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tipologia: Analitici; Id: 1472354


Area del titolo e responsabilità
Tipologia Periodico
Titolo Rocco Scotellaro, L'uva puttanella (con una nota introduttiva di Carlo Levi)
Responsabilità
Scotellaro, Rocco+++
  • ente ; ente
  autore+++    
Levi, Carlo+++
  • ente ; ente
  introduzione di+++    
Area della trascrizione e della traduzione metatestuale
Trascrizioni
Trascrizione Non markup - automatica:
NUOVI ARGOMENTI
N. 17-18 Novembre 1955 - Febbraio 1956
L'UVA PUTTANELLA
Pubblichiamo qui alcuni dei frammenti inediti del libro l'« Uva puttanella » di Rocco Scotellaro. Il volume è comparso in questi giorni, per i tipi di Laterza. E un avvenimento importante nella nostra letteratura: è certamente una delle opere più ricche di valore e di peso di questi anni, da tutti i punti di vista: come creazione poetica originale, come racconto di fatti e descrizione di condizioni e avvenimenti di vita che sono vicini a tutti noi, come documento meridionalista, come strumento di lotta ed espressione di libertà. È forse la migliore delle opere dello scrittore lucano, morto a trent'anni, quella in cui, con più larghezza che nelle poesie, con più libertà e complessità che nell'o Inchiesta », Rocco ha espresso se stesso e insieme il mondo contadino in movimento, di cui egli era parte e guida.
L'« Uva puttanella » (come il lettore vedrà leggendo il libro, e dando un'occhiata alla lunga prefazione che lo accompagna) fu lasciato incompiuto per la morte di Rocco: e quello che è stato pubblicato in volume sono le parti finite e coerenti dell'opera; quelle che Rocco aveva portato a termine, e che si legano in unità, non soltanto per l'ispirazione comune, ma anche per l'argomento e lo sviluppo narrativo. Il piano dell'opera (successivamente, in vari momenti, tra il 1950, data dell'inizio, e il 1953, data della sua morte, modificato) era assai più ampio: ma della maggior parte del libro progettato non restano che note schematiche, appunti; indici sommari. L'opera avrebbe richiesto molti anni di lavoro, tanto che Rocco, talvolta, se ne scoraggiava, e pensava (quasi per un presagio) che non l'avrebbe mai potuta portare a termine.
Le parti pubblicate del libro hanno avuto, quasi tutte, una stesura continuata (soprattutto la prima parte, e l'ultima, quella
2 ROCCO SCOTELLARO
del carcere). Ma il metodo di lavoro di Rocco presupponeva una continua e minuziosa annotazione, una sorta di meditazione scritta (e scritta nella maniera più estemporanea, su foglietti sparsi, su frammenti di carta, su scatole di sigarette e di cerini, su quanto gli capitava per mano); una mole di materiale, che gli doveva servire poi nella redazione definitiva, che spesso è difficile distin-
guere da altre note, ché non avevano rapporto con il libro. E come un diario di appunti, nei quali vediamo rivivere il nostro amico, animati tutti dalla unità della sua persona. Ci pare dunque di estremo interesse pubblicare qui qualcuno di questi frammenti, tra í moltissimi che egli ha lasciato.
I frammenti dell'u Uva puttanella » possono distinguersi in tre categorie:
1) quelli programmatici (schemi di lavoro, indici, interpretazioni e spiegazioni di figure, personaggi, situazioni che avrebbero dovuto poi essere sviluppate, analisi del conc:tto di ,a Uva puttanella », citazioni di fonti, ecc.);
2) le note varie, appunti di immagini, di frasi, di discorsi, materiale generico e disponibile per l'opera da compiere. (In questo secondo gruppo di frammenti, numerosissimi, è, come ho detto, difficile, e talvolta impossibile, distinguere quelli che si riferiscono direttamente all'« Uva puttanella» dalle note fatte con altra intenzione o senza una destinazione particolare. Ma, in un certo senso, essi possono tutti riattaccarsi all'e Uva », perché nel libro, così come più recentemente era stato concepito, avrebbero dovuto trovare espressione unitaria tutte le diverse esperienze dell'autore);
3) quelli narrativi (che il lettore potrà agevolmente situare nel contesto del libro: alcuni sono delle varianti precedenti, o delle aggiunte che non avevano ancora trovato il loro posto, come, ad esempio, i frammenti della prigione, che non abbiamo potuto inserire nel libro per non interrompere lo sviluppo del racconto).
Ci è parso opportuno, (e crediamo di fare cosa utile e gradevole al lettore) pubblicare qui una parte di questi frammenti, che ci auguriamo possano essere poi raccolti tutti in volume, insieme alle lettere, agli scritti vari, agli articoli su differenti argomenti,
'I I
L'UVA PUTTANELLA 3
già pubblicati qua e là e praticamente introvabili, o lasciati inediti da Rocco. Nel primo gruppo abbiamo raccolto alcuni degli schemi dell'opera, dei commenti al concetto di « Uva puttanella », delle note di lavoro di Rocco. Nel secondo alcuni dei brevi appunti tratti dai quaderni stessi in cui Rocco andava scrivendo il suo libro; e inoltre alcune pagine di uno dei molti quaderni di note, cos? ricche di materiale espressivo. Nel terzo gruppo infine, pubblichiamo i frammenti narrativi, che corrispondono alle varie parti del libro, e che serviranno al lettore, come una appendice, a completare e approfondire la propria lettura.
Tutti questi frammenti, pur nel loro disordine e nella loro incompiutezza, entrano nel quadro di un'opera che è la più viva espressione e la più diretta testimonianza di un mondo nuovo di immagini e di vita, che nasce dal movimento contadino, lo rappresenta e lo esprime. Sono parole nuove, piene insieme di verità e di poesia. Questi frammenti ne mostrano la formazione e la nascita: tanto più commoventi dunque, perché così direttamente legati a una meditazione che era insieme azione e creazione; che trovava nel movimento contadino la sua fonte, e che riportava al movimento contadino le immagini che, rappresentandolo, lo face-vato reale.
Carlo Levi
FRAMMENTI DELL'« UVA PUTTANELLA »
Io
1.
Questò racconto, ispirato solo in parte a fatti realmente avvenuti e a persone anagrafiche, ha rasentato appena l'autobiografia e l'inchiesta che sono gli strumenti più diretti della comunicazione. Per un'autobiografia mancano altri elogi e altri biasimi, e poi si
4 ROCCO SCOTELLARO
sa bene l'inganno di ogni lettera scritta all'amico ed all'amata; per un'inchiesta occorrevano calcoli che possono benissimo non tornare alla fine come accade nella varia pronunzia dello stesso verso in una poesia. Gli appunti presi sono stati un esercizio qualunque di calligrafia e di pittura del momento. Ripetendoli qui, essi hanno la forza fredda degli ossi, dispersi, nemmeno legati in scheletro. L'ordine che non c'è non lo troverete come appunto è nel grappolo d'uva che gli acini sono di diversa grandezza anche a volere usare la piú accurata sgramolatura. Questi sono acini piccoli, apireni, seppure maturi che andranno ugualmente nella tina del mosto il giorno della vendemmia. Cosi il mio paese fa parte dell'Italia.
Io e il mio paese meridionale siamo l'uva puttanella, piccola e matura nel grappolo per dare il poco succo che abbiamo. Infine l'invenzione e la realtà sono ugualmente gratuite, malgrado ogni strumento di misura e di paragone e perciò nessuno — uomini e partiti — si quereli e i giudici, li prego, non diano retta alle chiacchiere.
2.
Disegno generale del libro «L'uva puttanella»
la parte — Le dimissioni questa volta mi riportano, nudo e fanciullo, alla vigna del padre.
Istintivamente, perduta ogni illusione di potere essere utile agli altri e pensando di non essere stato utile a me stesso, vorrei prendere in mano la vigna e l'attività del padre.
Con le persecuzioni violente che cominciavano saremmo stati schiacciati tutti. Le forze dei signori, l'autorità loro e delle vecchie leggi si ricostituivano. Le nostre parole diventavano vecchie. C'era tuttavia una serie di fatti e di cose, che restavano, che dovevano restare.
2' parte— Storia dei movimenti locali. Comizi. Caratteri e tipi. Partiti locali, attuali e passati. I sindaci degli altri comuni. La chiesa cattolica. Il Vescovo.

L'UVA PUTTANELLA 5
Un maestro: Mazzarino.
Le prime elezioni del giugno '46, le amministrative.
Le prime dimissioni, dopo il 18 aprile '48.
Il Commissario prefettizio. Gli esami a Bari.
Le elezioni del nov. '48. Il Battesimo : non posso fare il
compare.
Ero una peschiera, avevo acqua pulita o sporca, io non c'en-
travo. Votavano per me la Presidente dell'Azione cattolica e persino
i delinquenti.
Realizzazioni: Io non me ne vaco a ra qua
si la grazia nun mi fa.
3a parte — Il carcere 8 febbraio '50-25 marzo '50. Le occupa-
zioni di terre.
La religione della camorra. La libertà.
Come purtroppo si può essere politici oggi: con o contro
1; Americ scendo sempre la parte di uva puttanella.
4a parte — L'amore che non viene. La madre, la città.
Il paese resta come un piatto melmoso in fondo al cuore.
L'emigrazione.
5a parte — Ritorno al paese: elezioni del 7 giugno. Il semi-
cerchio.
3.
L'Uva puttanella: Le ideologie, la ricchezza, la violenza, la religione e le potenze terrestri e arcane sono forze che vogliono vincere la loro battaglia su tutti gli uomini.
