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tipologia: Analitici; Id: 1472309


Area del titolo e responsabilità
Tipologia Periodico
Titolo Mario La Cava, Il grande viaggio
Responsabilità
La Cava, Mario+++
  • ente ; ente
  autore+++    
Area della trascrizione e della traduzione metatestuale
Trascrizioni
Trascrizione Non markup - automatica:
IL GRANDE VIAGGIO
In un paese di marina dell'Italia meridionale, v'era una località detta u Borgo », tutta di casupole raggruppate attorno a stretti vicoli e a piazzuole, ed abitata da gente povera del luogo. V'erano pescatori, carrettieri, lavoratori dei campi, manovali, e qualche artigiano che aveva la bottega sul posto. Qua e là si apriva la porta di qualche cantina frequentata pure da popolani di altra parte del paese.
La pulizia, purtroppo, difettava alquanto, e non era difficile vedere animali d'allevamento passeggiare tranquillamente, malgrado il divieto comunale, per le contorte stradette: si sentiva allora il porco gridare, nell'attesa del cibo, che pareva lo scannassero, la capra chiamare la padrona, mentre allegramente saltava dalla porta di casa fin sul letto a due piazze, e le galline annunziare l'uovo, dopo essersi nascoste per farlo : si perdeva l'uovo e gravi litigi nascevano talora tra le donne sospettose che si accusavano l'una con l'altra.
Ma più spesso la pace regnava nel borgo, tra le famiglie che si conoscevano fin dall'infanzia e si trattavano come parenti. Sotto alle pergole, davanti alle case, nell'ombra benefica che le foglie e i fitti rami intrecciati facevano a riparo del sole, le donne stavano ferme a filare la lana, a fare la calza, a rammendare o a chiacchierare nei lunghi meriggi estivi. Uomini giocàvano alle bocce o ai birilli, quando non avevano da lavorare, ragazzi si divertivano colle nocciuole, coi soldini o colla trottola. Certe volte, senza bisogno di andare in cantina, gli uomini mettevano un tavolo di fuori, e facevano grandi partite amichevoli alle carte.
Il resto del paese aveva i signori, i commercianti, gli impiegati colla gente del popolo che viveva alle loro dipendenze o che comunque era in rapporti con loro: la vita si svolgeva nel paese colle sue simpatie e antipatie, colle sue ambizioni, colla sua lotta per il miglioramento economico di ognuno, e di ciò si vedevano gli aspetti mutevoli, oltre che negli uomini, nelle case, nelle strade, nel decoro degli ambienti
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che cresceva col tempo. Il paese progrediva, le classi sociali si confondevano, i costumi lentamente si evolvevano.
Nel « Borgo » invece, niente di tutto questo. Non si costruivano nuove case, e se si costruivano avevano tutta l'aria delle vecchie, povere e dimesse, colle quali si confondevano; la gente faceva il suo lavoro, solitaria e indipendente, e non voleva aver a che fare coi signori e coi ricchi, dai quali preferiva stare lontana. Perfino gli artigiani non avevano altra clientela che non fosse quella di coloro che li stesso vi abitavano. Ma se qualcuno andava in America e ritornando portava soldi, allora il vecchio borgo più non era buono per lui e la casa nuova che si costruiva . s'aggiungeva a quelle del paese, belle e grandi, allineate lungo la strada del mare.
Giuseppe Cantilo era l'unico calzolaio del «Borgo» dopo che alcuni anni fa vi era venuto da un paese di montagna vicino, in seguito al suo matrimonio : Rosaria, la moglie, aveva avuto in dote una casa di due stanze in quel luogo, e per questo egli, che più volte era stato in dubbio, l'aveva sposata, trasferendosi quivi. In una stanza aveva aperto bottega, e tutto il giorno Giuseppe, con un ragazzo che l'aiutava; seduto davanti al deschetto, con un grembiule azzurro sulle ginocchia, batteva i chiodi col martello o tirava lo spago, colle mani e coi denti, o tagliava col trincetto la suola, secondo l'arte che aveva imparato.
Era un uomo ancora giovane, con un po' di pancetta per la sua vita sedentaria, piccolo di statura, cogli occhi vivi e mobili; le sue mani, ingrossate dal lavoro, erano tanto nere che non si schiarivano nemmeno quando si lavava. Aveva i capelli neri e fitti, spesso impolverati verso la sera o a causa del vento che dalla strada aveva soffiato attraverso la porta aperta o per il suo stesso lavoro sulle scarpe della povera gente. La moglie, della stessa eta, sembrava più vecchia per una banda di capelli bianchi sulla fronte, ed egli per questo, tanti anni prima, aveva tentennato prima di sposarla.
Dalla porta di mezzo che introduceva nella camera del letto, dove vi era pure quello della bambina maggiore, mentre la più piccola dormiva ancora coi genitori, entrava la moglie Rosaria : spesso i due coniugi stavano insieme: la loro vita era tranquilla, se non felice, poiché la felicita é difficile su questa terra, e ora parlavano di una cosa ora di un'altra, talvolta, ma per poco, bisticciandosi.
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Diceva Rosaria : « Hai visto che Maria del povero Carmine non può vestirsi di chiaro, dopo tanti anni che teneva il lutto, nemmeno ora che si era sposata? ».
«Perché? Cosa le é successo? ».
« È morta la cognata! E non era quindici giorni che si era sposata! Va nel paese del marito e deve di nuovo vestirsi a nero... ».
« Sempre con questo lutto Maria! Ma chi é che é morto? ».
«Non the l'ho detto? La cognata, la sorella del marito, una ragazza di vent'anni bella come un fiore, che tanti la volevano... ».
«Pazienza! Il Signore non vuole nessuno troppo contento... ».
Compariva un cliente, un manovale del luogo che diceva di dover partire per trovare lavoro, e chiedeva delle scarpe che aveva dato per accomodare. «No, non l'ho ancora fatte! Ho dovuto fare altro lavoro d'urgenza. Domani! ».
« Ma se é una settimana che mi rimandate di giorno in giorno! No, io ve l'avevo detto. Debbo partire! Porterò, vuol dire, le scarpe da qualche maestro del paese » protestava il cliente.
« Portatele dove volete. Non ho potuto servirvi. Avevo altri impegni... ».
« Eh si! Altri impegni! E perché mi avevate promesso per una settimana fa, e poi per il giorno dopo, e così via, fino ad oggi, e ora mi rimandate a domani? ».
Interveniva Rosaria, e difendeva il marito: « Vi prometto io che gliele ricorderò io. Dopo che finirà le scarpe di Giuditta, l' `incaramel lata', che deve sposare, farà le vostre... ».
«Quando dunque debbo ritornare? Ditemi una parola definitiva! » chiedeva il cliente.
« Domani vi avevo detto, venite meglio dopodimani, così saremo più sicuri » prometteva Giuseppe; e la moglie, di rincalzo: « State si curo, compare Domenico, che ve le farà ». Il cliente allora se ne andava.
Interveniva di nuovo la moglie e diceva: «Gliele puoi pure accomodare... ».
« Parlare é la cosa più facile — rispondeva Giuseppe —. Se non ho un minuto libero!... ».
«E lui perché non paga come gli altri? » — diceva il ragazzo che
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sapeva le faccende della bottega —. Giuseppe non rispondeva, mentre era intento al lavoro, e sorrideva appena.
Correndo e tenendosi per mano comparvero le due figliuole, Erne-sta, la maggiore, e Lidia che aveva solo tre anni; la più grande aveva sette anni, andava a scuola, e faceva da guida nella casa alla più piccola. Venivano dai nonni e dalle zie che abitavano vicino, quasi di fronte, e avevano fame. La madre diede loro una fetta di pane per ognuna, bagnato coll'olio.
Le bambine si misero a mangiare, mentre il padre era contento che col suo lavoro niente mancasse nella famiglia : un piatto caldo di pasta o di legumi o di verdura era sempre a loro disposizione; qualche volta mangiavano la carne o il pesce.
Giusto il giorno prima Luigi il pescatore gli aveva promesso mezzo chilo di pesce; glielo avrebbe portato lui stesso, a casa, poiché stavano vicini; e Giuseppe domandò: « Non é tornato Luigi dal mare? ».
Credo di no » rispose Rosaria.
S'accorse questa che il fico piantato davanti alla sua casa, e di cui un ramo arrivava fino alla porta, dalla parte di sopra, ondeggiava. « Debbono essere i ragazzi! » — pensò — e s'affacciò per scacciarli, se fossero saliti col pericolo di rompere i rami.
Era solo Felicetto, il figlio di Luigi il pescatore, che si dondolava; e poiché era quieto abbastanza, Rosaria non lo scacciò. «Sta attento a non rompere i rami! » gli disse; e poi: «Tuo padre é ritornato dal mare? ».
«No, ancora no! » rispose il bambino.
Comare Carmela della famiglia Crispini che abitava dirimpetto nello stretto vicolo, chiuso poco più in là da una siepe di fichidindia che davano sulla campagna alberata, la chiamò a voce alta, colla sua caratteristica pronunzia strascicata : le due famiglie più volte erano state in lite per delle piccolezze, malgrado la cagione principale fosse nella naturale malignità della famiglia Crispini, per cui nessuno poteva vederla. Ora si erano di nuovo fatte amiche, e Rosaria fu sollecita a rispondere: «Un momento, e vengo ».
Rientrò in casa, prese la calza, ed usci per andare a trovare comare Carmela che l'aspettava sulla porta: si intrattennero alquanto; e poi
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Rosaria si licenziò per andare dai suoi genitori che abitavano poco più in là.
Costoro stavano con le due figlie rimaste zitelle in casa, ed erano molto vecchi, poiché il padre aveva sposato in seconde nozze una donna non più tanto giovane: ora il padre, il vecchio fabbro Felice, era cadente, magro nel suo corpo rimpicciolito, colla barba bianca che sembrava S. Giuseppe; mentre la madre, che aveva una gamba slogata, stava quasi tutto il giorno a letto o seduta su una sedia, dove lentamente filava.
Le figlie zitelle erano il loro amaro tormento : la maggiore, di nome Agata, aveva tutti i capelli grigi e rassomigliava a Rosaria, di qualche anno più grande. Un tempo era stata fidanzata con un giovane di migliore condizione che poi non aveva voluto sposarla; e più nessuno si era avvicinato a lei. La minore, Peppina, mai era stata chiesta da alcuno, ed era cresciuta timida e scontrosa.
Si adattava ai lavori di campagna — mentre Agata lavorava di cucito preparando vestiti da spose per quelle ragazze che non potevano andare da una sarta migliore — e in quel momento proprio era ritornata con un sacco di erbe. Taciturna e aspra le lavava su una vaschetta di creta messa in mezzo alla stanza d'entrata.
Rosaria aveva da annunziare la novità della giornata, appresa dopo il discorso che aveva fatto con commare Carmela : la sua figliuola era stata chiesta in isposa da Sebastiano della famiglia Riccio, colla quale però erano stati in lite, e perciò non lo volevano. Ma Rosaria aveva capito che il matrimonio si sarebbe fatto.
«Dopo tutto quello che si son dettò da una parte e dall'altra! » disse Rosaria.
« Tu credi che tutti sono come noi che siamo andati troppo per il sottile? » rispondeva Agata.
« A me non me ne importa niente. Che sposino o non sposino é lo stesso. Mi dispiace che ho dovuto correre tutti i campi per trovare questa minestra! » aggiungeva Peppina.
Parlarono allora di nuovo dei fratelli lontani, in Egitto : li avevano sposato tutt'e due, e da molti anni non venivano. Ma si ricordavano dei genitori ai quali ogni mese mandavano qualche cosa. E proprio il giorno prima avevano scritto una lettera.
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« Filippo dice che la moglie é abortita per la terza volta, e così é rimasto senza nemmeno un figlio. Ma dico io che moglie s'é scelta che non sa fare figli? » disse la madre, che si interessava alle cose della famiglia e aveva la mente lucida. Il padre sembrava assente, era tutto occupato a fiutare tabacco.
« Ah! Ah! » rise Rosaria. « Deve essere forse qualche pupa di legno, bella in viso, ma senza pancia... ». Agata fece colla bocca una piccola smorfia di dispetto contro la cognata che non conosceva, mentre Pgppina, giacché era fatta così, arrossi di vergogna alle parole della sorella.
« Quell'altra — riprese la madre — fece qualche gatto e poi le mori. Segno che l'aveva fatto bene... ».
« Dice che viene Filippo? » domandò il padre. E poi: « E di Antonio dice che viene? ».
« Ma no, che non vengono! » rispose Agata. « È da ieri che ve lo sto dicendo, e ancora non l'avete capito... ».
«Beh! Purché abbiano la salute e guadagnino bene» riprese il padre. Si rivolse a Rosaria e domandò: « Ma Giuseppe perché non passa mai da noi? Stiamo a due passi e non lo vedo mai. Lo vedo soltanto passare... ».
Agata rispose per la sorella : « Il signorino riceve solo le visite, non le restituisce... ».
Ma Rosaria non seppe scusare il marito. Il quale amava i parenti della moglie, ma si annoiava ai discorsi che soleva fare il vecchio fabbro Felice su un passato che non conosceva e al quale non si interessava.
Quando Giuseppe usciva, talvolta si fermava un momento a salutare i parenti; tal'altra, specialmente se era in compagnia tirava diritto, senza occuparsi di loro. Egli usciva di sera, finito il lavoro, oppure, quando non aveva voglia di lavorare o doveva andare a comprare la suola, anche di giorno. Il suo lavoro non era ostinato e continuo; perché egli non aveva sogni di ricchezza per la sua vita, si contentava di quello che guadagnava, e non voleva sacrificarsi. oltre misura.
