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tipologia: Analitici; Id: 1472515


Area del titolo e responsabilità
Tipologia Periodico
Titolo Vittorio Lanternari, Scienze religiose e storicismo: note e riflessioni
Responsabilità
Lanternari, Vittorio+++
  • ente ; ente
  autore+++    
Area della rappresentazione (voci citate di personaggi,luoghi,fonti,epoche e fatti storici,correnti di pensiero,extra)
Nome da authority file (CPF e personaggi)
Pettazzoni, Raffaele+++   Titolo:oggetto+++   
Croce, Benedetto+++   Corpo del testo:citato+++   
+++   Corpo del testo:citato+++   
Vico, Giambattista+++   Corpo del testo:citato+++   
Müller, Friedrich Max+++   Corpo del testo:co-oggetto+++   
Tylor, Edward Burnett+++   Corpo del testo:co-oggetto+++   
Brosses, Charles de+++   Corpo del testo:citato+++   
Lafitau, Joseph François+++   Corpo del testo:citato+++   
Frazer, James+++   Corpo del testo:citato+++   
Comte, August+++   Corpo del testo:citato+++   
Durkheim, Émile+++   Corpo del testo:citato+++   
Lévy-Bruhl, Lucien+++   Corpo del testo:citato+++   
Mauss, Marcel+++   Corpo del testo:citato+++   
Hubert, Henri+++   Corpo del testo:citato+++   
Weber, Max+++   Corpo del testo:citato+++   
Troeltsch, Ernst+++   Corpo del testo:citato+++   
Wach, Joachim+++   Corpo del testo:citato+++   
Area della trascrizione e della traduzione metatestuale
Trascrizioni
Trascrizione Non markup - automatica:
SCIENZE RELIGIOSE E STORICISMO:
NOTE E RIFLESSIONI
Di un odierno risveglio d'interesse per le scienze religiose nel mondo laico italiano, di una approfondita curiosità per i fatti pertinenti alle tradizioni religiose le più disparate, di una accentuata attenzione del pubblico non solamente d'elevata, ma anche di media cultura per la conoscenza di ciò che é religione nella vita dei popoli, esistono segni evidenti: si consideri da un lato la stimolante accoglienza del pubblico stesso alle edizioni di carattere storico-religioso od etnologico-religioso, dall'altro il concomitante intensificarsi delle iniziative editoriali in materia, l'aprirsi dello stesso mondo culturale cattolico a nuove esigenze di riflessione sociologica sui fatti religiosi (la « sociologia religiosa » cattolica), infine l'accendersi di dibattiti e polemiche circa i rapporti fra vita religiosa e civile, fra religione e società o scuola o stato: fenomeni i quali nel loro insieme denunciano una pressante esigenza di chiarificazione obiettiva, scientifica del fatto religioso entro la vita moderna, vista anche questa su scala quanta mai ampia e comparativa.
È un risveglio, o forse un primo destarsi d'interesse scientifico-religioso a livello della cultura laica in Italia: ed esso ben si giustifica nel quadro degli intensificati rapporti politici, culturali, sociali fra popoli di differenti tradizioni e di eterogeneo livello culturale, quale l'intensa storia di questi ultimi anni ha indotto, con l'abbreviarsi delle distanze reali e ideali, con l'unificazione via via più evidente di mondi culturali e sociali per l'innanzi fra loro segregati e remoti.
Un posto specialissimo spetta, in questo risveglio d'interessi culturali, all'etnologia, e all'etnologia religiosa in particolare. L'emergere sempre più consapevole dei popoli a regime coloniale e a cultura arretrata nella vita moderna: il loro imporsi nella sfera
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politica, negli ultimissimi anni, costituisce uno fra gli stimoli più rilevanti del progresso di studi e ricerche intorno alle civiltà e alle religioni cosiddette «primitive », che costituiscono. uno fra i temi salienti nel moderno risveglio d'interesse storico-religioso.
In Italia, se a vero dire tardi si è giunti all'affermarsi di una scienza delle religioni autonoma e consapevole — le remore teo-
logiche, il dominio pressoché esclusivo del mondo ecclesiastico in fatto di storia delle religioni sono motivi evidenti di tale ritardo — tuttavia oggi con approfondita visione dei problemi, con agguerrita tecnica di studio si è intrapreso un cammino foriero di risultati fecondi. L'avvio più autorevole è venuto da Raffaele Pettazzoni, fondatore dello storicismo nella scienza italiana delle religioni, e del quale l'opera ha campeggiato e fatto scuola nel mezzo secolo scorso. Come risultato di ciò, e come prodotto di una situazione matura ormai — per convergenza di molteplici stimoli —, pub ben dirsi che esiste oggi in Italia una giovane scuola di storia delle religioni pervenuta, attraverso opere salde e ragionate, ad una piena emancipazione sul piano scientifico e metodologico. Si tratta di studiosi i quali, pur nella diversità d'orientamento individuale, e pur provenendo da differenti indirizzi, risultano uniti da una comune consapevole tendenza: lo storicismo. È questo un fatto tanto più degno di considerazione, in quanto la scuola italiana viene a trovarsi di fronte ad un mondo — quello delle scienze religiose d'oltralpe — ove è mancata una tradizione storicistica altret- tanto consapevole e coerente: ove dunque, fra tendenze innegabilmente positive e prodotti altamente apprezzabili, tengono di gran lunga il sopravvento correnti non altrettanto aperte e rinnovatrici. Lo storicismo italiano ha dunque i titoli per poter portare il frutto del suo pensiero chiarificatore là dove spesso prevalgono, nel campo degli studi in oggetto, indirizzi irrazionalistici e dove la luce del pensiero storico non è pervenuta ancora appieno a far suo il dominio degli studi religiosi.
