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tipologia: Analitici; Id: 1472459


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Tipologia Periodico
Titolo Tibor Mende, Riflessioni in margine agli avvenimenti indonesiani
Responsabilità
Mende, Tibor+++
  autore+++    
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Trascrizione Non markup - automatica:
RIFLESSIONI
IN MARGINE AGLI AVVENIMENTI INDONESIANI
Dal 1945 la pace mondiale é stata minacciata gravemente soltanto in tre occasioni: al tempo del blocco di Berlina e durante le fasi conclusive delle guerre in Corea e in Indocina. I combattimenti in Indonesia potrebbero costituire la quarta occasione. La differenza fondamentale tra i primi tre casi e quello Indonesiano sta nel fatto che, mentre nei primi tre l'Occidente aveva dalla sua la maggior parte delle ragioni giuridiche, nella situazione Indonesiana esse sono tutte a favore dei suoi oppositori.
É piuttosto significativo che né l'entità del pericolo, né i problemi in questione siano conosciuti dall'opinione pubblica occidentale. La ragione sta in parte nella lontananza delle isole Indonesiane e, in parte, nel fatto che l'opinione pubblica occidentale è informata quasi esclusivamente tramite agenzie controllate dall'Ame-ricä. Le Autorità ii dòñësiane non hanno a loro disposizione alcuna organizzazione paragonabile per presentare il Ioro caso. Per di più, un certo numero di questioni interdipendenti hanno confuso il problema oppure hanno indotto fin dal principio il lettore di giornali occidentali a svalutare il punto di vista Indonesiano.
Fin da quando, nel 1950, l'Indonesia fu riconosciuta come uno Stato Sovrano e indipendente, una endemica guerra civile ne sta distruggendo la struttura. Questa non é una novità. Ciò che é nuovo ora é che, per la prima volta sembra che ci sia un intervento dall'esterno diretto a portare su un piano internazionale il problema interno. Questa ripercussione sul piano internazionale é avvenuta dopo due fatti importanti.
Il primo consiste nell'attività del Governo _Indonesiano rivolta a modificare il tipo occidentale di democrazia parlamentare ei
paese e sostituirlo con un sistema più ameta strada
tra le istituzioni occidentali e quelle comuniste. Il secondo consiste
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nel rifiuto dell'Olanda a riprendere le trattative riguardanti il futuro déTlá Nuova Guinea Occidentale — come era stato richiesto dalTé Näziáni Unite — il che ha provocato in Indonesia un'ondata di dimostrazioni antiolandesi nonché rappresaglie economiche contro i locali interessi olandesi. In seguito a questi due fatti, l'endemica guerra civile si è trasformata in un problema internazionale e la S.E.A.T.O. — una organizzazione regionale, legata alla rete militare anticomunista dell'Occidente — lo ha considerato di sua competenza.
Ma per comprendere come il problema di uno Stato Sovrano si sia trasformato in una questione internazionale riguardo alla quale una organizzazione militare regionale poteva prendere posizione, é bene analizzare gli elementi decisivi di questa situazione, capace di diventare una seria minaccia per la pace mondiale.
***
Il poeta olandese Multatuli descrisse una volta le Indie Olandesi come « una cintura di smeraldi intorno all'equatore ». La pittoresca metafora non dava, comunque, la minima idea sulle dimensioni della preziosa cintura. Per essere più precisi, essa é composta di almeno tremila smeraldi. Circa un terzo sono disabitati. Uno, Borneo, è vasto quanto la Francia. Sumatra ha quasi la superficie della Spagna. E via via essi diventano sempre più piccoli, fino alle centinaia di minuscoli frammenti di giungla sparsi qua e là dal cataclisma preistorico che ridusse in frantumi la penisola più orientale dell'Asia. Così, tutti gli smeraldi messi insieme fanno una superficie che è circa sessanta volte quella dell'Olanda, il paese che li governava.
Estendendosi da Singapore alle Filippine verso Nord, e fino ai margini dell'Australia verso Sud, questo arcipelago senza frontiere, immensamente vario, lungo 5000 chilometri, é il quinto tra i paesi più popolosi del mondo, con più di 80 milioni di abitanti. Fatta eccezione per gli Stati Uniti, il Canadà e forse il. Brasile, nessun altro paese é benedetto da una maggiore abbondanza di ricchezze naturali. Se la sua superficie fosse sovrapposta alla car-
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ta geografica dell'Europa, Sumatra si stenderebbe dall'Irlanda a Marsiglia, la punta orientale di Giava raaggiungerebbe l'Albania; Borneo toccherebbe il Baltico; Celebe si troverebbe in Ucraina e la lunga coda delle isole minori continuerebbe al di là di Ankara.
Quando, nel 1947, questo arcipelago dichiarò la sua indipendenza — come quando, nel 1950, tale indipendenza fu riconosciuta — il complesso di isole vulcaniche che lo formano erano unite politicamente da poco più che una naturale reazione contro la dipendenza dall'uomo bianco e da una certa vaga, ma inconfondibile consapevolezza di un destino comune.
Dopo il crollo dell'occupazione Giapponese, gli Olandesi tornarono a stabilire la loro autorità. Gli Indonesiani resistettero per tre anni e tre mesi, finché alla fine, non senza 1 ef icace aiuto degli Stati Uniti, ottennero la loro indipendenza. Ma la— m .Ear parte della struttür3., cojnomica del paese rimase di„;prnpnieta.straniera. Le—piantagioni di canapa, tabacco, te, olio di cocco e gamma, le miniere di stagno e altri metalli, le coltivazioni di canna da zucchero, i giacimenti petroliferi, come pure le poche industrie esistenti erano di proprietà olandese e, per una parte minore, di proprietà Americana e Inglese. Nel complesso i beni olandesi in Indonesia si valutavano a più di un miliardo di dollari.
Ma accanto a questi investimenti produttivi, gli stranieri garantivano anche la coesione fisica del paese. Le navi che collegavano le isole, i piloti che guidavano gli apparecchi delle linee aeree interne, la maggior parte dei professori universitari, i tecnici e gli esperti, i « managers » delle piantagioni, come pure il personale ; che dirigeva le compagnie di esportazione e importazione, erano Olandesi.
L'Indonesia indipendente ereditava un territorio che presentava delle gravissime difficoltà eo rafiche, non essendo certamente in grado di far fronte ad esse. Il personale scarseggiava, le scuole per addestrarlo erano insufficienti, e gli Indonesiani non poterono mai acquistare l'esperienza amministrativa di cui avrebbero avuto bisogno per conservare in condizioni efficienti ciò che avevano ereditato.
