan poi con un sibilo nel niente; una a destra e una a sinistra; una ad est e una a ovest.
«Avanti! Tirate! Tirate sù razzi, bombe, madonne e anticristi! Sù, sù che poi ci chiuderanno tutti in manicomio! Ecco a cosa porta il vostro progresso! Come se non ci avesse già pensato 14 guerra a rovinarci i nervi! » — gridò, senza saper a chi, la Redenta mentre spalancava la finestra per prender il pezzo di fesa che, involto in un po' di carta, se ne stava sul davanzale; un'occhiata, ma non più di quella, alle luci che saettavand verso sud, e una al buio
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in cui il resto del cielo affondava come in un inferno; quindi, stringendo la carne, si riavvicinò al tavolo; in quello stesso momento un razzo esplose sulla sua testa con più fragore degli altri e fece tremar i vetri.
« Spaccate, spaccate su tutto che poi almeno non ci si pensa
Deve piovere? Niente: l'interesse é che non piova. Le stagioni? L'estate, la primavera, l'autunno? E chi le vede? A rovescio; a rovescio anche quelle; come la gente; come la vita; come tutto! »
Fuori, intanto, le poche gocce cui i razzi avevan permesso di cadere venivan giù grosse, lente e sfiatate.
Per esse che si schiacciavano, parte sul davanzale, parte sui vetri, più che pietà, la. Redenta provava una specie di rabbioso rancore; insomma, adesso, nemmeno il cielo, nemmeno quello, era più in grado di ribellarsi! Ma allora meglio il diluvio, meglio la fine del mondo. Perché vista la strada su cui s'era messa, dove poteva finire l'umanità se non in una casa di cura? Una « Villa Fiorita » grande quanto bastava per farci star dentro il mondo intero; e loro, quelli dei governi, dei razzi, dei dischi e delle bombe, per primi!
Un ciac; un breve silenzio; poi un altro ciac; come se, invece che di gocce d'acqua, si trattasse di mosche che una mano scagliava da chissà dove perché andassero a schiacciarsi sulla terra.
La minestra da fare; il pezzo di fesa da battere... La Redenta lo guardò un'altra volta starsene li, sul tavolo, e un'altra volta avverti la sensazione di paura e di schifo che sempre provava davanti alla carne in genere e alla polleria in particolare: « carne a mezzogiorno e carne alla sera — si disse — Sempre carne 'sto scapolo d'uno scapolo! Come se non sapesse che metà della gente, a furia di arteriosclerosi e pressione alta va a finire a morir d'infarto! Coi duecento e più che ha! »
Lo scapolo era il fratello, quello con cui aveva vissuto fin li e con cui avrebbe forse vissuto fin alla fine; perché l'idea che il Luigi si decidesse a prender moglie alla bell'età di quarantacinque anni, non riusciva a persuaderla; questo anche se di tanto in tanto l'argomento dei loro discorsi cadeva proprio sulla relazione che il fratello, già da quattro anni, aveva con la sarta. Una sarta per po-
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vera gente, naturalmente; anche se poi faceva di tutto per mettersi alla moda, copiando e ricopiando i figurini di cui eran piene le riviste che comprava; « Grazia »; « Foemina »; e certe volte « Vogue »; dato che, come diceva, anche il gusto delle operaie adesso si volta verso Parigi.
Quella della carne alla sera, era una delle tante abitudini del fratello che la Redenta non riusciva a giustificare; tanto più che, lei come lei, faticava già molto a mandarla giù a mezzogiorno. Un'ombra di timore, come se preparandola prima e mettendosela tra i denti poi, sentisse chissà che eccessi di somiglianza con la carne umana; fesa, manzo, filetto; tutto uguale; per non parlar di quand'era il fegato che si trovava tra mano. Quel color cupo, quel sangue violastro, quei nervetti! Del resto tutto quel carname cominciava a farle schifo, dal momento in cui se lo vedeva là, ammassato e penzolante dalle vetrine e dalle pareti del negozio.
Perché, in definitiva, il giorno in cui i capi, i padroni, si fossero decisi a dar sfogo a tutto il loro progresso e a tutta la loro umanità, a cosa si sarebbe ridotto il mondo, se non a una macelleria?
Un'altra scarica di razzi s'alzò, in quel momento contro il cielo per dissipare, all'incirca sopra le ortaglie del Pero, un grumo di nuvolaglie, più cupo e più minaccioso degli altri.
Allora la Redenta strinse le labbra tra i denti. Perché già, a sentir certi consigli lei, davanti a quei colpi, avrebbe dovuto pensar a tutto tranne a quell'altra macelleria che era stata la guerra e a ciò che in quella macelleria lei aveva visto, passato e provato; a tutto, tranne alla scarica con cui, fronte albanese, ventitrè novembre, il suo Andrea gliel'avevan fatto fuori senza preavvisi, né niente: un povero corpo crivellato (almeno per quel che era riuscita a immaginare); e dappertutto sangue, sangue che veniva giù sulle braccia, sul ventre; in mezzo alla neve che quel giorno i padroni del mondo avevan lasciato cadere, forse perché di pensar a quelle cose non avevan avuto né la calma, né il tempo; neanche si fosse trattato d'un cane. E da allora, naturalmente, per lei, il capitolo uomini s'era chiuso e chiuso per sempre. Figurarsi, col carattere con cui era venuta al mondo, poi!
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Si e no un respiro, ed ecco un lampo più lungo degli altri saettar giù dalle nubi e lacerar i vetri della casa; nell'interno le stanze parvero incendiarsi; subito dopo, il tuono prese a correr nel cielo per perdersi poi in una catena di brontolii, là, oltre l'orizzonte.
Chiusa dentro la sottana della madre, la Lisetta si senti prender un'altra volta dalla paura; allora diede un grido da bestiolina ferita e ricominciò a tremare.
« Ma di cos'hai paura, scemetta? — fece la madre, cercando
di levarsela d'attorno — Mettiti là a far 'ste aste! ». •
Ma di far le aste, la Lisetta non si sentiva; infatti, appena il temporale s'era annunciato, la piccola Borgonuovo s'era levata dal tavolo e s'era rifugiata nelle braccia della madre dove si trovava tuttora; in quel modo il quaderno era rimasto aperto sul tavolo, lá dove la sua matita aveva tracciato con timido impaccio le prime file di segni.
« Guarda il coraggio che ha il Tino! E si che è minore... »
Il Tino, maschio unico tra i molti Borgonuovo di via Aldini, era infatti uscito di casa alle prime avvisaglie del temporale; a squarciagola aveva chiamato sul suo piano il Franchino, sul piano di sotto l'Enrico; poi, precipitando per le scale, era sceso giù e s'era appostato in uno dei due ingressi del casone, preso come gli amici dalla lotta tra terra e cielo cui avrebbe assistito; e in quel punto scalpitando come un cavallo si trovava quando a quel lampo ne segui un secondo, ancor più lungo e spettrale.
«Avanti! Giù! — gridò allora preso da una gioia eccitata e incosciente — Giù! ».
Al fronte albanese, all'Andrea, a tutti quei colpi, (una scarica di mitra, le avevan detto) a tutto quel sangue, a tutto quel tirarsi, soffrire e chiamare, lei non avrebbe dovuto pensarci neppur quando le capitava di veder dei film che, di guerra, di morti e di massacri, parlavan dal principio alla fine; neppur quando di guerra, di morti e di massacri le parlava la televisione del bar di Via Zoagli o quella, che una sera andava e tre no, dei Meroni. E men che meno, quando, a furia di girarsi attorno, volente o nolente, l'occhio fi-
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niva col caderle sulla fotografia; non quella che l'Andrea le aveva mandato dal fronte, perché quella tra lacrime e bestemmie lei l'aveva ridotta in pezzi poche ore dopo aver avuto la notizia; ma quella fatta tre o quattro mesi prima del richiamo; quella che lo rappresentava negli abiti borghesi, negli abiti della gente libera e civile, ecco. Perché, delle divise, degli elmetti, delle fasce, degli scarponi e di tutto quell'armamentario, lei non voleva vedersi attorno neppur più l'ombra; tanto le odiava le divise, gli elmetti, i richiami, i reggimenti, i gruppi, i comandi, i precetti e i non precetti! « Hanno un bel pari! Dato che poi a me, tanto per dir tutto, la pensione, a darmela, non ci pensa nessuno... »; infatti, quando gliel'avevan ammazzato, lei del suo Andrea era appena la fidanzata e quindi ufficialmente, sia al Comune, sia al Ministero, non risultava niente di niente.
Striminzito, il pezzo di fesa continuava a starle davanti, quasi fosse il simbolo di ciò cui, dài e dài, l'intera umanità, prima o poi, si sarebbe ridotta.
Perché se lei aveva i nervi che aveva; se, otto ore su ventiquattro, si sentiva il cerchio alla testa che si sentiva, un cerchio che certe volte non c'era Kalmine, non c'era Saridon che riuscisse a farglielo passare; se aveva tutto quello e, come soprappiù, la prospettiva di finir i suoi giorni in qualche ricovero, Baggina o no che fosse, purché non di quelli tenuti dalle suore, dato che le suore a lei davan ai nervi... Nervi le suore, nervi i razzi, nervi la carne, nervi tutto! Un bisogno di ribellarsi; un bisogno di sputar su tutto e tutto maledire. Già, ma in che maniera, se non aveva poi la forza necessaria? Fosse stata un uomo, ancor, ancora! Gli muore la fidanzata, a uno coi calzoni ? Un po' di lagrime; un po' di vuoto; poi tutto passa e in due o tre mesi se ne trovan un'altra o si fan l'amante.
Ma lei? Lei era una povera illusa, una di quelle che, stabiliti faccia, nome e cognome d'un uomo, ecco, o quello o niente e nessuno per l'eternità. E siccome i capi, i padroni, loro, insomma, il suo gliel'avevan tolto dalle braccia con una cartolina-precetto e nelle braccia non gliel'avevan poi più riportato neanche per ve-
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derlo, vestirlo e metterlo nella cassa, eccola li, legata ancora a quel che il suo Andrea era stato e a quel che avrebbe potuto essere; non a un uomo, dunque, ma a un'ombra; un'ombra che, per giunta, del fatto d'esser uomo non le aveva lasciato né un segno, né un ricordo; niente. E come poteva fare allora a vivere e a star calma e tranquilla come le altre che il loro uomo, o l'avevan avuto o l'avevan ancora? E che gli facesse pure le corna! Oh, madonna, per quel che valgono quelle cose li, di fronte a tutto il resto!
Mentre la Redenta svolgeva tra sé quei pensieri e mentre nelle altre stanze gli inquilini si dicevan quasi tutti che gli anti-grandine sarebbero riusciti un'altra volta a fermar la tempesta, il vento ricominciò a sollevarsi attorno più forte e più distruttore di prima: carte, foglie, pezzi di rame e nugoli di polvere si alzaron allora da ogni parte, scontrandosi e mescolandosi tra loro, mentre le persiane ripresero a sbattere contro i muri e le piante a scricchiolare e a piegarsi.
« 'Sti delinquenti dei padron di casa! » — fece la Schieppati, anche se lei per prima sapeva come, non tanto di padroni si trattasse, quanto d'un consorzio, e d'un consorzio creato a scopi benefici e pii.