Del resto la consapevolezza di metodi e fini che caratterizza. lo stato dei nostri studi religiosi — il fatto che si tratti di « scuola » e non puramente di « individui » è significativo, specie a confronta
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con la situazione estremamente individualistica degli studi fuori d'Italia -- è, in prospettiva storica, il risultato di una tradizione culturale ormai maturata attraverso esperienze ben più vaste di quanto non sia il campo delimitato della disciplina vista in s6 stessa. In sostanza la moderna Storia delle Religioni in Italia discende dalla tradizione culturale che ha il suo nome in Benedetto Croce: che ha bevuto indubbiamente a fonti ancor più moderne — Gramsci, sia pure indirettamente é un nome importante per vari dei suoi cultori —: in una parola, la tradizione da cui discende tale storia delle religioni é quella del libero pensiero moderno, che il suo primo capostipite riconosce in Giambattista Vico, e che — per merito del Pettazzoni — ha fatto breccia nel campo delle religioni. Infatti é ben nota la posizione indifferente e agnostica del Croce nel campo della scienza religiosa. Pertanto la moderna Storia delle Religioni rappresenta un radicale ampliamento d'orizzonte della stessa storiografia crociana.
Vi sono, nello storicismo religioso italiano moderno, alcuni punti essenziali, quasi un nucleo centrale, che sembra qui opportuno sottolineare e sviluppare. Anzitutto la scienza delle religioni storicisticamente ispirata vuole essere libera, autonoma, svincolata da preoccupazioni extrascientifiche quali che siano: siano esse preoccupazioni di natura teologica, confessionale, mistica, o semplicemente emozionale, partecipazionista. La storia religiosa come è intesa da noi storicisti considera i fatti religiosi in base al criterio della ragion logica, entro una visione globale di ciascuna civiltà presa in esame.
Non é una novità per la scienza che fatti e fenomeni pertinenti al dominio extra-logico, emozionale, estetico ecc., siano stu diati, anzi possano essere studiati soltanto entro rapporti d'ordine logico e per null'affatto emozionale. Così é della poesia, della musica, della letteratura, e di qualsiasi prodotto dell'umana cultura. I detti prodotti culturali non esauriscono certo il loro significato e la loro funzione entro il dominio del logos o attività razio-
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naie, anzi per gran parte ne rimangono fuori e vanno a cadere nel dominio della sensibilità estetica: eppure nessuno di tali fenomeni può intendersi appieno fuori di una visione storica, cioè a dire entro un quadro razionale di rapporti e d'idee. Diremo piú: non è umanamente dato di studiare, comprendere e giustificare un'opera di poesia, di musica, di letteratura se non mediante ed entro la storia: che sarà volta a volta storia poetica, storia della musica, della letteratura. Cosi non si può intendere una manifestazione religiosa quale che sia, fuori della storia religiosa.
I fatti religiosi per lo storicismo si risolvono in altrettanti rapporti dinamici fra i vari momenti esistenziali: fra il momento del sacro e del profano, fra il momento religioso e il momento sociale, economico, biologico, ambientale, politico, culturale in genere. Non si può comprendere una religione nella sua genesi e nel suo sviluppo, fuori dai suoi stretti legami con l'ambiente culturale, sociale, economico, perfino ecologico, che ad esso fa da sfondo e da sostrato, che ne offre i moventi e gli stimoli. Non può intendersi un particolare atteggiamento religioso, né una data manifestazione religiosa, senza rifarne la storia: poiché la religione é tradizione, e come tale è legata al passato: oltreché al presente — per le esperienze attualmente vissute —, e al futuro — per le esigenze di protezione e salvezza cui essa essenzialmente risponde —. Ma storia è ricerca delle origini culturali, e insieme analisi delle trasformazioni subite, e infine identificazione dei rapporti che sia la genesi sia le trasformazioni hanno avuto e serbano ancora con le componenti economiche, sociali, culturali delle singole civiltà viste anche queste nel loro processo dinamico. Insomma, nessuna formazione mitico-rituale può intendersi e giustificarsi se non si consideri la fitta maglia di legami mediante i quali essa s'inserisce nel tessuto della civiltà di cui fa parte. Pertanto sarà necessario ogni volta porsi il problema: di quale precisa e concreta esperienza una data manifestazione religiosa sia l'espressione; a quale precisa e concreta esigenza essa risponda. Insomma, ogni fenomeno religioso è il prodotto di determinate esperienze esistenziali, e opera in funzione di determinate esigenze
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vitali: senonché le esperienze e le esigenze non possono venire dallo storico identificate se non nel quadro di determinate condizioni di vita vissuta, proprie delle comunità che via via sono le portatrici delle varie manifestazioni religiose. Pertanto lo storico delle religioni non può né deve ignorare la condizione d'esistenza delle civiltà oggetto d'esame: anzi egli dovrà ampiamente valutare tali condizioni generali, varie secondo tipi e forme di cultura: poiché in base ad esse si determinano appunto quelle esperienze ed esigenze che alla religione danno impronta, significato, funzione.
Per una scienza delle religioni storicisticamente orientata, la vita religiosa é intesa come forma particolare della civiltà: come tale, essa é indissolubilmente legata alla storia culturale nel suo senso più ampio. Gli stessi momenti critici dell'esistenza individuale, che la vita religiosa volta a volta vuol riscattare nelle forme del mito e del rito, sono altamente condizionati dalla struttura sociale, dalle condizioni generali della cultura, dall'insieme delle condizioni economiche e perfino politiche.
A dimostrare lo stretto legame tra vita religiosa e vita profana — particolarmente nel suo aspetto sociale, politico, culturale — varrà un esempio significativo, che noi desumiamo dalla vita religiosa delle civiltà cosiddette « primitive ».
