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tipologia: Analitici; Id: 1465209


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Tipologia Miscellaneo
Titolo Recensione di Marzio Marzaduri su Rosemarie Ziegler, Alcksej Kruchenych als Sprachkritiker, in «Wiener Slavischistes Jahrrbuch», Wien, Bohlau, 1978, pp. 286-310; Serena Vitale (a cura di), l'Avanguardia russa, Milano, Mondadori, 1979, pp CXVIII-345
Riferimento diretto ad opera
Rosemarie Ziegler, Alcksej Kruchenych als Sprachkritiker, in «Wiener Slavischistes Jahrrbuch», Wien, Bohlau, 1978, pp. 286-310 {Rosemarie Ziegler, Alcksej Kruchenych als Sprachkritiker, in «Wiener Slavischistes Jahrrbuch», Wien, Bohlau, 1978, pp. 286-310}+++   recensione+++   
Responsabilità
Marzaduri, Marzio+++
  autore+++    
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Trascrizioni
Trascrizione Non markup - automatica:
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volume secondo il bipolarismo dei campi semantici opposizionali Vita/Morte. Si noterà immediatamente che il campo semantico del secondo termine è piú esteso e quantitativamente prevalente (la foto è inanimata, cadavere vivente, anestesia, non dialettica, immobile, malinconica, impietosa, il « ça a été » ecc.).
La seconda parte del libro è dominata dall'immagine della madre, di questo amore filiale, ma fortemente edipico che si innesca e si manifesta, quasi un'idolopea ossessiva, attraverso l'osservazione delle antiche foto della madre in un tumultuoso affollamento di fantasie e di ricordi: madre-bambina, madre-ragazza, madre-madre.
L'autore attraverso questo compiacimento quasi narcisistico dei propri ricordi, si pone tuttavia a paradigma di emozioni fondamentalmente e profondamente umane. Questo compiacimento non dà fastidio, lascia scorgere spaccati della sua vita intima, ma non è per niente una confessione totale.
Barthes utilizza con sobrietà tecniche e terminologie semiotiche facilmente accessibili anche ad un lettore medio; d'altronde egli non si considerava un « maestro » e non aveva, come tanti altri, « paternità » piú o meno celate da vendere. Il suo linguaggio pacato, da intima conversazione, non scientificamente arrogante, ma, anzi, tendente a « incrinare il sapere dissertativo », come aveva già avvertito in « S/Z », rende questo volume amabile, scorrevole, di piacevole lettura. Barthes non è forse anche l'autore de Le plaisir du texte?
ALFONSO PAOLELLA
ROSEMARIE ZIEGLER, Aleksej Krucënych als Sprachkritiker, in « Wiener Slavistisches Jahrrbuch », Wien, Böhlau, 1978, pp. 286-310; SERENA VITALE (a cura di), L'avanguardia russa, Milano, Mondadori, 1979, pp. cxvIII-345.
Sino a qualche tempo addietro, bastava solo il nome di Krucënych, per provocare ilarità nei colleghi. Un'ilarità diffidente, a dire il vero, poiché l'interlocutore restava nel dubbio tu volessi giocargli una beffa, tanto gli pareva improbabile che qualcuno dedicasse il proprio tempo a questo farceur. E a nulla valeva assicurare, sconcertati dalla reazione — che in Unione Sovietica assumeva persino toni indignati —, che lo studio di Krucënych era necessario, per avere una immagine piú precisa dell'avanguardia futurista, nelle sue origini e nei suoi sviluppi. Nemmeno tale argomento, di un quadro storiografico che ricostruisca minuziosamente la trama degli eventi, argomento di solito accolto con grande rispetto nel nostro paese, neanche questo serviva a dare un briciolo di dignità all'opera di Krucënych.
E ora
bisognerebbe cominciare un capitolo su Krucënych
ma ho paura:
l'aristocrazia della stampa si metterà a strillare
Peccato,
bisognerebbe sapere chi era Kruënych!
Già negli anni Trenta, quando apparvero questi versi, in un poema di Nikolaj N. Aseev dedicato a Majakovskij, era considerato sconveniente parlare di Kruèënych.