Gli uomini ne rimangono feriti, schiacciati o rotti, come cocci, tuttavia con la loro invincibile personalità animale « Se noi vogliamo, nessuno ci scoprirà » si dicono, anzi, per difendersi.
L'asprezza dei contadini è un carattere individuale inconfondibile; la loro adesione a un movimento è assuefazione incosciente e forzata, la loro speranza è sempre disperata perché gli uomini non vogliono bene agli uomini; per loro le linee di una qualsiasi logica, la più reale e palmare, possono essere sconvolte da un maleficio sempre corrispondente.
6 ROCCO SCOTELLARO
La provvisorietà del mondo orienta il contadino al pieno godimento di una vita, anche misera, stentata e grama; d'altra parte lo induce alla credenza religiosa.
Ma il credo religioso é anch'esso logica costruzione di uomini non c'è niente di veramente credibile.
« Se Dio c'è lo sa lui ». Il Dio è anche il maleficio.
La macchina forse potrebbe urtare contra la loro diffidenza, e vincerla, ma la macchina non é più misteriosa di un serpe. Il giorno di festa è un giorno di dura fatica.
I morti sono l'umiliazione della propria carne ad opera del maleficio.
I vivi sono portatori di maleficio, che o dorme o si sveglia nelle liti, nei furti, negli assassini.
Il padre e la madre sono i primi rivelatori del male.
Le malattie stanno nell'aria e si combinano per inaspettati colpi di vento.
La nascita è un premio prezioso che ci possono rubare e che bisogna assicurare col battesimo.
L'amore non esiste. Esiste il disamore che si esprime nelle combinazioni, negli innesti, nei matrimoni quando due esseri inconciliabili sono uniti con un ferro rovente del caso. L'atto sessuale riprova soltanto l'aspirazione all'amore.
Siamo qui, senza volontà di vita, con la paura della morte. Il lavoro é un richiamo della terra .che ci vuole sempre più in profondo.
Gli animali e i prodotti della terra sono la misura del nostro essere.
Ma gli uomini, tutti gli uomini e le donne sono diversi da me in tutto.
Siamo uguali nel disamore e nella morte.
4.
Dalla parte del più forte.
Machiavelli accettò per destino irrimediabile la condizione dei governati secondo la convinzione che se anche questi riusci-
vano con moti a travolgere i poteri dovevano poi rientrare ai loro posti, essendo determinante la condotta dei potenti a generare o governare la storia.
Machiavelli era più psicologo che storico del suo tempo e quell'economia era rivestita del carattere del signore capace o impotente alle regole del giuoco dell'anima umana.
Perciò non vide né analizzò lo stato dei governati, misurandone le reazioni e distinguendole in spontanee e forzate o provocate e dirette. In Italia i movimenti popolari non sono ancora stati studiati dal punto di vista delle classi inferiori.
Queste mantengono in vita, per sé, l'ordine di idee delle classi più vicine al potere: che si possa essere salvi e godere la relativa comodità restando sempre, col variare dei tempi, dalla parte del più forte.
5.
c< Perché così come coloro che disegnano e' paesi si pongono bassi nel piano a considerare la natura dei monti e de' luoghi alti, e per considerare quella de' bassi si pongono alti sopra de' monti, similmente, a conoscere bene la natura de' populi, bisogna essere principe, e a conoscere bene quella dei principi, bisogna essere po-pulare ».
Machiavelli, Il Principe.
u Vivendo adunque gli uomini intra tante persecuzioni, portavano descritti negli occhi lo spavento dello animo loro, perché, oltre agli infiniti mali che sopportavano, mancava buona parte di loro di poter rifuggire all'aiuto di Dio, nel quale tutti i miseri sogliono sperare; perché, sendo la maggior parte di loro incerti a quale Dio dovessero ricorrere, mancando di ogni aiuto e di ogni speranza, miseramente morivano ».
Machiavelli, Istorie Fiorentine.
6.
Uva puttanella sono gli amici miei ed io, ostriche attaccate a un masso, che non vedono e non sanno il segreto delle barche, delle petroliere, delle portaerei e dei cacciatori subacquei.
8 ROCCO SCOTELLARO
Viviamo al coperto delle preoccupazioni degli economisti, anche se riusciamo a capire le loro lotte e perciò ne profetizziamo l'inutilità. Al coperto delle ultime conoscenze fisiche: il peggio é sapere che non avremo dei figli, abbastanza adulti e intelligenti (non li avremo affatto) che potranno spiegarci domani cib che capita sotto i nostri occhi oggi quando loro non sono ancora nati.
7.
Scrivendo un racconto si deve ammettere l'implicita conoscenza dei fatti, che sono quelli e potrebbero essere infiniti altri della realtà; l'aria, invece, del racconto costituisce un'altrettale realtà della fantasia, ed è la sola che conti.
8.
Era tutta questione di farsi vedere.
Uno avrebbe lavorato con gioia quando il lavoro si consuma come una gioia.
Ma appena — dopo un'ora — smettere il lavoro per spandere la gioia. Chiamatela vanità o soltanto desiderio di moltiplicarsi di abbracciare di riempire l'aria di sé col foglio aperto in mano, con la targa dell'allegrezza.
Così l'acino piccolo forzava le porte per vedere il sole tra gli acini grossi, e non si moltiplicava, non si faceva grande.
9.
Ka f ka
Nella mia Uva puttanella non é questione di puttanismo politico, fenomeno comune ai capi e ai gregari delle chiese e dei partiti e a tutti gli uomini.
Si tratta, invece, di una rinuncia all'essere, di riluttanza al divenire maturi e grandi.
Ho visto uomini in divisa consacrarsi al sangue, e povera gente in fila per il tozzo di pane giornaliero: persone normali; ho visto arraffoni e speculatori, ladri e assassini: persone poco normali;

L'UVA PUTTANELLA 9
capi chiese e capindustrie e capipopoli: anormali; artisti col capo
volante, esseri non esseri, ma uccelli, sia che abbiano o non abbiano
pane e comodi.
Mia madre mi vuole bene, io non le voglio bene, o soltanto
qualche volta per abbandono o malanno provvisorio.
C'é gente che studia e deve arrivare, arriva ed é contenta.
C'é persone che vogliono sposarsi e si sposano.
Io non so che fare, forse mi ucciderò: sarà l'unico gesto nor-
male, di cui spero essere capace.
Penso che Dio è l'uomo più furbo di questa terra, sta nascosto
in un buco per manovrarci così bene.
10.
Uva puttanella é l'uva che ha l'acinellatura : consiste nella presenza di acini più piccoli tra quelli di grandezza normale.
Questi acini sono apireni (senza semi) e, se non restano verdi (acinellatura verde), maturano fino a essere più dolci di quelli normali (acinellatura dolce).
L'acinellatura dipende dalla mancata o incompleta fecondazione.
11.
L'uomo dell'Uva puttanella ha il solo problema : l'attesa del giorno in cui a suo dispetto sarà gettato nel tinello per far mosto.
12.
L'uva puttanella era in mezzo ai suoni di tromba di tutti i giornali che annunciavano le vittorie delle elezioni amministrative, ognuno giubilava, nessuno aveva perso.
13.
L'analfabetismo di ritorno — che significava cancellate le tracce degli esami universitari, spente le immagini di fisica, di chimica, delle piante e delle loro famiglie — riguardava anche lui: come si legge una via per la prima volta senza che si sappiano
10 ROCCO SCOTELLARO
le vicende passate e presenti che le dànno anima, e lui voleva saperle, così gli pareva - a costo di non sprofondare sempre in giù — che la pioggia o il sereno, il corvo e la bucanvillea avevano tutti una ragione e legge conosciute dagli uomini, che era necessario' riapprendere, ripetersi, imparare a memoria.
O sprofondare, si : ma cos'altro aveva fatto in quel tempo se non aderire col suo giornale spiegato intorno alle case e alle famiglie, fasciandone tutto il paese?
Non era contadino, non era un disperato vero, un calzolaio, né un prete, né avvocato, né giudice, per quale legge dunque si muoveva? Né viandante del tutto, carrozzone inerte di un treno, che può passare da un deposito all'altro e girarsi l'Italia.
Uva puttanella che una malattia conosciuta dagli enologhi aveva invaso il grappolo, senza devastarlo del tutto: acini avevano resistito, acini no : questi piccoli sulle raspe non erano più cresciuti da luglio, ma maturati, dolci come gli altri, col sole dentro, la polvere sulla pelle.
II°
1.
Mi ritiravo le notti, con tutti gli atti e i peccati del giorno, solo veramente, eppure mai mi capitava di non essere accompagnato.
Quelli, dov'ero stato a bere e giocare, mi mettevano in mezzo, guerrieri di un re pari loro, con una divisa di fierezza mi scortavano fino alla porta di casa. Avanti e intorno erano nascondigli, vicoli sopra e ai lati; di fronte era l'entrata della casa del mio padrino, senza battenti, dava in una scala e poi, in alto c'era la porta. Era sempre scuro là e nel vicolo a fianco. Se uno mi voleva tirare un colpo, era facile, ma i miei compagni mi proteggevano, guerrieri e fraterni, dei loro mantelli o delle giubbe, con le mani nelle tasche, fino a che non scomparivo dietro la mia porta e i cardini stridevano e il ferro tintinnava tra i passanti dell'altro battente.
L'UVA PUTTANELLA Il
2.
« Non andare dentro alle persone in questo modo ».
Frase dettami da una ragazza che aveva un segreto
amoroso che io volevo sapere.
3.
— Requie e riposo al Purgatorio. La mia povera vita! Giovi-notto fermatevi qua.
Alla gruccia appoggiava il moncone quando voleva riposarsi.