Ritornata Rosaria a casa sua per preparare la cena della sera, Giuseppe già aveva smesso il lavoro, aveva licenziato il ragazzo e si era
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lavato. Le bambine giocavano tra di loro, e la più piccola rincorreva la grande, dandole dei piccoli colpi colle mani, gridando e ridendo.
«Per il pesce é inutile parlare, stasera — disse Rosaria metterò la.
pasta e la farò col pomidoro ».
« No, non é venuto! » rispose Giuseppe.
Ma proprio in quel momento comparve Luigi, il pescatore. «Non abbiamo pescato nemmeno una coda di pesce! E abbiamo fatto cinque cali! È una sfortuna, un malaugurio, proprio quando ti avevo promesso il mezzochilo di triglie ».
« Non fa niente. Non ti preoccupare per me. Mi dispiace che non avete preso niente! ».
Ed io per dispetto vado a bere un quarto di vino, in cantina! Tu non vieni? ».
« No, no » rispose tentennando Giuseppe. Ma Luigi non insisté, e s'allontanò, allegro malgrado la disdetta. « Arrivederci, arrivederci corn-mare Rosaria! » disse il pescatore.
Rimasti soli, Rosaria accese il fuoco nel fornello messo in un canto della stanza da lavoro, dopo averlo tolto da un bugigattolo oscuro che doveva servire da cucina, ma che non era mai adoperato. Fece friggere il pomodoro nell'olio per la salsa; poi avrebbe fatto bollire l'acqua nella pentola per la pasta.
La sera intanto era calata e la stanza era piena di ombra; i volti non si vedevano e, nell'attesa di accendere il lume, mentre i figliuoli s'erano chetati, Rosaria parlava. « Il padre ha domandato tanto di te — diceva al marito —. Si lagna che non ti vede mai, che non vai a trovarlo; e se passi davanti alla porta, non ti fermi nemmeno... ».
Era la verità, e Giuseppe che sentiva il torto taceva. Rosaria continuava: «Ci vuole tutti con sé. Non fa che domandare quando Filippo e Antonio ritornano dall'Egitto... ».
«Aspetta, che ritorneranno!...» esclamò Giuseppe.
« Certo un padre vuole sempre i figli vicino! ».
« Questo si ».
« Ma nemmeno loro stanno tanto bene in Egitto colle malattie che dicono di avere avuto. Tutt'e due hanno sposato, e nessuno ha avuto figli... ».
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« Se non fosse stato per le malattie... Colle malattie non si sta bene in nessun posto n concluse Giuseppe.
Prima ancora che Giuseppe si fosse fidanzato con Rosaria o avesse pensato di fidanzarsi, aveva conosciuto i due fratelli di lei: con Filippo aveva fatto il soldato assieme e si erano voluti tanto bene da rivedersi anche dopo, più volte; con Antonio la conoscenza era avvenuta in un negozio di pelli del paese della marina, dove Giuseppe andava a comprare la roba occorrente per il suo lavoro, e dove Antonio aiutava il padrone nella vendita.
In seguito i due fratelli erano partiti per l'Egitto, ma il destino aveva voluto che Giuseppe si fidanzasse con la loro sorella, Rosaria, che prima di allora non aveva conosciuta. Il matrimonio stava per fallire, perché Giuseppe, troppo giovane, si era pentito del passo che stava per fare; ma fu per un riguardo ai fratelli lontani che tutto si aggiustò, decidendosi alfine a sposare la donna che, del resto, per la dote che portava, non era un partito sconveniente per lui.
Dall'Egitto i due fratelli mantennero buone relazioni sia con Rosaria che con Giuseppe: non scrivevano spesso, ma_nelle feste non mancava mai una loro cartolina o una lettera; di tanto in tanto mandavano regali o per le bambine o per l'adornamento e le comodità della casa : ed era strano come si fossero dimenticati delle condizioni e delle abitudini della famiglia e del luogo, inviando oggetti non facilmente adoperabili, come cuscini di cuoio dipinti, boccette di profumo, ninnoli di vetro o d'altro che non potevano servire a niente. Recentemente avevano mandato ad Ernesta una cucinetta in lamiera per la bambola che sembrava potesse servire anche per la casa, tanto era grande.
Si parlava quindi spesso dei fratelli lontani, le loro fotografie in abito nero con le mogli a braccetto erano attaccate alla parete del muro, e le bambine li avevano in mente come se l'avessero visti il giorno prima. Ancora Ernesta non aveva imparato bene a scrivere; ma quando avesse imparato, avrebbe scritto delle lunghe lettere affettuose, piene di saluti e di baci agli zii.
Una sera di primavera, dopo il treno delle cinque — questo accadde qualche tempo dopo la notizia data ai genitori dell'aborto della
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moglie di Filippo — il postino, che raramente passava di là, entrò nella bottega di Giuseppe e gli porse una lettera : era di Filippo, come Giuseppe riconobbe dalla scrittura, ed egli, senza aprirla, occupato a tirare lo spago dalla suola di una scarpa, chiamò la moglie: «Rosaria! Rosaria! Ti ha scritto tuo fratello Filippo ».
Rosaria rientrò dalla stanza da letto, dov'era a riordinare biancheria nella casa, e tutta allegra domandò: «Cosa dice? ».
« Ancora non l'ho letta. Ora la leggo » rispose Giuseppe. La moglie toccò colle dita la busta chiusa e non l'apri: ella non sapeva leggere.
Subito Giuseppe tagliò la busta col trincetto, e sillabando si mise a leggere: i volti di tutt'e due erano pieni di allegria. 11 ragazzo aiutante aveva smesso di lavorare par la curiosità di sentire.
Dopo aver parlato lungamente della malattia della moglie, e come era stato sfortunato, e poi di varie vicende di lavoro, e del fratello che avrebbe scritto la prossima volta, concludeva, passando però ad altro ragionamento: « Perciò ti dico che fai male a non pensare a tempo alla tua famiglia, ora che sei giovane, e qui si sta bene e si guadagna, nonché mia moglie vi vuole conoscere tutti, tanto é innamorata delle bambine, e anch'io che non le ho potuto avere per me, e un matrimonio senza figli non é matrimonio. Parla quindi a Rosaria e convincila che ti lasci partire, qui l'Egitto é grande, figurati che il Cairo è una città che non finisce mai, e c'é posto per tutti. Tu potresti venire prima e poi potresti ritirare Rosaria con le bambine, tanto più che le donne si possono impiegare, e io ho mia moglie che guadagna quasi più di me. Pochi anni di sacrifizio e poi potresti ritornare in Italia a fare il proprietario... ».
« Dice di andare al Cairo, ci vuole li a tutti i costi... » spiegò Giuseppe, ridendo.
« Ah! » esclamò semplicemente Rosaria.
« Prima vuole che vada io a vedere come si sta; e poi ti manderei l'atto di richiamo perché mi raggiungessi... ».
t~ E lasceremmo tutto ? » disse Rosaria.
« Bah! Poi si vedrà... ». concluse Giuseppe. La moglie rimase pen-
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sierosa, mentre il ragazzo incominciò: «In questa settimana partirà zio Carlo per l'America ».
« Certo l'America é più lontana ». disse Giuseppe; ma per Rosaria l'Egitto o l'America era la stessa cosa. Il marito, scherzando ancora, aggiunse : « Non si danno pace che sono senza figli; e vogliono, si vede, avere bambini dello stesso loro sangue per casa... ».
« Quanto godrebbero vedere da vicino le figliuole; le fotografie che abbiamo mandate non sono chiare, non si capisce niente! ».
« Tu, poi, vorresti le fotografie proprio al naturale! » disse Giuseppe; e dovendo finire per quella sera stessa la scarpa che aveva lasciato sulle ginocchia, riprese il lavoro.
Rosaria prese la lettera e, dopo avere indugiato alquanto, disse: « Ora vado dalla mamma ».
« Va » rispose Giuseppe; e infatti Rosaria uscì dalla porta per andare a dare notizia della lettera ai genitori e alle sorelle; consegnò la lettera ad Agata, che sapeva leggere, e ridendo annunziò: « Pure a noi ci vuole li! ».
« Stanno bene? » domandò il padre, che non aveva capito le parole della figlia.
« Si, stanno bene! » rispose Agata.
« Cosa vuole Filippo ? » domandò la madre.
« Aspettate che vi legga la lettera; vediamo cosa dice », propose Agata; e a voce alta chiamò Peppina ch'era a conversare più in lá, fuori della casa, colla figlia dei Crispini, quella che doveva sposare.
Il contenuto della lettera suscitò uno straordinario entusiamo in Agata. «È la vostra fortuna; e state a pensarvela? » disse.
((Si vede — aggiunse Peppina — che li si sta tanto bene che in coscienza non può fare a meno di non insistere che ci andiate... ».
« Vorrei essere al vostro posto e andarmene da stasera stessa! » dichiarò Agata; e pensava al fatto ch'era rimasta zitella, mentre se fosse andata altrove, avrebbe trovato marito. Che almeno avesse fortuna la sorella, e da lontano si ricordasse di loro, con due vecchi in casa che avevano bisogno di tante cure, e mandasse qualcosa, come facevano i fratelli!
«Pure tu vorresti lasciarci, figlia mia? » disse soltanto la madre;
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ma le sue parole caddero nel vuoto; esse non furono intese o capite dalle figlie, tentate, dopo quella lettera, dall'idea del viaggio in paesi lontani.
Il padre, invece, non pareva rammaricarsi al pensiero che avrebbe potuto perdere la figlia maggiore: pensava egli, ch'era tanto vecchio, che avrebbe fatto sempre a tempo a rivederla, al ritorno? Disse semplicemente: «Quando io ero giovane, non si facevano tanti viaggi, nessuno si muoveva; dopo, hanno incominciato a partire, hanno fatto ricchezze, ma molti hanno perduto la pace nella casa ».
Chi sa! » ammise Rosaria. « Per ora resteremo qui; Giuseppe ha tanto lavoro; non gli conviene lasciare la clientela; lo scriveremo a Filippo. In seguito si vedrà.. ».
«Aspettate prima ad invecchiare, come siamo invecchiate noi! » commentò amaramente Agata. E poi: «Ma io glielo dirò a Giuseppe che sbaglia, sbaglia davvero!... ».
Entrarono le bambine ch'erano fuori con altre a giocare a righetta e parvero, così come cinguettavano, folate di uccelli al tramonto. « Lo zio Filippo vi vuole in Egitto! » disse la madre.
Poi ritornarono tutte a casa loro; Giuseppe aveva già finito di lavorare, e si lavava le mani e il viso; quella sera voleva uscire. Sentiva il bisogno di conversare con amici.
Si diresse verso la spiaggia del mare e si fermò nei pressi del cancello di passaggio, dove sempre si riuniva gente e quella sera c'erano parecchie persone che ancora indugiavano; ' il tempo era mite, vento non tirava, e cogli occhi rivolti al mare che col calare delle ombre diveniva sempre piú cupo, era bello stare là a chiacchierare.
C'erano Luigi il pescatore, il padre di Sebastiano, di quegli cioè che doveva sposare la figlia dei Crispini, qualche cantiniere, un fabbro e vari altri pescatori: la maggior parte di loro era stata una o più volte in America, migliorando la propria posizione. Proprio Luigi rimpiangeva che non aveva i mezzi di andare e, se fossero continuati quei tempi, mai sarebbe partito.
« A me mi chiamano dall'Egitto i fratelli di mia moglie, mi pagano tutto loro, e quando volessi andare li ci avrei sempre il posto del lavoro trovato e ogni aiuto... » disse Giuseppe.
« E che aspetti ad andarci? » domandò Luigi.
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« Sentite á me, che conosco l'America meglio del mio paese, si può dire, — disse un pescatore padrone di barca — se volete andare in qualche posto per lavorare, non avete che andare in America... ».
« Che Egitto ed Egitto! » disse il padre di Sebastiano.
«Noi abbiamo l'America, ed andiamo in Egitto? » fece un altro.
«L'Egitto é buono per chi va là e non intende più ritornare; non dico che non si stia bene; ma quanto a fare soldi, é come da noi » spiegò il fabbro.
«Non esagerare, ora! » non poté fare a meno di ribattere Giuseppe. Parlò ancora delle ragioni che forse lo avrebbe spinto ad andare in Egitto, dove aveva parenti tanto affezionati; ma concluse che per il momento non si sarebbe mosso. Tutti gli diedero addosso, che sbagliava, che non si sapeva regolare.
A casa quella sera stessa non si parlò più dell'Egitto; ma l'indo-mani Rosaria, svegliatasi, disse non aveva potuto dormire bene, per via di quel pensiero dell'Egitto.
In seguito fecero la lettera di risposta a Filippo: lo ringraziavano, ma per il momento non era il caso di parlare di viaggi; più in là qualche cosa certamente sarebbe maturata.
Agata venne una sera a parlare con Giuseppe. « Ma siete pazzo di trascurare un'occasione come questa? Se Filippo vi invita, si vede che ha le sue ragioni. Avrà trovato un buon posto per voi. Io gliel'ho detto a Rosaria : ti pentirai! » disse la donna.
« Certo bisogna pensare seriamente. Intanto aspettiamo cosa scrivono sia Filippo che Antonio. Di Antonio é parecchio che non abbiamo notizie » rispose Giuseppe.
Arrivarono le lettere dei due cognati, ed entrambe ripetevano la stessa cosa; per i denari del viaggio non occorreva che Giuseppe si preoccupasse; quanto al posto del lavoro Giuseppe o avrebbe continuato a lavorare da calzolaio oppure sarebbe andato con Filippo a lavorare nella costruzione della diga sul Nilo.
Tuttavia Giuseppe per il momento non decise niente; però é strano che la bambina, scrivendo a scuola un tema dato dalla maestra e che riguardava una lettera a un parente lontano, dichiarasse che presto sarebbe partita colla famiglia per andare in Egitto a raggiungere gli zii.