Eppure, Kruèënych era stato un protagonista dell'avanguardia russa prerivolu-zionaria, eroe delle serate futuriste e bersaglio prediletto degli strali borghesi. Con i suoi modi sprezzanti, con le sue sequenze di suoni prive di senso, recitate fra ster-
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minati sbadigli, riusciva a mandare su tutte le furie ogni sorta di pubblico. Un numero sicuro, il suo, nel teatro futurista!
La zaum', o lingua transmentale, ch'egli aveva escogitato, ebbe un grande successo di scandalo, come si sa: se ne occuparono subito brillanti conferenzieri, per dirsi turbati da quelle « mine vaganti sotto le patrie lettere », sussiegosi psichiatri, che raffrontavano la zaum' alle parafasie dei folli, autorevoli linguisti. Jan Baudouin de Courtenay, che alla zaum' dedicò due articoletti, scriveva sdegnato: « si vendicano sulla lingua degli orrori e delle mostruosità della vita! ». Un reazionarissimo giornalista moscovita mise addirittura in guardia gli sbadati borghesi, contro la zaum'. Chi attenta alla lingua, scriveva, attenta in realtà agli assetti sociali, che sulla comunicazione linguistica si fondano. E concludeva: « Krucënych è un nemico della patria. Non mi meraviglierei affatto se si scoprisse che è anche un socialista! ». Rozzo, ma efficace.
Krucënych fu stimato da Majakovskij (che lo chiamava « gesuita della parola »). Aseev, Chlebnikov, Pasternak, ma soprattutto da Matju"sin, Malevic, Lisickij, Terent'ev, Tret'jakov. Malevic e Matjus"in lo ritennero piú intéressante di Majakovskij stesso. Kornej Cukovskij, brillante giornalista e protostorico del futurismo russo, scrisse che l'intera età prerivoluzionaria delle lettere russe si sarebbe potuta definire « età di Krucënych ». Ma ebbe anche violenti detrattori, capintesta dei quali fu il colto ed elegante poeta Benedikt Livgic, futurista per poco e per caso.
L'oblio, dunque, venne dopo, negli anni Trenta. Fu Vladimir Markov, poeta émigré e studioso eminente del Novecento russo, a togliere Krucënych dall'ingiusta dimenticanza, facendone anzi l'eroe del suo Russian Futurism: A History, che apparve a Berkeley, nel 1968. Due anni prima, l'altro grande studioso dell'avanguardia russa, Nikolaj Chardziev, concludeva i festeggiamenti degli ottant'anni di Krucënych, al Dom pisatelej di Mosca, affermando che era ormai tempo di togliere Krucënych dal banco degli imputati, per dargli il posto che gli conveniva nella letteratura russa, e definendo i suoi testi dei « classici », addirittura.
La cultura accademica l'ha dunque afferrato, con la sua lingua cartacea, e dopo averlo masticato ben bene, ce lo ridarà trasformato in mille noterelle, articoli, saggi, volumi. I primi già appaiono anche in Unione Sovietica. Ma Krucënych si è rivelato coriaceo e poco commestibile. Cosí, lo si prende in piccole quantità, di solito con cibi piú appettibili: per ora, almeno.
Fra i lavori dedicati a Krucënych, apparsi negli ultimi anni, va segnalato l'articolo della studiosa viennese Rosemarie Ziegler. La Ziegler ha girato in lungo e in largo l'Unione Sovietica, rovistando archivi, raccogliendo testimonianze, ritrovando testi ritenuti persi ormai per sempre. Nessuno come lei oggi conosce cosí compiutamente l'opera di Krucënych.
Dal suo lavoro, appare come Krucënych abbia testardamente perseguito, prima ancora che il futurismo russo s'annunciasse e per tutta la sua vita, l'ideale di una comunicazione immediata e spontanea. Egli riteneva ci fosse una lingua naturale e profonda, schiacciata dall'altra, quella sociale e convenzionale. Tale lingua, che egli chiamò zaum', si manifesterebbe nei momenti in cui la ragione dorme, o almeno sonnecchia: nelle varietà molteplici della verbigerazione, ma anche nei lapsus, negli scorsi linguistici. Attorno a questa scoperta, Krucënych lambiccò per tutta la vita. Per darle un fondamento lesse soprattutto Freud, che egli conosceva già bene nel 1915, al punto da consigliarlo agli amici, indicando anche i libri e le edizioni piú appropriati ai loro interessi. Siamo quindi ben lontani dalla immagine solita, di un Krucënych semincolto buffone.