Aveva la faccia rossa, due ciocche di bianchi capelli sul cuoio rosso come la faccia, un paio di baffi folti. E la sua voce era stridula, erano le sue parole note di trombetta. — Sono nativo del Gargano vicino a San Michele.
— Grazie assai — cantava — mio giovinotto per la mia povera vita.
4.
11 maggio: consiglio per il cambio della guardia. Denice: va giusto Laurenziana viene che viene, porta un piretto di vino e beviamo in consiglio.
5.
Erano pronti i calamai, sette, neri sulle pezze di carta assorbente: ai quattro lati, disposte diagonalmente le penne. La scolaresca è pronta, diceva Rocco, dopo aver apparecchiato.
6.
Genzano, prima del consiglio: — Oh, sindaco, stasera c'è la mia terra.
7.
Scardillo. Prima di andartene, toglimi dalle spalle mio cognato disoccupato, cagli il posto di bidello.
8.
Noi chiediamo una cosa giusta : ci hanno denunziati per le terre. Chi sa come andrà. Dio e la fortuna.
12 ROCCO SCOTELLARO
9.
I tavoli in consiglio erano tre: una sfilata di calamai e di penne nei due tavoli tra loro, in fondo la libreria con i volumi di raccolta Leggi e decreti dal 1800 e dispari.
10.
La terra da Miglionico a Grottole, dove c'erano gli ulivi, era grassa nella nebbia.
11.
Dove mangiano quattro, mangiano cinque. Tendenza a ridurre ogni giorno il proprio cibo e il proprio spazio di terra.
12.
Il Prefetto di Matera rimprovera il veterinario Petrillo, che al suo passaggio era rimasto seduto avanti al circolo Unione, senza salutarlo.
— Io stavo qui con la mia Signora, era V.E. che doveva semmai salutare noi. — La risposta del veterinario ebbe il consenso dei borghesi materani che all'orecchio gli dicevano: — Hai fatto bene, proprio bene.
13.
Alla stazione: chi va a casa.
Uno già si faceva la faccia dell'arrivo, della prima destinazione, i facchini e gli operai della stazione, il fattorino e l'autista della corriera, e poi i circoli degli amici e la famiglia e le ragazze, tutti che lo avrebbero rivisto con quella faccia. La sigaretta in bocca, una gamba stesa avanti all'altra, i capelli e gli occhi: — Sei fatto bello, elegante — gli avrebbero detto. Egli sentiva già ora queste voci.
14.
Beati coloro, per i quali la vita continua anche il giorno di
Pasqua.
A Salerno, piove; sono venuto con il filobus, in un ristorante
L'UVA PUTTANELLA 13
aperto, c'è vento di mare, i camerieri stanno al posto loro, la
solita lista.
Mangio a un tavolo, con un bicchiere di fresie, un garofano,
e boccadileone.
A un tavolo grosso le famiglie di 2 carabinieri o appuntati in borghese, un loro parente, dai capelli bianchi e gobbo. Scrivono le cartoline ai colleghi di certe stazioni, dove o comandano o servono.
Qui al lato c'è una vecchia mamma e il figlio. Più in là un padre una madre eleganti e due figlioli sono quelli della macchina targata Roma. Ed ecco, due ragazzi, in divisa di convittori salesiani
e il loro papà.
Andando da Napoli a Cava nel treno si sono sentite le note del mandolino: Ecco, dicevo, capiscono che in certi giorni, come per certe ricorrenze nella vita propria, non è possibile — se si viaggia — andare con le mani in mano. Hanno preso il mandolino
e altri — sentiremo — i loro altri strumenti.
Macché, era una vecchia, capelli cenere spezzava l'unica can- zone davanti alle porte dei scompartimenti per prendersi le lire di regalo.
La festa consiste massimamente nel pranzo, tanto è vero che rima dire, alle 3 del pomeriggio, ora pesante, ora sola, se si parla : — Buone feste fatte — con infinita melanconia.
Mangiando, un mercurio entro la spina dorsale tende a salire, arriva in capo, se c'è vino, per poco che se ne beve.
Noi tendiamo alla noia, alla posizione orizzontale, come lo stecchino gettato a terra. E prima di questo tempo, tutte le prove, da soli o in compagnia, per arrivare chi sa dove. Il figlio ha detto alla mamma : — Fai il bis, mamma, é buono questo vino.
La signora ha chiuso l'occhio al marito brindando così col bicchiere di liquore. La famiglia degli appuntati è dominata dalle due grasse signore che parlano italiano.
I ragazzi salesiani leggono i giornaletti. Le strade sono ancora vuote, il mio grande amico assente è il contadino, sempre in queste feste loro si nascondono nelle case seguendo la regola' e pensando che la segua anch'io. Io prendo un caffè, per ricominciare e il mercurio scende, perché devo camminare, anche se piove, una
14 ROCCO SCOTELLARO
pioggia solitaria che cala su me, sugli alberi, sul mare, sulla pedana, da dove — nei giorni — si governa il transito, e l'anima contadina, operaia, qualunquista è sulle strade e si guarda nelle vetrine e nella terra o sui libri o sui banchi o sulle cucine.
15.
Il Maresciallo si avvicinò con due carabinieri e alcune guardie. Così dice al Sindaco: — Avvocato, che cosa ha combinato? Lei non pub ordinare il dissequestro della pasta.
Al che il Sindaco: — Io sono il capo del servizio sanitario, potevo.
— Lei non può ordinare niente, per gli articoli ecc.
— E lei che non doveva intervenire in un ordine di mia competenza.
— Come io non potevo? — Il Maresciallo si avvicina al Sindaco.
— Tolga le mani da dosso.
— Non gli ho mica messo le mani addosso.
— Se ne vada.
— Se ne vada lei, lei deve andarsene, vedremo.
Rivolto alle guardie: — Vi diffido a eseguire altri ordini, la
pasta non si pub vendere perché sequestrata.
Tutta la scena ha destato meraviglia, stupore e recriminazione
da parte della cittadinanza presente.
16.
La faccia del pane.
quella che assume l'impiegato e l'operaio anche, sapendo che andrà a lavoro sicuro, inghiotte saliva, fuma e ti dice: — Sono a posto, tanto al mese.
Piantare il mento.
Tutti piantano il mento accennando alla marcia vittoriosa della loro parte politica, che vuol dire sconfitta dell'avversario o imminente o futura : — Si vedrà, vedremo — e piantano il mento come la macchina da cucire.
L'UVA PUTTANELLA 15
17.
La città: la gente riunita applaude nei teatri, le macchine di mezzanotte col muso al marciapiede sono buone come vacche e chi se la fuma a passo lento.
18.
Papà mio, quando ti appendevi alla campanella:
— Sarà ammalato, — dicevi — o bene?
E ti guardavi il volto del Gesù, pittato nella mattonella cen-
trale di una grossa croce in ceramica, accanto al portone con la
targhetta del seminario « Serafico S. Felice ».
19.
Un sorso d'acqua bevuta alla fontana e dare schiaffi all'aria per sentirla e sottometterla volevo all'uscita dalla piccola porta di ferro del carcere, che mi parve di compensato grigio quando si chiuse dietro le spalle. E mi diressi per bere, il fontanino sta sul marciapiedi, ma trovai uno stuolo di quattro giovani, che erano venuti ad aspettare i contadini uscenti, e che mi abbracciarono solo dopo che io li riconobbi, uno per uno. Loro guardavano stupiti con gli occhi quasi in alto, o forse perché aspettavano anche gli altri o forse perché io scendevo dall'alto dei tre gradini dalla porta di ferro.
20.
La gente che veniva a casa a prendere in prestito padelle, pane e fiammiferi.
21.
Fai male, male fai
fai bene, sempre male fai
dunque fai male.
22.
La ricerca del Sindaco da parte del Questore.
Il telefonista agente di P.S. licenziato perché non riesce a
trovare il sindaco all'altro capo del telefono.
16 ROCCO SCOTELLARO
23.
Fu dopo aver cantato le glorie delle donne nominate da tutti e di Giovannina — Quant'è bella la Giovannina, si mette in moto senza benzina!
Ella abitava a Fuori la Porta in una casa, l'ultima piantata lungo il viale, si vedeva il suo spigolo conficcato nella roccia e poi c'era la villa di quattro acacie e più distante la cabina elettrica, una cassapanca all'impiedi.
24.
Il serpente nero, steso nel 'muro, era mio padre che mi sbarrava il passo.
25.
Tutte queste malattie di oggi sono perché hanno spogliato i boschi perché prima rimanevano soffocate nelle chiome degli alberi.
26.
Il 1942, quando moristi, volevo sapere da te, dall'altro mondo, che dovevo fare: guerra non la feci. Matteotti. I mietitori, i calzolai, Innocenzo.
27.
— Certo che parlo di me, e di chi dovrei parlare? — dissi ad alta voce al serpente appena lo scorsi. Si girò indietro e scappò via.
28.
La lamiera si scaldava al sole, eppur così bella da stenderci le gambe il mattino negl'incavi, diventava nemica per quel suo friggere.
Quando pioveva le gocce suonavano nella casetta non ci si sentiva dal fragore della pioggia sulle lamiere. C'erano le pietre ai lati per tenerle ferme.
Le pietre della fabbrica, un pezzo al confino con Don Raffaele, erano smosse. Mio padre, lo vedevo, « c'é sempre qualcosa da fare » diceva « queste pietre, il grappolo che tocca terra e si
L'UVA PUTTANELLA ]7
infradicisce » basta scavare un poco con le unghie i mattoni al camino della casetta, tu ti vai a sedere, quelli si scostano. E uno tira l'altro.
Si facevano ora le viti largo, non più tutte parevano, a quattro a quattro con le canne a capannello come cabine o case o palazzotti uno in fila all'altro, qualcuna si sradicava, un'altra invecchiava, c'erano due larghi, mancanti di un capannello e mezzo, sei viti, che parevano una piaga, un cimitero.