Era da prevedersi che le prime incrinature apparissero molto
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presto. La cattiva amministrazione o addirittura la mancanza di amministrazione allentò i legami che mantenevano le isole sotto
gli ordini di Batavia — ora ribattezzata Giacarta e l'unità creata
dall'Olanda fu messa a dura prova, quando l'Indonesia indipendente si trovò a dover affrontare i grossissimi problemi economici ed amministrativi assolutamente al di sopra delle sue possibilità.
Ma prima di approvare le solite generalizzazioni riguardo alla natura auto-lesionista dei movimenti di indipendenza, sarebbe bene esaminare fino a che punto gli Indonesiani sono responsabili di ciò che hanno fatto.
Le librerie erano piene di dettagliate descrizioni del colonialismo olandese. Prima della guerra era di moda descriverlo come un modello nel suo genere. In effetti, da un punto di vista puramente fisico, gli amministratori olandesi fecero un buon lavoro. A Giava, dove erano concentrate le loro attività e i loro investimenti, essi avevano creato una struttura agricola efficientissima e l'isola — la più popolosa — era ben amministrata. Lo sviluppo era meno evidente nelle 'altre isole, fatta eccezione per due o tre regioni di Sumatra dove le piantagioni e il petrolio avevano attratto e giustificato investimenti su vasta scala. Il colonialismo olandese si basava sulla presunzione di essere eterno. Per questa ragione, praticamente non venne fatto il minimo sforzo per formare una élite locale e nel complesso l'istruzione fu totalmente trascurata.
Poche cifre illustreranno in maniera eloquente la gravità di questo rigido paternalismo.
Nel 1940, due anni prima dell'invasione Giapponese, in una popolazione totale di circa 70 milioni, solo 82223 bambini indonesiani frequentavano le scuole elementari di tipo occidentale. Nelle classi superiori c'erano in tutto 1786 alunni. Nello stesso anno non più di 9000 bambini presero la licenza elementare nelle scuole occidentali. Ancora nel 1940, poco prima della fine della dominazione olandese, dopo quasi tre secoli di permanenza, il numero complessivo di Indonesiani che terminarono gli studi superiori fu di 240.
Dopo queste cifre risulta evidente che gli olandesi in Indonesia non sono certo stati pionieri di una istruzione più elevata. Il
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primo collegio tecnico fu fondato nel 1919 a Bandung, e cinque anni dopo si aprì a Batavia una facoltà di giurisprudenza. La prima facoltà di Medicina aprì i battenti nel 1927, un anno dopo la prima insurrezione nazionalista. E di un certo interesse ricordare che la prima Facoltà di Medicina in India si aprì nel 1835 e che tutte le città più importanti ebbero le loro Università fin dal 1857. Altrettanto interessante sarà qualche confronto nei gradi più bassi dell'istruzione. Nel 1926, in una popolazione circa cinque volte più numerosa di quella Indonesiana, il numero di Indiani che studiavano nelle scuole superiori era mille volte più alto che in Indonesia: 1.716.000 in India, contra 1786 in Indonesia quattordici anni dopo. Quando, nel 1926, la prima ed unica Università Indonesiana aveva solo sette anni, già 87.600 Indiani studiavano in collegi tecnici e Università.
Così, quando gli Olandesi furono costretti a rinunciare alla loro sovranità su ciò che un tempo costituiva le Indie Orientali Olandesi, essi lasciarono una popolazione_ di 70 milioni con meno di 850 medici e meno di 4000 individui con istruzione universitaria ad affrontare i problemi di amministrazione di uno dei paesi geograficamente più complicati del mondo.
Prima ancora di immaginare come una popolazione priva di esperienza, con una minoranza così inadeguata di persone istruite, potesse cercare di creare l'ordine dal caos lasciato da tre anni di occupazione Giapponese, seguiti da più di tre anni di distruttiva guerriglia, é meglio rivolgere l'attenzione al secondo maggior problema dell'Indonesia: le forze centrifughe nascenti dalla sua particolare situazione geografica.
Infatti, la storia e la diversa densità della popolazione hanno creato due Indonesie. Una, il centro vero e proprio, é l'isola di Giava. Essa é occupata dal 65% di tutti gli Indonesiani — circa 54 milioni di persone, il cui numero aumenta ogni anno di un altro milione -- su una superficie che é solo un quindicesimo di quella totale di tutto il paese. In altre parole, Giava da sola deve

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mantenere una popolazione che supera di dieci milioni di persone quella francese, ma su un territorio che è meno di un quarto della Francia, e praticamente senza altre risorse che le piantagioni. di riso. Dall'altro lato una popolazione con una densità per chilometro quadrato che è trenta o quaranta volte inferiore, vive nelle « altre isole » che costituiscono il resto del paese: Sumatra, Borneo, Celebe in primo luogo, e poi centinaia di altre. È comprensibile quindi come questo solo fatto farà si che un abitante di Sumatra.
o di Celebe veda il mondo e i suoi problemi con occhi molto differenti da quelli di un Giavanese. Inoltre un numero di altri fattori — non ultimo fra questi la stessa politica del passato regime coloniale -- è intervenuto ad accentuare questa differenza. Il risultato è stato una netta distinzione tra l'Indonesia « affollata » e quella « vuota » — fatto basilare, che spiega la storia del movimento nazionalista del paese e anche il ruolo preponderante di Giava. nel suo sviluppo.
L'Indonesia « affollata » — soprattutto Giava — è abitata da persone consapevoli di una eredità comune, appartenenti in gran parte alla stessa razza. Nell'Indonesia « vuota », invece, accanto a una minoranza di immigrati di origine Giavanese, vivono più di una dozzina di razze che parlano moltissime lingue e dialetti differenti. Per di piú, mentre la produzione di riso di Giava è insufficiente a nutrire la popolazione in rapida espansione e l'isola non ha altre risorse degne di nota, le altre isole posseggono notevoli ricchezze di minerali, miniere e giacimenti petroliferi, nonché piantagioni i cui prodotti esportati rimpinguano le entrate dell'Indonesia con la maggior parte del danaro straniero necessario a pagare le importazioni essenziali.
Non c'era appello contro la sovranità olandese esercitata da. Batavia. Ma contra l'indebolito potere che le successe, esercitato dalla stessa capitale (Giacarta), sorsero svariati oppositori, ciascuno invocando pretese locali, individuali o separatiste. Le gelosie etnia che e regionali acquistarono forza attraverso la convinzione che. « mantenendo » il livello di vita di Giava, essi venivano privati di vantaggi che le ricchezze naturali o esportabili della loro regione
o isola avrebbero potuto fornire. Logicamente, una volta rimossa
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l'autorità olandese, queste forze centrifughe avrebbero chiesto una autorità federale meno forte, che lasciasse alle « altre isole » la loro autonomia. Così, durante la guerra contro i guerriglieri Indonesia-
ni, l'Olanda cosa comprensibilissima — incoraggiò le tendenze
separatiste, di modo che il Governo dell'Indonesia indipendente si vide costretto ad esercitare una autorità centrale anche più forte per contrastare queste tendenze. E il forte « Stato Unitario », sotto ,l'influenza del capo del movimento di indipendenza, il Presidente Sukarno stesso, non fece che accentuare la rivolta regionale contro la preminenza accentratrice e « parassitica » dell'inesperta Giava.