i
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Negli anni Sessanta, Kruèënych venne riscoperto anche da alcuni giovani scrittori sovietici, che ne fecero il loro portabandiera. Il piú significativo è il ciuvascio Gen-nadij Ajgi, poeta fra i maggiori di questi due ultimi decenni, ingiustamente ignorato da noi, in Italia (mentre, invece, in Francia sono apparse già due sue raccolte). Ajgi e gli altri allargarono presto il loro interesse a Malevic, agli oberiuty, in una parola a tutta l'avanguardia sommersa degli anni Dieci e Venti, all'avanguardia dileggiata e dimenticata, in evidente contrapposizione all'altra avanguardia quella lefista e costrut-tivista, che conosceva anch'essa una rinnovata fortuna, in quegli anni.
Che l'avanguardia russa fosse tagliata orizzontalmente, cosicché i vari gruppi in cui si organizzò sono sovente combinazioni superficiali ed effimere, ne erano consapevoli anche i protagonisti. Recensendo gli spettacoli di Kruèënych e Majakovskij, che erano andati in scena ai primi di dicembre del 1913, al teatro Luna-Park di Pietroburgo, il pittore e musicista Michail Matju"sin assumeva i due testi come esemplari di due diverse tendenze del futurismo, l'una astratta e alogica, mentre l'altra, che Matju"sin riteneva assai meno interessante, puntava piuttosto a una revisione dei contenuti, salvando le forme della comunicazione artistica tradizionale.
Ora, questa linea alogica, astratta e asociale, della quale l'operetta di Kruèënych, Matjusin e Maleviè Pobeda nad solncem è il testo piú rappresentativo, si coagulò soprattutto, attorno a Kruèënych, negli anni che precedettero la rivoluzione. Questi cercò invano di darle un assetto stabile e autonomo, prima con Kul'bin, poi con Larionov e la Goncarova, poi con Matjusin e Maleviè, poi con la Rozanova e Aljagrov (Jakobson), poi, nel Caucaso, con Zdaneviè e Terent'ev, e infine al suo ritorno a Mosca, con la scuola degli zaumniki. Ma anche negli altri raggruppamenti futuristi tale tendenza era largamente rappresentata, da Bol'"sakov, Gnedov, Ignat'ev, Rjurik, dal fantomatico Lotov.
Dopo la rivoluzione la linea alogica e asociale rivisse soprattutto nei niëevoki, il fugace manipolo di dadaisti russi, e negli oberiuty, coi quali nulla ebbe a che fare Kruèënych, ma per i quali i suoi testi avevano avuto certamente una rilevante importanza. Gli oberiuty, un gruppo di prosatori e poeti che si costituí a Leningrado nella seconda metà degli anni Venti, erano legati a Malevic, a Tufanov, autore di un trattatello sulla zaum' e inventore assieme al pittore Boris Ender di una pasigrafia, a Matju"sin, a Terent'ev, l'estroso teorico del « 41° ». Terent'ev si rivela una figura chiave di questa linea. Egli infatti, a differenza di Kruèënych, preferí mantenere una certa distanza dal « Lef », per cui emigrò a Leningrado, divenendo un singolare regista teatrale.
In questo ultimo decennio sono apparsi molti testi inediti degli oberiuty, sono state pubblicate le memorie e i lavori teorici di Matju"sin, i diari della Guro, lettere di Kruèënych, Matjusin, Maleviè, raccolte di Kruèënych (ma rimangono ancora inedite le sue memorie sul futurismo), gli scritti teorici di Maleviè, e svariati articoli, saggi, volumi, specie su Maleviè, che oggi conosce una grande fortuna. Cosicché l'avanguardia russa comincia ad apparire in una diversa luce.
Serena Vitale cerca di dare una sistemazione, se pur provvisoria ed ipotetica, a questo materiale, con la sua antologia dedicata all'avanguardia russa, dove sono riportati i testi degli autori che ho sin qui menzionato, di Kruèënych in particolare, che nel volume fa un po' la parte del leone. L'antologia è preceduta da un lungo saggio, nelle prime pagine del quale l'autrice dà la chiave teorica del lavoro.