« Fosse per loro di questa casa non ci sarebbe più in piedi un mattone! ».
Magra, gli occhi fuor dalla testa, come se i sette figli, prima col latte, poi col resto, l'avessero tutta asciugata, la Schiepp< <i continuava a piegare e ripiegare, un piano sotto la Redenta, quel che di volta in volta finiva di stirare; mutande, camicie, maglie e fazzoletti; e intanto che piegava e metteva da una parte, imprecava a voce alta e malediva.
A quell'improvvisa ripresa del temporale, la Redenta s'illumi-
nò tutta d'una gioia vindice e vincitrice:
«Ci siamo! » — si disse, mentre l'occhio tornava a caderle sul
pezzo di fesa — « Ci siamo! » — ripeté.
E quando, poco dopo, penetrando dai vetri della cucina, un
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lampo andò a guizzar proprio sopra la carne, gridò, come in un
impeto di liberazione:
«Era ora, madonna santa, era ora! »
Prima con una scintilla, poi con uno scricchiolio, uno scricchiolio che fu subito sommerso dallo scoppiar del tuono, la corrente saltò e in tutto il fabbricone, alla luce, si sostituì una semioscurità livida e sinistra. Allora nella cucina della Schieppati si sparse un acre odor di bruciato.
La donna che, a quella fila di tuoni, aveva fatto un passo indietro, rimase ferma a guardar quel che era successo; il ferro se ne stava ancora li, intatto, a destra della biancheria, ma nel punto in cui vi s'attaccava la spina aveva preso a uscire una specie di fumo azzurrognolo e lieve.
«
Addio! Per oggi é finita... » — disse; tuttavia, prima di riavvicinarsi al tavolo, preferì aspettar qualche altro minuto. Quando poi si decise, il pensiero che le attraversò la testa, oltre all'altro sempre presente, del Sandrino, fu quello dell'Enrico.
« Dove si sarà cacciata, quella bestia ? » — fece rimettendo le mani dentro le maglie, i fazzoletti e le mutande.
Lampi, tuoni; qualche scroscio improvviso; nuove zaffate di aria; mulinelli di foglie; gocce, terra e immondizie.
Sull'ingresso il Tino, il Franchino e l'Enrico saltavano presi dall'emozione; ad ogni lampo che s'apriva nel buio delle nubi, era come se una vipera li mordesse alle caviglie, allora, tra gioia, paura e piacere uno gridava, l'altro imprecava e l'altro ancora aizzava la tempesta a raddoppiar la sua furia.
Intanto, dentro il biancore ingiallito e consunto dei lenzuoli, il vecchio Oliva continuava a guardar immobile oltre la finestra; ma era come se non vedesse niente. La lunga, leggendaria malattia (era infermo da più di sei anni) l'aveva fatto chiamar da tutti gli inquilini: la nostra mummia. Come altri, già diffusi o sul punto d'esserlo, a trovar quel soprannome era stata la Redenta; una volta che la madre del Luciano le aveva detto come non fosse riuscita
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a chiuder occhio tutta la notte per via dei lamenti che, dalla stanza attigua, il malato non aveva smesso un sol momento di emettere, lei aveva esclamato: « Oh, madonna, quella povera mummia! Il giorno che decide d'andare, sarà sempre tardi... »; da allora il soprannome aveva guadagnato tutti ed era arrivato fin dentro la casa degli Oliva, anzi fin al letto del malato, il quale ne aveva sorriso, quasi fosse stato sicuro che avrebbero cosí dovuto averne di pazienza, quelli che nella casa non aspettavan altro che la sua fine!
In verità in quel momento non è che non vedesse niente; malgrado l'età, ottantadue anni, la vista l'aveva infatti ancor buona; ma si sentiva così staccato dal mondo che ben poco di quanto succedeva riusciva a interessarlo; del resto anche adesso teneva sempre nelle mani la corona del rosario e se la stringeva con la gioia, tra animale e innocente, con cui un bambino stringe a sé una caramella o un torrone.
Quel che aspettava era il rientro del figlio e del nipote che l'avrebbero preso, uno dalle spalle, l'altro dai piedi, e gli avrebbero fatto cambiar posizione; tutto il suo piacere, durante la giornata, consisteva in quei tre o quattro cambi, coi quali i suoi muscoli sembravano andar ogni volta a posto, come se ogni volta si sistemassero per sempre. Quanto alla pulizia, gliela faceva la nuora, essendo troppo giovane la nipote per mettersi in quei lavori; lavori delicati, non tanto perché riguardavano un corpo trafitto da una serie senza fine di punture e tutto dolente di stanchezza e di mali, quanta perché lui era pur sempre uomo e la nipote, donna.
« Quant'è che manca alle cinque e mezza, Ernesta? » — disse con un tono di voce che l'aspetto avrebbe fatto sospettar più lieve e che riuscì invece a vincere il brontolio del tuono.
« Cosa ? » — rispose dalla cucina la nuora.
« Ho detto quant'è che manca alle cinque e mezza ».
« Le cinque e mezza son adesso » — fece la donna.
Le cinque e mezza era l'ora in cui, con la puntualità d'un meccanismo d'orologeria, figlio e nipote rientravan dal lavoro.
« Allora fra poco saran qui » — si disse il vecchio, pregustando il sollievo che l'imminente cambio di posizione gli avrebbe pro-
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curato; al punto però in cui prese a desiderar quel sollievo con più forza d'ogni altra sera. l'Oliva si ricordò come la mattina, uscendo, figlio e nipote gli avessero detto che quel giorno sarebbero rientrati più tardi in quanto dovevan passare al Circolino, alla sede cioè del partito, per le misure da prendere circa l'incidente del giorno prima.
« Quegli anticristi! — fece allora il vecchio, mentre sulla testa gli scoppiava un altro tuono — Cosa aspetta domineddio a bruciarli tutti? ».
L'incidente del giorno prima riguardava alcuni manifesti che il nipote, con altri compagni di partito, aveva incollato sui muri del fabbricone casi come su quelli delle case e dei casoni circonvicini, e che la mattina s'eran trovati strappati e impiastrati di fango e di merda; su uno anzi, quasi avessero intinto il dito non in quella mistione, ma nell'inchiostro, avevan scritto in lungo e in largo:
« Fascisti! Preti! Traditori degli operai! »
« E' chiaro — aveva commentato la nuora — siccome vivono nella merda, anche per scrivere adoprano merda ».
Allora quel sollievo mancato si tramutò in lui nell'orgoglio di saper che il ritardo del nipote e del figlio era motivato da quella che lui chiamava la causa; la gran causa anzi, della sua famiglia, in particolare, e di tutti gli uomini onesti e di buona volontà, in generale.
«Tanto gridare, tanto far liti, per cosa? » — fece in quello stesso momento la Redenta, come se tra lei e la stanza del piano di sopra ci fosse stato un improvviso, oscuro rapporto di telepatia o come se il nuovo incrudelirsi del temporale le avesse riportato alla memoria l'ultima lite svoltasi li, nella casa, lite che era stata anche quella una specie di tempesta. S'era avvicinata un'altra volta alla finestra e seguiva lo scrosciar dell'acqua che il vento flagellava senza carità, come se l'intero universo stesse per disfarsi; e lo seguiva con la speranza e col desiderio di poter scorgere nel mezzo, qualche goccia talmente grossa e pesante da non esser più pioggia, ma finalmente grandine, tempesta.
« Parole, improperi, bestemmie... — continuò a pensare, men-
A
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tre la faccia le veniva rischiarata dai bagliori dei lampi — E per cosa? Per un po' di merda su un manifesto...; «siete stati di certo voi! »; « ah, perché noi saremmo così scemi da venir a fare queste cose, qui, in casa nostra? »; « e allora? »; « è la gente! E' l'odio che han tutti per voi che vi siete venduti ai preti e ai padroni! »; «e voialtri, allora? Dei senza-patria! Dei senza-dio! Ecco cosa siete! Dei venduti all'inferno! »; un po' che questo tempo va avanti — comment() allora la Redenta — e me la contate dove andran a finire i vostri manifesti! »; spiaccicati per terra o contro i legni che, nell'orto, sostenevan le piantine dei pomodori, alcuni pezzi di carta si mostravan infatti, qua e lá, pronti a farsi definitivamente distruggere dalla furia dell'acqua e del vento.
Appena capi che il temporale accennava a riprendere, la Schiep-pati usci da casa, s'affacciò alle scale e cominciò a gridare: « Enrico! Enrico! Vieni sù. Vieni sù che il temporale torna indietro! ». Ma non aveva ancor finito che dal cardine, attorno a cui aveva girato infinite volte, una persiana, staccandosi, precipitò dalla cucina dei Consonni sull'ingresso.
« Aiuto! — urlaron allora i ragazzi, rifugiandosi inorriditi nell'interno — Aiuto! »
«Cosa c'è? — gridò dall'alto la Schieppati — Enrico? Cosa c'è?»
« E' venuto giù un pezzo di casa! » — fece dal basso l'Enrico, preso dal terrore.
«Cosa? »
Dalla sua porta era uscita intanto anche l'Enrica e, sporgendosi dalla ringhiera, chiedeva anche lei, con voce eccitata, cosa mai fosse successo.
« E' venuto giù un pezzo di casa! »
cc Un pezzo di casa? E come? E da che parte? »
« No! Niente paura! — intervenne a quel punto il Tino, che aveva trovato il coraggio di tornar fuori a veder quel che era successo. — E' stata una persiana. S'è tutta sfasciata... »
Così, mentre altre inquiline, gli occhi fuor dalla testa, si spor-gevan dalla scala o s'affacciavan alle porte, il vento continuò a tur-
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binare tutt'intorno al casone e l'acqua a scrosciare senza trasformarsi però mai in tempesta, come invece, dalla cucina, la Redentat aveva continuato a desiderare e come il tonfo della persiana l'aveva indotta a più vivamente sperare.
Quando quei segni e altri che s'accavallarono subito dopo, fu-ron sul punto di convincerla che, finalmente, quella volta i suoi nervi avrebbero avuto lo sfogo che si aspettavan da tempo e che la grandine avrebbe distrutto foglie, fiori, erbe e ortaggi, tutto ciò, insomma, che fin li la primavera e gli uomini insieme avevan prodotto, il bombardamento anti-grandine riprese massiccio e preciso come fin li non era mai stato.
Occupata come se ne stava a preparar la verdura per la minestra, la Redenta si senti riprender subito dalle opposte vicende del la battaglia: « ce la fa.... »; « no, non ce la fa... »; « adesso riprende... »; « vince... »; « no... », « si... »; « s%... »; « no... ».
Di tanto in tanto poi alzava gli occhi dal tavolo e osservava, ora esaltata, ora delusa, il variar del buio in luce, l'aprirsi improvviso di squarci azzurri e il loro altrettanto improvviso richiudersi pel sopravvenir di altre nubi. Quell'alternativa durò ancora per qualche decina di minuti, finché, piano, piano, vento e pioggia sembraron calmarsi e questa volta per sempre; nell'aria ci fu allora una lunga pausa di sospensione e d'attesa, quasi che le opposte forze stessero prendendo tra di loro una decisione o un accordo; poi, piano piano, la tensione si rallentò.