Uno dei più importanti e nuovi capitoli della storia religiosa moderna é quello che riguarda i movimenti religiosi di libertà e di salvezza, i quali hanno punteggiato e punteggiano ancor oggi la lotta d'indipendenza dei popoli coloniali contro le nazioni egemoniche dell'occidente. Questi movimenti ispirano veri e propri moti insurrezionali. Altri movimenti di libertà e di salvezza sono rivolti invece — sempre nel campo dei popoli oppressi — all'attuazione di un rinnovamento culturale e religioso, alla realizzazione — come suol dirsi — di un « aggiustamento » delle civiltà indigene nei confronti della cultura europea. In ognuno dei detti casi vengono a crearsi formazioni religiose originali, legate in parte alla tradizione locale, in parte alla cultura dei Bianchi, eppure diverse
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dall'una e dall'altra, in modo che esse attuano concretamente una salvaguardia dell'autonomia culturale e religiosa delle società « primitive ».
Che si tratti di movimenti religiosi non v'è dubbio di sorta: così profondamente essi sono improntati alle forme del mito e del rito. Eppure a ben guardare essi rispondono ad esigenze che mal si prestano ad essere ridotte a meri valori religiosi; anzi, in questi movimenti urge un'istanza sociale-politica così esplicita ed evidente; essi d'altronde si richiamano ad un così premente bisogno di rinnovamento culturale; che nessuna giustificazione di tali movimenti religiosi è possibile se non come espressione estremamente significativa di una gravissima crisi culturale, che in essi nel contempo trova un suo adeguato riscatto.
I movimenti profetici di libertà e di salvezza fioriscono innumerevoli, anche e soprattutto nei tempi recenti od ultimissimi, a livello etnologico (ma non solamente a livello etnologico). Dal loro esame bene si scorge il ruolo determinante che nella vita religiosa giocano le esperienze profane (in tal caso, come dicevamo, d'ordine sociale, politico, culturale). D'altra parte, in tali movimenti religiosi si dimostra con altrettanta chiarezza che la religione, specie nelle sue forme piú immediate e primitive, è volta a preservare i valori vitali dell'esistenza profana, quali libertà e salvezza. Insomma la religione, come si scorge dall'esempio suddetto, adempie una funzione precisa: di salvare l'esistenza individuale e collettiva; di proteggere la civiltà tradizionale come entità storica che minaccia di soccombere all'imperversare delle forze avverse, ad opera di civiltà egemoniche, le quali deliberatamente disgregano l'ordine. tradizionale indigeno.
Fatto sta che ogni civiltà ritrova, attraverso tali movimenti profetici, le forme e i mezzi onde rinnovare sé stessa, facendo leva sulle sue proprie tradizioni, insomma sanzionando la propria libertà di scelta.
Ora, i movimenti profetici a livello etnologico sono di altissimo interesse per lo storico delle religioni. Essi non possono intendersi. fuori dalla comparazione con i movimenti profetici di religioni
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elevate, come ad esempio il Buddismo e il Cristianesimo. La comparazione è una delle istanze essenziali per una Storia delle Religioni che ambisca al ruolo di scienza. Infatti non è senza senso l'antico detto « chi conosce una sola religione non ne conosce nessuna ». Con il Pettazzcni, ripeteremo che la scienza « vuol conoscere la religione nelle religioni » (1). Insomma, solo attraverso la comparazione si può giungere ad intendere qualche cosa sull'essenza della religione. Questa è una delle più pressanti esigenze affermate, nel campo che qui noi trattiamo, dallo storicismo moderno.
Orbene, Cristianesimo-Buddismo da un canto, movimenti profetici primitivi dall'altro hanno in comune importanti elementi. Pertanto occorrerà stabilire da un canto le analogie, dall'altro le differenze, onde dalla comparazione reciproca trarre nuova luce sugli uni e sugli altri. Si tratta d'individuare, degli uni e degli altri, i caratteri che ne fanno altrettanti fenomeni unici irrepetibili, ma anche di coglierne il fondo comune, che presiede alle origini del profetismo in se stesso.
In realtà il Buddismo nella sua genesi é precisamente un movimento profetico di salvezza e di rinnovamento. Esso scaturì dalla società indiana del VI sec. a. C., in risposta all'esigenza di fronteggiare un pericolo da cui era minacciata la civiltà religiosa locale. Il pericolo era rappresentato da un sacerdotalismo ipertrofico, da un eccessivo formalismo ritualistico in cui s'era venuto spegnendo il primitivo impulso mistico-contemplativo dell'antica religione ve-dico-brahmanica. Si trattava di una crisi religiosa profonda, che esigeva un profondo rinnovamento. Ma la crisi religiosa era a sua volta il prodotto di un conflitto sociale tra la classe dei sacerdoti brahmani ormai protesa, in maniera antisociale, alla tutela dei propri interessi istituzionali di sezione, e le rimanenti classi sociali coi propri bisogni vitali di autonomia.
A sua volta il Cristianesimo è, nella sua genesi, un movimento religioso di rinnovamento e salvezza, che risponde al bisogno di fronteggiare un'altra vastissima crisi: la crisi politica, sociale, cul-
(1) R. PETTAZZO:vI, Lettere religiose, Firenze 1959, p. 1.
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turale oltreché religiosa, al cui fondo stanno alcune componenti essenziali, cioè un sacerdotalismo — quello giudaico — altrettanto pernicioso per il suo formalismo farisaico e retrivo; uno statalismo — quello romano — pervenuto al culmine e alla crisi del potere, si da porsi in aperta contraddizione con le esigenze di libertà individuale e sociale maturate nel lungo processo della storia culturale e sociale di Roma. Sia il Buddismo, sia il Cristianesimo, sia i movimenti di libertà e di salvezza primitivi, sono tipici movimenti profetici, fondati cioè da una personalità altamente rappresentativa della società del tempo e profondamente ispirata.
