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tipologia: Analitici; Id: 1472491


Area del titolo e responsabilità
Tipologia Periodico
Titolo (9 Domande sul romanzo) Pier Paolo Pasolini
Responsabilità
Pasolini, Pier Paolo+++
  • ente ; ente
  autore+++    
Area della trascrizione e della traduzione metatestuale
Trascrizioni
Trascrizione Non markup - automatica:
PIER PAOLO PASOLINI
1) Credo al secondo corno del dilemma. Ma questo corno si dirama in due altri corni: esiste una crisi intrinseca al mondo borghese (quella che ha dato le avanguardie, le rivolte anarchiche, l'anti-borghesismo dei borghesi scapigliati, finiti ecc.): e di tale crisi si parlava in termini irrazionali, raziocinanti, metastorici e esistenziali già da prima della guerra (per es. su «Primato »).
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Ed esiste una seconda crisi, dovuta alla presenza di una ideologia diversa che si oppone, come rivoluzionaria, a quel mondo borghese.
In sede letteraria, questa crisi n. 2, che é quella che importa, consiste in un contrasto tra momento individuale e momento sociale dell'arte, tra introversione, intimismo e misticismo, da una parte, estroversione, vita di relazione, razionalismo, dall'altra.
Guardo dunque di cattivo occhio l'espressione « crisi generale di tutte le arti » perché mi pare usata col vecchio tono italico-occidentale : la crisi è delle culture e delle ideologie, non delle arti.
Credo dunque: che ci sia una crisi del romanzo in quanto il romanzo partecipa della crisi più generale del mondo economico in cui operiamo.
2) Prevalenza del « romanzo saggistico » ? Neanche per idea: il romanzo saggistico mi sembra un modo per sfuggire alla vera difficoltà, che é quella di tradurre il saggio (che qui é pronunciato ancora in tono leggermente novecentesco, mentre io assumo il termine a un più intero e razionale significato ideologico o sociologico) in romanzo. Il romanzo non può essere che pura rappresentazione: il significato ideologico o sociologico, deve esser mediato dalla fisicità più immediata.
3) Ripeto: immediata fisicità: ossia personaggio in azione, paesaggio in funzione, violenta e assoluta mimesi ambientale.
Non ho ancora letto Butor e gli altri: credo però — con loro solo estrinsecamente — alla legge della realtà « puramente visiva » (e acustica, tattile, olfattiva): mi sembra idiota, tuttavia, voltare le spalle alla psicologia. Può essere che la psicologia intesa come analisi dei sentimenti dell'anima bella (Proust, dulcis memoria...) abbia stancato i proustiani, si sia esaurita, nella lunga serie degli atti evocativi...
Ma il termine « psicologia » ha un significato capacissimo, implicante nozioni lontane. In quanto autore, io non intendo affatto voltarle le spalle: fondamentalmente sociologica, la psicologia dei miei personaggi, vuol essere sempre li, a governare, onni-
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presente e invisibile, quella pura fisicità dei fatti, delle azioni, delle parole.
4) Penso che il romanzo debba essere necessariamente oggettivo: l'autore borghese non ne ha forse più gli strumenti, per farlo, perduti col senso della propria storicità, svaporati nella metastoria intimistico-stilistica.
Essere oggettivo, per), non significa essere ottocentesco: al positivismo generico che presiedeva al realismo di quel secolo, si è ora sostituita una ben precisa filosofia: quella marxista. La visione oggettiva di un personaggio, di un ambiente, di una classe sociale, che ne deriva, non può essere che diversa e nuova.
5) Di quello che è stato fatto concretamente, in Russia o in in Italia, non ho letto molto, e non ne penso bene. Invece del « realismo socialista » come formula ancora ideale, da precisarsi nella teoria, da realizzarsi — penso che sia l'unica possibile ipo- tesi di lavoro. Per una ragione molto semplice: il socialismo è l'unico metodo di conoscenza che consenta di porsi in un rapporto oggettivo e razionale col mondo.
Tutte le filosofie attuali sulla piazza capitalistica sono irrazionali, inoggettive, disperate misticheggianti: oppure sono, esse si, una sopravvivenza positivistica.
6) Le cose non parlano: lasciar parlare le cose non significa nulla. Rispondendo alla seconda e alla terza domanda, io stesso, è vero, dicevo che il romanzo deve essere pura, immediata, violenta fisicità : e questa potrebbe parere una variante del « far parlare le cose », appunto: ma solo verbalmente. Io non attribuivo, al linguaggio delle cose, qualità meccaniche o magiche: ma un significato storico, inconscio esteticamente e irriflesso: e, con ciò, niente affatto irrelato. La vita pratica anche più misera si svolge sempre a un livello culturale: e, previa a ogni operazione estetica, ha da essere quell'operazione ideologica su cui ho qui spesso insistito.
