Area della trascrizione e della traduzione metatestualeTrascrizioni | Trascrizione Non markup - automatica: GUIDO PIOVENE 1. — Se per « romanziere nato » si intende una persona che trova un naturale piacere nel raccontare i fatti, che vede il mondo come un vivaio di « storie », che si interessa nella realtà solo quand'è « incarnata » in modo intero ed estremo, io non sono certo tale. Scrivere un romanzo per me ha sempre costituito uno sforzo, direi un'impresa eccezionale. Ma quell'impresa eccezionale, ben più delle altre che mi sono normali, è per me decisiva. La mia formazione è lirico-filosofica; ancora oggi le mie letture sono, in prevalenza, libri di versi e saggi. I romanzi per lo più mi annoiano. Li finisco di rado, o li finisco per pigrizia. La mia immaginazione è d'impianto intellettuale con intermezzi lirici. Eppure sarei insoddisfatto se cercassi di esprimermi solamente coi saggi. Cerco di riservare il meglio per alcuni romanzi scritti, si noti 9 DOMANDE SUL ROMANZO 49 bene, incidentalmente, non professionalmente. La forma e la tecnica romanzesca mi sembrano indispensabili per dire pienamente quello che voglio. « Adopero » il romanzo. Ho detto questo per togliere ogni pretesa di valore assoluto allè idee che esporrò in seguito. Esse sono la media delle mie convin-zioni e della mia indole. Ma per me hanno un valore assoluto; come tali perciò le espongo. 2. — Quasi tutti i romanzieri che ammiro di piú, non soltanto oggi, ma da alcuni decenni, si trovano in condizioni non molto diverse. Quasi tutti « adorano » il romanzo, e rivelano un certo sforzo. (E di qui nasce l'opinione che il romanzo sia in crisi). Ma hanno bisogno del romanzo per esprimersi pienamente. Il motivo é che oggi l'interesse più forte é «valutare » la realtà come si presenta nei suoi nuovi ed inconsueti aspetti. Non dimentico l'altro interesse di uno scrittore moderno, quello cioè di entrare nella realtà come elemento attivo, propulsore, con la propria opera. Ma le due fasi, valutazione intellettuale e partecipazione attiva, si possono distinguere solamente in astratto. Valutare i fatti è già agirvi, e una letteratura veramente attiva è sempre una letteratura di idee. Non vedo come uno scrittore (un romanziere) d'oggi possa rinunciare ad essere, nel tempo stesso, un moralista, un psicologo, un sociologo, uno storico, ecc. E ad esserlo in maniera esplicita. Quando mi affermano che si possono « calare », « sciogliere » le proprie idee nella semplice rappresentazione, mi viene francamente da ridere. Perfino Dante (al quale premono le idee) è spesso costretto a interrompere la narrazione per ragionarvi sopra. L'interesse che muove un romanziere moderno mi sembra dunque soprattutto di valutazione e di scoperta (vorrei sottolineare anche la seconda parola; non vi è grande romanziere moderno la cui opera non contenga vere e proprie scoperte traducibili anche incontesti diversi da quelli del romanzo). Queste osservazioni però sarebbero incomplete senza aggiungerne un'altra. La dottrina estetica che chiamerei delle « trasposizioni » mi sembra distrutta. Fino a ieri i critici ci hanno predicato che la psicologia, la filosofia, la sociologia, ecc., andavano bene in un romanzo, ma come antefatto, purché fossero poi « trasposte », « trasformate in arte ». Non ho mai 50 GUIDO PIOVENE ben capito che cosa intendessero dire. Non poteva uscirne che una realtà dimezzata. Un ragionamento filosofico, un'indagine psicologica, ecc., o sono presentati nella loro forma più propria, più naturale, più diretta, o non sono più nulla. Il mondo è composto di uomini e di fatti, e di riflessioni sugli uomini e sui fatti. Non vedo perché un mondo artistico, oltreché rappresentato, non dovrebbe essere anche « cogitante », non dovrebbe cioè portare seco la sua fascia di pensiero. E perché questa dovrebbe essere mascherata, trasposta, trasformata.' Specie in tempi problematici come i nostri, in cui la riflessione occupa, dì necessità, il primo piano. Se ben si guarda, poi, il vero e grande romanzo moderno soppianta il sistema filosofico e ne compie la funzione. È filosofia sul concreto, sull'esperienza. Se non si capisce questo, a mio parere, si può continuare a scrivere romanzi, ma sapendo di scrivere opere già. secondarie in partenza; e già rassegnati a vedere il romanzo sostituito, almeno come genere « maggiore » , da opere più interessanti. 