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tipologia: Analitici; Id: 1472511


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Tipologia Periodico
Titolo Romano Bilenchi, Ancora sul romanzo
Responsabilità
Bilenchi, Romano+++
  • ente ; ente
  autore+++    
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Trascrizioni
Trascrizione Non markup - automatica:
ANCORA SUL ROMANZO*
1. — Chi parla di crisi del romanzo in quanto genere letterario si lascia, a mio parere, suggestionare dalla volgarizzazione oggi davvero inarrestabile del romanzo medesimo e dalla confusione che ne deriva; esperimenti tecnicistici, opere che appena si innalzano al livello di copioni cinematografici, resoconti di cronaca nera appena piú curati di quelli che si leggono sui giornali assediano il lettore da ogni parte e con lui il critico: e i lettori e i critici si disabituano dalla poesia e dall'arte e scambiano il cattivo col buono e viceversa. Inoltre chi parla di crisi spesso applica il concetto di contemporaneità in senso troppo restrittivo, dà una scorsa ai libri che escono di giorno in giorno e soltanto quelli finisce per considerare contemporanei, mentre la contemporaneità ha un raggio che, a mio parere, non può essere minore di un secolo. (Per esempio come non vedere la connessione che esiste fra una parte della narrativa moderna e il Meister, Volupté e Dominique scritti i primi due più di cento anni fa?). Vivendo di giorno in giorno perdiamo la prospettiva dell'attività letteraria nell'insieme e nei suoi varii campi, non riusciamo più a intendere l'origine di un lavoro definito, né i suoi sviluppi positivi, né la prospettiva che apre dinanzi a sé. Chi infine parla di crisi, e questo forse é l'errore piú notevole, ha un concetto rigido ed esteriore del romanzo in quanto genere letterario: pensa che il romanzo sia nato e si sia concluso nell'Ottocento e che non possa svincolarsi dalle caratteristiche che gli scrittori di quel secolo gli impressero. Ma il romanzo preesisteva all'Ottocento (i Greci, Petronio, Apuleio, i picareschi, Cervantes). Preesisteva ed esiste oggi. Io sono personalmente convinto che scrittori come Joyce, Lawrence, Kafka, Thomas Mann, Musil, Broch, Fitzgerald, Thomas Wolfe, Mauriac, Pasternak, Tomasi di
* V. le nostre «9 domande sul romanzo » in Nuovi Argomenti, n. 38-39, maggio-agosto 1959.
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Lampedusa sono scrittori della stessa importanza di un Flaubert o di un Turgenev. Se possiamo ancora accettare per buona l'idea che Henry James aveva del romanzo, cioè una rappresentazione della vita, una concorrenza con la vita, mi pare che gli scrittori che ho citato abbiano tutte le carte in regola.
È ovvio però che la vita cambia continuamente, che cambiano continuamente i rapporti fra l'individuo e il mondo oggettivo, tra la vita interiore e la vita pragmatica. Ma chi vorrebbe negare che un Joyce, un Proust, un Kafka abbiano camminato di pari passo con i cambiamenti che hanno saputo cogliere nella realtà storica del mondo? La nostra non è certamente una società felice, ma una società critica. Finite le società volte a risolvere collettivamente determinati problemi come lo furono il Medio Evo, il Rinascimento e anche, sia pure in modo piú contrastato e dibattuto, l'Ottocento borghese, l'artista si é oggi trovato a dovere affrontare individualmente, da sé solo, come se precedentemente nulla fosse stato fatto, come se tutto nascesse ora, la nozione stessa di vita in sé e nelle sue relazioni. Far ricadere questo senso di crisi della no- stra società su un solo genere letterario o su tutta l'arte, mi sembra assurdo. Si dovrà se mai dire che il carattere dell'arte del Novecento è proprio questo, ed è anche il carattere della sua spiritualità se ne ha una.