L'avanguardia è negazione di convenzioni artistiche, di istituti comunicativi, di assetti sociali, dice. Tale criterio, che serve alla Vitale per discriminare la sua materia,
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pare complicarsi in Russia con la rivoluzione, infatti « attraverso l'identificazione del progetto di ricomposizione del reale attuato dall'avanguardia politica con il piú o meno analogo progetto costruttivo che fermenta, come rovescio positivo, in tante manifestazioni dell'avanguardia artistica, la costitutiva negatività dell'esperienza avan-guardistica si spegne o si ribalta in nuove forme di attività e di ricerca » (p. xi). Da questo ribaltamento rimane fuori, tuttavia, un residuo: « nella Russia post-rivoluzionaria è rintracciabile e documentabile la presenza di forze artistiche che riprendono la logica, le motivazioni e i modi esteriori dell'avanguardia storica... Tali forze si pongono in una posizione di violento rifiuto sia nei confronti dell'arte rivoluzionaria sia, e soprattutto, nei confronti del modello realistico » (p. xii). Queste forze, « teoricamente incompatibili con l'avvento di una nuova realtà politico-sociale », emergono nei territori non ancora sovietici, il « 41° », oppure negli anni della Nep, gli « imma-ginisti », o quando il progetto di ricomposizione di avanguardie politica e artistica fallisce, gli « oberiuty ».
Da un lato, dunque, avremmo « l'arte della rivoluzione » o « arte rivoluzionaria », come la Vitale preferisce designare le esperienze lefiste, costruttiviste, etc., intimamente legata all'evento sociale che l'ha generata, e disgiunta quindi dalle vicende delle avanguardie europee; dall'altro, invece, il « 41° », gli « immaginisti » e gli « oberiuty » estranei alla nuova realtà sovietica, e nei quali si manifesta invece « una singolare coincidenza con le esperienze dell'avanguardia storica europea ». Della « persistenza, o rinascita » di tali relitti l'autrice non dà alcuna spiegazione, limitandosi a considerare « non casuale » che essi si svolgano ai margini della realtà sovietica. t un modello assai debole, che poco ci aiuta a interpretare i fatti. La peculiarità dell'avanguardia russa in età sovietica sarebbe quella d'essere assolutamente spaesata. Tutti dei Don Chisciotte, che hanno sbagliato tempo e luogo: gli uni pensano d'essere già in una società socialista, e gli altri ritengono di trovarsi ancora in quella borghese, mentre invece ... A ben pensarci, qualcosa del genere si diceva già negli anni Venti, fra i nemici dell'avanguardia.
L'errore di tale schema interpretativo mi pare derivi soprattutto dall'aver separato l'esperienza della avanguardia russa da quella europea.
Ho detto che sin dall'inizio ci sono nel cubofuturismo, e negli altri futurismi, due diverse tendenze, una assolutamente negativa e un'altra tendenzialmente positiva. Di quest'ultima Majakovskij fu il poeta piú rappresentativo. Proprio Majakovskij, ben avanti la rivoluzione, nel 1915, aveva invitato a lasciare « il sonaglio del buffone per la riga dell'architetto ». Ma tali tendenze sono presenti in tutta l'avanguardia europea! Breton è a fianco di Tzara, a Parigi nel 1920, ma ha già in mente che al nichilismo dadaista dovrà seguire un programma costruttivo.
La tendenza negativa raggiunse la sua acme a Zurigo e a Tiflis, negli anni della guerra; nel dopoguerra l'arte venne ovunque restaurata. Certo in Russia, ormai Unione Sovietica, tale restaurazione assunse forme specifiche. Ma la rivoluzione russa fu un fatto mondiale, che impose nuove condizioni d'esistenza all'avanguardia, ovunque. In un articolo del 1918, apparso sull'organo dei futuristi, Majakovskij fissò il programma futuro del gruppo in una « rivoluzione dello spirito », che avrebbe dovuto completare le altre rivoluzioni, quella politica e sociale. Un decennio piú tardi, Breton cercava ancora di mettere assieme Marx e Rimbaud, il « transformer le monde » con il « changer la vie ». Anch'egli cercava una « ricomposizione » delle due avanguardie, artistica e politica, e anch'egli conoscerà una sconfitta, come già i Dada berlinesi, che per primi nell'Europa occidentale avevano cercato senza successo di battere questa strada.
