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tipologia: Analitici; Id: 1472383


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Tipologia Periodico
Titolo (Nove domande sullo stalinismo) Lelio Basso
Responsabilità
Basso, Lelio+++
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Trascrizione Non markup - automatica:
LELIO BASSO
Caro Direttore,
le domande del questionario investono problemi di così vasta portata che non è possibile rispondervi in breve spazio. Preferisco perciò rispondere solo ad alcune, e precisamente a quelle che si riferiscono al presente, cioè alle ragioni del processo di destalinizzazione, piuttosto che al futuro, cioè agli sviluppi del processo: a queste ultime, e in modo particolare ai possibili futuri sviluppi della democrazia e della libertà nell'Urss, vorrei dedicare più ampio spazio in apposita trattazione, lieto se la Sua Rivista vorrà ospitarla.
Ma anche per rispondere intorno al presente, cioè alle ragioni e al significato della destalinizzazione, occorre premettere qualche considerazione, che d'altra parte costituirà risposta a qualcuna delle nove domande. Quello che é stato eufemisticamente chiamato « culto della personalità » fu in realtà una forma di dittatura personale. Come si è giunti a questa dittatura ?
La rivoluzione russa si é svolta in un paese terribilmente arretrato rispetto allo sviluppo dell'Europa occidentale. Se non fosse stato per l'immensità della sua superficie, la Russia rivoluzionaria sarebbe stata facilmente schiacciata dalle potenze capitalistiche come fu schiacciata l'Ungheria rivoluzionaria. Tuttavia, pur dopo aver respinto il primo assalto controrivoluzionario, nella forma sia di aggressione armata diretta che di guerra civile alimentata da aiuti stranieri, l'Urss senti pesare sempre su di sé la stessa minaccia, e l'aggressione nazista del 1941 mostrò che non era pericolo immaginario.
Per non soccombere a questo pericolo, non v'era che una soluzione: bruciare le tappe dello sviluppo economico, raggiungere in pochi anni un livello industriale che la portasse alla pari delle po-
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tenne capitalistiche, imprimere un ritmo eccezionale alla propria marcia in avanti. Compito quasi sovrumano quando si pensi che la Russia, al momento della rivoluzione, era popolata ancora in grandissima parte di contadini analfabeti, schiacciati da una secolare oppressione, usciti da pochi decenni dalla medievale servitù della gleba, quasi senza contatto con la civiltà moderna. Imprimere un ritmo eccezionale allo sviluppo economico significava trasformare in pochi anni decine di milioni di contadini analfabeti in operai specializzati dell'industria moderna, abituare degli uomini vissuti fin allora in un'atmosfera da medioevo al ritmo e alla precisione della macchina, dare una coscienza della solidarietà sociale ad uomini che fin allora la società aveva oppresso.
Un processo di questa natura urta inevitabilmente contro la resistenza che nasce dalle abitudini secolari di questi stessi contadini, dalla loro mentalità, dalle loro tradizioni e costumanze: la rivoluzione, per sopravvivere, doveva cioè non soltanto vincere la resistenza delle vecchie classi il cui potere era stato abbattuto ed aver ragione dell'accerchiamento capitalistico, ma piegare alle proprie esigenze inesorabili anche le masse che in ultima analisi sarebbero state le beneficiarie della rivoluzione, ma le cui abitudini seco lari opponevano una resistenza, fatta magari soltanto di inerzia, di passività, di non adattamento, ma purtuttavia difficile più di ogni altra da superare.
Condurre questa lotta contro tante resistenze, imprimere allo sviluppo economico .questa ritmo quasi sovrumano che in pochi decenni doveva portare questo paese immenso dai confini del medioevo ad uno dei primi posti nella scala mondiale, non sarebbe stato possibile senza una formidabile concentrazione di volontà e di potenza: quella concentrazione che costituisce precisamente la dittatura. Uno scrittore francese, J.-M. Domenach, ha rievocato recentemente a questo proposito il libro dell'011ivier, Saint-Just et la force des choses, per mostrare, attraverso opportuni accostamenti, come sia la forza stessa delle cose che sospinge verso la dittatura. Il clima rivoluzionario richiede un'alta tensione morale senza la quale è difficile ottenere da tutto un popolo che sopporti gli immensi sacrifici che lo sforzo rivoluzionario esige, ma un'alta ten-
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sione morale non si pue, ottenere facilmente da tutto un popolo che ha dietro di sé un lungo servaggio, così pesante da richiedere uno sforzo rivoluzionario per distruggerlo. Il dilemma di Saint-Just «la vertu ou la terreur, des censeurs ou des dictateurs» é quindi un dilemma generalmente immanente alle rivoluzioni.