Il merci era più lungo di Calciano. Montava in un punto e trovava la discesa più ripida dopo.
Era rimasta l'unghia con il ferro.
L'albero di fico, spoglio, era più giovane, i rami erano molli, parevano braccia di adolescenti. Si poteva dar fuoco alla vigna? E come! le foglie secche erano un tappeto, le canne e i tralci avrebbero preso.
L'aliante rosso sangue.
La menta alla prima fabbrica dall'odore penetrante.
I momenti brutti, due tre volte sono svenuto, mi sono svegliato a quest'odore, misto anche d'aglio e aceto.
29.
— Gli pareva di vivere stando in affitto. Dalla sera alla mat-
tina lo potevano sfrattare.
-- Al giocatore sordo bisognava parlare al telefono.
— Io sono il migliore suonatore di chitarra. Mettiamoci alla prova — proclamava il sanchirichese ubriaco. E la scala musicale. E la fisarmonica. E il canto.
— Tutti pazzi al mio paese.
-- A san Pancrazio avevano messo le strisce rosse dal braccio ai piedi per servire ad appendere le carte moneta in devozione. Precedeva Santa Filomena in una bara dai bordi dorati: si vedeva la capigliatura nera, il suo viso di giovinetta. Era la fidanzata di San Pancrazio, credono i paesani.
Non pioveva : — Poveri a noi! La festa dei pochi colpi sparati si fece sentire nelle campagne, le gelate tenevano dure le terre, la
neve di marzo era arrivata tardi a germogli fatti. •
18 ROCCO SCOTELLARO
— Contentati — dicevano a San Pancrazio i contadini, gli agricoltori, se non c'è di più fuoco come meriteresti.
— Morte e corte: come ti puoi aiutare!
— Secondo la cadenza del discorso.
30.
Strada facendo.
La masseria della Serra Alata é lontana 25 chilometri da Lau-renzana, il paese più vicino. È situata a mezza costa, solo più a monte cominciano i primi radi alberi di querce: si vede dal torrente la casa del padrone con un primo e un secondo piano, cui seguono i vani bassi per le stalle delle vacche e il ricovero dei pa- stori e dei gualani.
Pancrazio é un giovane di 22 anni, pastore. Si leva dal giaciglio di paglia quando ancora non è l'alba, ma gli uccelli nei pira-stri vicini e sulle tegole della masseria fanno già il pandemonio: un altro pastore dorme ancora : il vano é occupato dai due giacigli, ottenuti da assi di legno che si irramano alle estremità da cui pendono secchi, fiscelli, le coppole, le giacche, i bastoni ricurvi.
Pancrazio sveglia il cane Schiappino, un cucciolo dal pelo rossiccio, che corre fuori, avanti la masseria, sullo spiazzo di terra battuta. Allora cominciano i galli a cantare dalla siepe in cui sono chiusi vicino alla stalla. Pancrazio si affaccia fuori, con il capo, mentre ancora si veste.
Che bella mattinata che comincia, questa é l'ultima di Pancrazio scapolo, e tu, ti alzi, stella mattutina? Carmela non ti chiami o stella vera, non l'avevo con te, ma con Carmela.
L'ultima stella scompare in cielo.
Pancrazio si rivolge all'altro che dorme scuotendolo:
Tu che dici, compagno di galera? Dove ti fece giorno il sabato di sposo?
L'UVA PUTTANELLA 19
L'altro, Innocenzo, fissa la vecchia coppola :
Quel giorno non fosse mai venuto,
stavo contento come te, come una Pasqua;
ero in paese, mi chiamavano:
Nocé, oggi ti piazzi! E io correvo
Avanti con l'abito nuovo nella strada,
cercandola Maria mia, che stava
a due passi dalla mia porta,
cercando i compagni
che mi dovevano consigliare la cerimonia.
31.
— Perché vai cosí stracciato?
— No, quella poveretta ha da fare, è poca l'acqua, la pasta me l'ha fatta a colla. Ieri sera poi doveva calcinare il grano. E poi ha quattro bambini in braccio e non ha tempo.
— Tu devi fare un servizio a tua moglie, vieni da me, ti affilo un coltello di legno e le tagli l'orecchio e la porti al maresciallo.
— No, poveretta, è tanto impicciata non ha tempo né a prendere acqua né a rappezzarmi i pantaloni.
3 lire di mentine.
Padre figlio e S.S.
32.
Zia Filomena, donna pubblica, di cui ho sentito parlare, avrà più di 70 anni, regola il prezzo dei suoi servizi, secondo il costo del biglietto del cinema, da quando c'è il cinema. E anche possibile un abbonamento. 200 lire un mese di seguito.
33.
L'altra sera sei napoletani installarono su una balilla e un camioncino una bancarella di vendita. Microfono e altoparlante. Si vendevano quattro paia di pantaloni usati al prezzo di lire mille. Gran vendita dapprima. Subito dopo una contadina voleva indietro il biglietto da mille e restituire i quattro pantaloni inservibili.
20 ROCCO SCOTELLARO
Il venditore: « Non cambio niente a nessuno ».
La contadina : « Ma se i soldi erano falsi? ».
Il gruppo di pubblico si divide tra i sostenitori della compratrice e gli altri ammirati dai gran discorsi del napoletano, che non poté piú vendere niente e terminò dopo giochi di prestigio per attirare tutto il pubblico per sé e vendere, con un vero comizio sull'educazione civile dei paesi. Non vendette più nemmeno i cinque pezzi di pettine con lo specchio, tutto per cento lire. « Andate in chiesa a rubare », disse alla fine, « cento lire, una lira anteguerra ».
Mangiarono a mezzanotte gli spaghetti e la carne, fumanti su una cucina a petrolio e c'era ancora pubblico. Uno disse : « Vien voglia di mangiare con loro ».
34.
Concetto Valente ce l'ha con questo « fideliter excubat ». Genuflessa (egli commenta) all'altare la sposa dispiega un lembo della veste sotto le ginocchia dello sposo. Tacita promessa di fedeltà.
E poi -- non so se è sempre lui Valente — trovo scritto in un appunto: « La Lucania ha bisogno di spiriti profondi per essere compresa e di anime vergini per essere amata ».
Però a Don Concetto non è piaciuto il « Cristo » di Levi. Ancora oggi che egli ha le mani tremanti parla che dovrà scrivere una grande opera della nostra gente.
35.
Lo scrupolo della mezza lenticchia.
Zio Michele Tribunale ebbe il desiderio, grosso e tribunali-zio com'è, di suonare la tromba a pompetta di un'automobile. Toccandola con le sue mani, la pompetta si staccò. Pensando di dover pagare il danno e essere comunque richiamato o punito, and() a nascondersi nella sua macelleria. Dei ragazzi indicarono ai padroni della macchina la casa di zio Michele. Fu trovato alto dietro lo stiglio della carne, così detto moschiera per la retina che ha contro le mosche. Lì zio Michele era rigido e pauroso senza parola. Sco-
L'UVA PUTTANELLA 21
perto, alzò le mani come dovesse difendersi da persone armate: « Vi pago », disse, « ciò che volete ».
Sempre di zio Michele : le latrine da soldato, la mosca avanti gli occhi, non fece il soldato perché un altro caca e lui doveva pulire i cessi. Finse di essere pazzo, gli ficcarono degli spilloni alle dita del piede. Gli usci un litro di sangue, seppe resistere e non fece il soldato
36.
Chiese Monsignore a fra Gaetano che aveva al petto una croce fatta di due stecche : « Cos'è quel coso di legno? » con profondo disprezzo e sapendo di rappresentare lui solo il Cristianesimo..
« Legno da legno» fece fra Gaetano, .« la tua testa è fatta a legno ».
Fra Gaetano quando pregava singhiozzava come una colomba, piangeva cucù, cucù.
Fra Gaetano era stato pastore e carabiniere, si dette alla penitenza e vesti un saio paesano che aveva solo il ricordo di certe immaginette di santi antichi.
Mori, combattuto dai preti e dalla chiesa, dicono, in odore di santità, ma era un contadino, un profeta, dormiva con il capo sul sasso.
Fra Gaetano, detto l'eremita.
37.
Abriola - Calvello.
Inaspettato, bosco di faggi, apre l'aria ai monti.
Abriola sarà vicina quando il bosco é finito, sulle montagne di un verde malato c'é la striscia della ferrovia e poi Monforte, un monte di ossa pare sullo scarrone, un avamposto. Sulla linea di caduta di questo monte, nella parte spezzata c'é il paese in basso e la roccia che lo tiene e i faraglioni i massi staccati dalla montagna originaria per far posto alle case. Da questi faraglioni si buttano i disperati. Anche Calvello ha il colore della pietra morta, sorge in basso alla strada e si presenta guardandolo dalla rotabile come un grosso fiore da cogliere.



22 ROCCO SCOTELLARO
38.
Un monaco andava per la cerca e si fermò vicino a una beccheria.
— Zi mò — lo chiamò il beccaio — la vedete questa bella chianca? Entrate, favorite: ho messo il quadro di San Pasquale
con la lampada per devozione, é accesa notte e giorno.
Il monaco rispose: — Stute a lampa e aggiuste o pise.
39.
Stamane é nebbioso, per la prima volta il cielo é coperto come era da sperarsi per arare meglio. I passeri si beccano sul corpo come se si spulciassero, stanno insieme negl'incavi degli embrici.
I contadini schiamazzavano, dalle cinque, nella via per fare in fretta. Quelli del vicinato sono partiti correndo dietro il trotto dell'asino: tatati, tatati, che è stato una nota simpatica fino a smorzarsi alla svolta.