La vecchia madre era contraria : tanto é vero che una volta disse
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a Giuseppe, mentre era presente Rosaria, nella casa del padre: « Se andate, io non vi vedrò più! ».
« Macché, ci rivedremo presto! » rispose Giuseppe, d'accordo con la moglie; e nessuno dei due pensava alla tarda età di lei, e più ancora alla sua debole salute in seguito alla caduta.
Il vecchio fabbro Felice allora intervenne, col suo solito fare sentenzioso, e disse: «Chi vede il bene e lo lascia, é pazzo! Se vi conviene, che state ad aspettare? ». La madre non aggiunse parola, restando mesta e pensierosa.
I fratelli d'Egitto sempre insistevano; ma chi sembrava potesse dissuadere dal far intraprendere il viaggio al marito, fu commare Carmela dei Crispini, che disse: « Commare Rosaria, per carità! Non fate partire vostro marito, perché vi pentirete! Come mi sono pentita io! E tanti anni che il marito se n'è andato in America, e ora non ho speranza di vederlo piú, senza utile inoltre: perché che cosa è accaduto di bene per me e per i miei figli? ».
Invece il marito di commare Carmela aveva mandato soldi, aveva migliorato la propria posizione, e aveva potuto sposare bene le figlie. Tutte queste cose la donna sembrava avesse dimenticate; e anche Rosaria non le considerava.
« Se poi ve ne andate anche voi, che ci vogliamo tanto bene, come due sorelle, come faremo a vivere lontana una dall'altra? E ora che sposerò l'ultima figliuola non vi dovrei avere a lato per consiglio e aiuto come fu per le altre? ».
«No, che ancora Giuseppe non se n'é andato; né io l'ho seguito! » prometteva Rosaria; e le lagrime che non le scorrevano per la mamma vecchia, cadevano abbondanti per le parole dell'amica carezzevole.
«Ma non capisci che lo fá apposta, per non vedere migliorata la nostra posizione? » interveniva Giuseppe, irritato, dannandosi l'anima che la moglie cadesse in trappola, alle parole lusinghevoli.
«No, non credo a tanto! » rispondeva la moglie; ma a lei davano addosso le sorelle, più astute e che sognavano la realizzazione delle proposte dei fratelli in Egitto.
Di modo che a poco a poco si confermò nell'anima di Giuseppe l'idea della convenienza di un viaggio in Egitto; era passata l'estate e fra breve sarebbe incominciato l'autunno: in quella stagione il caldo
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non si sarebbe sentito e sarebbe stato possibile intraprendere il viaggio.
Ma non sarebbe andato solo : con sé avrebbe portato fin da principio la famiglia da cui non si sapeva distaccare e senza cui non aveva l'ardire di muoversi. Le bambine erano nell'età della crescenza, quando mutano giorno per giorno: ed egli avrebbe potuto lasciarle, per vederle poi tanto diverse da non riconoscerle piú? La moglie, soprattutto, che aveva già tanti capelli bianchi, era all'inizio del tramonto: quel resto di giovinezza come avrebbe fatto ad abbandonarlo, quel po' di gioia e di pace, prima dell'immancabile vecchiezza ?
Inoltre i fratelli avevano scritto, assicurando ogni aiuto e comodità per la loro sistemazione: Giuseppe colla sua famiglia si sarebbe potuto allogare nella stessa casa di Filippo, molto grande, oppure in quella di Antonio, che abitavano nello stesso palazzo e avevano le porte di fronte; la vita costava poco: legumi ed ortaggi se ne avevano quanto se ne avesse voluto; e per le bambine datteri in quantità, banane dolci come il miele, e zucchero da succhiare nella canna, che si sarebbero fatte grasse come una palla.
«Io ti accompagnerò »! aveva detto la moglie; e nell'entusiasmo del viaggio, né i genitori e i parenti, né le vicine o il paese che avrebbe dovuto lasciare, si presentavano alla sua mente: solo l'Egitto lontano, dai vaghi contorni come un paese di fiaba, dove vi erano le palme dei datteri e tante altre cose preziose, esisteva nella sua fantasia. La bellezza e la ricchezza splendevano dinanzi agli occhi; e tutto appena era appannato dallo sgomento di una lontananza che doveva essere grande se il Bambino Gesù nei tempi dei tempi vi si era recato col Padre e la Madre per sfuggire ai pericoli.
Senza inciampi o complicazioni si arrivò così al giorno della partenza: i bagagli erano stati fatti, i saluti ai vicini e ai parenti completati. Una piccola folla di gente s'era raccolta nel vicoletto; i vecchi genitori non s'erano mossi dalle porte della loro casa e guardavano. Giuseppe chiuse la porta di casa con un colpo che si ripercosse lugubremente nel suo cuore; frenò la commozione e consegnò la chiave ad Agata. Poi si mosse per abbracciare i suoceri, che diedero la loro benedizione. Rosaria baciò più volte con le lagrime agli occhi i genitori, promettendo fra un anno o due il ritorno.
Quindi si mossero per andare alla stazione, accompagnati da Aga-
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ta e Peppina e da molti vicinii; Luigi il pescatore teneva tra le mani una valigia di Giuseppe, Peppina portava un sacchetto di biancheria; l'altra valigia la portava il ragazzo che aveva aiutato fino allora Giuseppe nel lavoro. Le bambine andavano avanti sole.
Non si dovette aspettare a lungo il treno per il porto d'imbarco: il campanello d'avviso già squillava. S'intese il rumoreggiare del ponte vicino, al passaggio, dietro la curva. Rosaria si butte. tra le braccia delle sorelle e delle vicine. Commare Carmela dei Crispini piangeva più delle altre, ricambiata in tutto da Rosaria. Le bambine, strette tra le braccia delle zie, stavano per soffocare. Giuseppe, col cuore commosso, salutava tutti, fingendo un'allegria che non aveva.
Infine, senza saper come, aiutati all'ultimo momento per miracolo dagli amici e dal conduttore, si trovarono sul treno che si moveva; il paese sempre più fuggiva lontano dai loro occhi.
Postosi a sedere, Giuseppe disse, rivolto alla moglie: «Mettiti di qua, ché ti piglia meno vento ». « Si pue) chiudere il finestrino n propose un viaggiatore, gentile. Le figliuole vollero guardare gli alberi che correvano, e si attaccarono agli sportelli; parole di scusa vennero dette ai compagni di viaggio.
Il treno filava; ormai il paese non si vedeva piú, e nemmeno la sua campagna e le colline vicine. Nuovi campi, nuove case, gente diversa si avvicendavano nella corsa. Italia era ancora, e già pareva che l'Egitto, il paese lontano e sconosciuto della loro vita futura, fosse arrivato fin là.
A Messina, nel pomeriggio della stessa giornata, guidati dall'agente, dei viaggi, s'incamminarono verso la nave che doveva portarli via. Una nuvola sembra la nave, tanto è grande. E su di essa, circondati da una folla che uguale solo nella festa di S. Francesco si vide al paese, salgono, confusi e distratti.
Avanti andava Giuseppe, colle due valigie per mano; dietro lo seguiva Rosaria che aveva poggiato sul petto il sacco di biancheria, e per mano la figliuola piccola, tenuta pure all'altro lato da Ernesta, che la guidava.
Lidia, la piccola, distaccò la mano dalla madre, e al suo posto Er-nesta vi mise la sua; Rosaria, dopo un momento di sosta, riprende il cammino dietro il marito. Stringe la mano alla figliuola e non sente
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quella della piccola; si volta, e grida: « Dov'è la bambina? » Non vedendo la piccina, chiama: «Giuseppe! Giuseppe! ». Mentre il padre, con tutte le due valigie, fermatosi di colpo, grida con voce angosciata: «Lidia! Lidia! Lidia! ».
«Abbiamo perduta la bambina! Disgrazia mia! Sventura! » in- voca la donna, piangendo. Giuseppe, nel volto pallido più della morte, dice: «Aspetta... Vediamo... ». Ma Rosaria non si calma, non tace. La folla si arresta. Un marinaio interviene. « La bambina or ora era qui, e poi l'abbiamo smarrita ».
Rosaria piange, disperandosi; e una donna, col cappellino, vestita di nero s'avvicina: « Non ti disperare — le dice, toccandole colla mano le guancie. — Si troverà. E qui, in mezzo alla folla! ».
« Sarà caduta in mare! Sarà annegata! » grida la madre. «Lidia! Lidia! » chiama il padre.
Il movimento dei viaggiatori viene arrestato sulla nave; col megafono il capitano dà gli ordini di ricerca ai marinai. Varie persone si avvicinano per confortare i poveri genitori.
E alfine un marinaio, pochi passi più in là ritorna colla bambina, tenuta in braccio, e piangente. « Eccola, madre! » disse a Rosaria. «Dov'era? Dov'era? »
« Era dietro quel fascio di corde, seduta per terra, mentre piangeva silenziosamente. Doveva sentire le vostre parole, quando la chiamavate, e non rispondeva per paura! ».
«Siano rese grazie a Dio! » disse il padre; mentre Rosaria ancora piangeva, senza saper cosa dire.
«Ora puoi essere tranquilla! » le disse la donna vestita di nero.
« Siano rese grazie a Dio! » ripeteva Giuseppe, esaltato; e avrebbe voluto tenere lui la bambina per mano, non fidandosi più della moglie, se non fosse stato per via delle valigie. « Sta' attenta! » le disse, riprendendo il cammino verso la cabina fissata, e voltandosi ogni momento a guardare.
Ma la povera Rosaria non aveva più la mente che le reggeva; arrive, al luogo stabilito, e non resisté più; si mise per terra, seduta sul sacco, mentre gocciole di sudore le scorrevano sulla faccia pallida. La piccola era ora tranquilla, e la madre la stringeva al seno, non credendo quasi ai suoi occhi.
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E passando così, un giorno e una notte, senza mangiare, poiché il viaggio le fece male; confortata ogni tanto da qualcuno che sapeva della paura che aveva sofferto. Mentre il marito pensava pensava, e non si sentiva più l'animo sereno come prima.
Anche Ernesta soffriva per il mare, addormentandosi ogni tanto agitata e poi svegliandosi di soprassalto; il viaggio sembrava non dovesse finire piú.
Al mattino uscirono tutti sopracoperta; il sole illuminava tutta la nave; e il vento fresco allietava i volti d'ognuno.
Attorno c'era solo mare; comparvero altre navi. All'improvviso l'occhio, guardando, si fermò su una linea bianca. Non era lontana, e subito si vide ch'era a due passi dalla nave.
«L'Egitto! L'Egitto! » esclamò Giuseppe. «Siamo arrivati. Quello é l'Egitto! » spiegò, voltandosi a guardare la moglie.
Ma la donna che in altre circostanze avrebbe gridato di gioia, ora, bianca in volto, nemmeno rispose. Sospettosa negli occhi, strinse a sé le piccine, le chiamò, se le mise sotto le ali della sua protezione come una chioccia fa coi pulcini.
Quel giorno stesso in cui arrivarono al porto di Alessandria, partirono col treno per il Cairo, dove giunsero la sera, ch'era già notte. Soffrirono il caldo lungo il percorso come se fosse ancora l'estate del loro paese, refrigerio trovando solo quando il treno costeggiava di tanto in tanto il Nilo.
« Guarda che fiume! Sembra il mare! » diceva Giuseppe; aggiungendo per scherzo: «Uguale al nostro Buonamico!...» ch'era un torrente che si asciugava quasi d'estate.
« Che c'entra! — rispondeva Rosaria. — Quello é un'altra cosa! ».
«Le campagne a che sono coltivate? » domandava Giuseppe a se stesso, senza sapersi dare una risposta precisa; e poi soggiungeva : «Non sono belle alberate come le nostre! ».
« Quante palme ci sono! » diceva Rosaria.
« Qui non si uscirebbe pazzi di Pasqua per trovare la foglia da benedire! continuava Giuseppe. E poi : Quelle altre debbono essere le piantagioni delle banane, banane saranno! ».
Ma Rosaria badava ora alla piccola Lidia che seduta in grembo
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alla madre sembrava volesse appisolarsi. La guardava e temeva che le potesse pigliare la febbre. Il suo viso rotondo di bimba era infuocato, più della sorella abitualmente rosea.
«Ci pensi che questa qui me la piglia la febbre? » disse la madre.
«Un po' di stanchezza! » rispose il padre. E diventò pensieroso com'era quando si trovava sul vapore. Passarono nel corridoio uomini in tunica bianca e turbante rosso, ed egli quasi sembrò non li notasse.
Era che considerava di aver perduto il primo treno che avrebbe dovuto prendere e col quale sarebbe stato aspettato dai cognati aI Cairo; sarebbe invece arrivato con ritardo; probabilmente non avrebbe visto nessuno alla stazione; ed egli, spratico della città, come avrebbe fatto a trovare la casa dei parenti?
Domandò a un signore, vestito in nero, che aveva davanti a sé, quanto occorresse per arrivare al Cairo. « Ecco, siamo arrivati » gli rispose quello, in italiano, sorridendo. E già la città compariva colle sue alte torri e colle sue immense chiese.
Alla stazione trovarono per fortuna i fratelli colle mogli che li aspettavano da più ore; essi avevano capito che gli ospiti si erano sbagliati. «Rosaria! » gridò per primo Filippo, ch'era il più espansivo e il più svelto; usci dal cancello dove si trovava e si buttò tra le braccia della sorella. Antonio abbracciava Giuseppe, ridendo, mentre le mogli stavano indietro.
« Io sono Matilde! » disse la moglie di Filippo. « E io Vanda! ». « Cosa si dice in Italia ? » domandò Antonio.
« Eh! al solito » rispose Giuseppe.