Non é del resto un'osservazione peregrina che la democrazia è un regime che presuppone il benessere economico già acquisito e pacificamente goduto nonché un relativo equilibrio interno. Sarebbe invero molto difficile, per non dire impossibile, abbandonare al giuoco spontaneo di forze e interessi contrastanti un processo che richiede da tutti un massimo di sacrifici presenti in vista di un benessere lontano, a meno che non si tratti di un popolo che ha già raggiunto un alto grado di maturità civile e democratica. Del resto anche il paese che oggi rappresenta forse il miglior esempio di democrazia occidentale, cioè l'Inghilterra, ha raggiunto un equilibrio democratico parecchi decenni dopo aver compiuto la propria rivoluzione industriale e aver assicurato una larga accumulazione di capitali a prezzo di durissimi sacrifici imposti con la forza alle masse.
Anche l'asprezza delle lotte interne in seno al partito bolscevico ha la sua radice storica nella gravità della posta in gioco: una risoluzione sbagliata, l'adozione tardiva di un determinato indirizzo potevano rappresentare una catastrofe nel processo di sviluppo e quindi in definitiva la sconfitta della rivoluzione.
Questa spiegazione della genesi della dittatura non vuol essere tuttavia una difesa dello stalinismo contro la recente condanna pronunciata al XX Congresso. Riconoscere che a un determinato momento dello sviluppo storico la dittatura é stata un fenomeno necessario non esclude che essa sia successivamente divenuta un ostacolo per l'ulteriore sviluppo. Sarebbe poco marxista non riconoscere questa intima dialettica del processo storico e attribuire alla dittatura staliniana tutto il bene o tutto il male. Senza la dittatura in appoggio alla tesi staliniana della costruzione del socialismo nel solo paese sovietico, la rivoluzione sarebbe stata probabilmente travolta (l'altra soluzione — quella cioè di esportare la rivoluzione nel mondo capitalistico — era già stata condannata dalla storia);
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tuttavia proprio la marcia al socialismo esigeva che, a un certo momento, fosse travolta la dittatura.
Se infatti la spiegazione che io ho dato è fondata, la concentrazione di volontà e di potenza diventava superflua, o perlomeno non doveva essere più così stretta, dal momento in cui non solo eran debellati gli avversari di classe, ma in luogo delle decine e decine di milioni di contadini analfabeti da spingere quasi a forza sulla via del rapido progresso, vi era ormai un popolo progredito, non più assillato dall'ansia di bruciare le tappe di uno sviluppo eco- nomico di cui aveva raggiunto le vette più alte, e che perciò poteva guardare con tranquillità al proprio avvenire.
Senonché é accaduto che la dittatura ha progressivamente distrutto le condizioni di una possibile democrazia, cioè ha contribuito a creare un sistema di cui essa era elemento indispensabile. La dittatura, necessitata dall'esigenza di impedire uno sviluppo spontaneo, finisce col far appello, contro la spontaneità, all'ubbidienza meccanica, specialmente quando si vuole imprimere alla marcia delle cose un ritmo eccezionale e manca quindi il tempo di fare appello ad un processo, inevitabilmente più lento, di adesione cosciente. Ubbidienza meccanica si traduce spesso in ultima analisi in conformismo degli inferiori verso superiori, in capora-lismo dei superiori verso gli inferiori. Paura della responsabilità in chi si limita a ubbidire senza discutere e magari senza assimilare, burocratismo nei quadri intermedi che si limitano a trasmettere la circolare o la direttiva, sclerosi del pensiero e del processo creativo negli intellettuali conformisti, esaltazione parossistica e tendenza all'abuso del potere nei dirigenti, via libera al carrierismo e al servilismo: queste sono conseguenze a cui difficilmente sfugge a lungo andare una dittatura. Credo che siano ben pochi nella storia gli esempi di persone portate dagli avvenimenti alle vette del potere e che abbiano ciononostante conservato un giudizio equilibrato delle cose e un superiore controllo di sé. Stalin ad ogni modo non fu fra questi ed è anzi probabile che egli sia giunto a degli eccessi di brutalità che meritano la più severa condanna. Ma — lo ripeto — sarebbe una polemica superficiale quella che pretendesse di trarre da ciò motivo di condanna di tutto il periodo stalinia-
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no, dimenticando che è impossibile, almeno nel nostro mondo, che una luce splenda senza che si proiettino delle ombre. E la rivoluzione fu indubbiamente una luce.
