Area della trascrizione e della traduzione metatestualeTrascrizioni | Trascrizione Non markup - automatica: FORMA E VERITA DEL MITO Conservo fra le mie carte più preziose una lettera del Croce di cinquant'anni fa (20 giugno 1909). Avevo letto l'Estetica, e mi era venuta l'idea di mandargli un mio articolo comparso nella a Rivista di Filologia e d'Istruzione classica », che trattava della figura e del mito greco di Filottete, dandone una interpretazione alla quale oggi non mi sentirei di sottoscrivere. Il Croce mi rispose gentilmente così: a La ringrazio del Suo opuscolo, e mi sono rallegrato nel leggerlo, vedendo l'avviamento nuovo che Ella dà allo studio dei miti. Certamente il mito non è arte; perché vi si unisce sempre un elemento intellettivo (logico-storico); ma, consistendo appunto in un miscuglio di arte e di pensiero, è impossibile studiare i miti senza avere bene in mente il concetto dell'arte, e in ispecie, dell'arte come libertà. Ciò Ella ha visto benissimo... ». In una pagina di quell'articolo, erano svolte alcune idee generali sul mito, e su queste si era fermata l'attenzione del Croce. a ...Il processo mitogenetico » — dicevo — a è un processo fantastico. Con ciò si pone la ragione di un radicale criticismo di fronte a tutte le teorie mitologiche a tendenza interpretativa, dai vari allegorismi — fisico degli Stoici, storico di Evemero, politico di Aristotele e di Bacone, biblico dei Padri della Chiesa — al simbolismo di Creuzer e in parte al meteoro-logismo di Adalb. Kuhn e di Max Müller. Il mito non è spiegabile: spiegabile è l'allegoria che talvolta si sovrappone al mito e lo riveste, ma non è essa un prodotto mitico. Il mito non è contenuto, ma pura forma, in quanto è espressione...: l'elemento mitico, quello che anche fu chiamato protomitico, è una costruzione mentale, un'astrazione logica al pari della radice linguistica. Il mito ha principio, si genera ed è nell'atto dello spirito che esprime la materia mitica. Questo carattere attivistico è proprio della funzione mitica, presiede a tutte le sue manifestazioni, e quindi è comune alla fase genetica come alla fase ampli-ficativa del mito, al mito iniziale come alle molteplici sue trasformazioni artistico-letterarie... ». Da allora, in cinquant'anni, la `mitologia', cioè lo studio dei miti ha fatto strada. Si è delineato un nuovo orientamento, al quale anch'io 50 RAFFAELE PETTAZZONI ho portato qualche contributo con una concezione della « verità del mito » (1) che si allontana tanto dall'idea del mito come arte quanto dall'idea crociana del mito come pseudoconcetto. C'é una verità del mito, che non é di ordine estetico né di ordine logico-storico: é, se mai, una verità di fede, un valore religioso. Sono `veri' i miti che narrano l'origine del mondo, l'origine dell'uomo, l'origine della vita e della morte, l'origine delle specie animali e vegetali, l'origine del fuoco, della caccia e dell'agricoltura, l'origine del culto, dei riti e degli istituti del vivere sociale e civile. Questi miti delle origini sono necessariamente veri per una necessità esistenziale, sono veri perché sono le tavole di fondazione della vita stessa, perché il loro mondo, con i suoi personaggi superumani, con le opere prodigiose, con le straordinarie avventure, tutto questo mondo esemplare dei primordi é la condizione sine qua non del mondo attuale e presente. Il mito delle origini é storia vera perché é storia sacra. La recitazione del mito ha una efficienza magica che mette in opera delle forze misteriose. Raccontare, alla vigilia di una partita di caccia, le fortune venatorie di un eroico cacciatore del tempo mitico, favorisce il successo della caccia attuale. Raccontare le origini del mondo giova a garantire la durata del mondo. Recitare il Poema della creazione alla festa di capodanno, come si faceva in Mesopotamia nel III e II millennio a. Cr., è come ripetere l'atto della creazione, e in ció sta il suo valore inaugurale, cioè augurale per la nuova annata. L'efficienza sacrale, cultuale, religiosa del mito sta nella