Fin dal principio questa resistenza assunse una forma militare. La più importante era un'organizzazione ortodossa Musulmana, la Dar-ul-Islam, opposta alla Stato secolare e decisa ad organizzare l'Indonesia sulla base delle prescrizioni Coraniche. In un paese Musulmano al 90% non poteva mancare di avere una considerevole influenza. Già nei primi anni dell'indipendenza essa si era insediata in vaste zone occidentali di Giava, e aveva simpatizzanti a Borneo, Celebe e nel Nord di Sumatra. Ma accanto alla Dar-ul-Islam, c'erano anche capi locali che, profittando della debolezza del Governo centrale, cominciavano ad assumere il ruolo che, in passato, avevano in Cina i « Signori della guerra»; imponevano le loro tasse, amministravano importanti regioni e riconoscevano l'autorità di Giacarta solo quando conveniva ai loro interessi. L'ambizione personale di questi capi militari locali era in realtà sostenuta dalla possibilità di commerciare le materie prime delle loro regioni direttamente con Singapore, le Filippine e altri porti stranieri, escludendo dal circuito i rappresentanti del Governo centrale.
Al di sopra di questa confusa situazione prevaleva l'autorità di Sukarno, come Presidente della Repubblica, e del Dott. Hatta, come Vice-Presidente. Come personificazioni della mistica della liberazione, essi continuarono ad essere molto stimati, e perfino i Capi militari ribelli, di solito, ritenevano opportuno manifestare ad essi la loro fedeltà. In realtà i due uomini si completavano mirabilmente a vicenda. Sukarno, un tribuno impetuoso ed eloquente con il dono particolare di saper trascinare le folle, rimase il sim-
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bolo dell'elemento « rivoluzionario » nella lotta per la liberazione. La sua lunga e coraggiosa battaglia contro l'Olanda, durante e dopo la guerra di liberazione, gli accattivò l'affetto delle masse e, in un certo senso, forni il tanto necessario cemento per riunire la dispersa Indonesia intorno alla sua personalità. Il dott. Hatta, invece, mentre gode di un notevole prestigio nel paese, è un uomo freddo e pratico, totalmente privo del dono di Sukarno di saper trascinare le folle. Per di più, mentre l'individualismo di Sukarno è molto malvisto dalle correnti conservatrici Musulmane, il dott. Hatta è considerato un rappresentante moderato delle forze .religiose del paese e può, in questo modo, contare sul loro efficiente sostegno. Al di sopra di tutto questo, mentre Sukarno è Giavanese, il dott. Hatta proviene da Sumatra e si identifica perciò con i sentimenti della popolazione delle « altre isole », scontente della predominanza di Giava.
L'incompatibilità di carattere dei due uomini, la sempre maggiore differenza di opinioni sulle questioni politiche di tutti i giorni, come pure le pressioni dei partiti politici sorte dietro i loro nomi, in diverse occasioni hanno messo a dura prova la difficile collaborazione tra loro. A Giacarta erano frequenti le voci di un conflitto tra il Presidente e il Vice-Presidente, e nessuno in realtà fu sorpreso quando, dopo le ultime elezioni generali, essi furono costretti a separarsi. Il dott. Hatta dette le dimissioni e Sukarno rimase da solo al timone. Tuttavia, il potere incontrastato aggiun- to all'inevitabile aumento delle difficoltà politiche ed economiche non poteva non far crescere le critiche a Sukarno. Come in tanti altri paesi Asiatici di recente indipendenza, la corruzione crebbe, ci furono scandali pubblici e, per la prima volta, lo stesso Sukarno fu violentemente attaccato. Durante la sua visita in Cina e nell'Unione Sovietica egli fu ricevuto regalmente e tornò apparentemente entusiasta di ciò che aveva visto; le critiche, fino a quel ma-mento vaghe e saltuarie, si fecero più forti e puntarono a riunire i Capi Musulmani e l'opinione pubblica contra il Presidente. Questa opposizione fu sottolineata solamente dall'intenzione dichiarata da Sukarno di modificare il tipo occidentale della democrazia parlamentare del paese e sostituirla con una « idea » sua per-
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sonale di una « democrazia guidata » nella quale un Consiglio no- minato, comprendente tutti i partiti in un comitato di esperti, avrebbe avuto la facoltà di veto sul parlamento.
Fin dall'inizio dell'indipendenza Indonesiana risultò chiaro che il paese era diviso in due principali correnti politiche. La prima era vagamente Marxista, nazionalista anti-occidentale e aveva, le radici del suo dinamismo nella lotta anti-coloniale. Si attuava principalmente nel Partito Nazionalista, fondato dallo stesso Sukarno. Alla sua sinistra c'erano i Comunisti, all'inizio rivali del Partito del Presidente, ma dopo i primi anni di indipendenza, suoi principali alleati. La seconda era essenzialmente conservatrice e la religione fungeva da comune denominatore. Era anti-marxista, musulmana progressiva o ortodossa e, nel complesso, pronta ad accettare una stretta collaborazione coll'Occidente. In questa corrente religiosa di opposizione, il Partito principale era il Masjumi, con alla destra vari partiti Musulmani ortodossi. Tra i due gruppi i Socialisti, i quali, pur avendo un capo capace ed esperto nella persona di Sjahrir, persero importanza e, numericamente parlando, cessarono di avere la minima influenza sullo sviluppo economico del paese. Accanto a queste formazioni maggiori, ce ne sono state naturalmente altre minori che rappresentavano interessi locali, o raggruppamenti di , carattere religioso intorno a personalità dominanti.
Le elezioni generali del settembre 1955 dettero, alla fine, una una realtà numerica a queste frammentarie forze politiche. Di circa 35 milioni di votanti, l'80% dell'elettorato votò per i quattro partiti maggiori: i Nazionalisti (57-seggi) e i Comunisti da un lato i Masjumi (anch'essi 57 seggi) e i Nahdatul Ulama (un'altra formazione musulmana con 45 seggi) dall'altro. I Comunisti, quarti in ordine di forza, ottennero nel nuovo Parlamento 39 seggi sul totale di 257. Ma i due principali partiti musulmani -- il Masjumi e il Nahdatul Ulama — formavano una specie di blocco religioso e si imponevano come una potente forza anti-comunista nella politica Indonesiana.