Tali le analogie formali e storiche dei movimenti suddetti.
D'altra parte, vi sono profonde differenze. La salvezza prospettata nel Buddismo sta nell'annullamento del Nirvana; la salvezza cristiana sta nel Regno di Dio. Ma la salvezza dei profetismi primitivi sta nella liberazione dai Bianchi, o quanta meno nell'autonomia culturale di fronte alla supremazia degli Occidentali. Per Buddismo e per Cristianesimo la via della salvezza è trascendente, per i primitivi è immanente. Ma per lo storico delle religioni anche il trascendentismo e l'immanentismo vanno messi in rapporto con la diversità di livello culturale, cioè con i differenti processi storici, con le eterogenee condizioni concrete proprie delle distinte civiltà.
Non è senza significato in proposito un'osservazione: il Buddismo e il Cristianesimo si trovano di fronte ad una minaccia proveniente dall'interno della società di cui essi stessi formavano parte integrante: sia che si tratti del sacerdotalismo sia dello statalismo, entrambi sviluppatisi in forme istituzionali chiuse in sé stesse. Diversamente, i profeti delle civiltà primitive si trovano di fronte ad una minaccia proveniente da fuori: la minaccia di una cultura egemonica la quale agisce, con le sue forze politiche, culturali, religiose coalizzate allo scopo di disgregare la società, la cultura, la religione, in una parola la tradizione indigena. Pertanto Buddismo e Cristianesimo cercano e trovano la salvezza fuori dal mondo, attraverso un tirocinio religioso e morale che guida verso vie trascendenti: e ciò perché opporsi sul piano religioso alla stessa
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società di cui si è parte, non è possibile se non rinnegandola per intero, fuoriuscendo da essa e dal mondo. Al contrario, i movimenti dei profeti primitivi additano la salvezza in forme ed in vie concrete e immanenti, che si presentano peressi pensabili e realizzabili: cioè nell'espulsione dei Bianchi, quando essa è ritenuta pensabile, o nella fondazione di una cultura e di una religione nuova e originale, non acquiescente a quella. dei Bianchi, non supinamente ad essa improntata.
Tali le differenze tra i profetismi « primitivi » e i profetismi « colti » o delle religioni cosiddette storiche. Sono dunque differenze riconducibili alle corrispondenti, diverse condizioni storiche e culturali. Tuttavia al di là delle dette distinzioni v'è, fra tutti i movimenti profetici, un comune fondo di genesi, dato da altrettante situazioni di crisi culturale della società. Infatti ogni movimento profetico, pur in modi diversi e in rapporto alle differenziate condizioni storiche, scaturisce da una situazione di crisi sociale, culturale, religiosa: e mira a fronteggiare tale situazione di crisi e di rischio. Insomma, i movimenti profetici tendono in ogni caso a salvaguardare, in forme religiose rinnovate e originali, l'esistenza individuale e collettiva messa a rischio da sopravvenute condizioni di crisi. Sia l'uscita dei Bianchi dai territori indigeni — come è mitizzata nei movimenti primitivi —, sia la fondazione di una nuova cultura religiosa ad opera di profeti-riformatori, sia d'altra parte l'annullamento del dolore e della morte attuati nel Buddismo, sia infine il superamento cristiano della morte corporea nella vita ultraterrena, realizzano in modi diversi la salvezza degli uomini, la salvezza della vita. Nella religione gli uomini esprimono con vigore e convinzione, secondo forme condizionate dalla stessa storia, la loro volontà di vivere, di essere fino in fondo se stessi, di non venire annullati dalla morte.
Abbiamo detto pocanzi che fra le istanze fatte proprie dallo storicismo moderno, nel campo di studi che noi qui trattiamo, v'è quella della comparazione. La comparazione fra una ed altra for-
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mazione, tra una ed altra civiltà religiosa illumina sulle analogie e sulle differenze. Essa, quando è metodicamente condotta, permette d'individuare il valore peculiare di una civiltà o di un fatto religioso rispetto alle altre civiltà, agli altri fatti. La comparazione metodica e scientifica, cioè insomma il comparativismo, consente d'individuare, al di lá delle disformità e delle particolarità, alcune radici comuni dei vari fenomeni religiosi: consente, anche al di là delle distanze geografiche ed etniche, d'identificare un preciso rapporto fra religione e cultura, per cui la religione risulta determinata, quanta alla forma e alla funzione, dalla cultura e insomma dall'intero processo di sviluppo della civiltà.
Ma il comparativismo nella storia delle religioni é più antico dello storicismo, al quale è rifluito da una tradizione precedente. Il comparativismo ha una origine, che coincide con la nascita stessa della Storia delle Religioni in quanta scienza autonoma; Non è senza significato che i due fondatori della Storia delle Religioni sullo scorcio del sec. scorso, F. Max Müller (1823-1900) (2), Ed. Burnett Tylor (1832-1917) (3), pur diversi d'origine — tedesco il primo, inglese il secondo —, diversi di formazione — filologica il primo, antropologica l'altro — diversi infine di cultura — il primo proveniente dall'idealismo romantico, il secondo dall'evoluzionismo positivista —, tuttavia convergono in un indirizzo comune: il comparativismo, che nel corso ulteriore della storia religiosa doveva rendersi sempre piú consapevole e fecondo. Il com-parativismo del Müller si fonda su base linguistica; investe civiltà religiose « antiche », fondate su documenti scritti: insomma, le civiltà di lingua indoeuropea.
Il comparativismo del Tylor ha basi assai differenti, e investe civiltà le piú eterogenee. Infatti il Tylor, accanto e prima delle civiltà religiose progredite — politeistiche antiche, monoteistiche antiche e moderne —, pone attenzione alle civiltà che noi convenzionalmente, benché attuali e moderne, usiamo chiamare primi-
(2) F. M. MÜLLER, Essays on the science of religion (Chips from a german workshop), London 1868.