In casa del mugnaio, marito e moglie, hanno parlato ad alta voce mentre schiariva, questa settimana si sposa la figlia.
I bambini giocano, si sono levati presto con i genitori. Giocheranno anche se piove fino a stasera.
40.
La sera il senso d'attesa dei contadini, nella Camera del Lavoro. Che è successo ? Sentiamo la radio. Chi é venuto ? Che dice ? Si va a lavorare ?
Uscivano da casa in piazza.
Solo il vino rompeva la monotonia e creava la guerra del padrone e del sotto.
Di questi giorni ricordo che mi ritiravo a casa sapendo di trovare il baccalà con i peperoni croccanti o questi con le olive fritte che fanno mangiare tanto pane e bere tanto vino.
41.
((Tutti pazzi al mio paese». Il paese era pieno di botte come un asino scorciato.
L'UVA PUTTANELLA 23
Le botte erano diffuse sul corpo, alcune visibili altre no, la più grossa stava sotto il basto. Avevano voglia di dire che il panorama visto da Santa Maria, quello stesso che prese il fotografo di Gravina per la cartolina illustrata di rip. vietata, faceva del paese un treno a vapore, con la torre locomotiva: dove andava? Era un asino, invece, col collo che era il monte e la testa la torre, il dorso la piazza, la groppa la Rabata e la Saracena.
1.
Il convento era rimasto lontano come un buco nella montagna di Sicignano degli Alburni con le loro corone di grosse scatole pallide: sotto, la rotabile con nodi e tratti lunghi che si perdeva nella macchia nera della piana di Eboli. Era un buco come il mio paese. Potevo soltanto dire una cosa nuova agli amici: che da una finestra del convento avevo visto su quella rotabile passare i corridori del Giro d'Italia, che non toccavano mai il nostro paese.
Che dovevo fare adesso ? Mio cugino aveva cambiato già due mestieri; smise di fare il falegname perché ci vuole un'intera gioventù prima di tirare un soldo di giornata in casa, faceva dunque il mestiere dei fratelli, il sarto in una stanza di casa sua.
Ninuccio andava alla Pantana ogni giorno, dal mese di maggio fino alla vendemmia restava giorno e notte in campagna, lo rivedevo col sole che aveva preso come se tornasse da un altro paese.
E Innocenzo che non si perdeva mai la domenica in paese e le feste, stava in casa i giorni del morto, quando indossava l'abito della confraternita di Sant'Antonio, guadagnando trenta soldi per ogni accompagnamento.
Mentre Ninuccio aveva più terra, tutta alla Pantana, e un pezzo di vigna anche, ma vicino al paese, Innocenzo andava una volta alla Trinità, un'altra a Malcanale, e alla quota, che era la terra più lontana, nelle Matine.
24 ROCCO SCOTELLARO

Tutti e due, però, parevano come bestiole, o cani o capre, dietro i loro padri e dietro i muli.
Tentavo, aspettandoli la sera, i vecchi giuochi; dovevo aspettarli troppo perché finivano di mangiare tardi la pasta la sera e poi dovevano subito tornare in casa, chiamati dalle mamme, perché la mattina si alzavano presto. Già loro due, Innocenzo stava a pianterreno e Ninuccio sopra alla casa sulla scala, quasi non si riconoscevano più come gli amici dei giuochi di prima, parlavano di altri loro nuovi conoscenti che abitavano lontani dal vicinato, chi alla Rabata, chi sotto la piazza, chi alla Saracena, gente che io non conoscevo, me li nominarono come i nuovi eroi.
Allora volli seguirli, perché in quei giorni non avevo nulla da fare e gli studenti abitavano nelle varie città e poi io non ero convinto che avrei continuato la scuola.
Andai alla Pantana con Ninuccio.
2.
Ninuccio tornò da Bologna più assolato in volto di come era: la stessa crosta, che tingeva gli artigiani — sarti e scarpari — che andavano soldati con la faccia bianca e oliva e con la lingua rossa e tornavano tinti e bruni, tinse anche lui che aveva preso da quando teneva tre anni tutto il sole caduto sulle terre della Pantana.
Disse che se ne aveva visto bene: femmine a tutta forza e soldi, perché un ufficiale e un civile gli facevano fare il servizio militare nel genio e la guerra contro i tedeschi era un mestiere qualunque, che era quello di tagliare filo di rame delle linee ferroviarie quanto più poteva e di trasportarlo a rocioli in certi posti. Cosi i racconti del padre, Battista, che aveva fatto l'attendente, erano ormai cosa da nulla, e se egli ancora ii contava, certe sere, dinanzi a persone estranee per intrattenersi, Ninuccio puntava con la forchetta i maccheroni lunghi e fingeva di essere attento, nettandosi le labbra quando il bariletto di vino stava per passargli in mano, alle parole del padre, che bevuto e nettandosi con la manica anche lui le labbra, passava il bariletto e diceva: — La vita militare e la guerra di mó é fesseria.
L'UVA PUTTANELLA 25
Se poi lo stuzzicava molto il padre, Ninuccio usciva a dire con tanto di educazione: — I fatti vostri, tatta, li so a memoria; quelli miei me li sono scordati e forse non si possono raccontare perché sono lunghi e non ho buona memoria perché sono capitati veramente ma sono più sogni che fatti.
3.
Facevo lezione agli altri bambini nelle scale di casa: io sul primo pianerottolo con la mia sedia, gli altri ai banchi dei gradini. Erano 7 maschi e 4 femmine la scolaresca. — La scolaresca è disciplinata — diceva il maestro al direttore quando veniva a ispezionarci. La mia non solo era disciplinata, ma atterrita di me. A turno, per un certo gusto appreso dal vero maestro, li mettevo in ginocchio con i ceci sotto, oppure li prendevo con le orecchie per sol- levarli da terra, avevo anche la bacchetta. Ninuccio - che era il più forte e non si ribellava solo perché gli risolvevo i problemi di scuola — quando toccava a lui la penitenza dei ceci, sapeva convincermi di smettere la lezione per finire la punizione : intendevo bene che continuando se ne sarebbe scappato e dovevo fermarlo e ce le saremmo date a scapito del mio prestigio di maestro.
4.
Ero la massima autorità del paese, tanto che il ragazzo canterino mi citò nella sua filastrocca di rampogna con fiero e rispettoso orgoglio: Il sindaco del mio paese — è un giovinotto a posto — che prende De Gasperi — lo mette alla composta ». Capace dunque di stirare il corpo di De Gasperi, affilarlo in un vaso come un peperone, composto nell'olio. Mastro Innocenzo era il mio genitore. — Quando vuoi — mi disse — preparo una sedia, ti alzi tu, mi alzo io, gli cantiamo le corna a questi camorristi.
Il paese, dopo la venuta degli alleati, pensò alla raccolta, trasportò il grano, la luna era lucente e gli alberi erano ritornati amici. In piazza c'erano i manifesti di Alexander che parlavano così: Io, Alexander, ordino: ma nessuno li leggeva.
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5.
3 caffè, il più stretto, dai tavolini un po' umidi e seggiole di ferro è frequentato dagli operai, primi ci andarono i muratori, adesso la piccola folla è quella solita degli artigiani, dei braccianti, dei manovali e contadini e disoccupati. Sono le sette, due tavolini già occupati per giocare alla scopa una tazza di caffè a chi deve pagarla, gli altri sono attorno a guardare.
Altri, una quindicina, sono fuori, hanno fatto la ruota: c'è Pancrazio lo zoppo, Tre occhi, il Partigiano, l'ex-trainiere di Don Gaspare, è stato nell'ospedale, è debole, non ritrova posto, e Fuciletto che parlano di più.
Dice Tre occhi:
— E brutto se andiamo in alto e poi cadiamo che siamo afflitti.
— Adesso siamo tanto a terra che non ci perdiamo. Lo vedi, quelli che stanno bene s'impiccano e tremano, ma noi no.
Fuciletto è il più basso e fino, pare un ragazzo di dodici anni, invece ha i figli, porta i capelli bagnati stamattina per piegarli il più possibile, le mani le ha grosse e nere di mosto, dice:
— E noi quando saliamo ?
Il Partigiano è alto, gli sta vicino, ha un gozzo che si estende
a. destra, dice: — Hai fatto il bersagliere tu?
Ridono tutti, riprendono Tre occhi e il Grassanese:
— Che ? Ci mettiamo a piangere ? Siamo qui.
— Più di così! verrà anche il tempo nostro. È brutto se viene e finisce presto.
— E che non viene — interrompe Fuciletto, — o soltanto all'altalena, alla festa di Fonti.
Quando tutti lo sfottono di nuovo: Io sono riformato, come
mi alzo, con gli intestini? — e si prende la pancia in mano.
Si muove in mezzo a loro la mano del Grassanese, come volesse dire « Aspettate, calma, state sicuri, vedrete ». Poi dice, e sorridono gli altri: — Lasciateli fare, se la sbrigano loro, per noi più nera della mezzanotte non può essere. — Parlano di chi governa, di chi ha soldi terre e comodità.
L'UVA PUTTANELLA 27
La pensano così, anche Fuciletto che la fa per ridere. Gli ricordano quando tiene riunioni in casa, un porco si mangia, e un altro sfiata le loffe. Pancrazio s'appoggia al battente della porta del caffè, i due bastoni li ha in una mano. Prima ferito per un'accettata in una lite, poi tagliato il terzo interno, fu colpito in guerra all'altra gamba, ma camminava e ubriaco volle andare in bicicletta e si dirupò, ancora gli ruppero la testa; un bell'uomo però, che sia accorciato è sempre più lungo di Fuciletto. Si tenne prima una ragazza, poi una bella donna di Lecce che gli è moglie, ha grazia per le femmine, a pensare come fece senza gambe con quella ragazza.