3. — Se è così, perché non scrivere puri e. semplici saggi ? La parte romanzesca, più propriamente artistica, non diventa un pleo-nasma, un'appendice, un'illustrazione, una coloritura superflua ? È l'obiezione più corrente, ma, esaminandola bene, superficiale. Anzitutto il romanzo, anche dal lato saggistico, non è un saggio, ma una tastiera di saggi, che possono toccare gli argomenti più diversi, e comporre un vero e proprio sistema di valutazione della realtà nei suoi diversi aspetti. Il romanzo stabilisce tra loro un collegamento vivo (un soffio circolare) che non potrebbero trovare altrimenti; ci obbliga ad essere saggisti su una realtà concreta, cioè. multiforme. Inoltre: ciò che noi chiamiamo fantasia, invenzione,.. intuizione, ecc., non illustra ma aggiunge. Anche questi sono strumenti, insostituibili, di conoscenza, hanno per obiettivo la verità. La metafora non è mai semplicemente esplicativa, ma sempre aggiuntiva. Ancora: il romanzo capta anche l'emozione lirica, cioè anche la parte più soggettiva, più individuale nell'uomo, ne segna la presenza nella realtà, che senza di questo rimarrebbe parziale. Non esiste vero grande romanzo che non contenga pagine di abbandono poetico accanto a quelle saggistico-ragionative. Il vero sag 9 DOMANDE SUL ROMANZO 51 gista « adopera » il romanzo perché solo esso gli consente di raggiungere tutti i propri scopi. 4. — È implicito in questo il motivo per cui i romanzi moderni « sono scritti sempre meno in terza persona, sempre più in prima persona », che « tende sempre più ad essere la voce stessa dell'autore ». Perché l'interesse prevalente é quello di « valutare », e la rappresentazione é soprattutto un mezzo a quel fine. Si ha lo strumento di misura (la mente dello scrittore) e la sua esperienza; tutto il resto sembra superfluo; si va per la via più spiccia. Quando io trasferisco me stesso in un personaggio fittizio, o mi suddivido in parecchi personaggi fittizi, non soltanto rischio di complicare e intorbidare l'esposizione ragionata della mia esperienza, ma anche di snaturarla. Attribuendo a Tizio e a Caio esperienze e pensieri miei, devo sforzarli per ridurli alla loro misura, adattarli, almeno parzialmente, alla loro realtà di personaggi autonomi o semiautonomi, con una realtà familiare, sociale, professionale, un passato, un aspetto fisico, una cultura, ecc., che non possono essere esattamente i miei. Sarò costretto a parlare in falsetto. Il mio romanzo quasi sempre riuscirà un compromesso, un ibrido, tra la relazione ragionata della mia esperienza, e le esigenze di quei personaggi semiautonomi, troppo evidentemente manovrati da me, maschere di me stesso, che non riusciranno mai né ad essere personaggi pienamente reali, né ad adempiere veramente bene l'ufficio di portavoce. Questo vale, s'intende, per i casi in cui l'interesse principale del romanziere sia « saggistico ». Il prevalere dei romanzi in prima persona é una riprova del predominio degli interessi saggistici nei romanzieri d'oggi. Devo per) aggiungere che il romanzo in prima persona consente di rado, anche in linea saggistica, effetti completi e « totali ». A meno che quella « prima persona » appaia soltanto come un filo conduttore, un occhio che vede, una coscienza che riordina, procedendo in un mondo veramente complesso. - 5. — Inutile