« Anche per oggi è finita! » — si disse allora la Redenta — « L'han vinta un'altra volta loro, 'sti maiali! »
Nello stesso istante il vecchio Oliva tentò di distender le gambe altrimenti da come fin li le aveva tenute, ma la fitta dei dolori lo costrinse a fermarsi a metà: bisognava proprio aver pazienza; bisognava proprio aspettar l'arrivo del figlio e del nipote. Se dunque quel giorno non poteva concedersi neppur il solo, magro sollievo che la vita gli aveva lasciato, quello cioè di cambiar posizione, sapeva chi ringraziare; « quegli anticristi, quei venduti del P.C.! ».
A quell'invettiva, pronunciata nella mente come se venisse gridata dalle labbra, il corpo del vecchio si tese tutto; i pugni si strinsero e, dentro la destra, le grane del rosario scricchiolarono quasi
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stessero per spezzarsi. Allora, di colpo, le sue orecchie risentirono, parola per parola, come se venisse dal fondo d'una tromba, la descrizione che, figlio, nuora e nipote gli avevan fatto del gran scempio e i suoi occhi rividero tutti i pezzi dei manifesti cader giù, imbrattati di macchie, oscenità e bestemmie, come brandelli di carne che penzolassero da un crocefisso.
I Villa, quelli che formavan il tenebroso focolaio di male che serpeggiava per tutta la casa! Loro, quelli che, l'avessero visto passar per le strade, avrebbero sputato addosso anche a Gesù Cristo! Quelli, per i quali tutto il dafare consisteva nel maledire, nell'odiare e nel pensar al sangue.
Così, mentre l'accendersi e spegnersi intermittente delle lampadine, indicava che nel fabbricone la luce sarebbe presto tornata, l'Oliva cominciò a farsi passar nella testa tutti i componenti di quella sciagurata famiglia; prima il padre; poi la madre; infine i tre figli; il maggiore che, forse per lo sfogo con cui liberava nelle palestre la sua cattiveria, risultava il meno peggio; il secondo, il Carlo che, avesse potuto, avrebbe bruciato tutto, preti, vescovi, suore, chiese, oratori, e forse l'intero mondo che non si fosse messo sotto la protezione della sua falce e martello; e la ragazza, che se non era diventata una figlia di Satana vera e propria, lo doveva solo al fatto che il suo carattere e la sua bruttezza non avevan mai indotto nessun uomo ad avvicinarla veramente.
Continuando a trafficar, la testa piena di preoccupazioni, tra pentole e stufa, la moglie dell'Amilcare Villa si decise finalmente a guardare anche lei oltre la finestra per veder cosa succedeva e fu così che vide aprirsi, nel grigio plumbeo del cielo, il primo sfolgorio di luce.
Due piani sotto, la Schieppati che, al riaccendersi delle lampadine, aveva cercato di riprendere a stirare e che, convintasi del guasto occorso al ferro, s'affannava a rigettar nella cesta la pigna di biancheria che aveva sul tavolo, s'arrestò un attimo, colpita dai raggi che, da fuori, eran penetrati nella casa e che avevan dato al miserando squallore della sua cucina uno strano aspetto di festa,
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ma presa com'era dai suoi pensieri non riuscii a goderne minimamente.
Sull'ingresso invece i bambini, cui da ultimo s'eran aggregati il Remigio e l'Aldino, avevan cominciato a prender atto, pezzo per pezzo, delle devastazioni che il temporale aveva provocato; piante di fiori, cespi d'insalata, pianticine di pomodori, pianticine di patate e file di carote, tutto era stato spiaccicato, divelto, e fin portato lontano; e su tutto si vedevan frammenti di giornali, di manifesti e di carte. Malgrado però s'affannassero a cercarli, dei chicchi di grandine non riusciron a trovare neppur l'ombra. Il Tina allora tornò verso i resti della persiana e, chiamando in aiuto gli amici, tentò di rimuoverli; 'visto che non ne valeva la pena, guardò in su, verso il davanzale, per veder cosa, nel precipitar a terra, la persiana avesse portato via; poi gridò:
« Guardate, ne ha fatto venir giù più di mezzo... ».
Il davanzale si mostrava infatti sfracellato per un buon terzo; sull'alto dello stipite poi, un buco, ben piú grande di quelli che i mitragliamenti aerei avevan lasciato su tutta quanta la facciata, si mostrava così aperto da parer una ferita.
« E' partito anche il gancio... » — fece l'Enrico.
« Allora in un posto o nell'altro dovremmo trovarlo... » — disse il Remigio, riportando gli occhi a terra.
«Già, perché se lo si trova ci servirà a tanto! » — commentò il Tino, che cominciava a sentirsi insoddisfatto di quel temporale avvenuto solo a metà.
« L'ho detto tanto per dire... » — fece il Remigio.
Fu proprio allora che nel cielo s'udì correre un nuovo brontolio; esso andò dilatandosi, soffocato, per tutto l'orizzonte poi, piano piano, si perse nel niente. Intanto la luce aveva continuato ad allar- garsi e una pioggerellina lieve, lieve, aveva preso a scender giù dalle nubi che, in quel modo, dimostravano di non voler cedere il cam- po tanto facilmente.
« Ma cos'è che sta succedendo? — fece il Franco — Ricomincia da capo? »
« Saran gli angeli che hanno ancora un po' di pipi da fare... »
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commentò il Tino, guardando i riflessi che i raggi dell'ultimo sole facevano su quel pacifico discendere di gocce.
In quel modo, i ragazzi sull'ingresso e gli inquilini nelle stanze, videro formarsi, piano piano, davanti ai loro occhi la grande forma dell'arcobaleno.
« Guarda! » — disse la nuora dell'Oliva, quando esso si fu tutto disegnato nel cielo.
Il vecchio rispose con un:
« Cosa? » — poi, senza aspettar altro voltò gli occhi verso la finestra e, per chissà quale volta nella vita, vide il segno della tran-quillitá e della pace attraversar tutto quanto i vetri: allora si sforzò di sorridere e di dimenticar i Villa, lo scempio che quegli sciagurati del P.C. avevan fatto dei manifesti, i brandelli, il fango, la terra, Satana e la merda.
« Scommetto che quelli di sii stan pensando che é il padreter-no... » — fece la Redenta, riportando gli occhi rabbiosi dalla finestra sul tavolo — « Figurarsi! — aggiunse, mentre rovesciava piselli, pezzi di patate, sedano e carote nella pentola piena d'acqua. — Ma se al padreterno interessassero veramente i casi nostri, avrebbe lasciato diluviare e diluviare fino a pulirci di tutte le rogne che abbiamo addosso! Così, invece... ».
Così, invece, col progressivo ritirarsi delle nubi, anche quest'ultima spruzzatina d'acqua cominciò ad agonizzare.
Allora la Redenta fini di mescolar per l'ennesima volta dentro la pentola, poi andò alla finestra e dicendo a voce alta:
« Un po' d'aria, santo dio! Almeno quella! » — spalancò, energicamente, i vetri.
Subito un profumo di terra e erba bagnata venne su dall'orto e cominciò a diffondersi per tutta la cucina e a rinfrescarla.
Ecco, fra un po', come ogni altra sera, si sarebbe affacciata alla finestra e come ogni altra sera avrebbe visto tornare uno per uno tutti i suoi poveri e disperati compagni di galera, seppur con qualche mezz'ora di ritardo per via che, a muoversi dai rifugi, dovevan aver atteso tutti che il temporale fosse finito: prima gli Oliva, figlio e nipote; poi la Riboldi, la Riboldi madre; dopo ancora
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il Riboldi figlio; quindi la fila interminabile degli Schiep-pati, la famiglia più numerosa del fabbricone, talmente numerosa, anzi, da domandarsi come facessero a vivere tutti e nove in quella specie di stanza che avevano, la più umida, senza luce e senz'aria della casa; dei buchi ecco, non delle stanze; dietro di loro, la sorella del Luciano, quella che lavorava alla S.I.R.C.A. e che, in definitiva, era una delle poche donne del fabbricone con cui senza scambiar parola, riusciva a esser quasi sempre d'accordo; poi il Luigi, almeno se non era andato anche quella sera dalla sarta; e alla fine, dopo tutti gli altri, ma così, senza nessun orario, perché il lavoro lui lo trovava nei momenti più strampalati, il Luciano, quel povero bastando d'un boy, verso il quale tuttavia, assieme alla ripugnanza, una certa simpatia non é che lei non la sentisse...
Una mano appoggiata al davanzale, l'altra che le sosteneva la testa, gli occhi di volta in volta fissi su ciascuno di loro come se di ciascuno volesse capir tutto: cose andate bene e cose andate male; gioie e dolori; difficoltà e segreti; tutto quel che, insomma, durante il giorno gli era capitato o stava per capitargli.
Quella sera però, prima di sistemarsi in quel modo, la Redenta tornò sulla stufa, diede qualche giro di mestolo dentro la pentola, vi gettò un pizzico di sale, poi, come gli occhi le caddero sul pezzo di fesa che, rattrappito, ma d'un rosso cupo, spiccava dentro ìl biancore del piatto, andò all'armadio, prese una fondina e in gran fretta lo copri.
«
Remigio! — gridò nello stesso momento la Balzani, affacciandosi alla finestra della stanza — Vieni, sù! Vieni sù, che devi finir i compiti... »
II
« Andate piano... — implorò il vecchio — per carità, piano ».
Figlio e nipote non avevano ancor finito d'entrare, che l'Oliva li aveva già chiamati nella stanza perché venissero a fare quel che lui aveva atteso lungo tutto il pomeriggio. Premurosi come sempre, i due s'era avvicinati al letto e avevano tirato indietro prima il piumino, poi le coperte, quindi il lenzuolo.
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Al contatto dell'aria, quel mucchio d'ossa, di cui la camicia da notte nascondeva tutto fuorché il gonfiore molliccio del ventre, aveva avuto un tremito tra di freddo e di sollievo, proprio mentre attorno si diffondeva, pesante ed acre, l'odore dell'essudazione e dell'orina.
« Ecco, così va bene... » — disse il vecchio.
Allora il nipote, che per eseguir meglio la manovra, s'era messo ginocchioni sul materasso, riadagiò il nonno sui cuscini, mentre dall'altra parte il figlio faceva lo stesso con le gambe che, stecchite e coperte da una pelle,bianca e grinzosa, uscivan come bacchette dal campanone della camicia.
« Vuoi che ti sistemiamo anche questi ? » — chiese il nipote. Il nonno disse di si, poi crogiolandosi al pensiero di tanta premura, aggiunse:
« Aver una famiglia così! Ecco quel che si chiamano soddisfazioni... ».
Uno a uno i cuscini furon voltati e quelli che, per esser stati a contatto con la nuca ed il collo, s'eran inumiditi, furon battuti e ribattuti; in poco il vecchio poté così assaporare e definitivamente quel magro, ma tanto atteso piacere.