(3) E. B. TYLOR, Primitive culture: researches in the development of primitive mythology, philosophy, religion, art and custom, London 1871.
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tive: cioè civiltà arretrate, prive di tradizione scritta. Con questo genere di comparativismo il Tylor in effetti veniva a sancire la unione, che poi doveva dimostrarsi oltremodo feconda, fra etnologia religiosa e storia delle religioni. Egli fondava insomma l'etnologia religiosa scientifica.
Dunque il comparativismo, l'unione di etnologia e storia religiosa sono cardini fondamentali di una Storia delle Religioni scientifica e moderna.
Oggi il comparativismo ha certo superato la fase dei primi, incerti passi che mosse per opera dei De Brosses (4), dei Lafi-teau (5), del Tylor, Frazer (6), Müller e tanti altri iniziatori. Oggi il comparativismo si è rinnovato e scaltrito al soffio del pensiero storico moderno. È nato, insomma, il comparativismo storico-dialettico. Storico, perché associa e confronta fenomeni religiosi in base al loro processo di sviluppo, non in base ad apparenti o illusorie somiglianze formali. Dialettico, perché si fonda sul duplice opposto processo di comparazione-distinzione. Il comparativismo storico-dialettico, come s'è visto, associa fra loro i movimenti profetici primitivi, con il Buddismo e il Cristianesimo (e altri movimenti di religioni elevate), in quanto il loro sviluppo procede in ogni caso da un'omologa situazione di crisi culturale. Ma distingue fra essi due tipi concreti di movimenti profetici ben differenziati: alcuni generati dall'urto e dalla reazione culturale fra civiltà a differente livello: sono i movimenti religiosi primitivi. Altri sono i movimenti scaturiti da un conflitto interno tra forze, istituzioni, classi facenti parte di un'unica cultura e società. I prodotti religiosi, in un caso e nell'altro, sono diversi: da un canto si hanno religioni immanentiste di rinnovamento, di lotta, d'azione politicamente impegnata; dall'altro si hanno religioni di salvezza trascendentiste, apolitiche, orientate fuori dal mondo.
Tali, in un caso preciso, i risultati del comparativismo storico
(4) DE BROSSES, Du culte des Dieux Fétiches, ou parallèle de l'ancienne religion de l'Égypte avec la religion actuelle de la Nigritie, Genève 1760.
(5) J. F. LAFITEAU, Moeurs des sauvages Américaines comparées aux moeurs des premiers temps, 1724.
(6) J. G. FRAZER, The golden Bough, London 1911 sgg. (voll. I-XII).
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dialettico. Il procedimento di comparazione-distinzione dovrà scendere poi gradualmente a una visione più particolare. Da un canto avremo il confronto fra Buddismo, Cristianesimo e altre religioni profetiche del mondo progredito, viste nei loro singoli concreti sviluppi: dall'altro avremo il confronto fra gruppi apparentati di profetismi primitivi, poi ancora fra uno ed altro movimento di un medesimo gruppo presi singolarmente. In tal modo si costruirà un quadro articolato e dinamico, insomma dialettico-storico di tutti i movimenti profetici nelle religioni dei popoli (6 bis).
Quanto all'altra delle due esigenze sopra accennate, cioè l'unione di etnologia e storia religiosa, questo ancora è uno dei punti salienti nella moderna scienza religiosa storicisticamente impegnata. V'è continuità fra le cosiddette civiltà primitive e progredite o moderne. L'antica discriminazione di « popoli di natura » (Naturvölker) e di popoli colti (Kulturvölker), di civiltà senza storia e con storia, è di gran lunga superata. Non v'è civiltà che non appartenga di diritto alla storia e che non sia a sua volta protagonista e autrice di storia, sia pure di storia non scritta. Il risveglio attuale dei popoli coloniali è una prova convincente della dinamicità insita nelle culture a livello etnologico. La dinamicità propria delle culture arretrate certo non è un prodotto d'importazione passiva dall'Europa o dall'America: anche se l'esperienza di contatto con i Bianchi e con i loro portati culturali ha operato come forza catalizzatrice del dinamismo interno di queste culture. Il rinnovamento e il risveglio delle civiltà più arretrate trova la sua continuità, il suo punto d'innesto nei processi dinamici di trasformazione, di adattamento, d'innovazione che seppur lenti hanno guidato lo sviluppo delle civiltà primitive, fin dalle fasi precedenti al contatto con i popoli di civiltà superiore.
E con ciò tocchiamo un altro, ultimo punto nella presentazione, che qui si vuol fare, della storia delle religioni nei suoi compiti
(6 bis) Nel mio volume in corso di stampa (Il mondo risorgerà: movimenti religiosi di libertà e di salvezza dei popoli oppressi, Milano, Feltrinelli) sono poste in particolare evidenza, secondo un criterio dialettico-comparativista, le origini culturali e storiche dei vari movimenti profetici a livello etnologico. Per la parte concernente le religioni progredite, tranne qualche cenno ivi contenuto, il lavoro resta da farsi.
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e problemi più attuali. La vita religiosa è soggetta a mutare, a trasformarsi: o altrimenti non sarebbe più vita. La religione, in contrapposizione con la pretesa conservatrice e tradizionalista insita nella sua stessa natura, si trasforma, si muove. Il suo dinamismo, per quanto lento, è continuo: ma a volte ha fasi movimentate e drammatiche. I movimenti profetici costituiscono proprio il documento più esplicito e — direi — clamoroso del dinamismo religioso nei suoi momenti più acuti. È il momento nel quale il sistema religioso tradizionale non soddisfa più, di fronte alle crisi culturali e sociali maturate nel tempo, i bisogni religiosi della comunità. Allora tutta la religione si rinnova; la tradizione religiosa fa un balzo in avanti, affronta i nuovi problemi, crea nuove vie di protezione e salvezza.