magia della parola, nel potere evocativo e realizzatore inerente alla parola parlata, al mythos non come `discorso favoloso', ma come incantesimo, onde la fa-bula, nell'atto e per effetto della enunciazione, diviene fa-tum, irrevocabile destino. E stato detto che tutti i miti sono miti delle origini (2). Presa alla lettera, questa generalizzazione dei mitologi moderni non sembra avere maggior consistenza di quelle di cui si compiaceva la vecchia mitologia naturistica, quando tendeva a ridurre tutti i miti a miti meteorologici (1) R. PErrAzzoNI, Verità del mito, in « Studi e materiali di storia delle religioni », 1947-48; Miti e Leggende, I, Torino 1948, p. VII e segg.; Die Wahrheit des Mythos, in « Paideuma », 1950; The Truth of Myth, in « Essays on the History of Religions », Leiden 1954, pag. 11 e segg. Il problema si era già presentato, come risulta dai Carnets al pensiero di L. LÉVY-BRUHL, senza ricevere, nel quadro del suo prelogismo, una soluzione adeguata: Les Carnets de L. Levy-Bruhl, Parigi 1949, pp. 80-82, 193-196. (2) G. VAN DER LEEUW, Die Bedeutung der Mythen, in « Festschrift für A. Bertholet », Tübingen 1950, pag. 292; Urzeit and Endzeit, in a Eranos-Jahrbuch », 17, Zürich 1950, pag. 23. FORMA E VERITÀ DEL MITO 51 (Ad. Kuhn) oppure a miti solari (F. Max Müller) oppure a miti lunari (E. Siecke, ecc.). Istruttiva a questo proposito é la netta distinzione che già s'incontra frequentemente nella narrativa dei popoli cosidetti primitivi fra i miti delle origini, concepiti come `storie vere', e altri racconti di contenuto diverso che passano per `storie false'. Le storie vere sono tramandate di generazione in generazione, son recitate soltanto in certe celebrazioni cultuali ed altre ricorrenze solenni, e la recitazione deve farsi senza la minima variante od omissione, e solo può farsi in determinate condizioni di luogo e di tempo (di sera o di notte, al buio, accanto al fuoco) e non da tutti e per tutti indifferentemente, ma solo da certe persone privilegiate per un uditorio qualificato. In questi aspetti e sviluppi istituzionali si riflette la particolare `verità' di queste storie, che é la verità propria dei miti delle origini. Le storie false non sono miti delle origini, e col contenuto diverso hanno anche un trattamento diverso: esse sono di dominio pubblico e possono recitarsi impunemente in ogni tempo; non sono tramandate, ma inventate; e perciò, anche, illimitate di numero, a differenza delle storie vere; sicché, in una gara a chi sa raccontarne di più, il narratore delle storie vere ha la peggio, perché il suo repertorio non é inesauribile e le storie vere son quelle che sono, e vince invece il narratore delle storie false, perché queste possono essere inventate e moltiplicate a volontà da un narratore sbrigliato di fantasia qual é appunto il Coyote, furbo matricolato e mentitore senza scrupoli. Qui si tocca con mano la differenza fra il sacro che é `vero' e il profano che è `falso'. Resta a vedere se le storie false del Coyote non siano state anch'esse altra volta vere, se non siano anch'esse antichi miti delle origini, già veri in un mondo oltrepassato, nel quale il Coyote stesso sarà stato una figura divina, e poi sconsacrati e divenuti argomento di riso e di trastullo in un nuovo clima storico, col Coyote decaduto a figura subalterna di un altro Essere supremo e sua controfigura secondaria nell'opera della creazione. La differenza fra storie vere e storie false non riguarda la forma del mito. Per la forma il mito è pensiero fantastico, e di questa forma partecipano tanto le storie vere — i miti delle origini — quanto le storie inventate, di contenuto diverso. Il mito di per sé non é né vero né falsa nel senso logico, perché la verità logica non é della rappresentazione; bensì del concetto. Anche l'arte è rappresentazione. Il mito, ammonisce il Croce, non 52 RAFFAELE PETTAZZONI é arte. Ma nemmeno é concetto (3). È un « miscuglio di arte e di pensiero », pensiero fantastico cui « si unisce sempre un elemento intellettivo ». Ma questo « elemento » é soltanto potenzialmente concettuale, risolubile in concetto nel processo dialettico del pensiero: la forma del mito in atto é e rimane la forma fantastica. La differenza fra storie vere e storie false non è soltanto del contenuto (racconti delle origini e racconti di altro genere): dietro al contenuto diverso c'è un diverso valore, un valore di `verità', verità che non é di ordine logico, bensì di ordine sacrale, magico, religioso. L'arte, ammonisce ancora il Croce, è libertà. E in ciò sta la sua differenza dal mito. Il mito, come pensiero fantastico, partecipa della forma dell'arte; ma, come verità di fede, partecipa del carattere vincolante della religione (religio, da re-ligare). Svincolandosi dalla religione, il mito perde la `verità' sua propria, e acquista la libertà ch'è propria dell'arte. Le storie vere, svuotate del loro contenuto sacrale, avulse dalla loro matrice, scardinate dal loro complesso originario, possono sopravvivere come storie `false', andando libere e sciolte per le vie del mondo. Il mito greco, già sconsacrato in Omero, demolito dai filosofi, visse tuttavia nella poesia e nell'arte figurata; ma i suoi iddii morirono alla religione quando furono rinnegati dal Cristianesimo come « falsi e bugiardi ». Il mito può durare oltre e fuori della religione; ma la sua `verità' appartiene alla vita religiosa. Il mito babilonese della origine del mondo dal cadavere di un mostro primordiale ucciso dal dio Marduk cessa di esser vero quando vien meno quel mondo storico e religioso nel quale esso aveva un senso perché aveva un valore prototipico. Ma il mito biblico della creazione del mondo per opera di Jahve Elohim secondo i primi capitoli della Genesi séguita tuttavia ad esser vero per la fede, verità di fede vincolante per i Cristiani ai fini della religione. E ciò vale non solo per il mito della creazione, che è un mito delle origini, ma anche per quello della fine dei tempi, e per altri miti che sono veri per la religione cristiana (4). Il mito è di tutti i tempi. Non esiste un'epoca tutta mitica, come non esiste un'epoca tutta magica; l'uomo pre-logico è un'astrazione al (3) « II mito non é una categoria spirituale, sibbene una posizione contradittoria, un concetto in fieri, che é già concetto ma non é ancora tale a pieno perché non ha ancora forma critica compiuta »: B. CROCE, in « La Critica », 1929, p. 175. (4) Un mito lunare dei Yalunyu (tribù australiana del Queensland), che narra la creazione della donna e la fondazione della vita sociale della tribù, è per quegli indigeni « altrettanto reale quanto per un Cristiano il racconto del Paradiso terrestre »: URSULA MCCONNELL, in « Oceania », vol. II (1931), p. 17. FORMA EVERITA DEL MITO 53 pari dell'uomo pre-religioso. Il mito si dispiega in pieno nel pensiero arcaico, nel quale il mondo non é ancora dato e l'uomo ricorre al mito come evasione da una realtà in forse e riscatto da una crisi dell'esistenza. Ma il mito non viene meno nel pensiero moderno, in un mondo ormai dato, e pienamente dato, qual é quello del Cristianesimo. Il mito vive, in un mondo dato o in un mondo non dato, come fede in un mondo diverso, in un « altro mondo », sia quello crepuscolare del primo consistere del cosmo sul pauroso vacillare, del caos, sia quello escatologico della restaurazione totale nel definitivo superamento della morte. E non soltanto in seno alle religioni costituite il mito vive variamente la sua molteplice vita, ma anche fuori di esse, pur sempre nell'ambito della religione. Vecchi miti tramontano e nuovi si formano sotto i nostri occhi anche nel mondo profano. C'è nel marxismo una verità che trascende il valore scientifico del Capitale, ed é una verità di fede nella giustizia sociale, la speranza dell'avvento di un mondo migliore, il mito escatologico trasferito dal cielo su la terra. La forma del mito appartiene, come quella dell'arte, al pensiero fantastico. Ma la verità del mito appartiene alla vita religiosa. RAFFAELE PETTAZZONI
| | Trascrizione secondaria non visualizzabile dall'utente | |
|
|