«Era tutto il pomeriggio — spiegò, mentre il figlio gli rialzava sul corpo lenzuola e coperte — era tutto il pomeriggio — ripeté — che aspettavo, ma quegli anticristi... — aggiunse, acuendo la poca luce che gli restava negli occhi e fissando così il figlio e il nipote... — quegli anticristi... »
« Non val la pena di prender rabbia, nonno. Che Dio abbia pietà di loro: ecco tutto quel che si può desiderare » — fece il nipote.
« Pietà, pietà! Pietà, un corno! Che li scaraventi all'inferno, e il più in fretta possibile! — ribatté il vecchio. — Quante volte devo dirvi che a furia di pietà, 'sti dannati stan prendendoci in mano il mondo? E dopo, quando ce li avremo anche qui, in casa? Cosa servirà, dopo, tutta la vostra pietà? Buoni sì, ma coglioni no. E a me pare che con quellilà... ».
Non era certamente questo l'avvio desiderato per la conversazione che pure avrebbe dovuto svolgersi fra i tre Oliva; visto anzi
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quel tono, figlio e nipote ebbero quasi paura a cominciarla; la decisione, infatti, cui eran pervenuti nella seduta svoltasi al Circolino dalle sei alle sette e mezza, era che, al gesto dei rivali, bisognasse risponder si con fermezza, ma il più civilmente possibile.
«E allora cos'avete deciso? Su, avanti, cos'avete combinato? » — fece il vecchio, dopo un lungo silenzio d'attesa. Figlio e nipote si guardaron in faccia un momenta, quindi il primo fece al secondo:
« Spiegaglielo tu, Luigi; tu sei più pratico... ».
« Non è stato facile — fece il Luigi, mentre con un certo imbarazzo passava e ripassava le dita sui riccioli dell'acquasantiera che se ne stava appesa proprio sopra il comodino — Ognuno aveva da dir la sua... ».
« Naturalmente certi volevano rispondere con gli stessi argomenti... » — aggiunse poco dopo.
« Ecco... » — commentò il padre.
« Ecco, un corno! Come prima cosa, io, li avrei denunciati. Nome e cognome c'erano ».
« Ma per denunciarli... » — cercò di ribatter il Luigi.
« Per denunciarli? Volete che finisca io? Per denunciarli, ci vuol coraggio e il coraggio, da un po' di tempo in qua, a me pare che sia passato tutto dalla loro parte ».
« Non è questione di coraggio, nonno; è questione di sapere chi è stato veramente... ».
« Ma lo si sa e lo si sa benissimo! ».
« Certo che lo si sa — fece allora il Luigi — Ma se poi dovessimo dimostrarlo ? Che prove abbiamo? Né io, né lui, né te li abbiamo presi sul fatto... ».
« Sicché, denunce, niente. E allora, se non denunce, cos'avete deciso? ».
« Come prima cosa, non potevamo dimenticare che il nostro è un partita che s'è sempre chiamato democrazia... » — disse, riprendendo a parlare con la sua solita calma, il Luigi.
« Ah, democrazia! — ribatté il vecchio che s'era completamente dimenticato di quel che, poche ore prima, gli aveva suggerito l'arcobaleno apparso nel cielo; in quello stesso momento un gru-
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mo di catarro cominciò a rendergli pesante e faticosa la voce — Democrazia si, ma per gli altri! Democrazia perché 'sti maiali possan propagandare con tutti i mezzi le loro teorie e il loro marcio! Quando poi tocca a noi, allora civiltà, bontà, carità... Si, altro che bontà, civiltà e carità, vigliaccheria! Vigliaccheria, che un giorno o l'altro potrebbero rinfacciarci tutti, preti e non preti! Vigliaccheria e, insieme, paura! Paura di prender una decisione che li sistemi una volta per sempre. Già, ma voi — fece, dopo essersi liberato da quel grumo di catarro, sputando in un fazzoletto che rimise subito sotto la pigna dei cuscini — che colpa potete avere, voi? E' il governo che ha colpa; il governo che sta diventando sempre piú molle! Fosse fatto di donne avrebbe piú decisione! »
« Ascolta un momento, nonno. Siccome la denuncia non si poteva fare... ».
« Abbiamo parlato, discusso... — intervenne a quel punto l'Oliva padre — Non crederai che non si sia pensato d'usar le maniere forti... Ma, ammesso che d'usarle fosse sembrato il caso, cos'avremmo ottenuto? Niente, se non di scender anche noi al loro livello e perder quel che, in definitiva, è il nostro carattere ».
« La galera; ecco quello che ci voleva — cominciò a borbottar il vecchio — La galera... » — ma lo borbottò talmente piano da far credere che, o avesse paura d'esagerare, o volesse tener tutta per sé la goia con cui la fantasia gli mise davanti la scena dei Villa ch, ammanettati, la testa bassa, se ne uscivano, uno dietro l'altro, dal fabbricone; e che ci sputassero sopra tutti, santo dio! Perché poi, quand'è il momento, la religione la si deve difendere con le spade e le forche! Se la si vuol difendere!
« Insomma, ho capito: abbiam fatto i conigli un'altra volta; un'altra volta, un altro manifesto. E' vero che è cosí? Un altro manifesto che proclami a tutti quel che loro han fatto; un altro manifesto dove, a un certo punto, dovrebbe esserci scritto merda e merda invece, la nostra democrazia, non ci permette di scriverlo. E', o non è così? »
« Ma, nonno, cerca di capire... ».
« Il vero guaio, cari miei, è che io non posso più muovermi perché, se potessi saltar giù, vi farei veder io come si fa a farla fuori
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con quei porci. I pugni, ci vogliono, altro che i manifesti! I pugni! — cosi dicendo il vecchio aveva sollevato da sotto le coperte la mano destra e stringendo il rosario l'andava mostrando al figlio e al nipote — Poi, con comodo, ma con comodo, il resto... » — concluse, lasciando ricader il braccio sulle coperte.
La rabbia e l'agitazione gli avevan fatto uscir sulle tempie, sotto le narici e tutt'attorno la testa ed il collo, un velo gialliccio di sudore.
« Calmati papà ».
« Te l'abbiamo detto fin da prima, che non é il caso di arrabbiarsi per quei mascalzoni... »; il Luigi disse mascalzoni cercando di caricar la parola d'una indignazione che la sua natura invece, non pareva concedergli.
Ma il vecchio non accennava a calmarsi; adesso, non che il braccio, era tutto il corpo a tremare come nell'impossibilità di far ciò verso cui si sentiva attratto.
«D'altronde lo sai bene anche tu che noi, da questa parte, non potremo vincere mai... ».
« Si, si, non dico di no — brontolò il vecchio su cui il nipote s'era piegato per asciugar il sudore. — Ma seconda me, un po' di comunioni in meno e un po' di coraggio in piú, domineddio li vedrebbe volentieri »...
A quelle parole l'Oliva padre e l'Oliva figlio si fissaron un momento, presi da un'uguale, duplice impressione, che era di stupore, da una parte, e di compassione, dall'altra; stupore per la forza e la violenza che il vecchio, malgrado gli anni, dimostrava e che forse, sotto sotto, avrebbero voluto aver anche loro; e compassione, perché quello strano modo di concepir la religione e la fede non poteva essere causato che dalla vecchiaia.
Nella realtà le cose stavan diversamente; fin dalla giovinezza, infatti, la molla che aveva sostenuto la spirito del vecchio Oliva era stata l'idea del cristiano-soldato e del vangelo-spada, rivoltella e cannone; e fin da allora lui aveva puntato tutto su li; « dico, dato che il sangue nelle vene e la voglia di menar botte, non può avermele date che domineddio... ».
Era dunque stato lui il primo a stupirsi che, di tanto ardore,
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nel figlio non fosse passata che l'ombra; praticante e scrupoloso era, e fin all'eccesso, almeno per lui che aveva sempre fatto tutto un po' più all'ingrosso, ma quanto a decisione, coraggio e combattività, zero; tanto da indurlo a pensare che, il carattere, il figlio l'avesse preso tutto dalla moglie; una santa donna, per carità, che se non era andata in paradiso lei, non sapeva proprio chi avrebbe potuto andarci, santa e strasanta, ma troppo docile, troppo remissiva, ecc. E fin quando si trattava d'una donna, anche negli eccessi, quella virtù poteva considerarsi un vantaggio, ma quando si trattava d'un uomo...
Non l'aveva mai sfiorato il dubbio che, ove la moglie non fosse stata quel che era, a volare in casa non sarebbero state le avemarie, ma i piatti e, forse, le bestemmie.
Sperare e sperar fin in fondo, l'aveva fatto invece la giovinezza del nipote, almeno fin al ritorno da militare, perché da allora in poi, contrariamente a quel che era logico supporre, il Luigi s'era tutto raccolto in sé; un prete, ecco; ma un prete di quelli che, vedendoli, si dice « fossi in Sua Eminenza quello li lo manderei a far il cappellano in un istituto di suore ». Il terza Reggimento Artiglieria da Campagna, il quinto gruppo, Salerno, Nocera Inferiore e S. Maria Capua Vetere, invece di rafforzarlo e restituirglielo uomo fatto e finito, l'avevan slavato e rannicchiato; neanche fosse stato a far il servizio in una casa d'esercizi spirituali! Cose sante e strasante, ma che non potevan rimpiazzar tutto! Col mondo come stava andando, poi! Un mondo in cui sarebbe stato necessario svuotarle tutte, 'ste case d'esercizi, venderle e prender ai loro posti, cinema, teatri e televisori. Le palestre, gli stadi del fout-baal, altro che le balaustre e i pulpiti! La gente non viene più in chiesa ? E allora fuori, fuori, in mezzo alle piazze, in mezzo ai bar, in mezzo alle strade! Fuori con le radio, i microfoni, gli altoparlanti e, se era necessario, le trombe e le forche!
Così quel che, nella sua malattia, l'aveva fatto soffrire, non eran stati i dolori, che lui aveva sempre saputo a chi offrire e che in un certo senso l'avevan sempre inorgoglito, ma l'esser stato assente dalle grandi battaglie, quelle elettorali; due sole era riuscito a vederne, poi più niente, se non quel poco che, avversari e amici, ave-
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van fatto li, nel cortile del fabbricone; dove, del resto, di cosa ci si poteva illudere? Tranne loro, anche quelli che magari non eran iscritti, al momento buono la crocetta l'avrebbero fatta sulle falce - e - martello, e amen.
Tuttavia, quattro anni prima, la sera in cui quelli del P.C. avevan organizzato la loro fiera proprio li, sotto la sua finestra, non potendone più di sentir tutte quelle menzogne e tutte quelle bestemmie rovesciarsi fuor dalla bocca del capo e dal microfono che aveva davanti, e inondar il mondo, la forza di saltar già dal letto, andar alla finestra, sporgersi e gridare: « Anticristi! Maiali! », lui l'aveva trovata. E non fa niente, che, poco dopo, nella bordata di fischi che aveva accolto le sue invettive, avesse avuto un collasso, crollando a terra prima che figlio e nuora, i quali se n'eran stati a soffrir impotenti attorno al tavolo, potessero accorrere.