adesso rispondere per esteso ad alcune altre domande. Per esempio é chiaro che la scuola narrativa francese di cui fanno parte Butor e gli altri non può attrarmi molto. In generale, detesto tutto ciò che sa di letteratura sperimentale, che si propone direttamente problemi di linguaggio o di tecnica, oppure vuole me- v 52 GUIDO PIOVENE nomare la realtà di una sua parte indispensabile. Perché far parlare solo gli oggetti, se v'è anche un soggetto? Perché una realtà puramente visiva? Tutto questo non ha senso. Per me il grande romanzo è un tentativo di nuovo riordinamento dell'esperienza; la novità consiste nelle idee che conducono il romanziere, nella qualità dell'esperienza, negli strumenti culturali ch'egli adopera per misurarla. È chiaro poi che scrittori come Mann, come Musil (e, fuori di qualsiasi polemica, Pasternak) mi interessano più degli altri. Trova Hemingway un grande scrittore, ma devo confessare che mi annoia un poco, non ho mai una vera voglia di leggerlo. A mio parere, il grande romanzo ottocentesco, dei Tolstoi, dei Dostoievski, ecc. (tra gli italiani il Nievo) ha segnato la strada, appunto perché insegna ad includere senza paura, con la rappresentazione dei fatti, mescolandoli ad essi, saggi di carattere storico, sociologico, religioso, psicologico, filosofico, ecc., facendo così del romanzo uno strumento soggettivo-oggettivo (e attivo) di esperienza e di conoscenza totali. Il romanzo d'oggi, io penso, deve distinguersi da quei grandi modelli per approfondimento, grazie ai nuovi strumenti culturali acquisiti; per una maggiore coerenza « saggistica » tra le parti, per una maggiore nettezza nelle conclusioni, in conformità al carattere più « razionale » che vorremmo imprimere al nostro tempo e di cui il nostro tempo necessita. 6. — In direzione opposta va chi include il dialetto tra gli strumenti-base della sua espressione. Tra l'altro ha per me una grave pecca, quella di rendere più difficile la comunicazione, di condannare il proprio libro a essere meno traducibile, ossia meno universale. Non uso questa parola in senso idealistico, ma concreto; universale è per me il libro che può essere quasi egualmente apprezzato in Italia o in Australia. Il dialetto impedisce a due dei nostri maggiori poeti, il Belli e il Porta, di andare oltre i confini; non riesco a capire perché dobbiamo ripetere quest'avventura proprio oggi che il problema della comunicazione è dominante. Inoltre, il « dialettale » è quasi sempre costretto a rappresentare soltanto esseri intellettualmente e culturalmente elementari; e il « dialettalismo » fa parte della tendenza a trasformare la nostra letteratura in una specie di grande Cottolengo delle anime e dei corpi. I suoi pregi sono l'efficacia espressiva, la vivacità, l'immediatezza; mi chiedo però se siano oggi i pregi a cui dobbiamo dare la precedenza, o se non sia questo uno dei tanti modi escogitati dalla nostra letteratura per evitare l'appuntamento col « romanzo d'idee ». 7. — Ammetto che alcuni dei migliori romanzi italiani d'oggi sono sulla linea « dialettale ». Non posso fare a meno, leggendoli, di ammirarli. Mi domando però se, nonostante tutto, non siamo ancora con essi sulla linea italiana tipica (che trovò in Croce una sua estetica) con la sua demarcazione netta tra arte e filosofia, tra rappresentazione e cultura. Forse le mie osservazioni si intonano male con le tendenze dominanti, ieri come oggi, nella letteratura italiana, che ha sempre eluso, in un modo o nell'altro, quell'appuntamento, magari con pretesti di carattere politico-ideologico (esempio il neorealismo); e ha sempre cercato soprattutto pregi di evidenza, vivacità, immediatezza, corposità, ecc. (E perciò, a mio parere, producendo eccellenti romanzi, è così poco propulsiva, così sussidiaria). GUIDO PIOVENE
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