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Vorrei ora porre un altro problema, d'ordine etico. Che l'avanguardia russa tradisse le proprie origini, per porsi al servizio del potere, qualcuno l'aveva detto già allora. Il dissenso ha trasformato questa accusa in uno sprezzante e definitivo giudizio di condanna per tutta l'avanguardia russa, complice del potere, traditrice della grande tradizione d'indipendenza e di libertà della « intelligencija » russa. Giudizio ingiusto e sommario, tuttavia...
Tuttavia il produttivismo, la forma specifica che l'avanguardia assunse in Unione Sovietica, ebbe le sue colpe, non piccole. La celebrazione del lavoro, il feticismo dell'oggetto, la mitologia del fatto nudo, l'etica dello specialista da una parte, e dall'altra la trasformazione dell'artista in un addetto alle forme, mentre i contenuti erano lasciati ai politici, tutto ciò rese certamente piú facile l'instaurarsi dell'ideologia staliniana dei piani quinquennali, che andò ben oltre queste idealizzazioni, ma che se ne serví, sia pure in forma mistificata.
Cosí, l'idea diffusa che il fallimento dell'avanguardia produttivista sia strettamente legato al fallimento del socialismo acquista maggior concretezza. L'utopia produttivista era pensata dai protagonisti all'interno di un sistema che s'avviava verso il socialismo, ma ben presto nella società sovietica comparvero meccanismi di sfruttamento non dissimili nella sostanza, da quelli delle società capitaliste. Proprio qui, le teorie dell'avanguardia positiva rivelarono la loro inadeguatezza, incapaci di cogliere quanto stava realmente avvenendo in Unione sovietica. Se parimenti inadeguate, anzi addirittura fuori tempo, sono le pratiche artistiche dell'avanguardia negativa, dagli zaumniki agli oberiuty, questi almeno non chiesero all'arte di divenire omogenea, quando non addirittura prona, al sistema sociale.
È stato detto che il volume della Vitale restituirebbe una immagine ormai accreditata dell'avanguardia russa, senza sostanziali elementi di novità. Ritengo, al contrario, che il suo merito sia proprio nel turbare tale immagine, sia nella parte antologica, dove sono riportati autori e testi mai apparsi in versione italiana, sia nell'ampio saggio che apre il volume, in cui con scrittura elegante e piacevole ricostruisce le vicissitudini dei vari gruppi avanguardisti, dando rilievo soprattutto ad episodi scarsamente noti, e sino ad ora considerati del tutto secondari.
Peccato, che questi elementi di novità siano lasciati lí, sospesi nell'aria, poiché l'autrice ha preferito limitarsi a « una pura testimonianza » e una generica « sistemazione », com'essa dice, cosicché non trae tutte le conseguenze da quanto ella stessa ha pur proposto.
Rimane inoltre da dire, che questo volumetto appare in una collana divulgativa, destinata a un pubblico soprattutto di giovani, e comunque di non specialisti.
Infine, l'autrice mi pare sia incorsa in una singolare svista, attribuendo a Roman Jakobson un articolo sullo sdvig, del quale riporta anche un frammento nella parte antologica (pp. XLV e 226). L'articolo, apparso in un volumetto di Krucënych, recava in realtà la firma di K. Jakobson: la scrittura tediosa e la zoppicante argomentazione dello scrittore (fra le autorità citate vi era persino Karl Marx!) non mi sembrano aver molto in comune con la vivida lingua di Roman Jakobson. Questi, inoltre, cosí accurato nel definire e difendere il proprio patrimonio non lo menziona in nessuna delle sue bibliografie, anzi nega recisamente d'averlo scritto. Su quali elementi fondi la sua sconcertante attribuzione, la Vitale non lo dice.
MARZIO MARZADURI
PR
 
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in: Catalogo KBD Periodici; Id: 31354+++
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Testata/Serie/Edizione Belfagor | Serie unica | Edizione unica
Riferimento ISBD Belfagor : rassegna di varia umanità [rivista, 1946-2012]+++
Data pubblicazione Anno: 1980 Mese: 11 Giorno: 30
Numero 6
Titolo KBD-Periodici: Belfagor 1980 - novembre - 30 - numero 6


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