Diranno gli storici di domani quanto fosche siano state queste ombre e quanto, anche nella fase della dittatura necessaria, vi sia stato di eccessivo o inutilmente brutale. Quel che è certo però è che da un certo momento in avanti Stalin divenne un ostacolo alla marcia della rivoluzione e al progresso del popolo sovietico: dal momento cioè in cui ad un popolo ormai progredito e capace di governarsi con metodi piú civili e democratici pretese di continuare ad imporre delle forme di governo superate. Giocarono in suo favore anche tradizioni storiche e politiche di un popolo che non aveva mai conosciuto un reggimento democratico? Credo che sarebbe difficile negarlo.
Se mi sembra puerile e antistorico spiegare la dittatura 'staliniana (che è un portato della situazione rivoluzionaria come la dittatura di Robespierre e Saint-Just durante la rivoluzione francese), come se fosse semplicemente la continuazione di precedenti forme di tirannia, credo tuttavia che essa sia stata agevolata dal fatto che al popolo russo mancava l'esperienza della rivoluzione borghese, di una rivoluzione cioè che attraverso lo sviluppo della ricchezza mobiliare, dei commerci e dei viaggi, aveva sradicato l'individuo dall'ambiente medievale, lo aveva dotato di una coscienza della personalità e lo aveva educato alla secolare battaglia del principio di libertà contro il principio di autorità. Ma ritornerò su quest'argomento parlando del problema della libertà.
Il progresso economico e culturale del popolo sovietico ad ogni modo, mentre da un lato rendeva superflua anzi dannosa la dittatura, dall'altro creava precisamente le condizioni per renderla ostica alla parte più cosciente del popolo. Chi ha seguite le manifestazioni del pensiero e della letteratùra sovietica in questi ultimi anni si è reso conto che il processo di destalinizzazione non é scoppiato improvviso al XX Congresso, ma era in atto già da tempo. Esso è stato condotto avanti per tre anni in una forma piuttosto timida perché in un trentennio la dittatura staliniana aveva posto così profonde radici; non solo, come è naturale, in molti dirigenti e quadri
di partito fedeli a quel regime e ai suoi metodi, ma nella stessa mentalità popolare, che sarebbe stato difficile affrontare di colpo il cc culto della personalità ». Tuttavia, proprio perché queste radici erano profonde, diventava necessario a un certo momento strapparle per toglier di mezzo l'ostacolo che esse rappresentavano all'ulteriore marcia del popolo sovietico.
Coloro che dicono che nulla é cambiato o che parlano di mera tattica per addormentare la vigilanza degli occidentali, e coloro che spiegano la destalinizzazione con ragioni di politica internazionale soltanto, sono fuori di strada. Basta leggere attentamente il rapporto introduttivo di Krus'ciáv, e in genere i discorsi tenuti dai dirigenti al XX Congresso, per rendersi conto che la lotta da essi impegnata é soprattutto una lotta contro quei formidabili nemici del progresso che sono il conformismo e il burocratismo, il capo-ralismo e la paura della responsabilità, il dogmatismo e l'assenza di spirito critico. Non una polemica storica contro le colpe passate di Stalin hanno condotto i dirigenti sovietici, ma una battaglia politica contro le sopravvivenze dello stalinismo; non contro Stalin morto ma contro lo stalinismo vivo, o perlomeno contro i suoi aspetti deteriori che gli sono sopravvissuti, hanno impegnato tuttte le loro energie. Certo, per condurre con estrema decisione questa battaglia, essi hanno dovuto infrangere il mito che sta dietro alla mentalità che si sono proposti di distruggere: solo riducendo Stalin alle sue reali proporzioni umane é possibile sbarazzarsi del dogmatismo, solo dimostrandone gli errori é possibile ridare una spinta allo spirito critico. E d'altra parte senza questa battaglia, senza questa decisa volontà di rianimare tutte le sopite energie del pensiero e dell'intelligenza creatrici, senza riaccendere il libero confronto delle idee, senza fare appello al senso di responsabilità individuale, non é seriamente pensabile di condurre a termine vittoriosamente la grande sfida che il XX Congresso ha lanciato al mondo capitalistico. Io credo fermamente che il mondo socialista vincerà questa sfida se si libererà tempestivamente della zavorra che gli appesantisce le ali.