« Come sta il padre? E la madre? E Agata? E Peppina ? » domandarono tutti in una volta i fratelli.
Poi Antonio disse a Filippo: « Va' a chiamare una carrozza. Stiamo qui? ».
« E papà come sta ? » domandava Matilde a Rosaria. Questa non capiva bene. Dopo, disse: «Che volete! Ormai é vecchiarello! Non lavora più! ».
« Oh! » rispose Matilde, come se l'avesse sentito per la prima volta. Le due cognate misero in mezzo Rosaria, ch'era la più magra di tutte. 11 suo vestito scuro, con la veste lunga delle donne del popolo alquanto evolute, né stretta né larga, con la camicetta dalle ma-
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niche lunghe, il fazzoletto celeste al capo, contrastava con gli abiti cittadini di Matilde e Vanda, tutte d'un pezzo e di taglio corto fin sotto al ginocchio.
Si disposero nella carrozza accatastandosi gli uni sugli altri; Filippo, ch'era il più giovane rideva nei suoi occhi buoni anche quando le labbra non si muovevano al sorriso; Antonio sembrava più freddo e riservato. Entrambi vestivano bene, con abiti grigi, nuovi, mentre l'abito di Giuseppe, se pure nuovo, rivelava in pieno la povertà di chi lo indossava.
«E avete fatto buon viaggio?» domandarono le cognate.
«Non tanto! » rispose Rosaria.
«Non ce ne parlate del viaggio! Vi dire. poi cosa ci é capitato! » esclamò Giuseppe.
ic Che cosa? Che cosa? » chiese Antonio, e per la curiosità il suo viso si rianimava.
Fu raccontato a pezzi e a frammenti il dolore per lo smarrimento della bambina; e poi arrivati a casa, davanti al tavolo dove Matilde offri il tè coi biscotti, fu ancora ripetuta la storia con maggiori chiarimenti. Nell'attenzione con cui António ascoltava, si capiva che era altrettanto buono che il fratello; entrambe le mogli, però, ridevano al fatto, perché non capivano.
Rosaria non fu capace di bere il té : essa non era abituata e le disgustava. Giuseppe invece lo sorbì, con sforzo, assicurando che era ottimo. Ernesta mangiò i biscotti, e poi le banane sbucciate; la piccola Lidia sbocconcellò appena un biscotto.
« Ha la febbre! » disse Rosaria; e la mise a letto, nella camera preparata per la sua famiglia. « Che bel letto! » esclamò, toccando i materassi soffici di cotone, ricordando quelli duri, di crine, della sua casa abbandonata.
Mangiarono più tardi il pranzo cucinato da Matilde e Vanda: sulla tavola portarono pasta asciutta col sugo del pomidoro e bistecche di manzo alla pizzaiola. Per frutta ebbero pere e banane. Il grammofono suonava, soffocando talora le loro voci allegre. Vino non mancava, e i fratelli bevvero più di Giuseppe, inutilmente sforzato.
Di tutti era l'allegria; ma specialmente dei fratelli e d'elle loro mogli: la stanchezza, le emozioni sofferte, la novità delle cose offu-
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scava la gioia degli ospiti. Essi avrebbero voluto andare a riposare. Ernesta fu vinta dal sonno, e messa a dormire, mentre il grammofono nella casa cittadina del Cairo, continuava le sue sonate. Infine Vanda, che pareva più anziana di Matilde e come il marito meno espansiva, disse: « Lasciamoli andare a dormire », alzandosi per ritirarsi con Antonio nel suo appartamento.
La febbre, fortunatamente, non durò a lungo alla piccola Lidia : l'indomani mattina era vispa e allegra, al pari di Ernesta, come nulla le fosse successo. Il padre poté uscire con Filippo e Antonio per conoscere la città e trovare lavoro.
Quasi contemporaneamente si licenziarono le due cognate da Rosaria, per le loro solite occupazioni: Matilde, per andare a servizio in una casa di milionari, donde sarebbe ritornata nel pomeriggio, e Vanda per andare al laboratorio dove faceva la sarta, e donde sarebbe ritornata un po' più tardi dell'altra, verso sera.
Prima che uscissero, Matilde si ricordò che nella dispensa c'era la carne per fare il brodo, e disse, rivolta a Rosaria: « Potete cucinarla per voi. Noi ritorneremo stasera ».
« Se non ci siete voi, che cucino a fare? Io mi contento di un po' di pane e formaggio ».
«Ma no! Se c'è la carne! » insisté Matilde. Vanda ripeté: «Se c'é la carnei ». Rosaria non rispose. Vide le due cognate andarsene e chiudere la porta. « Come sono eleganti! » si disse; e le segui collo sguardo dalla finestra fino a che si perdettero nella folla.
Rimasta sola, Rosaria non fece che curare le bambine e parlare con esse. A mezzogiorno mangiò pane e formaggio. Nel pomeriggio ritornarono le cognate, e poi i fratelli col marito.
A costui domandò: «Avete fatto buoni affari? »
« Si, mi sono deciso di lavorare al laboratorio di calzature, consigliato da Antonio. È meglio per me, se pure guadagno meno. Ma è il mio mestiere. Avrei potuto lavorare con Antonio e Filippo alla diga, ma io ho temuto di non sapermici adattare » rispose Giuseppe.
« Per questo no. Non lo devi dire. Noi non ci siamo adattati? » disse Antonio:
« E lui specialmente non aveva fatto mai lavori pesanti » aggiunse Filippo.
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Rosaria allora notò la corporatura dei fratelli ingrossata da quando erano partiti dal paese. Antonio specialmente era invecchiato, con tutti i capelli grigi, più grosso di Filippo ch'era il fratello minore.
« È che da principio non avrei potuto fare altro che il manovale: e io che al paese facevo il maestro, come mi sarei adattato a servire in un mestiere, che poi non era il mio ? Del resto, poi si vedrà... » si scusò Giuseppe.
« Noi non vogliamo forzare la tua volontà! » conclusero i fratelli. « E quando incominci a lavorare? » domandò Rosaria.
« Domani stesso » rispose Giuseppe.
« Beh! noi andiamo a preparare la nostra cena. Se volete mangiare con noi...» disse Vanda, muovendosi per andare nel suo appartamento.
« Loro faranno come meglio credono — intervenne Matilde. — Se vogliono mangiare insieme a noi, dato che stiamo nella stessa casa, noi siamo contenti. Se poi no, e preferiscono cucinarsi per conto loro, per noi é lo stesso... ».
«No, non c'é bisogno. Vale la pena fare due cucine? » rispose Giuseppe, che temeva di disturbare. Rosaria assenti, non rimanendo però contenta delle parole del marito.
« E allora andiamo — propose Matilde. — Fate il pomodoro, ché io pulisco la carne ».
«Voi come lo fate? Noi lo facciamo così» disse Rosaria, timidamente.
« No, é bene mettere un po' di prosciutto e di origano ».
« Si, si » s'affrettò a rispondere Rosaria.
Giuseppe, in un canto del tavolo, scriveva ai parenti e agli amici. L'onda dei ricordi del suo paese lo commuoveva. « Cosa vuoi che dica ai tuoi? » chiese, serio serio, a Rosaria.
« Che stiamo bene, che li pensiamo, che io sono contenta. Puoi pure dire il fatto della bambina : tanto, ormai é passato... ».
Stava in faccende nella cucina e andava di qua e di là, senza sapersi orientare: temeva di recare disturbo, si confondeva, poiché non era abituata a tante comodità e tante raffinatezze.
« Quando sarete pratica della vita di città, allora vi potrete impiegare pure voi » progettò Matilde.
« Oh no! io non saprò mai imparare! ».
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Entrò, poco dopo, Vanda con un piatto di lenticchie che portava in regalo a tutti.
Matilde spiegò : « Ci soliamo scambiare i cibi, a volte ».
« Qui bisogna lavorare! » disse Vanda a Rosaria. « Dovrete rendervi utile! ». E rise scherzando : « Da domattina andremo a fare la spesa insieme, e poi andrete sola, poiché noi dobbiamo correre al lavoro... ». Rosaria tremò di timidezza.
« E alla sera vogliamo divertirci! » esclamò Matilde. E poi, rivolta al marito: « Abbiamo diritto o no, Filippo, dopo avere lavorato ? ».
« Certamente! » rispose l'uomo.
« Anche Rosaria verrà con noi al cinematografo e al passeggio » dichiarò Matilde.
« Io? » chiese Rosaria.
« Anche tu diventerai cittadina! » affermò sorridendo Giuseppe.
Ma Rosaria non era portata a trasformarsi come le cognate. Indossò sempre il suo abito paesano e portò sul capo il fazzoletto azzurro. Imparò si ad andare al mercato e a contrattare cogli arabi; ma a divertimento quasi mai andò, senza essere accompagnata dal marito. Né fu capace di contribuire, come le cognate, col suo lavoro di impiegata, al mantenimento della famiglia. A casa restava tutto il giorno, la casa era il regno in cui essa dominava.
E vedendosi sola, quando le bambine erano a scuola e tutti erano usciti, si ricordava della sua famiglia e del suo paese lontano, e senza sapersi spiegare la ragione, piangeva.
Piangeva di più quando riceveva le lettere di Agata che le parlavano dei parenti e delle amiche e degli avvenimenti nel borgo. La madre e il padre stavano al solito e Rosaria immaginava tutto. Poi Agata le parlava dello sposalizio della figlia di commare Carmela, e della morte della vecchia di Lipari e di chi chiedeva notizie di loro e di chi sembrava si fosse dimenticato. Agata s'informava con premura delle bambine, e diceva : « Pensiamo sempre a tutti voi e più alle bambine e non ce le possiamo dimenticare. Lidia, ti ricordi di zia Agata, e di zia Peppina e del nonno e della nonna? E tu Ernestina mia, vai a scuola? Ti porti bene? Mi scriverai una lettera lunga lunga? ».
Giuseppe notò che di tutti quelli ai quale aveva scritto, o a nome
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suo o della moglie, solo alcuni avevano risposto. Fra gli altri aveva taciuto pure Luigi, il pescatore, col quale sempre era stato tanto amico. Se la cosa avesse potuto succedere quando egli era al paese, si sarebbe offeso. Ma qui veramente, con tante miglia di mare, tutto era diverso, una dolce fantasticheria avvolgeva nella lontananza amici e conoscenti. Sentiva dispiacere, si, Giuseppe a vedersi dimenticato, ma non lo dava a vedere, e di quanti aveva conosciuto, lungamente parlava con Filippo e con Antonio che gliene domandavano.
La vita del paese risorgeva nella sua mente e in quella di coloro che lo ascoltavano, mentre il grammofono nella bella stanza da pranzo di Filippo suonava per conto suo, e i cambiamenti avvenuti erano descritti con minuzia e calore.
«Non ti dico niente di quello che fu dopo che voi siete partiti! » diceva Giuseppe.
L'America, soprattutto, aveva provocato tanti mutamenti: case e palazzi nuovi erano sorti, vecchie abitazioni abbattute, magazzini si erano aperti, gente da poco arricchita era comparsa. Un paese nuovo era sorto accanto al vecchio borgo, lungo la strada del mare, ed era bello andare' a passeggiare la sera.
C'era poi chi era andato in America e non era ritornato; chi aveva ritirato la famiglia, chi se l'era formata là; i figli che avevano abbandonati i genitori, mariti che si erano dimenticati, a torto o a ragione, delle mogli.
« Molte disgrazie perciò sono avvenute! » dichiarò Rosaria.
«E si sa come succede! » rispose Antonio.
« Vedendo tutto quel movimento, perciò mi sono incoraggiato a venire; poiché chi stava indietro non concludeva nulla ed era perduto! » disse Giuseppe.
«Noi ve l'avevamo detto! » aggiunsero i fratelli.
« C'era chi mi dava torto a voler venire in Egitto, anziché andare in America... » continuò Giuseppe.
« Sciocchezze! » fece Filippo.
«Si, e voi sapete come io la penso!» concluse Giuseppe.
Certamente egli avrebbe voluto continuare anche in Egitto la bella vita, pur nella povertà, che faceva nel borgo; quando lavorava nelle ore che voleva, e si riposava a suo piacimento; quando chiacchierava
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coi clienti, seduto davanti al deschetto, e di essi conosceva il piede meglio di quello che non sapesse la faccia.
Ma ciò ormai non era più possibile: al laboratorio del Cairo egli non aveva che una parte limitata nella costruzione delle scarpe, non faceva che le cuciture colla macchina; il maestro di una volta s'era trasformato in uno dei tanti lavoranti d'una bottega più vasta che non era a contatto del pubblico, e la soddisfazione di formare tutto da sé un bel paio di scarpe o di vedere in viso il cliente che doveva servire gli era venuta a mancare.
Né il compenso che ricavava era rilevante in rapporto alla vita che si conduceva : i cognati guadagnavano di più alla diga, e Giuseppe a stento li seguiva nelle spese che occorreva fare per il mantenimento della famiglia nella stessa casa. Se metteva qualche cosa da parte ogni tanto, era perché rifiutava di andarsi a divertire con loro e restava a casa con la moglie.
In quel tempo volentieri s'intratteneva con lei, dopo una giornata ch'era stato fuori, e la piccola Lidia, che non sempre usciva cogli zii, appena lo vedeva, gli si buttava tra le braccia. La sua salute era delicata, brevi febbri di tanto in tanto la colpivano; il padre quasi non si preoccupava, ma come affettuosamente si rivolgeva a lei, sollevandola in alto nelle braccia, come la prediligeva al confronto della maggiore, che godeva tanto a fare la signorina colle zie!