Perché poi il nipote leggesse tanto (oltre ai libri di pietà, al « Popolo » e all'« Italia », c'eran infatti i periodici di partito e i volumi che prendeva in prestito, due volte al mese, alla biblioteca del Circolino e a quella dell'Oratorio) lui, dati i risultati, non riusciva proprio a capirlo; questo a parte l'imbruttirsi continuo della cera che, non fosse stato d'una razza nella quale i settanta li avevan passati tutti, e passati quasi sempre a cavallo, c'era da sospettare che, ad andarci di mezzo, sarebbe stata la salute. Ma il giorno che, dalle conferenze, dai libri, dai giornali e dai manifesti avesse dovuto passar a pugni, come se la sarebbe cavata con quei bestioni? Perché già, quellilà eran tagliati giù con l'accetta! E anche questa era una cosa che lui non riusciva a capire; vero che, per averli fatti così, il padreterno doveva aver avuto le sue ragioni, ma, lui come lui, al suo posto, i cristiani li avrebbe messi insieme con un po' più di nerbo e di spina dorsale. Dato però che eran quel che erano, una bella iniezione di coraggio ogni mattina non gliel'avrebbe lasciata mancare.
Guardassero lui, lui che non c'era colica, non bronchite, non collasso che riuscisse a stroncarlo. E quello cos'era ? Volontà di Dio, certo, ma anche volontà sua.
« Be', allora vuol dire che vedremo, anzi vedrete 'sti nuovi manifesti... » -- disse il vecchio al figlio e al nipote che, imbaraz-
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zati dal suo modo d'agire, avevan continuato a starsene 11, in silenzio; e questo lo disse poco prima che, dalla cucina, l'Ernesta chiamasse i due uomini perché, in tavola, la minestra era pronta.
« Per me vi dico che non fan bene, ma benissimo », gridò il Carlo, alzando il bicchiere e trangugiando quel che, di vino, era rimasto. Poi, presa da destra una michetta, si diede a mangiarne, uno dopo l'altro, alcuni bocconi.
« Almeno a furia di farceli vedere da tutte le parti, la gente capirà che é ora di farla finita... — aggiunse; quindi, quasi volesse concludere. — Questo a parte che, con la libertà, vorrei vedere che non si potesse stampar quel che si ha voglia. La bocca, 'sto governo di preti, ce la chiude già abbastanza... ».
« Dove ha interesse. Ma su queste cose qui, cosa credi che gli importi di lasciarcela aperta ? ».
« S'illude! Perché questo é un veleno che prima o poi sman-gerà tutto e tutti, e loro per primi. Ce le faccian vedere dalla mattina alla sera 'ste facce di rammolliti; ce le faccian vedere 'ste feste, 'sti scandali, 'ste fuoriserie! Va tutto bene, tutto benissimo! Così, panda non ne potremo piú, andremo a prenderli e gliele butteremo in faccia, una per una, 'ste loro porcate! — adesso il Carlo aveva in mano una forchetta e la fissava unta e sporca come era; quando poi l'ebbe rimessa sul tavolo, aggiunse — E a me, tanto per dir tutto, non é che faccia molto piacere che l'Antonio, con la scusa della box, ci giri in mezzo, a tutti quei delinquenti... ».
« Ma l'Antonio lo fa perché é necessario » — disse la madre.
« Sarà! Ma non vorrei che con le loro sirene lo rammollissero ancor più di quel che é. Non sembra neanche più dei nostri! — ribatté il Carlo subito dopo — Si, si, l'orgoglio d'esser campione, l'orgoglio d'esser primo... Figurarsi se queste cose non le capisco! Ma non vorrei che per quello facesse passar in seconda linea l'altro orgoglio, quello d'esser uno di noi, un operaio; e un operaio che suda e fa fatica dalla mattina alla sera. Provate a domandargli se, tra un match e una riunione al Circolo, sceglie la riunione. E poi, quel che m'impressiona, son le maniere che gli son venute... ».
La discussione, avviatasi per invito del padre, sulla esibizione
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che, di miliardi, piaceri e lussi, da un po' di tempo, tutti i giornali e tutte le riviste, settimana per settimana, stavan facendo, era finita quasi subito nelle mani del Carlo il quale, oltre a dir in proposito la sua, aveva dimostrato fin dall'inizio d'aver bisogno di piegarla verso quel che, assente com'era l'Antonio, gli sembrava il caso di denunciar chiaramente alla famiglia; la piega, cioè, che il fratello stava prendendo.
«Adesso, sentite, intanto che lui non é qui, perché anche stassera poi, a mangiar fuori, chissà in mezzo a che gente sarà... Lo sfruttano per i muscoli! Muscoli che gli avete messo addosso tu e lei, prima facendolo venir al mondo, poi lavorando come cani per tirarlo grande... ».
« Ha ragione — disse la Liberata, intervenendo per la prima volta, con la sua voce dura e impietosa — Nella nostra famiglia cose del genere non dovrebbero succedere ».
« Ma cos'è che é successo, infine? — gridò la madre — E se per caso fosse in grado di sfruttarli? ».
« Sfruttarli, si, sfruttarli ».
« Oh per quello potete star certi; l'Antonio non é certo il tipo che si fa metter sotto... ».
« Povera illusa! Sfruttar gente che fin qui non ha fatto che sfruttar noi. Il Morini, per esempio, quel maiale di Villapizzone che non lascia star nessuno... ».
« Cosa c'entra, adesso, 'sto Morini che io non so neanche chi sia ? » — s'affrettò a dir la madre.
«
E il presidente della società dove l'Antonio, proprio l'altro giorno, é andato a iscriversi ».
« E allora? Cosa doveva fare secondo te? Cambiarlo? ».
« Iscriversi a un'altra! Come se di palestre non ce ne fossero anche nelle nostre sedi! E poi — aggiunse il Carlo, dopo una certa esitazione — non si dice tanto, ma avvisar prima te, lei, me... Va be' che é maggiore, ma lo sa bene anche lui che in queste cose son molto piú pratico io ».
« In queste cose e in tutto » — disse, intervenendo per la seconda volta, la Liberata.
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L'ostinazione con cui la ragazza difendeva il fratello, prima ancora di conoscerne opinioni e pensieri, ripugnava a lei per prima, proprio perché le dimostrava ogni volta la sua assoluta mancanza di convinzioni, oltre che di carattere; vero che nella famiglia, le convinzioni piú o meno, eran le stesse, ma tra madre, padre e fratelli, diversità ne esistevan pure, diversità che, talvolta, quando la discussione toccava argomenti cruciali, esplodevano in vera e propria rivalità. In quelle occasioni, naturalmente, lei non sapeva far altro che diventar rivale, una volta del padre, un'altra della madre, un'altra dell'Antonio e diventarlo sempre e solo per difender le proposte e le posizioni del Carlo. Neanche il tempo d'aprir bocca gli lasciava ed ecco: « il Carlo ha ragione »; oppure: « giusto »; oppure: « giustissimo », e se gli altri insistevano, s'imbestialiva al punto da gridar che la veridicità di quel che il Carlo sosteneva era provata dal fatto che, di tutti loro, era stato l'unico cui i capi avevan affidato un incarico importante e preciso; e lo gridava pur sapendo di ferir il padre, la cui ambizione era sempre stata di raggiungere quel che il figlio aveva ottenuto con tanta facilità e con così unanime consenso.
« E allora, secondo te, cosa dobbiamo fare ? » — disse, a quel punto, il padre.
« Prenderlo e parlargli ».
«Ma non è meglio aspettare? » — intervenne la madre.
« Aspettar, cosa ? » — fece la Liberata.
« Aspettare — spiegò la madre — che abbia fatto davvero qualcosa o che per lo meno qualcosa abbia detto ».
« Ah, perché secondo te, tuo figlio, se sta per affogare, aspetti ad avvisarlo quand'è già sotto? ».
« Ma chi sta per affogare ? ».
«Lui! ».
« E se lo dice il Carlo... » — fece la Liberata alzandosi dal tavolo per portar la pigna dei piatti sul ripiano del lavandino.
« Sarà diventato un nuovo Togliatti, lui! » — brontolò la madre.
« E chi parla di Togliatti? Solo che certe cose il Carlo le capisce meglio di noi tutti messi insieme ».
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«Anche per quel che riguarda la storia dei manifesti? » — ribatté la madre.
« Soprattutto per quello » — fece la Liberata.
« E se è per quello — fece il Carlo, puntando di colpo il pugno sul tavolo — sarei disposto a prender il purgante pur di riempirli un'altra volta di merda, i manifesti di quei traditori ».
Dopo quel battibecco, duro e violento, ci fu un lungo silenzio; quindi il padre, tentando di ricominciar la discussione, disse:
« A sentir voi, sembra che io non esista nemmeno. Dico io, con tutta l'esperienza che ho. Perché, cari miei, quando a esser dei nostri, o per lo meno a non esser dei loro, voleva dire il confino o la galera, voi vi facevate addosso la
A quelle parole la Liberata, che ormai aveva finito di sparecchiare e stava aprendo il rubinetto del lavandino, si voltò verso il Carlo e lo guardò per riceverne l'imbeccata; come vide che il fratello le faceva segno di star calma, diede un colpo di gomito al gruppo delle posate che tinnì acuto e sinistro; quindi, dopo quel breve sfogo di cui aveva avuto un bisogno assoluto, si rimise, senza dir niente, al lavoro.
«Perché, infine, tu cos'hai saputo di preciso? — disse il padre al figlio, che stava aprendosi davanti ii giornale — Parliamone un po' io e te, ma con calma; poi decideremo quel che bisogna fare ».
Vista l'intimità che, con quelle parole, il marito aveva richiesto, la moglie s'alzò dal suo posto e andò anche lei verso il lavandino, pronta a ricevere, uno per uno, i piatti, le fondine e i bicchieri che la figlia le avrebbe passato perché li asciugasse; e così facendo, ripensò, come sempre faceva in quei casi, a quando il marito le aveva gridato il giorno in cui avevan dovuto decidere il nome da dare al primogenito: « Antonio? — aveva gridato — E perché, Antonio? Perché si chiamava così tuo fratello? Ma, a me, i nomi dei santi non piacciono... ». Viste, però, le sue insistenze, il marito aveva finito con l'arrendersi: « se proprio tu ci tieni, ecco, chiamiamolo Antonio; ma ho paura che quel nome non gli porterà fortuna... ». In quel modo i due successivi sui quali lei non aveva piú osato avanzar proposte, eran stati chiamati, uno Carlo, non per il
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santo, ma per l'autore del « Capitale » e l'altra Liberata, perché in quegli anni l'Italia libera non era: un nome che, nelle loro intenzioni, doveva dunque esser di speranza, insieme che di ribellione.
« I nervi, si, i nervi! E ho tutte le ragioni d'averli! Quante volte devo dirti che a me, preparar la carne, mi rivolta ? Ê peggio che se preparassi quella d'un cristiano... » — disse la Redenta.
La cena era finita: una fondina di minestra, il pezzo di fesa, un po' d'insalata e due bicchieri di vino, per il Luigi; una fondina di minestra, l'insalata, acqua vichy con spremuto dentro mezzo limone, per lei; e adesso il caffè borbottava nella macchinetta.
« Con 'sti razzi qui, che non lascian sfogare mai il tempo! — aggiunse — Mai! » — ripeté.