Un aspetto di questa zavorra lasciata in eredità dallo stalinismo era costituito dallo spirito e dai modi con cui erano regolati
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i rapporti tra l'Urss e gli altri « paesi del socialismo n o gli altri partiti comunisti. Anche qui la dittatura aveva sostituito ad una molteplicità elastica e aderente alle situazioni nazionali, e perciò viva e creatrice, una macchina rigida e pesante che doveva essere spezzata. Questo, a mio parere, è il senso della destalinizzazione, che io ho salutato come un fatto eminentemente positivo per le sorti future del socialismo, e ricco di immense possibilità. Di fronte a ciò tutti gli altri problemi che sono stati sollevati, di modo e di tempo, mi sembrano di secondaria importanza. Non ho elementi sufficienti per valutare la tempestività, ma penso che da un lato fosse difficile affrontare questa battaglia senza un certo periodo di preparazione (e tre anni di fronte ai decenni della dittatura non sono certo troppi), e che dall'altro fosse necessario a un certo momento sferrare un colpo decisivo. Quanto al fatto che il processo sia venuto dall'alto, mi sembra facile rispondere che non poteva accadere diversamente: proprio perché lo stalinismo aveva avuto queste conseguenze negative — in primo luogo il conformismo così diffuso che tutti abbiamo deplorato — era difficile pensare che l'attacco venisse dal basso, o perlomeno sarebbe stato necessario un periodo lunghissimo. Ma che esso rispondesse anche a stati d'animo, e prese di coscienze e in definitiva all'attesa almeno di alcuni strati della popolazione non sembra dubitabile, anche se questi stati d'animo non avevano possibilità di esprimersi in modo palese. Non è del resto compito dei dirigenti di aprire la strada .?
Un elogio meritano sicuramente i dirigenti sovietici: quello di aver cercato di avviare questo processo con il minimo necessario di lotte intestine e di violenze. Forse la soppressione di Beria e di alcuni altri dirigenti legati ai metodi polizieschi del passato era una necessità inevitabile, ma queste condanne non sembrano troppo gravi di fronte all'immensità del compito che essi si sono assunti. Ma è questo anche un segno del reale progresso che, nonostante gli errori della dittatura, il popolo sovietico aveva compiuto in passato: una dittatura che può sparire dopo trent'anni senza lasciarsi dietro un seguito di guerre civili e di convulsioni rivoluzionarie è una dittatura che presenta pur sempre un bilancio positivo.
LELIO BASSO
 
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in: Catalogo KBD Periodici; Id: 32280+++
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Testata/Serie/Edizione Nuovi Argomenti | Prima serie diretta da Alberto Moravia e Alberto Carocci | Edizione unica
Riferimento ISBD Nuovi argomenti : Rivista bimestrale. - N.1 (1953)-. - Roma [distribuzione Torino] : [s.n., distribuzione Einaudi], 1953-. - v. ; 23 cm (( La periodicità è variata più volte: la prima serie esce con periodicità irregolare, dal 1976 trimestrale. La prima serie si conclude con il n.69/71 (Luglio-Dicembre 1964 ma pubblicato nel marzo 1965), nel 1966 inizia la nuova serie che termina con il n.67 68 (1980), nel 1982 la terza serie che termina con il n.50 (apr. giu. 1994) ed inizia la quarta serie con il n.1 ... {Nuovi argomenti [rivista, 1953-]}+++
Data pubblicazione Anno: 1956 Mese: 5 Giorno: 1
Numero 20
Titolo KBD-Periodici: Nuovi Argomenti 1956 - 5 - 1 - numero 20


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