Ma questo è il problema: conciliare una ideologia nuova con un mondo stilistico già collaudato, assimilato. Perché nel « far parlare le cose » (nel senso che dico io) cessa l'operare del filosofo, del sociologo, dello psicologo, e interviene l'operare letterario specialistico, tecnico. Come, allora, conciliare una visione oggettiva, ra-
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zionale, del mondo, una prospettiva ideologica — con la visione soggettiva, irrazionale, che l'invenzione stilistica comporta necessariamente ?
L'unico punto in cui Adorno fa centro della sua polemica con Lukacs é proprio questo: il problema della cristallizzazione e della sopravvivenza di un mondo stilistico in un mondo ideologico nuovo, prospettivistico: ed è in tali termini che si pone anche meglio, in vitro, il contrasto tra decadentismo e realismo.
Ma non è questa la sede per un discorso così ampio: e scendo alle mie soluzioni personali. Nell'atto pratico, praticamente descritto, per me la questione si pone secondo questo schema: per far parlare le cose, bisogna ricorrere a una operazione regressiva: infatti le « cose » — e gli uomini che ci vivono immersi, sia proletari, nelle « cose » intese come lavoro, lotta per la vita — sia borghesi, nelle « cose » intese come totalità e compattezza di un livello culturale — si trovano dietro allo scrittore-filosofo, allo scrittore-ideologo.
Tale operazione regressiva si traduce quindi in una operazione mimetica (dato che i personaggi usano un altro linguaggio, rispetto a quello dello scrittore, atto a esprimere un altro mondo psicologico e culturale).
L'operazione mimetica é poi l'operazione che richiede le più abili e accanite ricerche stilistiche (data la necessaria contaminazione di linguaggi, quello del narratore e quello del personaggio, lingua e dialetto ecc.).
Sicché risponderei, in conclusione: bisogna, certo, lasciar parlare, fisicamente, immediatamente, le cose: ma per «lasciar parlare le cose », occorre « essere scrittori, e anche perfino vistosamente scrittori » .
7) Ci sono degli stupidi, superficiali e confusionari, che hanno delle idee chiare su questo problema. Tuttavia anche uno stupido potrebbe almeno capire che la lingua non è che un mezzo. Non voglio dire — con chi crede, novecentescamente, all'ineffabilità, alla tautologia del linguaggio — che tutto si può esprimere in tutti i modi: che in una poesiola di Di Giacomo c'é più carica espres- siva che in cento utenti di lingua cattolica apostolica romana o
nazional-popolare. Non voglio dire questo. Comunque al buon senso, una volta tanto, mi vorrei attaccare: se il personaggio e l'ambiente scelti sono popolari, il romanziere usi o totalmente o parzialmente il dialetto, se il personaggio e l'ambiente scelti sono borghesi, il romanziere usi la koinè: vedrà che non sbaglia. La lingua è, si, il linguaggio della cultura, ma nel suo momento ideologico, scientifico e filosofico: non nel suo momento rappresentativo o stilistico. Con questo non impongo una scelta: è chiaro: chi prima avrà meglio pensato in lingua, meglio si esprimerà oltre che in lingua, anche in dialetto.
8) Trovo questa domanda formulata un po' assurdamente: tuttavia è chiaro, da quanto ho semi-oralmente detto fin qui, che io credo soltanto nel romanzo « storico » e « nazionale », nel senso di « oggettivo » e « tipico ». Non vedo come pòssano esisterne d'altro genere, dato che « destini e vicende puramente individuali e fuori dal tempo storico » per me non esistono: che marxista sarei ?
PIER PAOLO PASOLINI
 
Trascrizione secondaria non visualizzabile dall'utente 


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in: Catalogo KBD Periodici; Id: 32293+++
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Area unica
Testata/Serie/Edizione Nuovi Argomenti | Prima serie diretta da Alberto Moravia e Alberto Carocci | Edizione unica
Riferimento ISBD Nuovi argomenti : Rivista bimestrale. - N.1 (1953)-. - Roma [distribuzione Torino] : [s.n., distribuzione Einaudi], 1953-. - v. ; 23 cm (( La periodicità è variata più volte: la prima serie esce con periodicità irregolare, dal 1976 trimestrale. La prima serie si conclude con il n.69/71 (Luglio-Dicembre 1964 ma pubblicato nel marzo 1965), nel 1966 inizia la nuova serie che termina con il n.67 68 (1980), nel 1982 la terza serie che termina con il n.50 (apr. giu. 1994) ed inizia la quarta serie con il n.1 ... {Nuovi argomenti [rivista, 1953-]}+++
Data pubblicazione Anno: 1959 Mese: 5 Giorno: 1
Numero 38
Titolo KBD-Periodici: Nuovi Argomenti 1959 - 5 - 1 - numero 38


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