La Storia delle Religioni ha un compito significativo al riguardo. Essa dovrà saper discriminare, dall'analisi dei culti prof etici — o primitivi, ovvero altri quali Buddismo, Mosaismo, Cristianesimo, Islamismo, Taoismo, Zoroastrismo ecc. — quale e quanto è il corredo di miti e riti desunto dalla tradizione precedente: quali e quanti sono i temi religiosi nuovi: infine qual è il valore della nuova sintesi religiosa venutasi in tal modo a creare: quale la sua nuova funzione culturale.
Soltanto così si può fare e pensare una Storia delle Religioni: sottolineando, attraverso l'indagine concreta e comparativa, quel tanto che in ciascun movimento religioso è novità, è incremento, è progresso rispetto alla fase religiosa precedente.
Entro una visione unitaria, dinamica, storica della vita religiosa come qui abbiamo cercato di delineare sommariamente, si risolvono molte delle contraddizioni e dei limiti che compromettono la scienza religiosa odierna anche nell'opera di illustri e valorosi studiosi. C'è oggi, in pieno sviluppo, una fenomenologia religiosa (7), la quale ambisce di contrapporsi alla « storia delle religioni », e va alla ricerca di strutture religiose costanti e uniformi, cioè di valori eterni e metempirici, al di là delle variabili
(7) G. VAN DER LEEUW, La religion dans son essence et ses manifestations, Paris 1948.
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ed eterogenee formazioni religiose concrete. Pur movendosi da istanze in parte apprezzabili, essa finisce con l'unificare e confondere ciò che é fondamentalmente e originariamente disforme; essa inoltre sistematicamente ignora il premente rapporto che unisce la vita religiosa con la vita profana: essa infine trascura e sottovaluta il dinamismo proprio della vita religiosa.
Esiste oggi una morfologia religiosa (8), la quale tende a raccogliere e classificare, in distinti capitoli, forme e manifestazioni religiose che trovansi, nelle concrete civiltà, unite entro variabili sintesi storicamente determinate. Anche la morfologia religiosa ha il torto di obliterare il legame stringente che v'é tra sacro e profano, e rischia di confondere ciò che é « propedeutica » — la descrizione e classificazione — con quello che é sintesi di pensiero: la storia.
C'è infine una sociologia religiosa. Essa proviene per una parte dal sociologismo francese dei Comte, Durkheim, Lévy-Bruhl, Mauss e Hubert; per altra parte dalla sociologia religiosa tedesca di Max Weber, di Ernst Troeltsch, Joachim Wach, ecc. che a sua volta trova nello storicismo religioso moderno il suo sbocco più positivo. Oggi la sociologia religiosa va facendosi strada anche in Italia (9) con una certa autonomia di sviluppo. Essa ha fatto presa, sia all'estero che da noi, anche in campo cattolico, costituendo uno fra i più interessanti aspetti dell'attuale risveglio d'interesse per le scienze religiose nel mondo moderno. La sociologia religiosa é venuta prevalentemente orientandosi, oggi, verso lo studio dei fenomeni religiosi contemporanei, benché ciò non in modo esclusivo. Essa pone l'accento sulle interrelazioni fra società e religione, contribuendo ad illuminare i fatti religiosi nelle loro componenti sociali.
Fenomenologia, morfologia, sociologia religiosa, lungi dal poter costituire altrettante scienze autonome, contribuiscono ciascu-
(8) M. ELIADE, Traité d'Histoire des Religions, Paris 1949.
(9) Vedi il periodico « Sociologia religiosa », a cura di S. S. Acquaviva, Milano 1957 sgg. Un importante periodico di sociologia religiosa d'indirizzo laico è « Archives de Sociologie des Religions », Paris «Centre National de la Recherche scientifique », 1956 sgg.
SCIENZE RELIGIOSE E STORICISMO: NOTE E RIFLESSIONI 107
na per la sua parte a fornire utili servigi ad una scienza globale delle religioni, nella quale i fenomeni religiosi, la loro classificazione, lo studio dei loro riflessi sociali debbono accompagnarsi con lo studio dei vari rapporti fra religione e tutti gli altri vari elementi della civiltà, in un quadro comparativo e dinamico.
Dunque in una visione semovente e unitaria delle religioni quale solo la storia religiosa può offrirci, il passato e il presente reciprocamente s'illuminano, e del presente emergono gli elementi via via più nuovi e creativi. Nel contempo, il confronto con le civiltà religiose diverse dalla nostra ci aiuta a comprendere la nostra stessa nelle sue peculiarità, e anche a fissare alcuni limiti precisi della civiltà occidentale in genere.
Certo il momenta fenomenologico della religione interessa vivamente anche la storia delle religioni dinamisticamente intesa. Se vogliamo dare un senso alla vita religiosa, considerata in se stessa, essa anzitutto — come già si diceva -- esprime comunque un bisogno vitale di salvezza e di preservazione dalla morte: bisogno tanto più pressante nei momenti critici dell'esistenza individuale — nascita, malattia, calamità, morte ecc. — e nelle esperienze di rischiosità collettiva. Ma è un errore fermarsi a guardare la vita religiosa in sé stessa, come s'indulge per lo più a fare fra gli scienziati specialisti della storia religiosa tradizionale. La vita religiosa nelle sue concrete manifestazioni rappresenta precisamente il riscatto, su piano metastorico, di quel bisogno vitale che in essa trova nel contempo espressione. Pertanto il momento religioso vuole essere inteso come momento di provvisoria evasione dal mondo, determinato da un'esperienza di crisi e in funzione della liberazione individuale e collettiva verso l'operare profano economicamente, politicamente, esteticamente, moralmente impegnato. Quanta alla «crisi» in se stessa, è evidente quanto lo stesso suo concetto sia a sua volta legato al determinismo della storia e della cultura: in sostanza crisi si dà per ogni evento o momento che, in determinate condizioni storiche e culturali, sfugga al controllo laicamente operativo dell'uomo.