Era ed è calzolaio, fu ferroviere epurato dal regime, vorrebbe riprendere, seduto all'entrata delle stazioni a bucare i biglietti. Più spesso vuole anche lui andare ai lavori industriali nel numero percentuale degl'invalidi. Lo tennero sulla strada," era mortificato, con tutto ciò giocava con la pala; lo presero alla Ravenna che fa l'edificio, con la stessa pala si affaticava davanti alla griglia, poi si sedeva, poi si alzava. — Voglio andare alla quindicina! -- Guai se lo scartavano. I lavori industriali, le strade, l'edificio scolastico, le fondazioni, i muri di consolidamento, l'Anas, erano l'impiego preferito per la giornata buona, le otto ore e la paga sicura a fine quindicina. I contadini, quando avevano finito i lavori di campagna, i braccianti agricoli, e i disoccupati di qualsiasi mestiere altro non pretendevano.
Pancrazio : — Io non devo assaggiare un soldo di tanti lavori?
I contadini e i braccianti: — E noi, chi ha fatto chiasso per avere i lavori, chi è stato agli scioperi ? Chi ha portato i cartelli ? Chi fa la massa? Quanti giorni all'anno lavoriamo noi?
E tra i contadini: — Tu hai il mulo! — Tu hai i soldi all'interesse! - Tu tieni la vigna! — Tu tieni tuo suocero!
Ad ogni ingaggio, ogni quindicina, e per due tre giorni, avanti e indietro, gruppi, grida, minacce: — Il collocatore mi ha scartato Le particolarità! Le regalie!
Pancrazio muoveva il bastone, Fuciletto con la voce squillante, una volta andava cantando la notte,.l'incarcerarono, e tutti gli altri, ore, giornate intere e fare ressa e gridare.
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Oggi è domenica, hanno staccato tutti i lavori, nessuno è ingaggiato, riprenderanno dopo le perizie del Genio Civile.
Fuciletto, di cui hanno parlato per i maiali che si cresce in casa, perciò questa volta non s'infuria e dice ridendo: — Lo vedi ? Che i meglio amici ti condannano?
— Quanto pesa quello che hai? Dieci chili? — domanda Tre occhi.
— No, amico mio, è un peso intero, sarà centocinquanta a gennaio — e si lecca le labbra.
— La mamma di questo — dice Pancrazio di Fuciletto — sapeva tutta la lingua serpentina.
— Era stata in galera ?
— Mah! La sapeva tutta.
— Già, ti ricordi quando c'incontrammo nel carcere ? Che f a-cesti svenire Mannaggia?
— Si — dice Pancrazio agli altri — Mi alzai la notte per andare a gabinetto, l'apparecchio alla gamba mi penzolava indietro, come mi vide così Mannaggia, storse gli occhi e cadde a terra, grande e grosso.
Passa il Sindaco, fanno come lo sciame, lo mettono in mezzo.
— A prima mattina! — gli dicono.
Quello si avvicina da Pancrazio: — Come va?
Si mette a ridere e una mano in faccia.
— Ieri sera, — dice il Sindaco — era impazzito. Andò all'ospedale verso le nove. Come lo videro le monache, si andarono a chiu-. dere in camera loro. « Voglio il direttore in persona, sto amma lato, sono mutilato, mi hanno ferito, mi devo ricoverare! ». Esce il direttore, gli tocca il polso, ma Pancrazio lo fissa negli occhi minaccioso, leva il bastone: « Mi devo ricoverare! » «Non hai niente ». «Non ne voglio sapere ». Si siede e sbuffa. «Imbroglione, macellaio» al direttore. Gl'infermieri si accostano, gli ammalati di sopra vogliono sapere che succede. Le guardie, i carabinieri, il maresciallo, con le buone e le cattive. Le cattive, lui alzava il bastone.
L'UVA PUTrANELLA .29
« Vi sfregio, andatevene, siete dottori ? Mi devono ricoverare ». « Che ti senti? » « Ah, Ah » faceva il lamento da straziare. Mi vengono a chiamare « Vieni che Pancrazio così e così ». Vado, lo trovo solo, io tutto sorridente, siamo amici, sua madre era una bella donna e mio padre gli rassomiglia stranamente. — Già, tò, dicono tutti per dire che è vero, senza dubbio.
— Be, lui mi chiude gli occhi e si gira sulla sedia. Gli vado di fronte, lui torna a girarsi. Corre il Comandante delle guardie, Pancrazio come se avesse veduto un lupo, si leva a minacciarlo col bastone «Tu vattene, che finisce a male ». Il Comandante voleva fare il forte vicino a me, dovetti allontanarlo, se no si prendeva una croccata.
— E come! — interrompe Pancrazio.
Gli lisciavo la barba: « Ma che tieni? Che ti senti? ». Si mise a piangere. Gli detti una sigaretta e tre gliele posi in tasca, cominciò a scherzare. Venne la Madre Superiora. « Vedi, le fai impaurire! » Mi disse all'orecchio una brutta parola delle suore, ma poi rise: era la prima volta che rideva. Si tirò il calzone sul ginocchio: « Che avete ? » chiedeva la Madre. «Una pulce! » si grattava sulla gamba di legno.
— Me ne andai che venisti tu: tutto calcolato, dovevo dormire per non scendere al Carmine, a casa. — Pancrazio, sfrattato, tiene una casa al convento disabitato in mezzo alla campagna.
— Avevi bevuto due litri ?
— Si e l'aggiunta. Dovevo prendermi il letto più comodo, sotto la luce e se vomitavo, gli dovevo distruggere le lenzuola.
— Ti hanno accompagnato le guardie ?
— Poveretti, sudavano a fontana. Be, scusa.
— Buon giorno.
— Buon giorno — rispondono tutti.
— Ieri sera mi dettero la quindicina — spiegò Pancrazio —. Fummo a bere da Fagiolo, lo tiene buono, un po' aceto, ma vecchio.
Più tardi, il Partigiano, portava le scale agli elettricisti e saliva con le staffe sui pali, aveva avuto una mezza giornata di lavoro.
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6.
« Nous sommes dans le nihilisme. Peut-on sortir du nihilisme? C'est la question qu'on nous inflige. Mai nous n'en sortirons pas en faisant mine d'ignorer le mal de l'époque ou en décidant de le nier. Le seul espoir est de le nommer au contraire et d'en faire l'inventaire pour trouver la guérison au bout de la maladie ».
Da una nota di presentazione di «Espoir, collection dirigée par Albert Camus » dell'editore Gallimard.
Nel 1928, pare, e converrebbe aprire il registro delle deliberazioni comunali per respingere ogni dubbio, ma l'applicato per mostrarlo oggi consulterebbe il sindaco e questi scriverebbe al prefetto e farebbe finta per negare poi la consultazione, in quell'anno dunque la luce elettrica divenne il problema primario del Comune e il sindaco contadino del tempo, piegandosi al giusto desiderio di illuminare la piazza e le vie e le case e, quindi, alle strangolatorie imposizioni contrattuali della società che gli furono rimproverate, come gli sarebbe stata rimproverata l'incapacità di amministrare se non le avesse accettate, mise la firma e di 11 a poco furono visti gli uomini sui pali con i ganci ai piedi e i fili stesi attorno agli isolatori di porcellana azzurra che parevano bicchieri di birra, di cui si ricordavano bene i soldati che avevano fatto la grande guerra.
Quando la luce si accese, Nicola Mazzone, il sindaco, avrebbe voluto tenere il discorso, ma il farmacista, suo amico, improvvisamente fattosi nero, non volle scriverglielo e gli disse: — Qui la popolazione non voleva la luce elettrica, tutti sparlano che hai ro- vinato la cassa del comune, c'era altro da fare. E pure io. — Nicola Mazzone, allora, quando era alto e bruno, un bell'uomo degno di essere sindaco per la salute che portava addosso, si sedette sconsolato sullo sgabello di ferro della farmacia e riunì le mani sui ginocchi come se dovesse piangere un morto in casa. Subito un'idea gli balenò, un'idea trovata . per terra sul pavimento della farmacia che ballava agli scatti della fiammella del lume. Disse alla guardia: — Fai bandire che la luce non si accende stasera, ma do-
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mani —. E al farmacista, che ne sorrise: Caro mio, il mestiere che tengo alle mani e la salute mi daranno la forza di parlare.
Il farmacista adesso gli sputò quasi in faccia per la risata e gli uscì un rivoletto di saliva quando disse: — Ti fischieranno! — perché lo martoriava il difetto della esse. Nicola la prese anche lui a ridere e disse: — Dammi una cartella per il male di capo. E come il farmacista si voltò alle scansie, Nicola sputò sul lume che si spense e usci ridendo sulla piazza. Era così contento che gli parve vedere la piazza acclamarlo come un deputato per l'impareggiabile discorso tenuto al farmacista.
1) quante strade illuminate e quante case
2) il mutuo contratto
3) i lampioni a gas e la canzone di rampogna. I tizzoni
4) le nevicate e i pali rotti
5) il mulo ucciso dalla corrente
6) la prima orchestra
7) i furti delle lampade
8) la guerra e l'oscuramento.