Ernesta sola, si può dire godesse in pieno della permanenza in Egitto : il clima non le diede nessun disturbo, le novità che vide la rallegrarono un mondo. Rosaria, invece, cominciò a soffrire agli occhi per la troppa luce che prendeva al mattino quando andava al mercato e per la polvere del terribile vento che ogni tanto imperversava. Quel vento turbinava nelle vie, penetrava, pur attraverso le imposte chiuse, nella casa, e pareva che si volessero scatenare le fondamenta del cielo.
Come allora l'aria nativa, il bel clima del paese era vagheggiato da Rosaria nel suo cuore! Ricordava il venticello fresco della sera nelle
giornate calde d'estate, il bel sole splendente fin nell'inverno, le rare luminose tempeste che vieppiù facevano apprezzare l'amena serenità della regione.
«Quando ritorneremo? » cominciò a domandare Rosaria.
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« A che punto sono i nostri risparmi ? » chiedeva Giuseppe.
Certamente era il caso di sistemarsi meglio, magari con altro lavoro che non fosse quello abituale di calzolaio, se si voleva ricavare qualche utile dal viaggio che si era intrapreso. I fratelli assennatamente insistevano in questo senso. E l'occasione venne data da un incidente sopravvenuto a Giuseppe mentre lavorava cogli altri nell'interno del laboratorio.
Da poco era finita la festa del Ramadan con fracassi di fanfare, funzioni religiose, pranzi ed eccessi di ogni genere, che Giuseppe era andato a vedere colla moglie per farsi un'idea, quando, nel laboratorio, presente un lavorante arabo di cui egli non si era accorto, cominciò a scherzare sugli usi del luogo. L'arabo, credendosi beffato, si scagliò infuriato contro Giuseppe e lo prese alla gola. I compagni li divisero; altrimenti Giuseppe, finita la sorpresa, avrebbe potuto pure bucargli le budella col trincetto.
Riferita la cosa ai cognati, costoro risposero : « Sono fetenti; bisogna guardarsi, perché non ragionano, specialmente se toccati nella loro religione.
« Ma io non volevo offendere nessuno! » rispose Giuseppe.
« Non hai dunque capito come sono e che s'infiammano per niente? » ribatté Antonio.
In seguito a ciò Giuseppe si decise di andare a lavorare alla diga, in qualità di aiutante muratore; già era incominciato il forte calore dell'estate, e le sofferenze di Giuseppe, non abituato, erano grandi. E dopo tanti anni di lavoro da calzolaio, una nuova attività si iniziava per lui, di cui le conseguenze il Signore solo poteva sapere quali sarebbero state.
I guadagni ora erano davvero elevati: con essi era possibile non solo vivere bene nella famiglia e permettersi tutte le comodità, ma mettere pure facilmente da parte qualche cosa. Rosaria mandò ai genitori, al pari dei fratelli, il suo regolare assegno mensile.
La salute di Lidia, al solito, diede da pensare; prima furono febbri viscerali, poi una forma di tifo con febbri alte ed estrema debolezza. Furono giorni amari quelli: la vita della loro più piccola figliuola era in pericolo.
Naturalmente anche gli zii e le zie trepidarono per lei; ma la
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malattia durava a Iungo, spesso vi era agitazione in casa durante la notte. Come pensare che essi non si dovessero infastidire, sia pure lievemente, di tanti disagi?
Alfine Lidia guarì; le caddero tutti i bei capelli ricciuti che aveva; ma il medico disse che dipendeva dalla malattia e che le sarebbero ritornati. Rosaria sognava già il ritorno al paese, dove l'aria buona del luogo natio non avrebbe fatto ammalare nessuno. Filippo ammoniva che non bisogna fissarsi e che le malattie possono colpire dovunque. Antonio insisteva che prima bisognava considerare in che condizione si trovasse il portafoglio : e dello stesso pensiero era Giuseppe.
Dal paese zia Agata a nome di tutti chiedeva quando ritornassero; diceva che essa ardeva dal desiderio di rivederli, e che oramai le bambine dovevano essere grandi. Non solo un anno, ma due erano passati e il terzo stava per finire. E dunque? Le promesse così si mantenevano?
D'altronde, perché non sarebbero partiti pure Filippo e Antonio colle loro mogli, per una breve permanenza al paese, se proprio non avessero voluto rimanervi per sempre, come ella consigliava?
Ma dire una cosa é più facile che farla e il progettare viaggi più semplice del realizzarli: per quanto Egitto fosse, le necessità della vita imponevano a tutti non poche restrizioni; e una di queste era di non poter correre di tanto in tanto a vedere i vecchi genitori e le sorelle al paese.
Si rimandava il viaggio come se quelli fossero sempre giovani e non dovessero mai morire; alla loro morte nessuno pensava; e meno di tutti forse la stessa Rosaria che pure qualche anno prima aveva potuto vedere quanto fossero cadenti.
Agata, da lontano, non aveva fatto capire niente, forse per non allarmare senza necessità. Ma così fu che improvvisa e tragica arrivò un giorno la notizia della morte della povera mamma, avvenuta per polmonite presa non si sa come e durata appena tre giorni.
« La povera mamma nostra — diceva la lettera — non é più e io non so come confortarmi, l'avevo sempre attorno a me e ora non la vedo più; e il padre é rimasto tanto male che non è capace più di parlare, e voi che avreste potuto darmi un po' di conforto siete lontani, e non avete avuto nemmeno la soddisfazione di vederla, per
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darle l'ultimo addio. E ora la nostra casa é divenuta piú sola e pare una barca sperduta, agitata nel mare in tempesta! ».
« E noi non siamo andati a trovarla, quando si poteva fare a tempo! » gridò Rosaria, mentre grosse goccie di lagrime le scorrevano sulle guance, ai fratelli che, ignari, rientravano dal lavoro; Giuseppe era già ritornato e'inutilmente aveva cercato di calmare la donna e le bambine che a vederla in quel modo s'erano messe a piangere.
«Cosa dici? » esclamarono i fratelli; diventando bianchi nel viso, prima ancora di sapere.
« È morta, é morta la nostra mamma! i) gridò Rosaria; e singhioz- zando più non sapeva soggiungere.
Presero la lettera i fratelli, e la lessero; si sederono poi a capo chino attorno alla tavola. Matilde e Vanda si davano da fare per consolarli.
«Era l'età avanzata; bisognava aspettarselo! Beata lei che ha avuto una vita lunga! » dicevano le donne.
«Ma se stava bene? All'improvviso é stato! » aggiungeva Giuseppe. S'avvicinava alla moglie che ormai taceva, accarezzava il capo delle bambine.
Chiuse le imposte della casa, lasciando trapelare solo un po' d'aria, e si mise a parlare sottovoce coi cognati. « Ma com'era quando tu l'hai lasciata? » chiedevano.
Senza chiasso e senza lamenti, al contrario di quello che sapevano si faceva al loro paese, tennero lutto; e solo qualche amico andava a vederli. Passarono tre giorni; e poi tornarono di nuovo, mestamente, al loro quotidiano lavoro.
Si cominciò a parlare nuovamente e più di proposito dei preparativi da fare per il ritorno; già era venuta la primavera, il caldo si faceva sentire e fra breve avrebbe imperversato come una tempesta di fuoco. Gli uccelli erano fuggiti e più non si vedevano dai giardini solcare il cielo verso le grondaie delle case. «Pure l'estate faremo? » domandava Rosaria al marito.
Questi rispondeva: «Come fare altrimenti? Se non aggiusteremo almeno cinquemila lire? ».
Interveniva Antonio e garentiva le parole di Giuseppe. «Bisogna essere ragionevoli. Ormai che ci siete, aspettate almeno qualche altro
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po' di tempo. Dopo, magari, verrei io con voi a vedere il padre... ».
Filippo a sua volta diceva : « Io certamente verrò con voi. Voglio vederlo il padre, non intendo rimandare tanto che poi non faccia a tempo, e mi succeda come per la mamma che non l'ho potuta abbracciare piú... ».
Rosaria piangeva a queste parole; e allora Giuseppe le prometteva che fra pochi mesi, col lavoro straordinario che avrebbe fatto, sarebbe stato in condizione di partire.
«Partiremo dunque nell'inverno, quando non si soffre piú? » domandava Rosaria, che non calcolava come il marito e i fratelli le necessità della vita.
« Tranquillizzatevi Rosaria — dicevano allora le cognate. — Un altro po' di sacrifizio e poi avrete il piacere di ritornare a casa vostra... ».
Matilde da sola continuava : « E non ci vedremo più qui al Cairo ? Giacché io verrò di tanto in tanto al vostro paese... ».
« Verremo, verremo! » prometteva Vanda.
Rosaria non rispondeva, ma sorrideva, perduta nel sogno del suo paese natale.
« Ella non si é mai adattata alla vita del Cairo! » dichiarava Antonio.
« Non so perché non ti è mai piaciuto. l'Egitto » continuava Filippo. « Eppure non sei stata ammalata, altro che un po' agli occhi, e la bambina ha avuto qualche febbre... ».
« Febbre me la chiami? Stava per morire, povera piccina mia! » rispondeva Rosaria.
« Si, ormai é stabilito. Col lavoro straordinario che farò, sarò in grado di raggranellare presto i soldi che ci vogliono per le cinquemila lire! » assicurava Giuseppe.
Rientrava in quel momento dalla casa di una compagna di scuola, Ernesta; e quasi prima della sua aggraziata persona si avverti la sua voce squillante di bambina felice.
« E questa qui non ce la lasciate ancora per qualche po' di tempo, dopo che sarete partiti? » chiese Matilde, anche a nome della cognata e degli altri.
Rosaria non rispose, mostrando dal volto che la cosa non era per niente possibile. « E tu non vuoi restare con noi ? » continuò Matilde,
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rivolgendosi alla figliuola. Ernestina arrossi, senza saper cosa dire. Ed il padre fu che disse: «Rispondi che vi rivedrete ogni tanto o che loro vengano da noi o che tu faccia qualche viaggio per qui, quando sarai grande, e se la fortuna ci aiuterà, come speriamo... ».
Nessuno più parlò della proposta, e solo i preparativi per la partenza da fare fra molti mesi furono discussi, come se si dovesse farla tra poco. Giuseppe chiese ed ottenne di lavorare due ore di più, per avere maggiore guadagno. Per la prima volta si assoggettò ad un'estenuante fatica, con un ardore di cui nessuno forse l'avrebbe creduto capace. Si stancava, nei mesi terribili dell'estate che sopravvenne, e pure resisteva.
Anche lui sognava il paese natio, gli amici, i parenti, la vita semplice di una volta; non aveva piú genitori, e pensava al vecchio fabbro Felice come a suo padre.
Sebastiano Ricci e altri amici gli scrivevano che si stava meglio di prima, che vi erano costruzioni nuove e che l'ingegnere Talco aveva bisogno di operai scelti e di assistenti. Non sarebbe stato necessario tornare al lavoro di calzolaio : una sistemazione, magari come impiegato, nel campo dei lavori edilizi, sarebbe stata la cosa più semplice di questo mondo.
In tal caso sarebbero potuti ritornare anche i cognati, se avessero voluto; ma è strano come essi si fossero dimenticati del paese natio; forse non si erano dimenticati, ma lo davano a vedere, se non volevano ritornare.
«Sono le mogli che li trattengono» diceva Giuseppe alla moglie per spiegare la cosa.
«No, nemmeno questo — ormai hanno fatto dell'Egitto un altro loro paese ».
E nessuno dei due sospettava che tanto Antonio che Filippo, che del resto sembrava tanto impulsivo ed entusiasta, calcolassero meglio di loro le possibilià di vita nell'Egitto e quelle del loro paese.
« Qui spendono molto. E anche noi, accanto a loro, abbiamo speso tanto » diceva Giuseppe.
« Pazienza! Ma tu lo hai voluto, accettando di fare in tutto vita in comune con loro... ».
« Volevi anche tu allora... ».
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« Non é vero. Io l'avevo capito, e tu non l'hai voluto. E siamo rimasti tanto tempo lontani da casa! » concludeva Rosaria.
«"In questi mesi in cui non si va in nessun posto, si può risparmiare parecchio... » diceva Giuseppe.
Rosaria allora non si frenava dal criticare : « Sanno che i mariti sono in lutto e vanno lo stesso a divertirsi. E non hanno messo le vesti nere di lutto... ».
« Sono altre abitudini, altri luoghi, altra vita! ».
« Lo so! Ma... » obbiettava Rosaria, senza aggiungere altro; poiché la sua critica era semplice e leggera, non avvelenata, ed ella sapeva bene quanto dovesse essere grata al trattamento che aveva ricevuto dalle cognate.
Dalle quali poi si divise, quando venne il giorno della partenza, nell'inverno dello stesso anno con un dolore che non aveva pensato, immaginando la gioia del ritorno, e che superava perfino quello di dividersi dai fratelli.
Perché né Antonio né Filippo — come era facile prevedere, si erano potuto liberare dagli impegni per partire con loro. Filippo solennemente promise però che in primavera sarebbe stato in Italia. Antonio lo avrebbe seguito nell'estate insieme a Vanda e, magari, a Matilde, se quest'ultima avesse potuto ottenere dai padroni il congedo che avrebbe desiderato.
« Ci rivedremo, ci rivedremo! » gridava Matilde, ch'era quella che meno era libera e meno poteva disporre del futuro; si chinava a baciare le bambine, stringendosele al seno e piangendo, ed imitata in tutto da Vanda che a sua volta esclamava : « Si, certamente! ». Mentre Rosaria si univa a loro, desolata, pronunziando : « Come son brutte le partenze, Dio mio! ».
Bisognò alfine partire e a poco a poco il treno prima, il grande vapore poi, strappò dai loro occhi quanto ancora rimaneva della vita d'Egitto. In senso inverso fu fatto il viaggio che all'andata era sembrato tanto oscuro e pauroso. E ora invece, pur nel rammarico per la perdita di parenti tanto cari e di abitudini prese, era così pieno di dolce soddisfazione.