Il risultato inevitabile fu che si ebbero governi di coalizione, nessuno di essi sufficientemente stabile, che si appoggiavano sempre
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di più sulla forza equilibratrice di piccoli e discordi partitini. Di fronte a una tale instabilità di Governo — benché i Nazionalisti avessero ottenuto mezzo milione di voti in più dei loro principali avversari, i Masjumi — inevitabilmente venne a formarsi un blocco di sinistra sotto forma di una collaborazione sempre più stretta tra i Nazionalisti e il Partito Comunista. Il Presidente Sukarno, fidandosi della sua popolarità personale nel paese, si convinse che i Comunisti gli sarebbero serviti come strumento per vincere il blocco religioso. Secondo l'opinione di diversi osservatori, comunque, si correvano seri rischi che i Comunisti — piuttosto che servire come strumento — si infiltrassero nei ranghi nazionalisti e trasformassero lo stesso Presidente in un loro strumento per ottenere una posizione dominante nel Governo.
Fu nel bel-mezzo di queste manovre di coalizione che « l'idea » di una « democrazia guidata » del Presidente Sukarno fu lanciata nel vivace dibattito politico indonesiano. Retrospettivamente, sembra ora che essa rappresentò una svolta decisiva sia nella vita di Sukarno che in quella dell'Indonesia.
Nel giugno del 1957, dopo prolungate discussioni, si formò un Consiglio Nazionale, presieduto dallo stesso Presidente Sukarno. I membri del Consiglio erano nominati dal Governo e dovevano rappresentare tutti i principali elementi della società Indonesiana. Gli operai e i contadini, gli intellettuali e i soldati, i rappresentanti della gioventù e degli ex-guerriglieri, gli artisti, i leaders di minoranze nazionali, i capi di regione e i notabili in genere, i giornalisti nonché le donne, tutti dovevano avere i loro rappresentanti nel Consiglio. I due partiti più rappresentati erano quello nazionalista e quello comunista. Il Nahdatul Ulama, uno dei partiti Musulmani, decise dopo molte esitazioni di parteciparvi. Ma i Masjumi si schierarono tutti all'opposizione e, ciò che è anche più grave, lo stesso ex Vice-Presidente Hatta espresse energicamente la sua ostilità. Il consiglio, comunque, fu formato col compito di dare, richiesto o no, il' suo parere al Gabinetto.
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È probabile che « la democrazia guidata » del Presidente Sukarno abbia dato ai Comunisti un'influenza maggiore di quanto non avrebbe consentito la loro forza numerica nel tradizionale gioco politico dei governi di coalizione. Nello stesso tempo è bene tener presente che « l'idea » rispondeva, entro certi limiti, a una necessità sentita in tutta l'Asia non Comunista. Parti sempre maggiori di opinione pubblica credono che il complicato sistëmä di democri- zia parlamentare, ereditato per lo più dalle ex colonie, non potrà mai andare incontro aIlë reälí necessità del popolo ed è destinato a soccombere sotto il peso crescente dei prablemi economici. Nella maggior parte di questi paesi asiatici ex-coloniali ii progresso è possibile solo sotto un Governo forte, capace di prendere decisioni rapide e, se è necessario, anche impopolari. Un Governo eletto dal popolo è difficilmente in grado di prendere queste decisioni inevitabilmente impopolari. Con eguale fermezza è stato osservato che il sistema occidentale dei . partiti automaticamente esclude dal Governo degli elementi costruttivi la cui capacità ed esperienza dovrebbe essere a disposizione del Governo esistente.
Sotto questa aspetto, si deve riconoscere che l'esperimento di Sukarno ha rappresentato almeno un tentativo nella direzione giusta. In effetti, potrebbe essere nell'interesse stesso dell'Occidente in- coraggiare attualmente in Asia la nascita di un sistema di Governo a metà strada fra la democrazia di tipo occidentale e l'autoritarismo degli Stati Comunisti. Se la democrazia parlamentare desse prova di essere inefficiente nell'Asia non comunista, sussisterebbe il pericolo che, una volta caduta, finirebbe sotto le sue macerie anche qualsiasi contatto con l'Occidente. Se Sukarno abbia trovato o no il miglior metodo possibile, è un'altra questione. Ciò che è importante è che il rafforzamento dell'autorità centrale nella maggior parte dei paesi Asiatici al giorno d'oggi, può aumentare le possibilità di progresso economico e, indirettamente, immunizzare tali paesi contra la tentazione rivoluzionaria. Per di più, l'assoluta opposizione agli esperimenti, tipo quello Indonesiano, tendenti a rafforzare il potere esecutivo, può essere, ed è in realtà, interpretata in Asia come una preferenza dell'Occidente per le strutture democratiche inefficienti e superficiali che — secondo questa inter-
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pretazione — rendono relativamente facili gli interventi economici da parte di imprenditori o uomini politici occidentali.
Cosi, mentre una grossa parte dell'opinione pubblica Indonesiana era sinceramente contraria all'« idea » del Presidente Sukarno, era relativamente facile convincere l'altra parte, altrettanto grossa e anticolonialista che tale opposizione non era che l'espressione di interessi personali da parte di stabili posizioni occidentali.
***
Sulla sfondo particolare dell'opposizione latente fra l'Indonesia « affollata » e quella « vuota », le discussioni per la formazione del Consiglio Nazionale non potevano fare a meno di rafforzare la rivalità tra la « sinistroide » Giava e le altre isole « conservatrici », in particolare la più ricca fra queste: Sumatra. Il primo risultato concreto fu quello di confermare le paure di coloro che in tutta « l'idea » della « democrazia guidata » non vedevano altro che un subdolo mezzo per aumentare l'influenza politica dei Comunisti.
Nel luglio 1957 ci furono a Giava le elezioni regionali e municipali che rivelarono la straordinaria avanzata dei Comunisti. In alcune regioni della più importante isola dell'Indonesia, i voti comunisti aumentarono, rispetto alle elezioni generali del 1955, del 20-25%. Sia i Nazionalisti che i Masjumi registrarono delle perdite. Nella stessa Giacarta, le elezioni municipali di giugno, mostrarono che i Comunisti erano passati dal quarto al secando posto, ottenendo 137.000 voti rispetto ai 96.000 delle elezioni generali del 1955. Nella seconda grande città, Surabaya, un forte centro rosso, i Comunisti hanno ottenuto il doppio dei voti dei Nazionalisti, Masjumi e Nabdatul Ulama insieme.