Osserviamo come Joyce rimette nel crogiuolo elementi vecchi e nuovi, per esempio la psicologia e il suo metodo. Egli distrugge nei suoi romanzi il dato cronaca così come lo aveva stabilito la narrativa dell'Ottocento, portando alle estreme conseguenze l'analisi per scavare nel profondo dell'uomo. Con questo procedimento toccò regioni inesplorate della psiche umana. Hemingway riporta la cronaca a tutti gli onori, ma ormai sfrondata dello « stato civile » ottocentesco e arricchita da quanto Joyce aveva scoperto e. reso insostituibile. Hemingway riesce oggettivamente a narrare-una storia suggerendo quella stessa psicologia dell'uomo attraverso= la cronaca. Questa é una delle avventure del romanzo moderno.. Ma è crisi questa ? Se si, é chiaro che l'arte vive di crisi, che ogni scrittore degno di questo nome mette in crisi quanto é stato fatto prima di lui. Non esisterà mica per caso un « regime del roman--
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zo » ? Dunque a me sembra che il romanzo continui ad avere una sua storia.
E questo ragionamento si potrebbe fare per tutte le arti. Pittori come Picasso, Rosai, Morandi, Matisse, Braque, Klee, poeti come Machado, Guillén, Esenin, Pasternak, Éluard, Montale, Ungaretti, Luzi, e nel campo cinematografico Chaplin, Eisenstein, Clair (il Novecento ha creato perfino una nuova arte) lo provano chiaramente.
2. — Non vedo intorno a me romanzi saggistici. Neppure il romanzo di Musil, L'uomo senza qualità, è a mio parere un romanzo saggistico. Ma in base a quali argomenti giudicate il romanzo di Musil un romanzo saggistico ? A me sembra un romanzo, una grande opera d'arte, senza aggettivi. Questo romanzo é una pura rappresentazione, in cui il flusso vitale, la intrinseca verità che vuole esprimere e che si fa strada di pagina in pagina sono strettamente uniti alle cose che Musil vuol far parlare, vuol rappresentare. (Come debbo vivere, si chiede l'uomo sprovvisto di quella qualità che la società esige da lui; verità non ricercata sag-gisticamente ma appunto espressa rappresentando direttamente quella società in una serie di episodi centrati nella sua stessa essenza). Forse pensate che sia un romanzo saggistico, come altri lo pensano del Doctor Faustus di Thomas Mann, per lo stile, il linguaggio con cui questo libro è stato scritto? Ebbene, sia Musil che Thomas Mann dimostrano una verità molto semplice: si può attingere a qualsiasi linguaggio, a quello scientifico, burocratico, allo stesso linguaggio della critica musicale per fabbricare un tessuto poetico-narrativo. Il linguaggio di Musil e quello di Thomas Mann fanno parte del loro stile, del loro modo di rappresentare. Chiedete un parere a Hemingway. Sono certo che Mann e Musil avevano pensato a questa obiezione: e se fossero qui con noi chi sa quanto riderebbero delle nostre chiacchiere. Ne riderebbero insieme con Hemingway.
3. — Ho letto i libri di Butor, di Robbe-Grillet, di Nathalie Serraute. Ho anche letto un saggio di Robbe-Grillet apparso sulla
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« Nouvelle Revue Française » e una serie di articoli programmatici da lui scritti per « France-Observateur ». Questi articoli potevano essere accettabili: uno scrittore può benissimo partire da certi risultati raggiunti da Joyce e spingersi oltre lungo una direttrice prestabilita, ma le realizzazioni narrative di questo scrittore che passa per un caposcuola mi sembrano deludenti. Anche i romanzi di Robbe-Grillet non sono che dichiarazioni programmatiche in cui mi è stato impossibile rintracciare il volto di uno scrittore, una necessità interiore di esprimersi, un tessuto narrativo che renda vero e indispensabile quanta si vorrebbe rappresentare. Si, è cambiato il rapporto tra l'individuo e il mondo oggettivo, tra la vita interiore e la vita pragmatica, rapporta che nell'Ottocento classico (Balzac, Stendhal e anche Tolstoj se vogliamo) si esauriva nella socialità. Ma gli « oggetti » di questi scrittori francesi che cosa ci dicono dell'uomo contemporaneo e, quel che più conta, dell'uomo in genere ? I loro libri hanno tutta l'ingenuità e la presunzione di una formuletta trovata e puntigliosamente applicata. E il principio della riduzione del mondo alla pura visività, questa negazione di qualunque potere di comunicazione, questo rifiuto della storia dell'uomo e della sua interpretazione come se egli fosse un bacillo o un marziano, a me sembrano gravissimi dal punto di vista spirituale anche prima che artistico e di una gret- tezza a cui non trovo riscontro in nessuna tradizione letteraria.