« Ma cerca di ragionare, Redenta! Cosa vuoi, che per far piacere a te lascino andar in niente i raccolti ? ».
« Ah, già, come se i raccolti fossero più importanti dei cristiani? Quando poi s'è_visto e si vede in che conto ci tengono! Come mosche ci ammazzano! Ma andiamo, va', andiamo, che la suonata, com'è, ormai l'ho capita, e bene anche! ».
Il Luigi che quella sera aveva in animo di parlar alla sorella il più quietamente possibile, in quanto il discorso avrebbe dovuto cadere sulla decisione che aveva preso di sposarsi di li a un mese, un mese e mezzo, si sentiva imbarazzato; abbastanza deciso su tutto il resto, egli soffriva nei confronti della Redenta d'uno strano complesso e benché fosse certo che, una sistemazione matrimoniale, dopo la fine che l'Andrea aveva fatto, la Redenta, con le sue idee e le sue fisime, non l'avrebbe mai cercata, non poteva negarsi che lui aveva fatto di lei la sua serva; e va' be' che, al posto dñ trottar come tutte le altre dalla mattina alla sera, le aveva permesso di restarsene a casa, ma insomma... Come poteva dunque decidersi a lasciarla e a lasciarla sola per sempre, dopo tanti anni di silenziosa, difficile, ma continua vita in comune?
Era questa la ragione per cui fin li, davanti alle richieste della sarta perché si decidesse a regolar la posizione, aveva sempre tergiversato; più d'una volta anzi s'era fatto chiedere, tra ironia e dolore, se era con lei o invece con la sorella che, quando aveva
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voglia, se n'andava a letto. In quei casi, lui aveva sempre risposto di non riuscir proprio a capire come lei potesse non immedesimarsi nella situazione in cui si trovava: « Mettiti nei miei panni, Rita. Potessi convincerla a venir a vivere con noi! Ma questa, anche se l'accettasse lei, saresti poi tu a non accettarlo mai ».
Un « direi », secco e duro, sigillava a quel punto, da parte della sarta, l'antipatia che le due donne nutrivano l'una per l'altra.
« Comunque, sai anche tu cos'è che dicevano i miei vecchi; padre, madre, fratello e sorella van benissimo, ma quando si tratta di metter su casa, ognuno dalla sua parte e per il suo destino; e la stessa, identica cosa la penso anch'io ».
Se, tuttavia, la possibilità di sposarsi e lasciar la Redenta non l'aveva mai sfiorato finché della Margherita s'era sentito innamorato, appena quell'amore s'era trasformato in abitudine, gli era parsa un fatto pressoché inevitabile.
Di non esser più innamorato, il Restelli lo sapeva benissimo; abituato a una dura chiarezza verso se stesso, egli l'aveva prima sentito poi, piano piano, compreso; ma di pari passo aveva sentito e compreso che quella donna ormai era entrata nella sua vita e che uscirne non avrebbe potuto se non per morire; un'abitudine la quale, in omaggio a ciò che in proposito era sempre stata una sua precisa convinzione, si dimostrava più forte dell'innamoramento stesso; se dunque d'esser innamorato non poteva più dirlo, d'amarla ancora e d'amarla con il quieto e tenace affetto con cui amava le abitudini più radicate e profonde della sua vita, lo poteva e lo doveva. Le due stanze, per esempio, in cui la Margherita abitava e lavorava, là, sul fondo di Via Espinasse, eran diventate per lui il prolungamento naturale e non meno caro, delle tre in cui abi-tavan lui e la sorella; e così le ore che usava passarvi e tutto quel che insieme v'avevan detto e vi dicevano, v'avevan fatto e vi facevano.
Come dunque abbordar l'argomento se i nervi della Redenta, quella sera, parevano esser ancor più tesi del solito? Perché quel pomeriggio, la sarta, preda anche lei dell'agitazione che il temporale non avvenuto aveva messo nell'aria, era stata esplicita e così aveva finito per far correr tra loro parole grosse e dure: « d'aspet-
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tare sono stufa... »; « non vorrei che, al momento buono, tu mi piantassi qui e amen! Perché, se devo dirti proprio tutto, il diritto d'aver un marito e d'averlo legalmente, me lo voglio conservare, E non è che a trovarlo debba far tanta fatica... »; « e la Redenta? »; « la Redenta s'impicchi! » — ecco qual era stata, a quel punto, la risposta ferma e decisa della Margherita.
Non sapeva, la poveretta, che, in fondo, anche la Redenta non desiderava di meglio, e non solo per esser finalmente libera di far i comodi suoi come e quando voleva, uscire o restare, mangiare o digiunare; ma per delle ragioni ancor più profonde e segrete; e cioè che finalmente le sarebbe andato fuori dai piedi anche l'ultimo uomo che le restava da sopportare; e di quelle frigne li, poi, basta, neanche l'ombra, neanche l'odore! Soprattutto, quello; con la biancheria sporca di chissà cosa che doveva lavargli ogni settimana: «massi! Ma che impari a lavargliela la sua bella spasimante, perché dopotutto, a tirarselo a letto insieme, è lei, non io! ».
Tuttavia anche a considerar il caso obbiettivamente, un domani, che so, una malattia, una disgrazia... No, no, era meglio che si sposasse; meglio in tutti i casi; meglio, nonostante il vuoto e il freddo d'una solitudine ancor più completa, dura e dolorosa; tanto lei ne avrebbe così avute di cose da fare per riempir quella solitudine! E poi, se il fratello si decideva davvero a sposarsi, era più che probabile che lei dovesse voltar indietro le maniche un'altra volta e trovar un'altra volta qualche posto o per lo meno qualche lavoro.
Quella sera, dunque, il Luigi stava già per arrendersi e rinviar a una giornata migliore la discussione, quando, di colpo e senza che niente di ciò che fin li avevan detto ne legittimasse il ricorso, la Redenta fece:
« E allora cos'è che hai combinato con la tua cosa là, la Margherita? ».
« Come, cos'ho combinato? » — rispose il Luigi, colto di sorpresa.
« Insomma, vi sposate o aspettate che venga il tempo di far la cassa a tutt'e due insieme? ».
L'amara ironia di quelle parole ferì il cuore abbastanza sensi-
IL FABBRICONE 97
bile del Luigi che, sollevando la mano come per allontanar qualcosa, si limitò a rispondere con un:
« Che maniera di parlare... ».
« Stai a vedere che, adesso, dopo anni e anni che viviamo insieme, dovrò mettermi a usar il galateo anche con te! ».
« Non è questione di galateo, Redenta. E questione di modi... ». «E i miei son questi. Ormai dovresti averlo capito ».
« Be' allora, dato che ci siamo, ti dirò che era proprio di questo che volevo parlarti... ».
« Sentiamo, su, sentiamo. Ma non far troppo storie, mi raccomando — aggiunse la Redenta, quando vide che il fratello aveva tirato indietro una sedia e con gli occhi pareva bonariamente invitarla a sedersi — Basta che tu dica un mese, un giorno... Su, su; quand'è che avete deciso?... ».
« Come, quand'è che abbiamo deciso? Ma se non sai neanche cos'abbiamo deciso? ».
«Io? Ma io ho capito appena hai messo piede qua. Su, fuori 'sta data; perché, una volta o l'altra, dovrò pur cominciare a pensar ai fatti miei anch'io... ».
III
Finito il temporale, sulle case della città l'aria era tornata ben presto quella di prima, sporca, cioè, polverosa e pesante; sulla periferia, invece, essa aveva conservato il frizzo del dopopioggia, frizzo che sarebbe durato per tutta la notte, se dalle raffinerie del Pero non fosse cominciata, lenta ma inesorabile, l'infiltrazione degli odori.
Si trattava d'un tanfo che in poco riusciva a infettare e a corrompere tutta quanta I'aria. Cosi la fiamma che dalle finestre più alte del fabbricone, come da tutte le case minime e le cascine di Roserio, di Vialba, di Musocco e della Certosa, si vedeva brillare verso nord, non diventava altro che il segnale d'un fuoco nauseante e malefico, fuoco che si ripeteva ogni sera con la monotona rego, larità d'un fatto meccanico, né più né meno dell'odore, quasi che
98 GIOVANNI TESTORI
ogni sera, quelle povere, grandi caserme, addossate l'una all'altra, dovessero immergersi, invece che nella pace del sonno, nella melma e nel fango. Che però malgrado l'ora, quella sera, nel fabbri-cone, qualcuno stesse questionando, tutti quelli che per le più diverse ragioni non potevano ancor dormire, l'avevano capito da certe parole che s'eran alzate, di tanto in tanto, come degli squilli; la certezza tutta l'ebbero solo quando una porta sbatté di colpo e quando, su quel colpo, una voce di donna si mise a gridare senza più ritegno:
«Un maiale, si! E che i suoi vizi se li tenga per sé! Perché se lo vedo un'altra volta insieme, é la polizia che avviso! Capito? ».
Quindi un ciabattar furioso giù pei gradini; poi un altro colpo, un'altra porta che si chiudeva con la stessa violenza della prima.
« Ci siamo! Anche stasera, sonno, niente » — fece la Redenta che, messasi a letto, i nervi tesi dal temporale avvenuto solo in parte, dal mal di testa e dalla notizia che il fratello le aveva dato circa il suo matrimonio, faticava ancor più del solito a prender sonno. E siccome, di chi era la voce, lei l'aveva subito capito, subito si domandò cosa poteva esser successo se non che la Schieppati avesse visto il figlio in compagnia del Cornini, o cose del genere.
Ma in quel preciso momento dal dazio giunse al suo orecchio il rombo affannoso d'un motore, rombo che andò man mano avvicinandosi, finché la macchina, giunta di fronte alla siepe che cingeva l'orto, cominciò a rallentare per fermarsi, poco dopo. del tutto.
« Può piovere e strapiovere — gridò a se stessa la Redenta con. un rigurgito di rabbia, quando la manovra della macchina fu terminata — possono diventar fogne i prati, ma se devon farle, 'ste loro porcate, il sistema lo trovan lo stesso »; perché era di notte,. quando cioè nessuno poteva non che vederla, neppur supporne i pensieri, che la sicurezza della Restelli cedeva il passo a una debolezza completa e disperante. Allora le immagini, gli istinti e i desideri che, durante il giorno, più o meno riusciva a tener quieti nel fondo del cuore, venivan a galla e la spadroneggiavano tutta.
IL FABBRICONE 99
«In un pisciatoio, proprio li devon vedermelo andare! E tutto per colpa di quel bastardo... ». Fatte le scale la Schieppati era rientrata in casa ancor più bianca del solito, le labbra senza sangue, gli occhi tesi e allucinati; l'orrore e lo sdegno eran tali che, appena dentro, avrebbe voluto tornar dalla mamma di quel disgraziato d'un Cornini, riprender a gridare e intimarle, alla fine, il silenzio più assoluto: « Perché di quel che ho detto qui, non deve saper niente nessuno, capito? ».