Giuseppe non era ormai quel povero operaio confuso che non sapeva dove mettere i piedi, né Rosaria era quella donna stordita che
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poteva perdere i figli in mezzo alla folla : Giuseppe era diventato un uomo vestito bene, con un leggero soprabito scuro che gli dava l'aspetto di un vero emigrato che aveva fatto fortuna; la sua donna, semplice
e popolana come prima, aveva ora lo sguardo sicuro e lieto. Ed Erne-sta, fatta tosi grande da arrivare quasi all'altezza della madre, sembrava una maestrina, bella e fiorente, come parlava alla tenera Lidia.
Nessuno soffri nel viaggio di mare e la terra del luogo natio fu alfine toccata con serena dolcezza. Ecco i monti bruni, le colline alberate, l'aria fresca che dava brividi lunghi, del proprio paese!
Ecco le case conosciute, la gente solita, le abitudini vecchie che, come in sogno, risorgono nuovamente nella mente dei viaggiatori incantati a guardare!
Alla stazione d'arrivo un gruppetto di persone attende sul piazzale affollato: sono gli amici di Giuseppe e Rosaria, i vicini di casa, quelli che vogliono usare cortesia, commare Carmela colla sua famiglia
e Sebastiano, il pescatore Luigi e tanti altri; e fra essi non v'é la presenza di Agata e Peppina, chiuse col loro dolore nella casa priva della mamma.
Ma sono davanti alla porta che attendono, vestite di nero e sciupate, Agata con tutta la chioma quasi bianca e Peppina coi capelli già grigi. Si precipitano nelle braccia della sorella, salutano il cognato, baciano le bambine.
E Agata, circondando col suo braccio il collo di Ernestina alta quasi quanto lei esclama : « Come sei cresciuta, che non mi debbo più chinare per baciarti! ». E la bacia e sorride, pur con le lagrime agli occhi, pensando alla mamma, mentre dice alla piccola Lidia : « Tu proprio mi sembri Ernesta quando era più piccola. Ma perché così sciupata? Ti ha fatto forse male il viaggio? ».
Peppina sorride vergognosa, tenendo per mano il cognato, e introducendo tutti nella casa. Dentro c'é il padre che non sta tanto bene;
e pure si solleva dalla sedia, dov'era a riposare, e va all'incontro.
E Rosaria lo vide così come si alzava, che pareva una tavola liscia
appoggiata alla sedia, tanto era magro; e il cuore le cadde di angoscia
nel vederlo a quel modo.
« Come state padre? » domanda; e tutti con lei.
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11 « Eh, sono stato ammalato, ancora non sono uscito sulla porta, meno male che ti ho vista! » dice alla figlia.
Agata spiega che il padre ebbe l'influenza e stava per morire; ma poi si risollevò, e ora stava meglio. Ma fu tanto grave, il medico l'aveva dato per perduto, e la sua urina era rossa come il sangue.
Il padre sorride appena e tace; i suoi occhi sono stanchi e sembra che non vedano più la luce del sole; le labbra, appena aperte, sono cadenti, e su di esse una mosca si posa, senza essere avvertita. Gli presentano le bambine, che baciano la mano al nonno, ed egli dice, accarezzando la testa di Lidia : « Come sei cresciuta Ernestina! ».
«No, papá, é Lidia! Questa é Ernestina! » dice Rosaria.
« Ah si! » risponde il padre.
E intanto la gente si dirada, i reduci pigliano possesso della loro casa tenuta pulita dalla sorelle, la nuova vita incomincia per la fami-gliuola che nella sua patria é come un uccello nel suo nido.
Passano i giorni, e Giuseppe va qua e. lá coi suoi amici; paga per loro, si diverte, é espansivo; Rosaria cicala colle vicine di casa, le bambine, serie e silenziose, prese ora da uno ora dall'altro, pigliano a poco a poco confidenza con l'ambiente.
Il vecchio fabbro Felice é sempre cadente: ma come può venirgli più il vigore della giovinezza? Non c'è gioia, non ci sono speranze che possano farlo rivivere, nemmeno come quand'era al tempo della partenza di Rosaria.
La quale teme di momento in momento la sua fine; é tanto vecchio! E i fratelli non faranno in tempo a vederlo.
Forse Agata e Peppina, abituate ad assisterlo ogni giorno, non tanto temono la morte imminente; ma come é preoccupata, invece, Rosaria pur nell'apparente sua letizia.
Fece scrivere dal marito ai fratelli sulle condizioni reali del vecchio; ed essa stessa passò più ore al giorno in sua compagnia, come prima non faceva. Lo curava al pari delle sorelle, ed era lei che gli tagliava secondo il modello la bella barba bianca che gli era cresciuta.
Giuseppe da parte sua si diede da fare per trovare un lavoro conveniente : l'ingegnere Talco non aveva purtroppo bisogno di impiegati, e nemmeno i suoi assistenti. In genere si vide che le condizioni nel
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paese erano meno buone di quelle che Sebastiano e altri amici avevano fatto credere.
Ora pareva che Giuseppe dovesse ricevere una buona offerta, un momento dopo gli arrivava la smentita. Altri concorrenti si erano presentati e lo avevano scavalcato; ed egli che conosceva da artigiano solo la vita nel borgo, dove un pane mai era mancato per nessuno e dove chi voleva trovava subito da lavorare, si meravigliava che nel paese e tra le persone civili le cose fossero tanto diverse.
Gli nuoceva pure il fatto che sempre era stato calzolaio nel borgo,
e che tutti lo conoscessero per tale: gli mancava l'aria intraprendente
e rumorosa di chi avrebbe dovuto, nell'impiego, comandare su altri uomini; né certo egli era in grado di fare il ragioniere. Denari non aveva portato a sufficienza per fare dimenticare la sua origine, astuzia
e disinvoltura gli facevano difetto.
E poi, a trascurare quanto poteva riguardarlo in particolare, si era sempre in Italia: se le condizioni del paese erano molto migliorate da quando Filippo e Antonio lo avevano lasciato, esse non erano mutate dopo la partenza di Giuseppe a tal punto da permettere ad uno come lui di occuparsi facilmente come impiegato.
In ogni modo, il piccolo appaltatore Artú gli promise che lo avrebbe assunto presto in servizio : dopo che avesse dato inizio ai lavori di riparazione del ponte sulla strada, rovinato dalle acque: si aspettava l'approvazione del Genio Civile: ecco non sarebbe passato molto tempo, questione di giorni, tutto si sarebbe accomodato per il meglio nell'interesse di entrambi.
Gli diede un anticipo di mille lire sullo stipendio già fissato, e cosí Giuseppe restò legato alla sua azienda. Dovettero passare molti mesi ancora perché i lavori progettati avessero inizio. E dopo che Giuseppe cominciò a prestare la sua opera di assistente, ora riceveva il mensile ora no, a seconda delle oscillazioni del bilancio dissestato del piccolo appaltatore. Certe volte, in amicizia, per improvvise difficoltà sopravvenute, doveva restituire i denari avuti, altre volte gli toccava sudare parecchio per poter avere a pezzetti quello che gli spettava.
Diventava perciò preoccupato e malinconico : quella continua agitazione, alla quale non era abituato, lo stancava, e non solo i tempi beati di quando faceva il calzolaio e aveva a che fare con tutto un
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popolo docile, che gli era cliente, erano rimpianti, ma anche l'epoca dura della sua vita in Egitto, durante l'ultima estate, dove aveva tanto lavorato. Forse aveva fatto male a ritornare in Italia, meglio sarebbe stato se egli fosse rimasto ancora per qualche anno al Cairo, e avesse soltanto mandato la moglie colle bambine a rivedere il padre. Ma ormai le cose erano andate tosi, e bisognava aspettare che migliorassero, come certamente sarebbe accaduto.
I risparmi però si assottigliavano gradatamente e la povertà compariva all'orizzonte, se egli avesse perduto quel posto che aveva. Rosaria avrebbe dovuto saperlo; e invece restava così spensierata e leggera, quando non compiangeva colle sorelle la fine temuta del padre, nelle sue chiacchiere con commare Carmela e le altre vicine.
Solo conforto per Giuseppe erano le ingenuità delle sue bambine, che dopo il ritorno dall'Egitto avevano continuato sempre a star bene; e più sere si diverti a sentirle cantare e a vederle passeggiare insieme nel vicoletto davanti alla casa, colle braccia congiunte, la più piccola che arrivava all'altezza degli omeri la più grande, mentre sul capo s'erano messe mazzetti di fiori e attorno al collo coroncine intrecciate.
Passeggiavano cantando, e le loro voci argentine squillavano nel cielo sereno. S'avvicinava il padre, e rivolgendosi a Lidia diceva: « Vieni, che t'ho portato le caramelle per te ed Ernestina! ». Lidia si avvicinava e le prendeva, donando la sua parte alla sorella; e poi soggiungeva : « No, questa non la voglio, questa é al sapore della menta! ».
« Dalla a me, allora! » rispondeva il padre; e poiché aveva altre nella tasca, gliela cambiava.
Lidia si rallegrava, e dopo scappava dalla madre o dalle zie o dalle vicine; e tutto pareva che dovesse andare secondo il solito, nell'attesa di un futuro che non avrebbe dovuto essere cattivo.
Ma una sera la madre si accorse appena che la più piccola stava poco bene, e così Giuseppe, che all'improvviso la figliuola da se stessa avverti un grave malore. Durante la notte la febbre aumentò, e al mattino Giuseppe chiamò il medico.
Lo spavs nto cominciò a serrare i cuori dei genitori; poiché la malattia non si presentava lieve. Il medico ancora non si pronunziava.
Tuttavia zia Agata e zia Peppina, dopo essere venute a vedere la nipotina, si licenziarono per andare a lavare i panni al fiume, come
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già dal giorno precedente s'era convenuto: esse non potevano mai immaginare quello che sarebbe accaduto. « Alle dieci ricordati l'uovo per il padre! » raccomandò Agata a Rosaria.
Ma verso sera il medico credette di avere scoperto la vera malattia : si trattava di meningite fulminante. E un colpo al cuore fu per i poveri genitori.
Poiché la malattia era infettiva e la piccina non poteva essere inviata all'ospedale in città, fu ordinato il sequestro dentro casa di tutti quelli che vi si trovavano, con una guardia davanti alla porta che impedisse l'entrata e l'uscita di alcuno.
Da fuori non si sentiva nessun rumore: la casa pareva piombata nel lutto. Ma si sapeva che dentro la piccola era caduta nel delirio e che i genitori nella loro disperazione imploravano - dal medico quella assicurazione che egli non poteva dare.
Ritornarono Agata e Peppina dal fiume: esse erano ignare; poggiarono la cesta sulla soglia della casa, dopo aver visto il padre che non rispose al loro saluto, mentre inspiegabilmente si raccoglieva gente attorno a loro, e fecero per rivolgersi alla porta di Rosaria. Una guardia c'era; e come un affronto al loro affetto che voleva sapere la sorte della bambina, voleva vederla e baciarla, crudelmente fu impedito l'ingresso.
Ma che cosa é questa prepotenza che di nuovo si abbatte su di loro? Chi é che ha dato quest'ordine assurdo? La legge, la legge! Ma come mai è possibile tutto ciò? Non c'é cuore dunque in questo paese, non ci sono affetti che valgono, non c'é logica di nessuna maniera ?
Inutilmente piansero le donne nella speranza di poter commuovere il medico e la guardia. L'ordine venne rispettato.
Ritirate nella loro casa, accanto al vecchio padre che pur nella sua tarda età capiva e risentiva la gravità della sventura che stava abbattendosi sulla famiglia della figlia, esse affannosamente immaginavano la tragedia che si stava svolgendo nell'interno della casa colpita. Pregavano la Madonna, e speravano.
Passa un giorno, e poi due, tre. La quiete sembrava regnasse lá dove la bambina agonizzava. Si stava in ascolto e non si sentiva nulla. Ma all'improvviso grida atroci, nella tarda sera, penetrarono attra-
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verso la porta sbarrata; una vampata di dolore si abbatté su quanti erano attorno e vicino, ad attendere.
La fine era venuta; e il popolo spaventato non ardiva forzare la porta per salutare la bambina. Zia Agata e zia Peppina colle lagrime agli occhi la chiamavano invano.
Venne il carro del comune, durante la stessa notte, e il cadavere fu messo a posto: senza accompagnamento e senza cerimonie fu portato al cimitero. E tutto- essendo 'accaduto in un baleno, prima che i genitori angosciati avessero potuto considerare la gravità della sciagura toccata, parve che la bambina fosse stata rapita da banditi in una notte tempestosa, cosí come una volta era stata perduta in mezzo al mare durante il viaggio in Egitto, senza speranza piú di poterla ritrovare.
Per tutto il giorno e la notte il grido della madre, prima più alto e terribile, poi sempre piú fioco, echeggiò lugubremente nella casa col-pila dalla sventura. «Fuoco! Fuoco mio! Ahi! Ahi! » gridava, torcendosi su se stessa e battendosi con le palme il viso.
« Dolore mio grande! » esclamava; e nella confusione della sua mente non sentiva che l'irreparabilità della disgrazia, la crudeltà della sorte; non si fissava sull'essenza del suo tormento, l'anima sua annebbiata vagava nei regni dell'orrore e del vuoto. Il padre era là curvo sotto il peso di un dolore più grande di lui; e solo le urla della madre vi erano che potevano scuoterlo dal suo pauroso abbattimento, spingerlo a soccorrerla come meglio poteva. Le sorelle piangevano sommessamente, dandosi da fare per confortare coloro che più non potevano essere confortati. Ernestina, in un canto, trascurata dai vicini che non avevano pensato di portarla con loro né attirata dal vecchio nonno, rimasto solo nella sua casa, piangeva a dirotto, ripetendo le parole della madre.