Spesso la psicologia cacciata dalla porta è rientrata dalla finestra sotto varie forme: ogni volta che la rappresentazione dell'uomo è voluta andare in profondo.
4. — Non bisogna far confusione fra autobiografia nuda e cruda e romanza o racconto. L'io dei veri scrittori di oggi ha lo stesso valore dell'io di Moll Flanders: è un'invenzione poetica come un'altra.
5. — Non ho mai compreso che cosa volesse significare la formula « realismo socialista ». Nei suoi termini stessi mi sembra ci sia una contraddizione fondamentale. Come si pub essere realisti e basarsi su una sola situazione ignorando le altre, basarsi su deter-
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minati individui e fingere che gli altri non esistano, insomma basarsi su una fetta, sia pur grande, di mondo, e ignorare il resto ? Se ad esempio confrontiamo il panorama dell'Unione Sovietica come ci è stato tracciato da Kruscev nel suo famoso rapporto —e anche in precedenti scritti e discorsi di dirigenti sovietici — con la letteratura sovietica di quel periodo, non vedo proprio come si possa parlare di realismo. Non conosco purtroppo la lingua russa, ma ho letto molti libri sovietici tradotti nelle lingue occidentali. Da questi libri risulta una situazione piatta, uniforme, stucchevole che non corrisponde alla complessa realtà della società sovietica e alle sue, almeno per ora, incancellabili contraddizioni. Questi libri appartengono a una letteratura accademica, agiografica, indegna della Rivoluzione bolscevica, dell'apporto che essa ha dato alla liberazione dei popoli, indegna degli stessi immani sforzi che hanno compiuto e stanno compiendo i popoli dell'Unione Sovietica. Anche chi si giova di una formula letteraria in cui il credo politico ha un'importanza preminente, deve ammettere che i risultati sono davvero ben poca cosa. Diceva Gramsci:
Che l'uomo politico faccia una pressione perché l'arte del suo tempo esprima un determinato mondo culturale é attività politica, non di critica artistica; se il mondo culturale per il quale si lotta é un fatto vivente e necessario, la sua espansività sarà irresistibile, esso troverà i suoi artisti. Ma se nonostante la pressione questa irresistibilità non si vede e non opera, significa che si trattava di un mondo fittizio e posticcio, elucubrazione cartacea di mediocri che si lamentano che gli uomini di maggior statura non siano d'accordo con loro ». A stare ai risultati letterari ufficiali e ufficiosi, prodotto della pressione del partito, si direbbe che la politica sovietica sia elucubrazione cartacea di mediocri. Per fortuna ci sono un Olesa, un Babel, un Pasternak, i grandi scienziati di oggi che ci dicono che la realtà sovietica é una realtà complessa e seria.
Al giorno d'oggi un vero movimento letterario utile al mondo é quello dei giovani narratori spagnoli. Non solo é valido poeticamente poiché questi scrittori puntano sul romanzo come universo, ma anche socialmente. Non é susseguente ad alcun avve-
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nimento, ma del tutto spontaneo. La realtà spagnola che questi narratori rappresentano non é quella di Franco, della falange, dei banchieri, dei latifondisti e dei preti. Essi preanunciano qualcosa che in Spagna dovrà pure accadere.
Nessuno scrittore sovietico ha mai pubblicato che io sappia un libro che auspicasse il ritorno alla democrazia socialista. Gli stessi romanzi usciti dopo la cosiddetta destalinizzazione e che hanno fatto molto chiasso anche da noi mi sembrano contenere solo quel tanto di critica e di verità che fa comodo alla burocrazia.
6. " — Non esiste scrittore degno di questo nome che voglia intenzionalmente soffocare con il suo esercizio l'evidenza delle cose. Il risultato potrà anche essere l'opposto di quello che egli si é prefisso, ma ciò non può dipendere da una scelta deliberata.