Contro voglia, il mondo prese nota che la stella rossa stava sorgendo sulla popolosa Giava. Gli osservatori si affrettarono a predire che nelle prossime elezioni generali, nel 1960, l'Indonesia potrebbe votare per un regime comunista. Nella stesso tempo, il preesistente contrasto economico tra Giava e le altre isole fu messo ancor più in evidenza da questo sviluppo politico e uno stato di allarme all'estero si accompagnò con l'intensificazione di rivalità interne tra Giava
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e le altre isole;. tra gli elementi progressivi e quelli conservatori della vita politica indonesiana; e, infine, ma non ultimi, tra Sukarno e Hatta stessi. Evidentemente la situazione era matura per ulteriori e decisivi sviluppi. La scintilla che li provocò fu fornita dalla vecchia disputa sull'avvenire della Nuova Guinea Occidentale.
La Nuova Guinea é l'isola più a est tra quelle che formano le Indie Olandesi. E anche di gran lunga la più vasta. È stata divisa in due parti; quella orientale che appartiene all'Australia, e quella occidentale che appartiene all'Olanda. La Nuova Guinea Occidentale (la parte che appartiene all'Olanda) ha da sola la superficie della Francia, ma con una popolazione di un solo milione, formata principalmente da semplici Papuani. La maggior parte der terreno é ricoperta da giungla impenetrabile e paludi malariche, e il suo valore economico, allo stato attuale, non è grande. Qualunque materia prima esista sotto la giungla, sarebbe difficile utilizzarla e richiederebbe enormi investimenti che né l'Australia, né l'Olanda sono disposte a impiegare. L'unica eccezione è il petrolio.
Per la prima volta nel 1935 si scoprì l'esistenza del petrolio nella parte occidentale dell'isola e si costituì una Società per lo sfruttamento commerciale. La «Dutch Petroleum Company for New Guinea » con la partecipazione delle « Standard Oil » e « Pacific Oil », aventi rispettivamente un interesse del 40 e del 20%. La Società ottenne il diritto di esplorare un'area di 10 milioni di ettari e le installazioni furono sistemate a Baba nella baia di Mac-cluer e, in seguito, a Sarong. Oltre al petrolio, sulla costa nord-orientale c'é una piccola piantagione di gomma; per il resto il valore economico dell'isola é pressoché nullo. Ha invece una certa importanza la posizione geografica della Nuova Guinea. Trovandosi proprio alle porte dell'Australia, essa é considerata la prima linea di, difesa di quel continente e la sola prospettiva di vederla cadere sotto gli indonesiani o, addirittura sotto un governo indonesiano filocomunista, riempie gli australiani di spavento.
Quando l'Olanda cedette la sovranità sulle Indie Orientali
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olandesi allo Stato Indipendente di Indonesia, l'articolo primo della Carta di Trasferimento specificava che essa cedeva « senza condizioni e irrevocabilmente la sovranità totale » su tutti i territori che una volta formavano le Indie Orientali Olandesi. Si stipule), comunque, che l'avvenire della Nuova Guinea Olandese (la parte occidentale) sarebbe stato deciso per trattative « un anno dopo il trasferimento della sovranità ». L'opinione pubblica olandese, scossa per la perdita del suo lontano impero orientale, pare che abbia trovato qualche conforto nel sapere che la presenza olandese nell'isola manteneva la finzione che l'Olanda, in Oriente, fosse ancora una potenza. In ogni caso rendeva più facile la ratifica del trasferimento da parte del Parlamento olandese. Tutto questo, tuttavia, era solo per un anno.
Da allora è diventata abbastanza evidente che gli olandesi non hanno intenzione di lasciare l'isola. Uno dei loro argomenti é che, dal punto di vista razziale, la popolazione dell'isola non ha nulla in comune con gli indonesiani. Non è necessario essere un antropologo per comprendere che i Papuani hanno, dal punto di vista razziale, anche minori affinità con gli olandesi. Inoltre, la popolazione della Nuova Guinea aveva legami storici con le isole dell'Indonesia molto prima che il colonialismo olandese comparisse sulla scena. Naturalmente né l'Olanda, né l'Australia hanno potuto sfruttare le presunte ricchezze della Nuova Guinea. Così gli argomenti si riferiscono a posizioni formali che non hanno nulla a che vedere con la situazione reale. Il fatto che l'Australia, durante i periodici dibattiti dell' ONU sul problema abbia opposto il veto formale all'estensione della sovranità Indonesiana in prossimità delle sue coste, è a mala pena menzionato.
Nel frattempo, il Ministro degli Esteri olandese, sul suo annuario del 1952-53, ha silenziosamente trasportato la Nuova Guinea Occidentale (ora ribattezzata dagli indonesiani « Western Irian ») nella colonna dei possedimenti olandesi d'oltre mare. Questa ha immediatamente provocato una dichiarazione da parte dell'Indonesia che l'atto violava gli accordi della Conferenza della Tavola Ro tonda del 1949. Aggiunsero che essi non avrebbero riconosciuto alcun obbligo contratto dall'Olanda a nome dell'Irian Occidentale.
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Per rendere le cose ancora più drammatiche, gli olandesi accusarono gli indonesiani di avere sbarcato nell'Irian, già nel settembre del 1953, bande di guerriglieri. Dal canto loro, le autorità indonesiane dichiararono immediatamente che la cosa era assolutamente «inventata ». Cosi le cose andavano avanti, punteggiate da periodiche proteste e dibattiti dell' ONU, ma senza alcun progresso per quanto riguardava l'avvenire della metà olandese dell'isola.
Nell'autunno del 1957, ancora una volta la questione tornò all'esame delle Nazioni Unite e, questa volta, gli indonesiani fecero capire che si aspettavano che l'opinione pubblica mondiale prendesse posizione sull'argomento, altrimenti essi avrebbero cercato di imporsi agli olandesi con la forza. La loro pretesa non si basava su ragioni antiche, ma sui diritti legali che erano stati espressi nell'accordo della Tavola Rotonda. Poteva sembrare un momento inadatto per avanzare una simile richiesta, proprio mentre il territorio indonesiano era diviso dalla guerra civile e dalle passioni separatiste. Allo stesso modo la richiesta sarà sembrata inopportuna, dato che le difficoltà economiche del governo indonesiano rendevano già estremamente arduo sfruttare e conservare il preesistente apparato economico del paese. Almeno formalmente, l'Indonesia non ha ancora fatto richieste per l'immediato trasferimento della Nuova Guinea Occidentale. Essa insisteva semplicemente che l'Olanda doveva tener fede alla parola data e riprendere le trattative sullo stato dell'Irian Occidentale. La pretesa era strettamente legale, in considerazione dell'impegno assunto dagli olandesi di farlo entro un anno dal riconoscimento dell'indipendenza inda-nesiana.