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In definitiva il momento religioso va per noi considerato in tre prospettive dinamicamente congiunte: in se stesso — cioè come forma di evasione mitico-rituale —, nel suo rapporto di genesi con una determinata esperienza di crisi (p. es. un evento funebre particolare; la malattia con la sua natura misteriosa per i primitivi; ovvero, nel mondo colto, una presa di posizione riflessa dell'individuo di fronte all'esistenza, ecc.); infine il momento religioso — dicevamo — va considerato nella sua f unzionalitá rispetto all'operare profano, che si realizza e si rende pienamente libero in virtù del congiunta momenta sacrale.
La salvezza é, in conclusione, il significato ultimo e la funzione primaria di ogni religione. Ci vien fatto di riandare a un concetto ancor troppo diffuso fino a tempi recenti, secondo il quale si usava, e si usa spesso ancor oggi parlare di « religioni di salvazione » come di un tipo particolare di formazioni religiose, antiche o moderne, pertinenti a culture relativamente elevate, e comunque estranee al mondo etnologico. Il pensiero va ai « misteri » dell'antichità greca, egizia, anatolica, mesopotamica; alla religione indiana delle Upanishad, alle religioni profetiche o messianiche come l'Ebraismo, il Cristianesimo, il Taoismo, il Buddismo nonché per certi aspetti alla religione eddica dei Germani antichi (10).
Ma secondo una visuale più larga, consapevole e aggiornata tutte le forme della vita religiosa dei « primitivi » assumono il loro pieno significato precisamente in quanto hanno una precisa funzione salvifica.
Non ci pare fuori di luogo qualche esempio concreto. La magia, esercitata dallo sciamano come medico o come fattucchiere — insomma come operatore di pratiche benefiche o malefiche — adempie in ultima istanza una funzione protettiva e salvifica. In particolare la stessa magia nera, in virtù della quale vengono a trovare una giustificazione a posteriori — nell'opera effettiva o pensata di alcuni stregoni — morbi ed eventi mortali altrimenti incontrollabili, è un complesso di pratiche, d'idee ed esperienze
(10) Indicativa del senso ristretto conferito, come da noi riferito, all'esperienza religiosa di « salvezza » è la voce Salvation della Hasting's Encyclopaedia of Religions and ethics, vol. 11, pp. 109-51.
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tradizionalizzate, volte a salvare da morbi o da morte gli individui: dal loro funesto effetto la società. Il « medico » o stregone, una volta operata la debita « inchiesta », individuata la causa (magica) del male o della morte, additerà il rimedio, organizzerà la vendetta contro il presunto operatore malefico. Tutto ciò varrà a ristabilire l'equilibrio bio-psicologico ed esistenziale della comunità danneggiata da agenti invisibili (11).
D'altra parte uno dei lineamenti più diffusi d'ogni formazione religiosa é il culto dei morti. Se ben si guarda il culto dei morti, specialmente — ma non unicamente — nelle forme più arcaiche ove esplicite si trovano certe componenti in parte offuscate o assorbite nelle civiltà religiose superiori, tale culto ha una sua funzione immediata, positiva, esistenziale, in rapporto al bisogno immanente di vita che in esso trova espressione. In effetti le forme,
i tempi, i modi rituali variabili che la tradizione sancisce per ottemperare alla religione dei morti, rispondono ad un'esigenza vitale del gruppo e degli individui: l'esigenza di fronteggiare la situazione di rischio che collettivamente e individualmente emana dall'evento luttuoso in quanto tale. Insomma, agli spiriti dei morti — dotati come tali di straordinario potere sovrannaturale — é attribuita — cosi come alle varie potenze sovrumane — una responsabilità nel bene e nel male, nelle cose prospere e avverse pendenti sulla esistenza degli uomini. Le cautele rituali verso i morti offrono da un lato un sistema di protezione dagli incontrollabili rischi incombenti sull'umanità, dall'altro lato una giustificazione a posteriori — come effetto di infrazioni alle norme rituali — di eventuali malanni e calamità. Non per nulla la mancata o imperfetta osservanza delle prescrizioni rituali verso i morti é causa determinante di perniciosi eventi, lutti ulteriori, malanni (12). La religione dei morti, lungi dall'esaurirsi in un mero significato etico-devozionale, sta a salvaguardare il più elementare degli umani bisogni, quello di vivere: vivere opponendo il proprio forte
(11) Vedi per questa interpretazione della magia A. P. ELKIN, The Australian Aborigines, London 1954 (trad. ital. Gli Aborigeni Australiani, Torino 1956, 282-92).
(12) Una ricca documentazione offre in tal senso J. G. FRAZER, The fear of the dead, London 1913. Vedi anche: Van der Leeuw, La religion, pp. 123 sgg.
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diniego alla morte. Né questo valore si perde nel Cristianesimo, che oppone una vita eterna, ultraterrena, spirituale alla morte corporea. Salvifico é dunque, in ultima istanza, il culto dei morti: in ogni sua manifestazione concreta: così come ogni e qualunque altra forma mitico-rituale, di cui si potrebbe, senza necessità, fare un'esemplificazione infinita.
I culti di libertà e di salvezza i quali fioriscono tra i popoli primitivi culturalmente, socialmente, politicamente oppressi, non sono che un'ulteriore, probante manifestazione della funzione protettiva e salvifica della vita religiosa in generale. Tanto più che la libertà propugnata in questi culti altro non é se non precisamente un momento particolare — il momento sociale-politico -- della salvezza in genere: ché l'esistenza storica, insomma la dignità culturale dei popoli, fuori da un libero processo di sviluppo e frustrati nella propria autonomia di scelta, é perduta: la salvezza vien meno.