7. — Esiste un problema della lingua anche nella nostra narrativa, ma non mi sembra che questo problema sia stato, non dico risolto, ma neppure impostato in questo dopoguerra. La più vistosa fra le esperienze odierne e quella che desta maggior clamore é proprio il ricorso al dialetto. A mio parere scrivere in dialetto costituisce un'autentica evasione dalla realtà attuale. Il dialetto é immobile, insufficiente ad affrontare la molteplicità della vita moderna. Tutto al più può servire a fotografare frammenti e rende impossibili quelle operazioni di sintesi che sostengono le grandi opere di questi ultimi tempi: Doctor Faustus, L'uomo senza qualità, Il dottor Zivago, Il gattopardo e in un certo senso anche Conversazione in Sicilia di Vittorini.
Nessuno, del resto, fino ad oggi é riuscito ad autentificare con la sua necessarietà il dialetto come fece Gioacchino Belli, tanto per citare il nome più spesso invocato a giustificazione. Ma il Belli espresse dialettalmente una realtà dialettale, mentre l'uso del dialetto oggi é proposto come soluzione linguistica generale. Ci sarebbe inoltre da osservare che mentre il dialetto trovò la sua sanzione nell'ideologia romantica e nel suo miraggio di una espressione immediata e anteriore alla cultura, il caso di scrittori in lingua, colti, dedicatisi all'apprendimento di uno o più dia-
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letti fa storcere il naso e segna, forse, una regressione verso il giuoco letterario e l'esperimento caro ai tanti linguaioli dei secoli passati. Un Belli strappò al dialetto il suo substrato epico popolaresco e lo elevò a linguaggio universale. Oggi gli scrittori che applicano il dialetto mirano tutt'al più a piccoli effetti di verisimi-glianza d'ambiente che nulla hanno a che vedere con il realismo.
8. — Che concetto avete della storia? Credete voi che in Guerra e pace contino più le descrizioni delle battaglie e le sparate di Tolstoj contra Napoleone che i rapporti del principe An-drej con la moglie, il babbo, la sorella, Natascia, Pierre, ecc. ecc.? Che nei Promessi sposi contino più le descrizioni dei tumulti di Milano, della peste che i rapporti fra Renzo e Lucia? Sarebbe come dar ragione a un Robbe-Grillet.
9. — Sono molti. Ve ne indicherò soltanto qualcuno: Pe-tronio, Cervantes, Goethe, Hawthorne, Dostoevskij, Melville, Sainte-Beuve, James, Puskin, Tolstoj, Gogol, Fromentin, Manzoni, Nievo, Verga, Kafka, Thomas Mann, Alain-Fournier, Musil, Brach, Mauriac, Tomasi di Lampedusa. Essi, sia pure in maniera diversa e con risultati diversi, hanno scritto romanzi che corrispondono a quello che pensa debba essere un romanzo. E lasciatemi citare Cechov, sebbene sia stato tanto avveduto da non scrivere veri e propri romanzi.
P.S. — Scusate la fretta e questo mio ragionare sotto forma di appunti. Noi italiani, nella maggior parte, siamo oggi cattivi teorici, e io sono forse peggiore di tutti.
ROMANO BILENCHI
 
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in: Catalogo KBD Periodici; Id: 32296+++
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Testata/Serie/Edizione Nuovi Argomenti | Prima serie diretta da Alberto Moravia e Alberto Carocci | Edizione unica
Riferimento ISBD Nuovi argomenti : Rivista bimestrale. - N.1 (1953)-. - Roma [distribuzione Torino] : [s.n., distribuzione Einaudi], 1953-. - v. ; 23 cm (( La periodicità è variata più volte: la prima serie esce con periodicità irregolare, dal 1976 trimestrale. La prima serie si conclude con il n.69/71 (Luglio-Dicembre 1964 ma pubblicato nel marzo 1965), nel 1966 inizia la nuova serie che termina con il n.67 68 (1980), nel 1982 la terza serie che termina con il n.50 (apr. giu. 1994) ed inizia la quarta serie con il n.1 ... {Nuovi argomenti [rivista, 1953-]}+++
Data pubblicazione Anno: 1960 Mese: 1 Giorno: 1
Numero 42
Titolo KBD-Periodici: Nuovi Argomenti 1960 - 1 - 1 - numero 42


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