Nel novembre del 1957, il Comitato Politico delle Nazioni Unite approvò con una notevole maggioranza una proposta che in- vitava l'Indonesia e l'Olanda a trattare la futura condizione del-l'Irian Occidentale con l'assistenza di Hammerskjold. Quando la proposta giunse all"Assemblea Generale ottenne di nuovo una maggioranza di 41 voti contro 29, ma per passare all'Assemblea aveva bisogno di una maggioranza dei due terzi. Così l'Indonesia non ebbe soddisfazione. L'Inghilterra e la maggior parte dell'Europa occidentale votarono contro la proposta. Gli Stati Uniti si astennero.
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Il dibattito fu preceduto e accompagnato in Indonesia da una violenta propaganda anti-olandese, comprese minacce contro gli interessi olandesi, se 1' ONU non avesse sostenuto la richiesta, giuridicamente giustificata, dell'Indonesia. Quando l'insuccesso dell' ONU divenne noto, le passioni anti-olandesi si scatenarono. A Giacarta e a Surabaya vi furono delle dimostrazioni di massa ben organizzate. Un'immagine che rappresentava l'imperialismo olandese fu bruciata davanti all'ufficio dell'Alto Commissario olandese. I cittadini olandesi furono molestati, alcune case olandesi furono prese a sassate dai dimostranti, la proprietà olandese fu posta sotto controllo governativo e fu richiesto alle autorità olandesi di far rimpatriare, tra i 50000 cittadini olandesi ancora in Indonesia, quelli che non avevano un impiego redditizio. Tutto questo avvenne in un'atmosfera nazionalista surriscaldata e il Governo, pur non incoraggiando attivamente gli eccessi, non sempre riuscì ad impedirli. Benché non vi siano stati espropri veri e propri, le imprese olandesi furono effettivamente poste sotto controllo armato; e benché non vi siano state espulsioni formali di cittadini olandesi, in alcuni casi il loro soggiorno divenne tanto sgradevole da esser costretti a lasciare il paese.
Nel febbraio del 1956, in seguito alla dissoluzione dell'Unione Olandese Indonesiana (che prevedeva una collaborazione sotto la Corona olandese sia nella politica estera che nella difesa nazionale), apparve che gli indonesiani, nel loro odio contro gli olandesi, erano disposti a interrompere anche i rapporti economici con l'Olanda. Questo era un passo grave. Circa il 70% della produzione totale delle piantagioni e più del 70% della navigazione tra le isole era ancora in mani olandesi, sotto la guida di tecnici ed esperti olandesi. Per di più le piantagioni controllate dagli olandesi fornivano da sole il 20% del totale delle esportazioni dell'Indonesia, e gli stessi olandesi assorbivano circa un quinto di tutto ciò che l'Indonesia era in grado di vendere all'estero. Il risultato degli avvenimenti fu che le considerevoli fonti di ricchezza degli olandesi in Indonesia corsero seri rischi, mentre gli indonesiani misero in pericolo le basi stesse della loro economia nazionale. Il caos che segui, la mancanza di moneta straniera e l'indebolimento di tutta la struttura
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economica dello Stato, preannunciarono il pericolo dell'ascesa dell'organizzatissimo partita Comunista e il graduale scivolamento del paese nell'orbita dell'Asia comunista.
È stato a questo punto che, all'inizio di quest'anno, la solita rivolta regionale di capi militari assunse un aspetto totalmente nuovo e un gruppo di uomini politici e leaders militari formarono un Governo ribelle.
Le trattative tra Sukarno e Hatta — la cui ascesa al pasta di Primo Ministro era la condizione posta dai ribelli per abbandonare la lotta — fallirono. Sukarno e il Governo legale proclamarono che
Governo dei ribelli era sostenuto dall'estera e rappresentava l'intrusione straniera negli affari interni del Paese; che riceveva aiuti militari e che era stato formato con l'intenzione di portare, in prosieguo di tempo, l'Indonesia verso il blocco americano anti-comunista. I ribelli, dal canto loro, sostenevano che il Governo centrale, con la sua violenta lotta anti-olandese, metteva in pericolo il futuro economico del Paese, che subiva l'influenza dei Comunisti preparando l'assorbimento nel blocco comunista, che riceveva aiuti militari sovietici e che, comunque, aveva perso il controllo e la fiducia della maggior parte del paese.
Il Governo ribelle si installò nella centrale Sumatra, in una regione nota per i suoi forti sentimenti anti-giavanesi. I suoi leaders sono un ex-governatore della Banca di Indonesia e un ex-ministro delle Finanze, nonché alcuni notissimi capi militari. L'ex-addetto militare d'Indonesia a Londra a Washington tornò a Sumatra per dare una mano ai ribelli. Per quanto riguarda gli avvenimenti militari, essi erano piuttosto confusi e osservatori dalla vicina Singapore inviarono descrizioni contraddittorie. Sembra comunque che le forze governative abbiano inflitto gravi perdite ai ribelli, forniti solo di armi leggere e il cui numero oscillava tra i 5000 e gli 8000, costringendoli ad abbandonare le loro forti posizioni cittadine e a prepararsi per la guerriglia nell'adattissima regione montagnosa del centro di Sumatra.
Così, nell'aprile del 1958, é tuttora impossibile dire se il Governo dei ribelli finirà col confondersi con la lunga serie di movimenti di insurrezione, senza aver messo seriamente in pericolo il
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Governo di Giacarta, o se, con aiuti stranieri, riuscirà alla fine ad incrinare il potere politico ed economico del regime centrale e a portare qualche cambiamento nell'orientamento politico del Governo indonesiano.
A giudicare dal tono della stampa americana e inglese, sia Londra che Washington guardavano il Governo dei ribelli con una certa simpatia e, benché impreparate ad aiutarlo apertamente, erano disposte a rifornirlo indirettamente di aiuto sia morale che materiale. In realtà, sembrerebbe che la decisione finale debba esser presa alla recente Conferenza di Manilla della « South-East Asia Treaty Organization ».
Non c'é dubbio che la questione dell'Indonesia sia stata discussa tra le Potenze Occidentali, che sono i membri più importanti di questa inefficiente organizzazione regionale. Si trattava di un vero e proprio dilemma. Il non riuscire ad aiutare il Governo dei ribelli sarebbe stato interpretato come una incoraggiante e rapida crescita del prestigio comunista sia in Indonesia che in quella parte dell'Asia che guarda con simpatia la lotta del Governo Indonesiano, considerandola una manifestazione anti-colonialista da parte di un regime neutrale minacciato. Un aperto intervento da parte dell'Occidente, d'altra parte, sarebbe stato considerato causa di ulteriori scissioni tra gli asiatici non comunisti, dividendo ancor più coloro che affidavano la loro sorte all'Occidente dagli altri che pensavano fosse più conveniente assumere un atteggiamento non impegnativo tra l'Occidente e il blocco comunista. Ma due altre considerazioni pesarono sulla bilancia. Un aperto intervento Occidentale in Indonesia sarebbe stato probabilmente impopolare a Malaya — paese che, pur non essendo geograficamente vicino a Sumatra, ha con essa legami culturali, etnici e linguistici — e avrebbe potuto scuotere l'intenzione di collaborare coll'Impero britannico manifestata dallo Stato di Malaya di recente indipendenza. In secondo luogo, e questa fu la sorpresa maggiore, il Giappone prese energicamente posizione. Secondo ben informati servizi giornalistici, un messaggio giapponese avrebbe dichiarato che se gli Stati Uniti avessero mandato aiuti al governo ribelle di Sumatra, essi non avrebbero mancato di mandare armi al governo di Giacarta.