Mentre, con la sostituzione dei lampioni a petrolio con la luce a gas, ci fu una reazione e si cantò: cc Giustizia alla comune che ha levato i lampiuni, ha messo la luce a gasso, non si pote dà nu passo »; con la luce elettrica apparvero i contrasti tra chi se la metteva e chi non in casa, ci furono le bestemmie per le zolle espropriate nei terreni dove si piantavano i pali di linea, ci furono le lamentazioni per il mulo ucciso dalla scarica, ma, in complesso, il paese rimase spaurito; dall'epoca del treno già — ma esso era lontano nella valle e solo qualche centinaia di persone viaggiavano o avevano occasione di vederlo vicino dalle terre sul fiume - e con le prime automobili e poi con la luce elettra si videro i germogli contorti della nuova generazione e il blocco dei contadini era
sempre più sbigottito e docile, sempre più amaro quando saliva in piazza a sedere sui ferri e le luci si illuminavano.
I contadini dicevano ai figli: — Prima si campava meglio — e, vicino al fuoco, raccontavano i fatti.
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7.
Dal ballatoio, così pub chiamarsi il largo della chiesa, si vede la città naufragata al piano, specie quando piove. I pendii delle montagne, per metà coperte di nebbia, paiono gradini di verde e il primo grano che spunta e le cime di rape gialle.
Quando venne Nicola non ci badai a ciò che fu detto: a Questa è la casa del buon Gesù, chi esce non entra più ».
Ho trovato oggi due donne con le borse di paglia e un vecchietto, rossiccio alla barba, ma con tali grosse labbra.
— Si che ci sono ancora i monacelli, ma a quest'ora sono a refettorio, non danno retta a. nessuno.
— E voi che fate ?
— Noi per un altro servizio.
Viva la Santa Pasqua, due donne e il vecchietto rosso, che potrei essere io a 60 anni, aspettano al portone che si sbrighino al refettorio per avere nelle borse di paglia i resti dei monacelli al refettorio.
8.
Sono tornato a questa città, rivedendo la terra più nera e grigia e sassosa e il fosso Rummolo e la Tiera. Dove gli uomini sono gli estranei e le pietre ammucchiate nei campi sul Basento come tumuli, le maggesi tagliate a fianco dei macchieti, sono strane ferite paragonabili alle piaghe che hanno i muli sotto il basto.
Quando bombardavano questa città, si poteva sedere sotto un albero dei monti intorno e bere magari al bariletto e ubriacarsi, gli aerei sciamavano e di notte arrossavano i palazzi.
Dove c'è più gente a lutto. Dove si ricomincia un discorso interrotto al terzo, al quarto giro di passeggio a Via Pretoria. Gli impiegati si vede la loro origine umile hanno boria e l'occhio cacciatore per chi viene dal paese.
Certe ragazze sono dieci anni che rompono e riattaccano fidanzamenti.
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9.
Suonata a distesa.
Il primo a vedere con il corpo diviso e i due occhi distanti l'un dall'altro per la sbarra, cui si schiacciava il naso, fu il ruba-galline pieno e alto quanto il cancello.
— Com'é che vieni in ritardo ? Non hai a tempo avuto il telegramma di chiamata ? — mi disse, e frattanto il cancello si apriva sotto il solletico dell'agente che si piegò con la chiave alla serratura bassa.
Pensai solo la notte che nemmeno mi volsi all'agente che mi chiudeva per dare prima un addio all'aria abbracciando i ferri e traendo un sospiro per poi farmi prendere nello stuolo degli uomini schierati attorno al rubagalline.
— Noi ti aspettavamo ieri al secondo rancio — riprese. — Tutta la notte siamo stati in pensiero —. Io ero piccolo avanti a lui che adesso riunito nel corpo e visto intero pareva più maestoso sulle due gambe gonfie nei calzoni attillati da militare. Fingevo un sorriso a quelle sue parole che venivano calde dalla grossa bocca dai denti gialli di pane e aspettavo che smettesse quello sguardo orrido e serio. Mi vidi circondato.
Il rubagalline accennò a ridere, gli si strapparono violentemente le labbra e fu strepitoso e gli altri attaccarono dopo di lui. La risata durò con mia meraviglia molti minuti finché spinsi un piede. Dove andavo ? Si misero avanti e dietro, a due, a tre passeggiando. Il rubagalline mi prese il braccio e cominciammo a passeggiare. Sotto la finestra in fondo c'erano due brande ripiegate; come due saggi, col loro berrettino di ,cotone in capo, erano seduti due carcerati, uno lavorava a maglia, l'altro era assorto con una gran barba nera, con gli occhi sulle mani. Erano i soli che non sentivano da dove venivo, chi ero e perché ero venuto a visitarli, a star con loro chissà per quanto.
Due giovani mi trassero dal rubagalline e mi invitarono alle loro brande, mi sentivo riposato. Mi dettero l'acqua da bere, mi
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dissero di non sputare per terra, mi offrirono la loro compagnia, mi fecero coraggio, erano della mia zona e ragionammo.
— Che si dice alla libertà ? — venne a chiedermi uno e poi vennero gli altri e rifecero il cerchio.
L'attesa delle mie parole fu lunga, mi rivolsero domande piú specifiche ma io rispondevo con un si o con un no.
— Lasciatelo stare intervennero gli amici della zona, ma il rubagalline fece largo con le braccia, seduto per terra, mi ficcò il suo indice al naso. — Una sigaretta almeno me la dai, nuovo aggiunto ?
Era terribile con la sua faccia, aveva la testa rasa come un mellone; dandogli la sigaretta il suo sguardo mutò, gli vedevo un polipo nella bocca, le labbra si chiusero e negli occhi divenne quieto come un bue. — E grazie — mi disse riaprendo la bocca e affu-mandomi.
— Ragazzi — si alzò a correre per la camerata, con le braccia aperte voleva volare — Ragazzi, maledette galline!
Fui nuovamente ai miei amici che mi facevano da fratelli maggiori. Corse uno di loro al cancello a prendere la gavetta e il gavettino, la bacinella, dispose quei pezzi sulla mensola di legno: — Sono tuoi, sono qui.
— Sta a come piglia — dissero di me a un'altra branda.
Alle mie spalle giocavano a dama con le pedine verdi e rosse fatte di pane. Uno leggeva una cartolina, un altro era coricato, un altro ancora si fece presso di noi, aveva per mantello una coperta e mi chiese di leggergli la• cronaca di provincia. Dovevo alzare la voce, fu allora che mi accorsi di altri gruppi: del rubagalline e altri alla finestra a fumare, cinque passeggiavano lestamente avanti indietro, i due saggi erano li, noi, all'altra finestra, alle brande. Quanti eravamo ?
Pareva un autobus il nostro camerone, si potevano distinguere in prima poche facce, ascoltare poche voci e i gruppi si muovevano, ogni tanto uno si spostava dalla branda delle carte a quella della dama o improvvisamente si metteva a passeggiare.
Gli amici mi presero su, girammo anche noi due volte in lungo
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per il camerone. Io volevo parlare e camminare piano, ma gli altri mi obbligavano al passo, sveltissimo di solito perché serviva a sgranchirsi o a digerire, e io pensavo davvero di passeggiare.
Tredici passi avanti, tredici indietro, a voltarci il capo se ne andava, avevo sensazioni di vertigine. — Sediamoci — dissi; vidi le facce, e le nuche di capelli avanti, indietro, le coppie si accavallavano, si scansavano, le discussioni erano animate dalla corsa, era una corsa e ricordavo gli amici nelle piazze dei paesi che alzano gl'indici e parlano con le mani andando giù e su.
Io non sentivo l'impiantito del camerone liscio di cemento e avevo il capo all'aria. Mi alzai e ripresi, nemmeno il braccio degli amici mi serviva per sostegno, era un autobus, o era una barca ?
Quanti passi facevano i miei colleghi al giorno ? Dove andavano all'assalto? Ritornai alla branda, mi rialzai: — Rubagalline, e tu e voi perché non camminate più piano ? Proviamo, così.
Ma andando piano il camerone aperto alle finestre e al cancello, dove le cose fuori correvano, pareva sbandarsi, era una nave nel mare alto, un battello che raschia sotto e sta per insabbiarsi con urto.
10.
Io volevo di nuovo sedermi per raccontare meglio che cosa avevo fatto, dissero di no, che ci sarebbe stato tanto tempo; li pregai, volevo che sapessero come stavano le cose, mi facevano un piacere, dovevo ricordare io stesso e mettere insieme i particolari.
— No! — gridò un giované bruno alto e magro. — Lascia stare —. Era solo in un angolo, si fece largo tra noi, andò a mettersi al cancello.
— Che ci vuoi fare ? — disse uno della mia zona — Mettiti sulla mia branda finché ti portano la tua.
Fui contento di andare a stendermi, le mani sotto il capo, i piedi uno sull'altro, ma non mi venne di pensare o a me o ai miei o ai fatti: c'era la tavola sui miei occhi, marrone, unta; non dormii, non pensavo, steso così, con le mani pestate sotto il capo, con i piedi che non si indolenzivano.
— Hai mangiato? Mangia, cammina — venne a dirmi uno e
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ritornò a camminare e disse agli altri: — Diteglielo che si ammala —.
Egli mi aveva scosso, dopo tutto quel tempo. Mi levai a sedere con il dorso al ferro della spalliera e guardavo avanti a me e sentivo lo stesso rumore indistinto di prima delle voci dei compagni, di quelli seduti e di quelli che in mezzo al camerone erano un pugno di mosche ronzanti.
Mi accorsi che alle finestre il colore dell'aria cambiava: era rosa a quella in fondo, era violetto a quella di fronte al cancello. Il sole aveva sorvolato la cupola del nostro camerone da parte a parte.
11.
— Ecco come é andato il giorno, sono tornato alla mia cittá, ora devo cercare la mia casa dov'è, in uno dei paesi sotto il Vesuvio. Vengo da lontano, dalla montagna. Ci andai la prima volta quando gli alleati lasciarono Napoli, abbandonando noi altri ragazzi e le signorine. Avendo il bilancio in attivo, dopo pochi viaggi tra la montagna e la città, aprii un negozio sulla montagna. Mi volevano bene quella gente, volevano la mia merce e le mie cantate la sera.