«Perché questo destino? Perché? » domandava la madre; e colle guance bagnate di pianto si voltava verso il marito. «Perché? Perché? » ripetevano tutti. Ed esclamavano: «Morte! Terribile morte! ».
Nessuno si era presentato a dar loro conforto; la paura agghiacciava il cuore ardente del popolo. «Perché tutto questo? » continuava Rosaria; e nell'orrore di quanto accadeva vi era qualcosa di più terribile che ancora non veniva pensato.
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«Medico cattivo! Leggi ingiuste! » gridava Rosaria; e le sorelle si trovavano d'accordo con lei. Ugualmente Giuseppe s'abbandonava allo strazio di essere stato ingiustamente offeso dagli uomini.
«Avrebbero potuto fare in altro modo...» dicevano. E da ciò risalivano di nuovo al sentimento della loro sventura senza nome né volto.
Poi a poco a poco la vita della bambina risorse nella loro mente con tutto lo splendore della sua bellezza. Come il cuore era trafitto a vederla! Compariva e scompariva come il sole attraversato da nuvole vaganti.
Ed intanto, finiti i primi giorni, si presentarono i vicini, rassicurati dopo l'iniziale sbigottimento: volevano offrire da mangiare, dicevano che bisognava fare in tal modo o in tal altro per ottenere conforto. Agata e Peppina gentilmente respinsero, dicendo che ormai potevano provvedere da loro.
Commare Carmela trovò che il morbo, a quanto aveva sentito dire lei dalla sorella del capostazione, era conseguenza delle sofferenze che la povera bambina aveva subito in Egitto: tutto si sarebbe evitato se i genitori non fossero andati in Egitto. La moglie di Luigi, il pescatore, ammise, invece, che la colpa era del medico: un medico più bravo avrebbe salvato la bambina. In molti casi il medico Sbo aveva conseguito la guarigione. La figlia di commare Carmela, quella che si era sposata a Sebastiano, pensava da parte sua che più volte l'intervento della fattucchiera di Siderno aveva fatto miracoli.
Come il cuore, allora, di Rosaria si spossava a sentir tante parole! La sua fantasia pigliava il volo, la triste realtà era dimenticata e i sogni del probabile e del verosimile turbinavano nella sua mente.
Certo Giuseppe si risentiva quando gli amici, per scusa, venendo a far visita, gli ricordavano che il timore aveva loro impedito di fare i doveri abituali; si vergognava di sé, cercava cambiar discorso come se lui fosse il colpevole, come se la sua stessa paternità fosse misera e difettosa.
Aspettava che se ne andassero, in silenzio; ed usciti, si sfogava nell'intimità della famiglia : « Io mai ho mancato verso nessuno! » esclamava.
La moglie continuava a lamentarsi in delirio; bisognava calmarla,
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fare qualcosa per lei, non farla morire. Gli affari del suo impiego urgevano, Giuseppe non poteva più ritardare a non uscire.
Eppure, in mezzo alle sue maggiori distrazioni, Giuseppe afferrò per primo l'immensità della sua sventura. Egli capi presto, abbastanza presto, quello che significava la morte della bambina, il non averla più con sé, il non poterla giammai vedere, il non poter pensare che qua, in questa vita, o li, nel cielo, esistesse. La nera morte fu visibile per lui; essa gli strozzò il pianto in gola, essa gli tolse l'aria del suo respiro.
Quando dopo alquanti giorni usci, ognuno poteva vedere il suo volto calmo, reso disfatto dal dolore, la sua aria irreparabilmente triste, la sua figura curva, il suo occhio sbigottito che si fissava in un pensiero suo pur nel mezzo della conversazione. Egli già era un uomo che aveva coscienza e che pure doveva occuparsi di questo e di quello, un uomo che doveva penare per guadagnarsi il pane.
A casa doveva badare a tante cose: non poteva pretendere che tu n) facessero le sorelle per l'incapacità in cui era caduta la madre; già essa soggiogata dal dolore che non cápiva, che si sforzava invano di capire, era diventata assente quasi alle necessità della vita, debole e smarrita.
Non aveva ormai più la forza nemmeno di piangere e lamentarsi: i suoi occhi, da cui erano uscite a torrenti le lagrime, s'erano inariditi, la sua voce che aveva lacerato il cuore di chi l'aveva ascoltata, non sapeva nemmeno rispondere alle più semplici domande. Seduta accanto al letto, con il capo abbandonato sui materassi disfatti, non aveva sensi per niente, aspettava il lento passare delle ore fino all'arrivo del marito alla sera.
Giuseppe la sorprendeva a quel modo e il dolore che nella giornata solo a tratti, rompendo il pensiero delle occupazioni continue, raggiungeva la profondità della coscienza, esplodeva ora con furia selvaggia.
« Rosaria mia! » esclamava, buttandosi tr`a le sue braccia; e dolcemente chino su di lei domandava : « Perché sei tanto smarrita, Rosaria? Sono stato assente per così lunghe ore, e tu non hai fatto niente nella casal... Sempre a pensare, a pensare... ».
« Si, si... » rispondeva Rosaria vagamente; e dal posto dove si tro-
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vaya, non si moveva nemmeno per dare il cibo ad Ernestina che lo chiedeva.
« Vedi come faccio io che con tanto lavoro mi svago; poi penso, e dopo mi riposo, e poi penso di nuovo; e così passo la giornata, al contrario di te... ».
Io non posso, non posso... ».
Giuseppe la guardava, e quindi chiedeva : « Sono venute le sorelle? Ti hanno tenuto compagnia? ». Vedeva che Rosaria non gli rispondeva, e insisteva : « È venuto qualche altro? ».
Allora pareva che Rosaria si svegliasse dalla sua sonnolenza: «No, non è venuto nessuno! ».
E veramente solo le vicine, stanche del loro dovere, erano mancate nella visita alla madre sventurata; le sorelle, trascurando le occupazioni della casa e Agata in particolare quelle del lavoro di cucito, si erano fatte vedere più volte. E come suol accadere, invano avevano cercato di consolare la madre con i discorsi e i ragionamenti. Poi avevano invitato Ernestina ad uscire con loro all'aria aperta, perché non intristisse nel buio della stanza chiusa. La figliuola aveva accettato e s'era messa perfino a giocare con una delle nipoti di commare Carmela non aveva resistito a lungo e dopo poco era corsa nuovamente dalla madre.
Un giorno arrivò finalmente, con qualche ritardo, la lettera di condoglianze dei fratelli in Egitto. Essi in breve, come sogliono fare gli uomini, espressero il loro compianto per l'irreparabile perdita. Le mogli, Matilde e Vanda, completarono la lettera, scrivendo a lungo e rievocando fatti della vita felice di ún tempo, quando viveva la bambina. Vanda, che nella sua precisione, era alquanto indiscreta, trovò che la bambina forse si sarebbe potuto salvare, se fosse rimasta in Egitto. Li v'erano tanti bravi dottori, specialmente il professor Puricelli, tanti specialisti, ospedali, case di cura... Era stato certo un errore partire per il paesello nativo.
Fosse stato nei primi giorni della disgrazia, Rosaria si sarebbe esaltata al ricordo del passato, i sogni dell'impossibile e dell'inattuabile avrebbero turbinato come meteore nella sua mente. Questa volta, invece, restò attonita e confusa; poi, piegando il capo sulle spalle della sorella
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Agata che, nell'assenza del marito, le aveva letto la lettera, ebbe un singulto, dal quale non uscirono le lagrime.
Il tempo dei violenti clamori, dei deliri e dei sogni, era terminato; succedeva ora il silenzio spaventoso, il desolato silenzio dei dolori profondi che scavano il cuore. Ancora non v'era la coscienza chiara di quello che significava la morte della bambina. Ma là, nella casetta abbandonata del « Borgo », chiusa alla vita di fuori, in quella casa che la sventura aveva resa unica fra tante e su cui l'occhio della gente si posava sbigottito, senza osare dimenticare, il dolore maturava lentamente nella mente di Rosaria. Con persuasione si faceva strada, a poco a poco diveniva concreto e visibile. Ecco che la morte della bambina a un, tratto fu qualche cosa di reale, qualche cosa che si poteva afferrare, che esisteva e che aveva le terribili forme del nulla!
« Impossibile! Impossibile! », gridò Rosaria. Aveva visto in un momento il volto tragico della bambina, inghiottito dall'abisso. Di là, dalle tenebre immense, accennava ancora un poco con un terribile ghigno di beffa. Poi le acque infinite si chiusero e l'occhio della mente non poté vedere altro che una nuvola di impenetrabile fumo.
Fu come se le fosse tolta l'aria che respirava, ebbe un attimo di agonia; si dibatté nell'angoscia, come un pesce fuor d'acqua; senti il suo spirito intristire al pari di erba secca strappata alla terra.
Forset, a continuare a quel modo, sarebbe diventata pazza; ella non aveva la forza del marito di guardare in faccia il reale. Dopo qualche lieve resistenza trovò una via d'uscita al suo dolore. La religione le venne incontro con le sue pietose speranze.
No, non era vero che niente della bambina esistesse piú; qualche cosa di lei era rimasta, l'ombra della sua vita di un tempo, la forma vaga della sua anima bella. Dal cielo, dove si trovava, scendeva alla terra; si aggirava intorno alle cose conosciute ed amate, indugiava sulla sua tomba stessa abbandonata del camposanto.
Oh come essa avrebbe voluto ritornare alla vera vita, riabbracciare la madre e il padre, rivedere la luce del sole! Come avrebbe lasciato con piacere le sedi celesti che mai sguardo di vivente avevano pene- trato e dove chiunque colla morte vi fosse entrato, ineluttabilmente vi sarebbe rimasto prigioniero!
Invano si sarebbe desiderato il ritorno, quello che fosse accaduto
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non si sarebbe cancellato, la morte non sarebbe diventata la vita. Un distacco netto vi era che nessun mare di lagrime avrebbe colmato!
Parve a Rosaria che il corpo stesso della bambina illuminato da una luce sinistra dovesse soffrire inenarrabili pene per essere stato abbandonato dalla sua anima vivente. L'anima se n'era andata, e i miseri resti mortali chiusi in una cassa sentivano il peso della terra che sopra vi era stata deposta. La mamma, quella che le aveva dato il latte nella sua più tenera infanzia e che poi l'aveva imboccata di cibo come un uccello fa coi suoi nati, era assente!
Suo primo dovere sarebbe stato quello di andare a trovarla per darle conforto: la povera bambina ne aveva tanto bisogno! Nello stesso tempo senti che era lei che ne sarebbe uscita consolata, come se dopo una giornata di fatica e di sole avesse potuto rinfrescare la bocca riarsa con una gustosa bevanda.
Con altro animo da quello che qualche tempo prima minacciava di disseccare le fonti stesse della vita, Rosaria usci di casa : sarebbe andata al cimitero, avrebbe salutato la bambina, avrebbe visto come nel sogno la sua figliuola. Avvolta nel velo nero del lutto, accompagnata da Ernestina spaurita, ella era là, nel vicoletto angusto del borgo, mentre le sorelle accorrevano e commare Carmela, vinta dalla curiosità, saltava gli scalini della sua casa.
«No, commare Rosaria, cosa fate! », esclamó la vicina con voce sorpresa. «Non reggerete al dolore! Io lo so, da quando mi son morti i miei due figliuoletti maschi, che Dio li abbia in gloria! Non la fate andare, Agata, trattenetela, fatela stare qui con noi ancora un poco!... ».
Ma le sorelle avevano capito che Rosaria avrebbe trovato conforto nella visita che si preparava a fare, e non ardirono impedirle il cammino. Si offersero di andare a tenerle compagnia. Ma Agata aveva da cucire d'urgenza un abito da sposa che, malgrado la diminuita clientela, aveva trascurato; e Peppina era ancora stanca del viaggio che aveva fatto in campagna.
«Vado con Ernestina! Non c'è bisogno di voi! Andremo con voi qualche altra volta! », rispose Rosaria.
Si allontanava da loro e presto si dirigeva verso la strada che portava al camposanto. Il sole era ancora alto sui monti, rari erano i viandanti nella calura dell'estate, e Rosaria, col cuore sospeso, affrettava il
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suo passo. Giunta in vista della collina dei cipressi, trascinava quasi per la mano Ernestina che s'era stancata. Nei suoi occhi tremanti splendeva la visione di chi attende qualcuno ad un convegno da lungo tempo sognato.
I cancelli del camposanto erano aperti. Rosaria restò un momento confusa e spaventata. Poi, guidata dal guardiano, si precipitò correndo sulla tomba adornata di marmo che le veniva additata.
«Lidia! Lidia! », accoratamente chiamava. «Vieni qui presso di me, Lidia mia! Vieni che ti voglio accarezzare i tuoi capelli inanellati! Vieni che ti voglio guardare negli occhi innocenti! Lidia! Oh figliuola mia perduta! ».
Le lagrime, di cui pareva che si fosse inaridita la fonte, nuovamente sgorgarono dai suoi occhi. Piangeva, febbrilmente parlava, e ora l'immagine della bambina morta col suo corpicino boccheggiante e il collo che pareva si volesse staccare, si presentava alla sua fantasia, ora si allontanava.
«Figliuola mia lontana dove ti trovi? In quale cielo sperduta? Chi ti ha rapita? Chi ti ha nascosta? E perché non ritorni più su questa terra, dove c'é la tua mamma, il tuo babbo e la sorellina? Oh brutta, crudele morte, che strappi i figli dai genitori e non hai vergogna di squarciare un povero cuore insanguinato! ».