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Ci si ricorderà che il Giappone aveva già rifornito Giacarta di un. certo numero di navi quando, in seguito alle manifestazioni anti-olandesi dello scorso anno, le navi olandesi che prestavano servizio tra le isole erano state ritirate. Privato delle sue antiche colonie, il Giappone vede nell'Indonesia la regione nella quale può trovare le materie prime (ed eventualmente anche i mercati) che prima gli erano fornite dalle sue stesse colonie (Formosa, la Corea e la Manciuria). Da un po' di tempo in qua, il Giappone segue una politica di pacifica penetrazione in Indonesia e, per cancellare nel paese il ricordo della sua occupazione, cerca di mettersi dalla parte dei p polari sentimenti anti-occidentali e anti-coloniali. Così, se l'Occi dente non vede ancora chiaramente i pericoli di un intervento suscettibile di essere interpretato come una forma modificata di imperialismo, i_ giapponesi, al contrario, li vedono. E sembra che il loro atteggiamento abbia avuto un'influenza decisiva sulle segrete conversazioni di Manila.
Benché sembra che alcuni bimotori abbiano paracadutato armi al Governo ribelle di Sumatra (probabilmente venivano da Formosa), per il momento un aperto intervento é stato evitato. Navi sovietiche davanti a Singapore osservano i movimenti dei loro avversari Occidentali. Nei limiti di un accordo di aiuto firmato in precedenza, alcune navi sovietiche sono state trasferite al governo di Giacarta. Tuttavia, per il momento, entrambe le parti esitano a compiere un passo fatale che potrebbe portare a un'altra Corea, ma questa volta avente come posta un paese molto piú ricco e situato in una zona strategica, dove sarebbero immediatamente e direttamente coinvolte diverse grandi potenze.
Se non riceverà aiuti, la nuova fase della guerra civile indonesiana può ancora impantanarsi nella giungla di Sumatra, con Gia-carta capace di controllarla militarmente, ma probabilmente incapace di darle il colpo mortale. Per sopravvivere, i ribelli dovrebbero dar prova di essere in grado di condurre una guerriglia per lungo tempo. Altrimenti essi possono allearsi con i vari altri ribelli
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già esistenti nelle altre isole — per lo più appartenenti ai movimenti musulmani ortodossi — e perdere così ogni pretesa alla simpatia degli elementi più illuminati sia dentro che fuori l'Indonesia.
Le sorprese non sono escluse. I capi militari ribelli potrebbero volerli trascinare tutti nella lotta insieme agli altri oppositori del governo, oppure rivoltarsi contro di essi e aderire al richiamo di Giacarta di unirsi contro ciò che viene chiamato, l'intervento straniero. E chiaro, comunque, che un grosso cambiamento può venire solo da un aperto e massiccio intervento straniero. Il che, d'altra parte, rappresenta chiaramente per le grandi potenze il pericolo di esser coinvolte e, in ultima analisi, perfino di una guerra termonucleare.
Ì Dove sono stati sbagliati i calcoli ?
Che il governo dei ribelli sia stato formato con l'incoraggiamento dell'Occidente é assolutamente chiaro sia a causa di coloro che lo compongono, sia per gli articoli della stampa occidentale, sia per le dichiarazioni pubbliche. Storicamente esso rientra nella serie dei tentativi fatti sotto la responsabilità occidentale per eliminare i governi asiatici che facevano resistenza ad allinearsi con i paesi filo-occidentali, come il Pakistan, il Siam, il Viet Nam del Sud, le Filippine e l'isola di Ciang-kai-shek. Il più spettacolare e il primo di questa serie di interventi fu l'insurrezione delle truppe cinesi nazionaliste a Burma quando, tra il 1949 e il 1954, il governo socialista del paese cercava di consolidare la sua politica estera neutrale e non impegnativa. L'inclusione del Pakistan nella S.E.A.T.O., l'aiuto finanziario del signor Diem, e il continuo armarsi di Ciang-kai-shek, non furono che gradi successivi.
Tuttavia questa volta la strategia in un certo senso falli. E non perché la politica del Presidente Sukarno fosse perfetta o perché gli indonesiani, con i loro atteggiamenti sconsiderati, si fossero già procurati gravi danni economici. Falli semplicemente perché, ancora una volta, si era basata su una valutazione errata della pubblica opinione asiatica.
Per tutta l'Asia il colonialismo olandese ha lasciato un amaro ricordo e, nel caso di un'azione che, sia pure con approssimazione, possa esser chiamata lotta contro un'indiretta ripresa dell'intervento
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Occidentale, gli indonesiani possono contare sull'appoggio della maggior parte dei governi asiatici non comunisti. Un'intensificazione degli interventi non farebbe che unire sempre di più gli asiatici contra l'Occidente e, per questa ragione, costituirebbe un'ottima carta nelle mani della propaganda comunista. Inevitabilmente essa sarebbe presentata — e probabilmente sarebbe accettata — come l'opposizione dell'Occidente a un governo che cercava di modificare le sue inadatte istituzioni democratiche, si da incrementare le sue probabilità di essere efficiente; che cercava di ridurre la forza dei precedenti interessi economici coloniali che ancora dominavano il paese; opposizione a un paese che, in libere elezioni, aveva visto la minoranza comunista avanzare tanto da diventare un partito con voce in capitolo negli affari di Stato.
Discutendo gli avvenimenti indonesiani in connessione con la Conferenza della S.E.A.T.O. a Manilla, il giornale indiano « Tribune » (18 marzo 1958) ha riassunto il problema in termini che indubbiamente conquisteranno l'approvazione della maggior parte degli intellettuali dei paesi asiatici non comunisti. L'importanza che la S.E.A.T.O. dà alle misure militari contro il comunismo internazionale fa si che l'aiuto militare diventi più efficiente di quello economico per migliorare il tenore di vita », dice l'articolo... «La politica di esercitare pressioni su nazioni libere si da indurle a cambiare la loro politica estera, é palesemente pericolosa. La cosa é stata tentata (in Media Oriente) e ha prodotto effetti che sono esattamente l'opposto di quelli che si desideravano. È un peccato che alcuni uomini politici occidentali non comprendano neppure la natura dei problemi che sono stati chiamati a risolvere e commettano incredibili errori, che non possono portare che danno alla causa che essi pretendono di patrocinare ».