Vendevo bottiglie e bicchieri, servizi completi: — Che bella voce tiene! — disse da un ballatoio, rivolta a un'altra, una donna vestita di nero. Era sulla sua porta, in capo alla scalinata, giovane capelli di carbone. Le risposi che le avrei fatto sentire la sera la mia voce e difatti le portai una serenata. Gli amici della montagna portarono la fisarmonica, c'era il fratello sposato di lei in mezzo a noi. La mia giovane era vedova di un bracciante ucciso un anno prima, forse dal padrone, non si era saputo, una notte che il bracciante lo aveva calpestato vicino alla fontana, fuori paese, per avere la paga delle giornate. Ma quello si trovò la pistola nella tasca di dietro, appena poté, gli tirò dritto al cuore. Le mie canzoni erano quelle che tutti sanno a metà, o sanno solo la musica o solo le parole, io le cantavo intiere. Una sera, due, tre sere ecco che mi innammorai della vedova, presi tutti i soldi che avevo, vennero i compagni dalla città con le loro ragazze a farmi la festa. Furono
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contenti della mia scelta, fecero lo sfoggio dei loro scialloni di seta bianca al collo, delle loro scarpine, Peppe portò a ballare la vecchia mia suocera. Lucia era mia moglie. La casa sulla scalinata era di un vano solo, a mezzanotte finirono i balli, fu messo il divisorio tra il nostro letto e la panca col saccone dove avrebbe dormito la vecchia. Tutta la compagnia si spostava nell'altra casa di mio cognato.
— Ma mi vorrai sempre bene? = diceva mia moglie — sono piú vecchia di te, di due anni.
— Io ti vorrò sempre bene.
— Non ci credo assai.
— Ho lasciato la giovine che mi è stata compagna sui treni e ha imparato tutti i vizi della vita.
12.
— Scrivanello, scrivanello! — sentii la voce di Giappone chiamarmi. Lo trovai, questa volta, con le mani in alto al cancello, come lui raramente stava.
Mi disse la guardia che mi vide scattare dalla sedia dell'ufficio: — Non ti compromettere con quello.
Gli risposi : — È un brav'uomo, vuole soltanto farsi un discorso, io ho già finito la tabella della dieta, vado.
— Dimmi Giappone: la tua poesia é forte.
— Hai visto? io ne posso scrivere continuamente.
Sciolse le mani e continuò: — Senti, volevo farti sentire questa: u Per te si lotta, alto paterno - Tu giudichi e mandi - e noi nell'inferno ». Chi é?
— Come chi é ?
— Questa è una poesia a indovinello. La cosa, che é, fa rima. con l'ultima parola della poesia. Per te si lotta... Alto paterno, chi può essere ? -- Se avessi studiato come te, io lo saprei. Forza, che cosa é? — Che può essere! — feci desolato.
Giappone sopra un pezzettino di carta grande quanta una ricetta medica, dove a matita era scritta la poesia, teneva le quattro dita per nascondere la parola dell'indovinello; le sollevò e disse:
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— Governo. Per te si lotta alto paterno - tu giudichi e mandi - E noi nell'inferno... Governo.
Dopo l'indovinello mi disse: — Non metterti d'accordo con gli sbirri, hai capito ?
— Non ti preoccupare. — E quasi volai da lui felice di volerlo sempre servire.
Arrivò il maresciallo, sbilenco con la sua persona a sinistra, come se avesse avuta una mazzata o la bestemmia di un carcerato che l'aveva torto in quel modo. Aveva una faccia bianca di pesce e la bocca larga; i capelli grigi avvolti a destra. Veniva sempre ragionando tra sé col capo basso, tanto che io pensai fosse molto preoccupato delle sue funzioni.
Il suo tavolo era a mano sinistra, nell'angolo, poi c'era un armadio, e poi il tavolo, diventato mio, dove scrivevo le tabelle segnando i grammi di pasta, di legumi, di burro, di patate, e i centigrammi di aromi secondo la dieta giornaliera e moltiplicando ogni voce per il numero dei detenuti. Accanto era l'alto scanno col registrane matricola.
Di fronte a quello del maresciallo era il tavolo, dove stava seduto il capo-guardia di giornata con i subi gradi rossi al braccio, e che era occupato dal prete all'ora della censura della posta, a mezzogiorno.
Il maresciallo si sedette e allargò le gambe, tirò da un taschino un mazzo di piccole chiavi e apri nella parete una portella; la richiuse, pigliò una carta, la lisciò, riprese il mazzo di chiavi e aprendo di nuovo, disse a me: - Queste nazionali diventano una schifezza é vero o no ? -- Si alzò e stava contando le carte di quella specie di cassaforte, voltandomi le spalle.
Io presi la domanda per molto gentile. Gli dissi che avevo le Africa se le voleva.
— Anche quelle! Però — disse. Io corsi ad offrirgli e accendergli la sigaretta, che egli accettò con una smorfia di rifiuto che fece dondolare il suo corpo sulle gambe. Si bilanciò e coprì la sua cassaforte accostandosi col petto e cambiando tono per allontanare
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la tentazione dell'affabilità: — Ha fatto bene il tema Gigino? — Lo facemmo ieri — gli risposi.
— Ma, é vero che é bravo ? Si distrae e poi io non ho i mezzi come i signori e gli avvocati.
Sapeva bene che il figlio era uno sciocco, io stesso glielo avevo francamente detto. — Che gli faccio fare, se non studia? Lo posso mantenere io ? Io appena campo, con questo stipendio e con tutto questo lavoro.
Non lavorava mai. Seduto al tavolo stava pochissimo: egli ufficialmente non avrebbe potuto fare il comandante, come tutti lo chiamavano, perché quello era posto da sottotenente. La responsabilità e l'autorità su noi era per legge del procuratore. I suoi uffici consistevano nel ricevere i rapporti dai detenuti nel giorno fissato della settimana ed egli era bravo quanto nessuno nel concluderli rapidamete:
— Per questo il Procuratore, per quest'altro il Procuratore. Fai la domandina. Il Procuratore. Al Procuratore. — Le decisioni, alla fine, le prendeva lui, come poi tutti sapevano e io stesso ebbi modo di accorgermi: — Questo Gramasci, Antonio Gramasci — mi dis-. se — il Procuratore non l'ammette.
Siglava i libri con la sua firma, che era un disegno di filo spinato: Olivoso si chiamava.
— Che dicono i detenuti di me ? Modes mente sono un signore. Li aiuto tutti e mi affeziono, ricchi e poveri. Non faccio differenza (1).
Il maresciallo: le sigarette, la figlia, la radio, i discorsi dei comunisti, il procuratore, l'agente bruno, l'avvocato che mi fece in realtà assumere come scrivanello, il medico, la bicchierata serale. La casa e sua moglie, governatrice del reparto donne. La richiesta d'impiego al Comune: quando uscite, mi farete econo- mo del Municipio, sono ragioniere.
Giudizio nettamente positivo sul maresciallo Olivoso.
Era il prototipo dell'impiegato italiano, per quanto riguarda
(1) Notare gli scatti del discorso, una volta freddo, altre caldo, altre indifferente, appena da maresciallo. (N. dell'Autore).
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inettitudine, cattiva volontà, lava.tivismo. Ma — questo é ciò che vale — in animo suo non si sentiva un maresciallo, non alzava ogni volta la bandiera della funzione. Alzava quella, mdlto umile e rappezzata, dei figli e del costo della vita.
13.
— Dovevo pagare fino all'ultimo quadrante. Ho pagato — dissi al reverendo amico, che, meravigliato, mi fissava per dirmi il suo dispiacere e la sua gioia, che tutti gli uomini sensibili dicono di fronte agli sfortunati la cui sfortuna pare finita. — Ho pagato — gli ripetei. E lui mi guardò strano e pauroso. Io avevo lo sguardo un po' più forte del suo. — Ho pagato per una legge brutale che tu vai predicando per l'Anno Santo. E la solita legge della forza, dovresti saperla a memoria, io la so: «Accordati presto col tuo avversario, mentre sei con lui per istrada affinché per disgrazia il tuo avversario non ti ponga in mano del giudice: e il giudice in mano del ministero: e tu venga cacciato in prigione. Ti dico in. verità: non uscirai di li prima di aver pagato sino all'ultimo quadrante ». Però non mi sono accordato. Perciò mi faranno pagare ancora e tu perderai l'abitudine di venirti a congratulare per la riacquistata libertà, perché intanto predicherai.
Rocco SCOTELLARO
 
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Testata/Serie/Edizione Nuovi Argomenti | Prima serie diretta da Alberto Moravia e Alberto Carocci | Edizione unica
Riferimento ISBD Nuovi argomenti : Rivista bimestrale. - N.1 (1953)-. - Roma [distribuzione Torino] : [s.n., distribuzione Einaudi], 1953-. - v. ; 23 cm (( La periodicità è variata più volte: la prima serie esce con periodicità irregolare, dal 1976 trimestrale. La prima serie si conclude con il n.69/71 (Luglio-Dicembre 1964 ma pubblicato nel marzo 1965), nel 1966 inizia la nuova serie che termina con il n.67 68 (1980), nel 1982 la terza serie che termina con il n.50 (apr. giu. 1994) ed inizia la quarta serie con il n.1 ... {Nuovi argomenti [rivista, 1953-]}+++
Data pubblicazione Anno: 1955 Mese: 11 Giorno: 1
Numero 17
Titolo KBD-Periodici: Nuovi Argomenti 1955 - 11 - 1 - numero 17


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