Ma l'interesse più vivo di questi culti di libertà e di salvezza é ch'essi si contrappongono, variamente caso per caso, più o meno esplicitamente, alla tradizione religiosa: insomma al sistema religioso tradizionale. Essi avviano l'intera cultura ad un processo di trasformazione volto energicamente al futuro. Non per nulla si tratta di movimenti salvifici, laddove la tradizione all'opposto offre altrettanti sistemi, anch'essi protettivi e salvifici, ma tendenzialmente statici e conservatori. La differenza fra movimento e sistema religioso é tutt'altro che classificatoria ed astratta. Ci sembra anzi che sia fondamentale per intendere qualcosa della storia religiosa dei popoli in generale. Si tratta di una distinzione di natura ovviamente dialettica. Infatti non v'è sistema religioso, nel quale in qualsiasi sua fase non si annidino germi di trasformazione e sviluppo capaci all'occasione di maturare: né per converso si dànno movimenti religiosi avulsi dalla tradizione. Ché anzi, ogni movimento religioso tende a selezionare tratti precisi della tradizione, rifacendosi sistematicamente ad alcuni motivi fra i più arcaici di essa. Comunque, se per sistema religioso s'intende — com'è giusto intendere — il momento tendenzialmente statico e conservatore della storia religiosa d'ogni civiltà, i movimenti religiosi rappre-
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sentano per converso il momento tendenzialmente rinnovatore e dinamico.
Dallo studio dei movimenti di libertà e di salvezza dei popoli « primitivi » — e non solamente « primitivi » — si apre una luce notevole sui fattori che determinano l'esaurimento di un sistema religioso; sulle condizioni che ne impongono il rinnovamento: insomma sugli elementi di genesi e sviluppo dei movimenti salvifici: che sono per lo più movimenti profetici. Due esempi basteranno a spiegarci.
In Argentina, verso il 1870 una siccità prolungata, con conseguente carestia e fame, fu causa del diffondersi, fra gli Indios della zona di Buenos Aires, di un movimento profetico a cui diede il via un profeta, Solares, annunciando alle masse angosciate l'imminente liberazione dai coloni europei, l'avvento di un'età di abbondanza (13).
Nella Nuova Guinea olandese (baia di Geelwinck) il movimento Koreri esplodeva con violenza rivoluzionaria tra il 1938 e '43, fra gli indigeni delle isole Schouten. Il movimento era guidato da profeti locali, i quali fra l'altro annunciavano vicino il ritorno dell'eroe culturale della tradizione mitica indigena, apportatore di ricchezze inaudite. Al fondamento del movimento stava l'esperienza di urto e depauperamento súbito ad opera degli stranieri occupanti — in quel caso erano i Giapponesi —, ed esso era volto contro ogni forma di oppressione e asservimento. Tuttavia il detto movimento profetico indigenista e di liberazione, aveva dei precedenti nella storia locale. Erano sorti a più riprese, avanti al contatto dei Bianchi, movimenti profetici corrispondenti, nei quali si annunciava vicina l'èra del benessere e della ricchezza, con il ritorno dell'eroe culturale come salvatore della comunità. Al fondamento di questi movimenti più antichi non v'era un urto culturale o politico con civiltà straniere e oppressive; v'era bensì una condizione di suprema precarietà nella vita economica e insomma nel sostentamento del gruppo, verosimilmente dovuta all'aggra-
(13) LANTERNARI 1959, pp. 78-9.
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varsi di fattori ambientali, climatici, produttivi già di per sé oltremodo sfavorevoli.
Dai brevi esempi suddetti, altrove da me stesso raccolti insieme a cento e cento altri (14), si scorge che il rinnovamento della vita religiosa con formazione di movimenti profetici — parte legati alla tradizione, parte contrapposti ad essa con rielaborazione e riplasmazione di antichi temi, reinterpretazione e reintegrazione di nuovi (la massima parte dei movimenti generati da urto coi Bianchi reintegrano sincretisticamente vari elementi cristiani), il rinnovamento religioso — dicevamo — é promosso da una forza d'urto maturata da gravi esperienze calamitose e disgregatrici.
L'addensarsi di esperienze disgregatrici del genere, in gran parte dei casi — particolarmente se si tratta d'urto con civiltà egemoniche sopraffattrici — é aggravato da una congiunta crisi generale della cultura aborigena, e pone a sua volta in crisi il sistema religioso tradizionale. Cosicché, in questi momenti nodali formati dalle grandi crisi delle civiltà indigene, erompono con energia consapevole e salda quei germi di rinnovamento lentamente accumulati, repentinamente giunti a maturazione. In questi momenti il rinnovamento si esige immediato: senza di che la civiltà si esporrebbe a definitiva rovina. In questi momenti precisamente si ha la esatta misura della vitalità o meno di una tradizione religiosa: la quale può dall'interno, così come avviene fra le civiltà coloniali o « primitive », esperire nuove vie, trasformarsi, superare sé stessa in una suprema tensione che si esprime sostanzialmente in una ripresa dei valori mistici: ovvero può — come è spesso in Occidente — avviarsi a un declino tanto più manifesto ed esplicito, quanto più in essa si soffocano gli impulsi mistici e popolari di rinnovamento eventualmente affioranti, e quanto più fortemente fanno presa, nella cultura globalmente considerata, le forze consapevoli e libere del pensiero laico.
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(14) LANTERNARI, Il mondo risorgerà (in corso di stampa).
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(1) Si indicano qui alcune delle opere più consapevolmente ispirate allo storicismo, o di più immediato interesse per il nostro argomento.
 
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