Dopo essersi sfogata alquanto, scostava Ernestina che s'era messa a sedere sul marmo e piangeva alla vista della madre, e si dava a pulire la tomba della polvere che si era depositata e delle foglie che vi erano cadute. Accendeva la lampada, toglieva qualche moscerino annegato nell'olio, disponeva i fiori in un vaso che vi era accanto. Quindi, dopo aver meditato, si chinava sul marmo e lo baciava come fosse il volto freddo della figliuola uscita di vita, e mestamente si ritirava. Per più giorni ne rimaneva consolata; e poi di nuovo sentiva il bisogno di ritornare al luogo del suo dolore e dei suoi sogni.
«Fate male a continuare casi!... Vi rovinate, morrete dal dolore! Pensate a chi lascerete! Non vi preme la loro sorte? », diceva la gente quando l'incontrava. sommare Carmela s'affaccendava colle sorelle Agata e Peppina, insisteva presso di loro. La moglie di Luigi, il pesca- tore, rimbrottava : « La vostra é un'esagerazione! Tutti abbiamo avuto disgrazie! Muoiono più agnelli che pecore: bisogna rassegnarsi! ».
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«Non mi dite così! », insorgeva allora Rosaria. Le sue visite al camposanto erano una necessità della sua vita, come il mangiare e il bere, non poteva immaginare che altri della sua famiglia non sentissero come lei il bisogno di andare a conversare ogni tanto colla sua figliuola. Si trascinava dietro Ernestina e non si accorgeva che al ritorno questa lietamente si staccava dalla madre per unirsi a qualche sua compagna. Glielo dissero, e Rosaria seguitò ad andare sola. Di tanto in tanto veniva accompagnata dal marito o da qualche sorella.
Giuseppe, dal canto suo, pensò di fare l'ingrandimento della fotografia della bambina da un pittore, decoratore di stanze molto bravo. La fotografia rappresentava la bambina quando ancora era piú piccola, mentre stava colle mani in mano e aveva il volto imbronciato e triste. Il pittore la ritrasse al naturale, la colori moderatamente, dandole come sfondo una strada fiancheggiata di cipressi che conducevano a una specie di paese lontano.
Quando Giuseppe portò a casa il ritratto, l'impressione di quelli che lo videro fu grande: Rosaria e le sue sorelle piansero come se l'avessero incontrata di nuovo nella loro vita. Ernestina la sognò nella notte e la vide mentre giocavano insieme.
Il quadro, poggiato sul cassettone, si confuse nella penombra della camera, colle immagini dei Santi e della Madonna; la lampada che ardeva non si sapeva per chi desse il suo spirituale splendore. Rosaria, spesso sola, sognava la bella vita di un tempo.
Ed i suoi pensieri, e quelli tristi del padre quando si ritirava alla sera, stanco del lavoro e dei contrasti avuti, avevano il potere di isolare, dinanzi agli occhi della gente che sapeva, quella casa col fico davanti, che sembrava la casa del dolore. « Ernestina! », chiamava il padre entrando; e si soffermava un istante, incredulo e sbigottito: gli pareva di aver chiamato per errore l'altra figliuola, Lidia, quella che non c'era piú; e tendendo l'orecchio sentiva l'eco, come se ripetesse: «Lidia! Lidia!».
La madre, allora, pareva volesse conformarsi ai pensieri di lui, e rievocava : « Mi veniva sempre dietro, e io le dicevo : — Mi sembri un cagnolino! —. Ed ella dolcemente rispondeva: — Perché non mi chiami meglio una pecorella?—».
Spesso però i genitori stavano in silenzio, ognuno dei due pensando
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a cose del passato; se Giuseppe voleva comunicare alla moglie qualche cosa delle difficoltà della vita del presente, s'accorgeva che ella non lo seguiva e non si interessava.
Quello era il tempo in cui l'albero di fico, prima così caro a Rosaria, poteva venir danneggiato dai ragazzi, saliti a rubare e a giocare, il bel ramo che adornava la porta, poteva venire strappato, e nessuno ci faceva caso. La gente si riuniva a giocare ora da un amico ora da un altro, e proprio da Giuseppe non vi era alcuno che pensasse di poter mai fare ritorno. Qualche casa, nell'allegria del cuore, compariva di tanto in tanto imbiancata, ma sempre rimaneva la stessa quella di Giuseppe, grigia come la tristezza che vi aveva fatto dimora; e in essa Rosaria, mesta e imbambolata, a tutto pensava tranne che a quello che poteva fare la felicità della gente.
Su tutto incombeva ora la preoccupazione di Giuseppe per guadagnarsi il pane quotidiano; il suo tormento cresceva giorno per giorno, la sua capacità di vivere pareva venir sempre meno.
Il piccolo appaltatore Artù non aveva mantenuto fede ai suoi impegni verso Giuseppe. Era accaduto che alcuni lavori di arginatura del fiume Buonamico erano stati rotti dalle acque avanzanti. Il proprietario del fondo che aveva ordinato i lavori non aveva pagato, adducendo a scusa la cattiva qualità dei materiali adoperati e l'indugio eccessivo nel lavoro. Intervenuto il tribunale, solo una porzione del credito venne liquidata a favore dell'appaltatore. Questi allora ridusse lo stipendio che aveva stabilito per Giuseppe.
In seguito vennero fatti lavori di riparazione su un muro pericolante della chiesa; i denari, raccolti dai fedeli, erano pochi. Se l'appaltatore stesso affermava di non poter ricavare da quella somma nessun utile, come poteva Giuseppe pretendere un buon compenso ?
Si aggiunga che in famiglia Rosaria per niente pensava a tempo alle riserve da fare sui cibi, che tutto per incuria o ignoranza si comprava a prezzo maggiore della media, che le sorelle Agata e Peppina nella diminuzione dei guadagni avevano bisogno di Giuseppe, e che le nuove abitudini erano più costose di prima, e si capirà come ogni giorno che passasse significava un peggioramento della situazione.
Aveva ben cura Giuseppe di non portare le caramelle e i cioccolatini ad Ernestina, sentendosi pungere il cuore dalla domanda di lei:
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« Papà come mai non porti più nulla per me? ». Non per questo il bilancio della famiglia migliorava e il futuro non era visto con timore.
Finiti i lavori della chiesa, segui un lungo periodo di sosta, nel quale l'appaltatore Arta non intese pagargli di stipendio neppure un centesimo. Giuseppe fu costretto ad offrire i suoi servigi all'ingegnere Pappalone che già altra volta gli aveva detto di non avere bisogno di lui. Ora era evidente che dovesse avere bisogno di qualcuno, poiché l'assistente che aveva era partito. Ma l'ingegnere Pappalone rispose che non lo poteva proprio accontentare. Fra sé pensava: « Dovrei proprio io assumere uno che ha lavorato con una ditta screditata? 'Perché portasse anche me al fallimento? ». E trovava altro dipendente ritenuto migliore.
Si rivolgeva allora Giuseppe al commerciante Carabino che aveva anche una vasta proprietà fondiaria da amministrare. Questi non gli rispose né si né no. Giuseppe stette con l'animo sospeso per molto tempo. E non ne guadagnò che il rancore dell'appaltatore Artù che non ammetteva per il suo dipendente il diritto di cercare altra strada se con lui non poteva vivere.
Ora Giuseppe era divenuto come ai primi tempi del suo ritorno dall'Egitto, quando lungamente dovette affaticarsi per ottenere un posto civile nel suo paese, adatto alle nuove pretese: con la differenza che prima aveva qualche soldo in tasca, la moglie era più attiva e l'animo era sereno; mentre oggi come tutto era enormemente ingrandito in peggio!
I soldi sfumavano a vista d'occhio; già se avesse voluto intraprendere un viaggio d'emigrazione, avrebbe dovuto chiederli in prestito. Inoltre aveva vergogna di rivolgersi ai cognati, che di là, dall'Egitto, scrivevano convinti che s'era sistemato bene, come se con ciò avesse dovuto confessare la sua incapacità a mantenere la moglie e la figlia.
Certamente egli in Egitto non sarebbe più ritornato; aveva fatto una volta l'esperienza dell'Egitto, e non voleva ripeterla. L'America sarebbe stato il paese del suo avvenire; e poiché nel nord non si poteva andare o bisognava aspettare lungamente per ottenere il permesso, egli avrebbe potuto andare nel sud, in Argentina, dove vi erano tanti paesani. Li avrebbe trovato la fortuna che in Egitto gli era sfuggita di mano e qui in Italia era completamente scomparsa.
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Ma come fare per andare? E chi avrebbe convinto Rosaria? E come avrebbe confortato se stesso che per la prima volta si sarebbe dovuto separare dai suoi?
Pensava a Rosaria, dimagrita dopo la disgrazia, con tante rughe in faccia da non riconoscersi piú. Ecco, la sua gioventù era per sempre finita. Non più il suo cuore palpitava di amore, non più si rivolgeva al marito come al suo uomo.
E pure Giuseppe, con un dente di sopra mancante, stanco per i dispiaceri e le preoccupazioni, cos'era più del giovane uomo di un tempo? La vita aveva perduto per lui ogni attrattiva. Non l'avidità di ricchezze o lo spirito d'avventura lo spingeva verso i più lontani paesi, ma la necessità del pane quotidiano.
E per questo avrebbe dovuto lasciare una povera donna da cui mai si era allontanato, per questo avrebbe dovuto strapparsi dalle braccia dell'unica figliuola rimastagli, quella figliuola diventata giovinetta e che forse avrebbe rivisto un giorno del tutto diversa, sposa di un altro!
Non l'avrebbe vista crescere, non avrebbe potuto avere cura di lei; affidata a una madre incapace, sarebbe stata libera nel mare infido della vita. Era un rischio il lasciarla.
Ma era necessario correrlo per il bene stesso di lei. Dall'America Giuseppe avrebbe portato l'occorrente per vivere e la dote della figliuola. Con mezzi maggiori, una nuova vita sarebbe sorta nel paese, e gli errori di prima non si sarebbero ripetuti.
Parlò a Rosaria dei suoi progetti. « No, no, meglio restare qua. Non sarei capace di partire dalla terra dove so che dorme la mia bambina! », rispose la moglie che aveva creduto di doverlo accompagnare.
« Tu resterai qui con la bambina. E io in pochi anni farò fortuna. Poi ritornerò. Vedi come ogni cosa mi va male, vedi come è stato un errore ritornare troppo presto dall'Egitto! ».
« E perché non vuoi ritornare al Cairo, dove i fratelli potrebbero aiutarti? ».
« So che in America si possono fare guadagni maggiori coi quali ritornerei più presto a casa... ».
« Io non so... Ma ho paura di restare sola! Vedi come sono ammalata e stanca...».
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«Se tu stessa ti rivolgessi alla famiglia Chirico che sempre ti ha voluto bene, potresti ottenere un prestito per il viaggio con poco interesse, o senza affatto interesse... ».
« Ma davvero vuoi dunque partire? », gridò Rosaria e si mise a piangere come una bambina.
In seguito si discusse a lungo della cosa. Agata e Peppina questa volta non insisterono per la partenza, pur mostrando di non essere scontente. Al contrario, commare Carmela vantò la convenienza di un simile viaggio, dimenticando quanto aveva detto in proposito al tempo della partenza per l'Egitto. Rosaria restava senza parola, mentre la decisione poco per volta si confemava.
Andò, secondo il desiderio del marito, a chiedere i denari alla famiglia Chirico; ma si comportò così confusamente che quelli credettero li volesse avere in dono, per l'amicizia che c'era; e risposero di no.
Giuseppe non ottenne nulla né dall'appaltatore Artú né da altri amici, tra cui Sebastiano ch'era ,in grado di favorirlo. Si rivolse alla Banca, e ottenne il prestito. Col primo viaggio sarebbe partito. L'Argentina, con le sue favolose ricchezze, era il paese dove egli avrebbe passato alcuni anni di lavoro.
E avvicinandosi il giorno della partenza, sali al camposanto a salutare la bambina morta, accompagnato dalla moglie e da Ernestina. Piansero tutt'e due sulla tomba. Poi Rosaria continuò, prostrata per terra, a rivivere le sue fantasie e i suoi sogni.
Uscendo dal cancello ebbero davanti la vista del golfo con il mare che si perdeva in lontananza. Al di lá v'era l'America, la terra della speranza. Giuseppe e Rosaria ebbero un solo pensiero.
Ma Rosaria, poggiando il capo invecchiato sulla spalla del marito, nella solitudine dell'ora, mentre le ombre della sera cadevano, disse, bisbigliando appena : « Te ne andrai per sempre; e piú non potrai rivedere qui la nostra figliuolal... ».
«Perdonami, Rosaria! — rispose Giuseppe — se non sono stato capace di mantenerti, stando accanto al tuo cuore!... ». Ebbe un moto irresistibile di pianto. Insieme, nella notte sopravvenuta, scesero al paese, si rifugiarono nella casa, passarono l'ultima notte della loro vita.
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Testata/Serie/Edizione Nuovi Argomenti | Prima serie diretta da Alberto Moravia e Alberto Carocci | Edizione unica
Riferimento ISBD Nuovi argomenti : Rivista bimestrale. - N.1 (1953)-. - Roma [distribuzione Torino] : [s.n., distribuzione Einaudi], 1953-. - v. ; 23 cm (( La periodicità è variata più volte: la prima serie esce con periodicità irregolare, dal 1976 trimestrale. La prima serie si conclude con il n.69/71 (Luglio-Dicembre 1964 ma pubblicato nel marzo 1965), nel 1966 inizia la nuova serie che termina con il n.67 68 (1980), nel 1982 la terza serie che termina con il n.50 (apr. giu. 1994) ed inizia la quarta serie con il n.1 ... {Nuovi argomenti [rivista, 1953-]}+++
Data pubblicazione Anno: 1954 Mese: 5 Giorno: 1
Numero 8
Titolo KBD-Periodici: Nuovi Argomenti 1954 - 5 - 1 - numero 8


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