Ripensandoci, si convinse però che di tornare non era assolutamente il caso; a parte infatti l'umiliazione di riprender l'argomento, anche la Cornini non aveva nessuna convenienza che la notizia si diffondesse, e perciò avrebbe tenuto la bocca ben chiusa. Quanto al marito poi, tornò a dirsi che, almeno per il momento, era meglio aspettare; mentre, appena le fosse stato possibile, avrebbe preso il Sandrino, preferibilmente non li, in casa, o quando, li in casa, non ci fosse stato nessuno, e l'avrebbe fatta fuori; se lui poi avesse avuto qualcosa da dire, gli avrebbe indicato, senza né tanto, né quanto, la porta.
La Schieppati guardò ai piedi della seggiola la gran pigna di biancheria che aveva lasciato li da aggiustare e, secca e decisa come sempre, si sedette, infilò gli occhiali e cominciò a prender la prima maglietta, a farla passare di qua e di là per veder da che parte fosse meglio iniziarne il rammendo.
Benché, salvo la Redenta che a supporlo era arrivata assai presto, nessuno nel fabbricone osasse pensare che lei, madre dedita alle cure della famiglia, potesse farlo, in verità, di tanto in tanto, la povera donna si lasciava andare a maledir i giorni in cui, accettando la stupida e ignorante ingordigia del marito, s'era disposta a metter al mondo tutti i figli che aveva messo; sette! E sette figli volevan dire, sette bocche da sfamare, sette corpi da vestire, sette teste da seguire! Si, seguire, ma come? Che se pur una fa di tutto per starci dietro e far che vengano su un po' per la quale, trova poi sempre chi, due piani sopra, li indirizza alla vergogna, al vizio e alla galera!
Non che arrivasse a maledir i figli; era se stessa che malediva e lui, il marito che, pazienza avesse avuto la prospettiva di mi-
loo GIOVANNI TESTORI
gliorar la posizione! Invece, no, niente; muratore era, quando ave- van avuto il primo; muratore aveva continuato ad essere quando avevan avuto l'ultimo; e muratore sarebbe restato fin a quando le forze l'avessero sorretto.
D'altronde col Sandrino, che dei sette era il secondo, pareva che tutto e tutti si fossero accordati per spingerlo sulla strada su cui s'era messo; strada che in un primo tempo lei aveva solo subodorato, ma che ora, da quando il fratello le aveva dato la bella notizia d'averlo visto con uno di quei tali, conosceva con certezza.
« Si sbaglia e si sbaglia di grosso; il mio Luciano che il suo Sandrino esiste lo sa, giusto perché lo vede qui, per il resto, se propria vuol sfogarsi, vada a prendersela coi delinquenti del Parco, perché é lá che m'han detto che gira, e di notte e di giorno... ».
« Giá, perché il suo Luciano bazzicherà invece le case dei re e dei principi! ».
Adesso il colloquia di poco prima tornava alla mente della Schieppati così, a pezzi, e non per dimostrarle quanta ragione avesse avuto nel pensar che, a iniziare il figlio su quella strada, fosse stato il Cornini, quanto l'abiezione cui il figlio era giunto. Diciassette anni, diciassette appena compiuti e già così!
Tuttavia, arrivata a quel punto, cosa poteva fare?
Toglierlo da quella strada, se il destino pareva far apposta a non permettergli di trovar un posto che era un posto? E poi; quando uno ha lazzaronato o s'è arrangiato in quella maniera o addirittura ha trovato, come era chiaro che il figlio aveva trovato, una tal fonte di guadagno, in che modo convincerlo a voltar indietro le maniche e a lavorare ?
Mentre l'ago passava e ripassava, ora di qua, ora di lá, lungo la trama della maglia più gialliccia che bianca, in modo che il buco apertosi nella parte più bassa restasse chiuso il più tempo possibile, la Schieppati si chiedeva come avesse potuto metter al mondo un figlio così diverso dagli altri; perché gli altri, se ci pensava... Magari diversi eran anche loro, ma diversi per quel che riguardava il colore dei capelli e degli occhi, il carattere e la forma della faccia, perché per il resto...
Ed ora, eccoli lá, buttati giù tutti e sei, a dormire: quattro
IL FABBRICONE 101
nella prima stanza, con un posto vuoto; vuoto perché, naturalmente, il Sandrino non era ancor tornato... No, era meglio, meglio che non pensasse dove e con chi adesso si trovava, perché se si fosse lasciata andare a quei pensieri... Quel giorno poi, col temporale che c'era stato!
« Figurati Edvige se avrei il coraggio di venir qui a dirti una cosa come questa, quando non ne fossi più che sicuro! L'ho visto io, coi miei occhi, intanto che facevo l'ultima consegna. Era ai Boschetti... L'ho riconosciuto dalla maglia, poi l'ho visto anche in faccia; allora per non farmi vedere mi son nascosto dietro una pianta, han continuato a parlar tra di loro per un po', poi son saliti sulla macchina; dalla targa pareva di Como; e lui, il porco, uno sui cinquanta... ».
La miseria, ecco cos'era la vera causa, la vera colpa di tutto. La miseria e la fame, da una parte; e il niente da fare, i soldi e i vizi, dall'altra!
Sarebbe stato necessario prenderli, sbiottarli di tutto quel che avevano e strozzarli, 'sti maiali che con i loro soldi rovinavano anche chi non ne aveva voglia! La miseria — si disse e si ripeté —e la fame. La stessa miseria e la stessa fame che costringeva gli altri sei a mangiare come mangiavano e a dormire come dormivano; sbattuti sui materassi come delle bestie sui carri che le portano al macello e su delle coperte e delle lenzuola talmente unte e sporche d'aver schifo ad andarci vicino.
Già, neanche la dignità, neanche quella avrebbe voluto che le restasse! A sentir il Luigi, infatti, lei avrebbe dovuto starsene li, buona, buona, o limitarsi, al massimo, a guadagnar quanto bastava per pagar l'affitto; l'affitto e il carbone da metter nella stufa per il riscaldamento.
Siccome sapeva che, quanto al vitto, lei s'arrangiava con niente, farle quella proposta non doveva essergli costato davvero molto. E magari fosse stato lui, a fargliela! No, lei era sicura e strasicura che il fratello, da solo, quell'argomento non l'avrebbe mai e poi mai sfiorato; doveva esser stata la sarta. Figurarsi! Lei la conosceva bene quella specie di mezz'ebrea là, che in tanti anni in cui era
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stata l'amica del fratello, non s'era mai degnata di fargli un regalo che era un regalo. Cosa c'era dentro prendergli una camicia, un golf, una cravatta? Niente di niente. Mentre lui, non passava festa che non si preoccupasse di prenderle e mandarle qualcosa di sempre diverso e particolare. Questo, a parte il conquibus nudo e crudo che, di tanto in tanto, doveva lasciarle sul tavolo. Affari suoi; e, per quelle cose li, una volta che contento era lui, contenti eran poi tutti.
Ma l'offesa di sentirsi dire che, per tirar insieme quanto occorreva all'affitto e al riscaldamento, lei poteva anche andar lá, ad aiutar due o tre ore al giorno, la sua bella Margherita o se no, farsi dar da lei dei lavori che poteva poi confezionar li, in casa; quell'offesa come mandarla giù?
Idea della sarta anche quella; poteva giurarlo. Si, ma allora, avrebbero avuto un bell'aspettare tutt'e due che lei scendesse a un simile disonore! Piuttosto che quello, avrebbe fatto la sguattera! E la sguattera in una latrina!
Il rumore sordo e ovattato d'una macchina che cominciava a brontolar giù nella strada, colpi la Redenta in quei pensieri, tanto che li per li non si senti in grado di dirsi se era la stessa di prima che, esaurito lo scopo, se ne partiva o invece una che arrivava proprio in quel momento.
Trattenne il respiro per un attimo poi fece: « Saran i damerini del centro! Vengon qui con le loro amiche, magari prese su al Parco e ai Bastioni! Perché son diversi in tutto, loro, ma quanto alla patta son come e peggio di noi »; e solo quando il rombar del motore verso via Mambretti l'avverti che la macchina se ne stava andando, si girò nel letto, sperando di poter chiudere finalmente 'sti benedetti occhi.
L'illusione durò qualche minuto; in quel sopore la Redenta riuscì a lanciar la solita quotidiana bestemmia alla memoria del suo Andrea e a lanciargliela come se l'avesse li, davanti, in quell'interminabile agonia in mezzo all'acqua, alla neve, ai fischi delle pallottole, al sangue, e alle bombe; poi lo sbatter d'una portiera e il rimandarsi d'alcuni saluti, proprio davanti a casa e infine un
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passo che attraversava gagliardo tutto l'orto per salir su per le scale, la risvegliarono di bel nuovo:
« Imparassero, non si dice tanto, ma che la notte è fatta per dormire, e che, dopo tutto, al mondo ci può essere della gente che ha bisogno d'un po' di tranquillità e di pace! Imparassero quello! ».
Il passo era del Villa; dopo aver scorazzato sulla macchina del Morini in compagnia di tre altri ragazzi, tra cui il Binda, se ne rientrava eccitato, stanco, ma felice tanto da non preveder l'accoglienza che, una volta in casa, avrebbe trovato.
Appena ebbe aperta la porta, il Carlo s'alzò infatti dal tavolo dove se ne stava seduto, l'ultimo numero di « Rinascita » aperto davanti, e disse: « Ah, finalmente! ».
«
Perché? » — ribatté l'Antonio, appoggiando sul tavolo la va-
ligetta di metallo che lo seguiva d'allenamento in allenamento
ogni sera.
« Ho bisogno di parlarti ».
« E tu parla. Non son qui? Ma cerca di far in fretta, perché è
tardi ».
«Allora cominciamo. Dove sei stato: sù, fuori ».
«Dove son stato? In palestra ».
«Vero? ».
« Ecco qui » — rispose l'Antonio indicando sul tavolo la vali-
getta di metallo.
« Be', sai, se é per quello potrebbe anche esser una scusa... ».
« Una scusa? E perché, una scusa ? ».
Dopo un breve silenzio, in cui due o tre pagine del mensile
girarono nervosamente, il Carlo riprese il suo interrogatorio, giusto
come se tra lui e il fratello l'ordine degli anni si fosse scambiato.
« E con chi sei tornato ? Si può sapere almeno quello? ».
« Col presidente » .
« Di pure, con quel maiale del Morini ».
« Ah, la metti così? — ribatté l'Antonio, poi prendendo la va-
ligia e muovendosi per passar in camera, aggiunse con una voce
più stanca che irritata — Buonanotte ».
« Antonio — fece il Carlo — Senti, Antonio... ».
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« Cosa devo sentire ? Lo sai bene anche tu che da un po' di
tempo in qua non andiamo più d'accordo... ».
« Certo, fin che continui a frequentar della gente come i tuoi
compagni di palestra e i loro capi! Ma tu ti dimentichi chi sei,
da che famiglia vieni fuori e che idee hanno tuo padre, tua madre
e tua sorella ».
« Non mi dimentico di niente ».
« No ? E allora spiegami perché non ti fai più vedere al Cir-
cola... ».
« Perché ho altro da fare ».
« Lo vedi? ».
« Ma cosa vuoi che veda! E poi, senti, la fai tu la vita che vuoi?
SI? E io faccio quella che voglio io. Non sarà anche la tua, una
libertà come quella dei preti ».