Benché nel caso dell'Indonesia il pericolo di una conflagrazione internazionale sia stato, forse, evitato all'ultimo minuto, il male é stato già fatto.
Quanto grave esso sia sarà forse palese nel 1960, alle prossime elezioni generali. Potrebbe apparire che esso é maggiore del costo di una sistemazione della Nuova Guinea o anche dell'entità di un
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aiuto economico che avrebbe potuto fortificare il regime legale di Giacarta si da immunizzare il governo neutrale contro la tentazione comunista.
TIBOR MENDE
(Trad. Paola Boccardt)
Pos TILLA
L'imprevisto ritardo nella pubblicazione di questo articolo consente oggi di considerare gli avvenimenti in una nuova prospettiva..
L'Indonesia non può esser più considerata una nuova Corea. Come pure il resto del mondo non è più incline a valutarla come una nuova Spagna, il cui conflitto interno, cioè, possa far da prologo a una nuova guerra mondiale. Solo che questa dissoluzione del problema indonesiano può esser del tutto provvisoria; ma può diventar permanente se, tutto considerato, da questi avvenimenti se ne sapranno trarre le conclusioni necessarie.
L'azione militare del governo legale indonesiano ha sventato la rivolta di Sumatra più rapidamente del previsto. Quando i rivoltosi intrapresero la loro attività nelle Celebes del nord e nelle altre isole orientali, il governo impiegò truppe sufficienti per paralizzarli. in breve tempo. La diffusa convinzione che costoro fossero aiutati da stranieri fece si che il governo di Giakarta riuscisse a indirizzare l'entusiasmo e l'appoggio della nazione perché l'azione militare ne fosse facilitata.
Intanto diveniva assai chiaro che gli insorti ricevevano aiuti. dall'estero. Il governo di Giakarta espose nella capitale una gran quantità di armi catturate, di fattura recente e di provenienza estera_ Le autorità indonesiane hanno prove che per lo meno due stranieri (due bianchi) sono stati paracadutati nella zona di Padang (nel centro di Sumatra) per istruire gli insorti sull'uso di alcune armi leggere moderne fornite loro con lanci di paracadute. L'agenzia giornalistica indonesiana « Antara » riportò nei primi giorni di maggio che due piloti americani e alcuni avieri della Cina nazionalista (provenienti da Formosa) furono uccisi quando un appa-
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recchio dei ribelli venne abbattuto durante un'incursione sul campo d'aviazione di Mandai. In più, dei bombardieri, di base nelle Celebes del nord, attaccarono le città indonesiane, senza che però appartenessero all'armamento indonesiano. Il governo di Giakarta offre prove che aeroplani e altra fornitura bellica, proveniente da Formosa e dalle Filippine, sono stati usati dagli insorti nella lotta contro il governo legale. Tutte queste informazioni, ed altre ancora non rese di pubblico dominio, sono state consegnate all'ambasciatore americano a Giakarta, accompagnate dalla più ampia documentazione.
Per la fine di maggio, Washington decise di inviare al governo legale indonesiano 37 mila tonnellate di riso ed anche armi leggere prima rifiutate. Il che dimostra che Washington ha cambiato parere. In tal modo, implicitamente, si ammette che « alcuni avventurieri » -- pure di nazionalità americana — possono aver preso parte all'attività insurrezionale. Per ora il capitolo é chiuso e le relazioni tra gli U.S.A. e il governo legale d'Indonesia sono « in prova », secando le parole del ministro degli esteri indonesiano.
E possibile trarre una lezione da tutto questa?
In primo luogo che, anche se Washington è ancora esitante tra una politica liberale verso i paesi da poco indipendenti e una valutazione meramente di forza, questa politica, di grave rischio, non é più a lungo sostenibile in quelle regioni dove l'aiuto militare comunista può tramutare simili avventure in aperti conflitti armati tra le stesse grandi potenze. In secondo luogo che, la nuova politica comunista di aiuti materiali su larga scala ai paesi asiatici — sostenuta dall'opinione pubblica asiatica — richiede più precise puntualizzazioni che il puro e semplice aiuto armato a chi insorge pro l'Occidente, effettuato attraverso discreditati intermediari — che sia nelle Filippine, sia a Formosa sono impossibilitati a sostenere un'azione simile senza l'appoggio americano.
Per concludere, la lezione maggiore é forse che — in Asia — l'Occidente non ha più modo di « interferire », ma può solo cercare di venire incontro alle giustificate aspirazioni dei popoli; e in primo luogo di aiutarli nella propria emancipazione economica con un aiuto materiale sufficiente ed efficiente.
is TIBOR MENDE
Cosi, finché su 85 milioni di indonesiani solo 50 continueranno a vivere nella sovrapopolata Giava, monopolizzando così la maggior parte delle ricchezze del paese — prodotte principalmente a Sumatra e nelle altre isole periferiche —, ci saranno crisi e scompensi economici nella fragile giovane repubblica. Per lenire le sue tensioni interne la soluzione non è bombardarla in nome degli insorti che favoriscono gli occidentali, quanto aiutarla a risolvere i propri problemi economici politici e amministrativi. E se ciò é vero per l'Indonesia, lo é altrettanto per un gran numero di paesi sottosviluppati.
Se il tentativo fallito di rovesciare il governo legale indonesiano con l'aiuto dei governi-fantoccio ha chiarito tutto questo, allora qualsiasi sofferenza la guerra civile indonesiana avrà provocato, non sarà stata vana.
TIBOR MENDE
 
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Testata/Serie/Edizione Nuovi Argomenti | Prima serie diretta da Alberto Moravia e Alberto Carocci | Edizione unica
Riferimento ISBD Nuovi argomenti : Rivista bimestrale. - N.1 (1953)-. - Roma [distribuzione Torino] : [s.n., distribuzione Einaudi], 1953-. - v. ; 23 cm (( La periodicità è variata più volte: la prima serie esce con periodicità irregolare, dal 1976 trimestrale. La prima serie si conclude con il n.69/71 (Luglio-Dicembre 1964 ma pubblicato nel marzo 1965), nel 1966 inizia la nuova serie che termina con il n.67 68 (1980), nel 1982 la terza serie che termina con il n.50 (apr. giu. 1994) ed inizia la quarta serie con il n.1 ... {Nuovi argomenti [rivista, 1953-]}+++
Data pubblicazione Anno: 1958 Mese: 7 Giorno: 1
Numero 33
Titolo KBD-Periodici: Nuovi Argomenti 1958 - 7 - 1 - numero 33


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