«
Antonio! » — fece il Carlo alzando di colpo la voce.
« Ascolta, va'; lasciamo dormire chi dorme e andiamocene a letto anche noi; che se proprio vuoi, di questa faccenda potremo parlar con più comodo un'altra volta... » .
« No, ne parliamo adesso! ».
« E allora parla. Ma, se é possibile, senza gridare ».
« Ecco; senza gridare » — fece la madre, aprendo di colpo la porta e intervenendo inaspettata ma decisa nella conversazione.
« La vedi, la vedi chi è la tua protettrice ? — gridò il Carlo preso di contropiede da quell'improvviso intervento; poi, rivolgendosi alla madre — Non è per niente, certo, che vieni fuori da una famiglia di seminaristi... ».
« Guarda come fai a parlare, Carlo! Perché qualunque siano le tue idee, non ti permetterò mai d'insultar nostra madre... ».
L'Antonio s'era avvicinato al fratello e pareva sovrastarlo con tutto il peso della sua mole.
« Perché se quel che impari sui tuoi giornali, e sulle tue riviste é tutto qui, puoi anche far a meno di leggerle! — aggiunse, restando nella stessa posizione — E poi, faccio forse qualcosa contro te e contro le tue idee? E allora! ».
Il Carlo che per un attimo era sembrato sul punto di smarrirsi, si spostò verso la finestra e invece di rispondere, disse:
IL FABBRICONE 105
« Ma come fai, spiegamelo, come fai a vivere in mezzo a quei maiali? ».
« Necessità di mestiere — ribatté l'Antonio con molta sicurezza; quindi, aggiunse — Del resto le mie idee tu le sai; la vita è una sola e convien passarla il meglio possibile... ».
« E allora, giù corruzioni, giù tradimenti! ».
« Ma chi corrompe ? Chi tradisce ? ».
« Voglio sperare che saprai cosa dicono intorno di quel porco del tua presidente... ».
« E allora? ».
« Allora, allora! » — ribatté il Carlo.
«E poi — incalzò l'Antonio, senza lasciar respiro — non potrai pretendere che tutti si divertano a strappar manifesti ».
« Antonio! — urlò il Carlo — Con la storia dei manifesti é ora di finirla! Ho detto anche a lei che, se é necessario, son disposto a rifar la stessa cosa per tutta la vita. Perché, io, ricordati, io non sono come te; io alle mie idee e alle idee che m'ha insegnato mio padre ci credo e ci credo fino al sangue! ».
In quel momento sul vuoto della porta che la madre aveva lasciata aperta apparve, per restarvi immobile e dura, la Liberata; più bianca della camicia, gli zigomi tesi e gli occhi fissi, essa guardò per un attimo l'Antonio, poi disse:
« E' vero: fin al sangue ».
Quando, alla fermata di largo Boccioni, il Sandrino scese dal tram, l'una e mezza era già passata e il fetore che veniva dal Pero, mescolandosi all'umidità, aveva reso l'aria irrespirabile; salutati in fretta e furia i due amici con cui, prima e dopo il temporale, aveva girovagato per il Parco, il ragazzo prese a camminar subito verso casa, pieno d'una stanchezza e d'uno stordimento contro cui poco poteva quel che pure aveva li, in tasca, e che gli assicurava oltre ai pasti per un giorno o due, il cambio dei calzoni, giusto come quelli che, verso sera, aveva visto al Carrobbio, nelle vetrine dell'« Araldo ».
Quando poi, percorsa Via Aldini, arrivò al fabbricone, trovò sull'ingresso la Candida che stava baciandosi con uno di cui non
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gli fu possibile veder niente; poiché al rumore dei suoi passi lo sconosciuto si girò subito, mostrando cosí solamente la schiena. Tl Sandrino guardò per un attimo la moto che se ne stava ferma dietro i due, poi riprese a camminare, riuscendo a sentir a malapena la Vaghi che, a voce non molto bassa, diceva:
«Niente, niente. È uno di qui, uno che ha tutto l'interesse a tacere... »
Afferrato il riferimento e scrollatasi di dosso ogni irritazione con un colpo di spalle, lo Schieppati attraversò l'orto. Quando poi, salite le scale, fu sul punto d'aprir la porta, uno scroscio precipitò giù per la tubatura di scarico così fragoroso da far credere che volesse trascinar con sé un pezzo di casa.
«
Addio! » — fece, come se salutasse un amico che se ne andava per sempre ed entrò.
La luce che, filtrando da sotto la porta, l'aveva preparato a quel che certo sarebbe successo, l'accolse accecante; così non era ancor riuscito a ritrovarsi che la madre gli piantò addosso gli occhi stanchi e disperati facendogli segno di star in silenzio:
«...perché la gente onesta, a quest'ora, è a letto che dorme... »
— disse per finir di spiegarsi.
«
Allora? — aggiunse, una volta che gli fu arrivata talmente vicino da poterne sentir il respiro e col respiro tutto l'odor di bagnato che aveva addosso. — Ma guarda che faccia hai, guarda! »
— aggiunse contro la sua stessa volontà, presa, come fu, dall'aria distrutta e dagli occhi incavati del ragazzo — Se vai avanti così finirai tisico in qualche sanatorio ».
«Ma cosa vuoi che finisca tisico! » — ribatté il Sandrino, alzando le spalle.
« Dunque vuoi dirmi dove e con chi sei stato? Perché appena ne so uno, di nomi, quei maiali li denuncio e faccio metter dentro tutti! ».
« Ma che nomi vuoi che faccia! » — disse per tutta risposta il Sandrino.
« Sembra impossibile che un figlio possa sentirsi far da sua madre delle accuse così e non disperarsi, non piangere; — adesso la Schieppati parlava con voce soffocata si dal bisogno di non farsi
IL FABBRICONE 107
sentire, ma piena poi di dolore e d'indignazione — Perché ormai
lo so con precisione; ti posso dir tutto, guarda; e te lo posso dire
per filo e per segno... »
« E allora, dillo ».
« Non far così, Sandrino, non far così con tua madre... »
« Dillo, su, sentiamo, sentiamo cos'è che hai saputo... »
« Ieri, uno dei tuoi zii... »
« Uno dei miei zii ? E cosa vuoi che m'importi, a me, dei
miei zii? »
« Uno dei tuoi zii, lo zio Mario, ecco, lui, ieri, verso sera... »
« Verso sera? »
« T'ha visto... »
« M'ha vista? E dove? »
« Ai Boschetti... »
« Ai Boschetti ?... »
« Si, ai Boschetti, intanto che combinavi con un tale... »
« Ma non farmi ridere! »
« Ah, ti faccio ridere! E allora ascolta: fuori dal coso lá...
Mi fa schifo a dirlo, schifo! Be', fuori di lá, sei poi salito con quel
delinquente sulla sua macchina... Ti basta? Era una macchina
targata Como. E' o non è la veritá? » — giunta a quel punto la
madre che, nel fare quella dichiarazione aveva sentito d'arrischiar,
forse per sempre, l'affetto del figlio, fissò a lungo il Sandrino come
per impedirgli ogni scappatoia.
« E se anche fosse la veritá, cosa vorresti dire? »
« Che mi fai schifo e che se non la pianti, la vedi li, la porta ?
Prendi, esci e qui, insieme a noi, non tornare piú, ma proprio piú.
Perché se tu vuoi andar alla rovina, va be', vacci; ma io ho gli altri
sei da salvare. Capito? Gli altri sei! »
A quel punto il colloquio ebbe una lunga pausa, in cui la donna
cominciò a tremare e a stringere e torcer le dita una sull'altra:
« Ma cos'ho fatto di male io, per aver un figlio come te? Cos'ho
fatto? ».
« Domandaglielo a lui. Non ti vien più in mente quel che
m'hai gridato dietro due o tre mesi fa? 'Io, soldi da dare a te, non
ne ho piú; se dunque riesci a guadagnarli con le tue mani bene,
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altrimenti va' per la tua strada'. E siccome di posti, a me, non ne ha mai trovati nessuno, i soldi me li son dovuti guadagnare con quel che ho a disposizione... »
« Sandrino... » — fece la madre cercando di prender il figlio per le spalle; fosse riuscita, l'avrebbe certo stretto in un abbraccio che sarebbe stato d'amore, insieme che di disperazione e di paura. Ma il Sandrind con un colpo gli sfuggi via.
« Sandrino... » — mormorò un'altra volta la donna.
« Lasciami andare, va, che non sto più in piedi dal sonno. Son qui tutto bagnato, non vedi? Del resto se proprio ti faccio schifo non hai che da dirmelo e me ne vado subito. Ormai ho visto che non si fa nessuna fatica a trovar chi, oltre alla grana, ti dà anche il letto. Si tratta solo di cambiar di tanto in tanto, come negli alberghi... »
Il Sandrino non aveva ancor finito di parlare che la madre, rotta dai singhiozzi, s'era abbandonata sul tavolo; nel colpo le ultime calze e gli ultimi fazzoletti che eran li da aggiustare, caddero a terra.
Il ragazzo guardò un momento la madre, poi senza aggiunger altro, passò nella stanza: allora la vista di tutti quei corpi distesi o rannicchiati sui letti, insieme con l'odor caldo e fin rivoltante che ne veniva, gli diedero più d'ogni altra sera un senso di pietà insieme che di ribellione.
« Anche il sangue dal naso, adesso! » — disse quando, seduto sul letto per levar le scarpe, vide che il fratello con cui divideva il posto, aveva lasciato sul cuscino delle macchie rossastre, di cui una aveva poi segnato sul lenzuolo tutti i movimenti.
Giusto in quel momenta nel recinto dell'orto entrò il Luciano; benché facesse di tutto per renderlo il più leggero possibile, il suo passo risuonò nella tromba delle scale come se venisse dal fondo della terra.
Dentro il letto dove, nell'impossibilità di dormire, continuava i suoi pensieri e i suoi incubi, la Redenta senti e disse: « E di certo lui, quel povero bastardo! ».
Poco dopo nella casa risuonò il gemito d'una porta, quindi
uno scalpiccio: poi, più niente. GIOVANNI TESTORI
 
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Testata/Serie/Edizione Nuovi Argomenti | Prima serie diretta da Alberto Moravia e Alberto Carocci | Edizione unica
Riferimento ISBD Nuovi argomenti : Rivista bimestrale. - N.1 (1953)-. - Roma [distribuzione Torino] : [s.n., distribuzione Einaudi], 1953-. - v. ; 23 cm (( La periodicità è variata più volte: la prima serie esce con periodicità irregolare, dal 1976 trimestrale. La prima serie si conclude con il n.69/71 (Luglio-Dicembre 1964 ma pubblicato nel marzo 1965), nel 1966 inizia la nuova serie che termina con il n.67 68 (1980), nel 1982 la terza serie che termina con il n.50 (apr. giu. 1994) ed inizia la quarta serie con il n.1 ... {Nuovi argomenti [rivista, 1953-]}+++
Data pubblicazione Anno: 1960 Mese: 9 Giorno: 1
Numero 46
Titolo KBD-Periodici: Nuovi Argomenti 1960 - 9 - 1 - numero 46


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