Area della trascrizione e della traduzione metatestualeTrascrizioni | Trascrizione Non markup - automatica: 706 VARIETÀ E DOCUMENTI Nel 1832 escono La presa di Ravenna (cronaca del sec. VIII), (Firenze, Stamperia Granducale all'Insegna di Pallade), e il Viaggio di tre giorni (Firenze, Stamperia Granducale all'Insegna di Pallade). Poi, con l'acuirsi della crisi politica e culturale, la sua produzione si riduce bruscamente: collabora alle Biografie degli Italiani, curate da Emilio de Timpaldo, fa qualche traduzione, pubblica nel '40 una nuova edizione delle Prose e poesie (Firenze, S. Ricordi, G. Piatti), in cui inserisce una lettura del XIII canto del Purgatorio. Eletto, nel maggio del 1835, a fare parte dell'Accademia della Crusca, si impegna perché si acceleri la pubblicazione del vocabolario (riceverà l'incarico di scrivere la lettera dedicatoria premessa alla prima parte); ma piú di ogni altra cosa, in questo momento di sbandamento generale, sembra essere preso dalla Storia del Risorgimento della Grecia, iniziata nel '34 ed edita, postuma, nel '46. Il governo greco, nel frattempo, gli ha dato incarico diraccogliere in tutta Europa libri ed opere per formare la nuova biblioteca d'Atene. « Or crescono gli anni e che mi resta? il vanto / Non di fama perenne od il sorriso / De' figli o estremo della sposa il pianto / Morbi, dubbi, terrori in folto stuolo / S'avventan contro me da me diviso / Pellegrin sulla terra infermo e solo ». Muore il 30 aprile 1846. Altre opere del Ciampolini: Sessione del Parlamento d'Otaiti, « Antologia », aprile 1832; Frammento del dialogo: Il Leopardi, Firenze, s. t., 1841; poi in AA.VV., Raccolta di prose e poesie inedite di vari autori viventi, Firenze, s. t., 1842; Girolamo Vasari, in AA.VV., Omaggio alla memoria del dottor Girolamo Vasari, Forli, s. t., 1844; La isoletta del lago, in AA.VV., Monumenti del Giardino Puccini, Pistoia, tip. Cino, 1845; Pietro Aretino e Ludovico Ariosto: dialogo, per le nozze Pesenti Orsucci-Dini, a cura di Ugo Mariani, Pisa, Nistri, 1880. Presso la Biblioteca Nazionale Centrale di Firenze (mss. da ordinare) esiste un bel fondo ciampoliniano con materiale inedito; si segnalano, oltre alle citate note autobiografiche, Del principale ufficio della storia, uno schema de La presa di Ravenna, la traduzione dell'Edipo Re di Sofocle, Rime, appunti per le poesie pastorali. Numerose lettere sono consultabili presso la stessa biblioteca e la Forteguerriana di Pistoia (una ricca corrispondenza tenuta con Niccolò Puccini). Altri documenti presso l'archivio del gabinetto « Vieusseux », la biblioteca Ric-cardiana Moreniana, l'Accademia della Crusca, a Firenze. Interventi della critica sull'opera del Ciampolini: K. X. Y. [Niccolò Tommaseo], Viaggio di tre giorni, Firenze, Stamp. Granducale a spese di L. Giuliani all'insegna di Pallade, 1832, « Antologia », marzo 1832, pp. 149-52; ORESTE RAGGI, Prose e poesie di Luigi Ciampolini. Firenze, per G. Piatti, 1838, « Giornale arcadico di scienze, lettere ed arti », gennaio-marzo 1839, pp. 59-63; G[IUSEPPE] A[JAzzI], Luigi Ciampolini, « Archivio Storico Italiano », 1846, app. t. III, pp. 772-5; PIETRO CONTRUCCI, Cenni sulla vita e sugli scritti del cavaliere Luigi Ciampolini letti nell'I. e R. Accademia Pistoiese di Scienze, Lettere ed Arti il 26 luglio 1846, premessi a LUIGI CIAMPOLINI, Storia del Risorgimento della Grecia, cit., pp. xI-xxIV; GIUSEPPE ARCANGELI, Biografia di Luigi Ciampolini, « Rivista di Firenze », 10 febbraio 1847 (poi in Poesie e prose, vol. II, Firenze, Barbéra, Bianche e Comp., 1857, pp. 543-53); LUCIANO SCARABELLI, Storia del Risorgimento della Grecia del cavaliere dott. Luigi Ciampolini, Firenze, Piatti, 1846, « Archivio Storico Italiano », 1847, app. t. iv, pp. 99-108; GIOVAN BATTISTA PRUNAJ, Luigi Ciampolini e la Storia del Risorgimento della Grecia (appunti di un pronipote), « La Rassegna Nazionale », 1 agosto 1897, pp. 405-13; RAFFAELE CIAMPINI, Pagine inedite per una vita del Foscolo, in Studi e ricerche su Niccolò Tommaseo, Roma, Ed. di « Storia e Letteratura », 1944, pp. 253-255; LUCA TOSCHI, Foscolo lettore di Sterne ed altri « sentimental travellers », comunicazione tenuta il 6 maggio 1979 al Convegno « Ugo Foscolo fiorentino ed europeo » i cui Atti sono in corso di stampa presso Le Monnier. Per un'ampia panoramica sul romanzo italiano di primo Ottocento, dr. il fondamentale SERGIO ROMAGNOLI, Narratori e prosatori del Romanticismo, in AA.VV., Dall'Ottocento al Novecento, vol. VIII della Storia della Letteratura Italiana, diretta da Emilio Cecchi e Natalino Sapegno, Milano, Garzanti, 1968, spec. il cap. I. CATERINA SFORZA NEL « MITO » GRAMSCIANO Gli studiosi di Gramsci hanno avvertito da tempo che l'opera di Machiavelli costituisce un punto di riferimento concreto di tutta l'evoluzione teorica e politica dell'autore dei Quaderni del carcere. In una lettera lo stesso Gramsci ricorda infatti che il professor Umberto Cosmo fin dal 1917 insisteva perché il suo VARIETÀ E DOCUMENTI 707 giovane allievo si dedicasse a uno studio sul Machiavelli: « quando vidi il Cosmo, l'ultima volta, nel maggio 1922 (egli era allora segretario o consigliere all'Ambasciata italiana di Berlino), egli ancora insistette perché io scrivessi uno studio sul Machiavelli e il machiavellismo; era una sua idea fissa, fin dal 1917, che io dovessi scrivere uno studio sul Machiavelli, e me lo ricordava a ogni occasione »1. Dopo le ricerche di Renzo Martinelli, sappiamo che Gramsci si interessa al pensiero del Segretario fiorentino fin dal 1915: in alcune note a penna corrente il giovane Gramsci parla già di Machiavelli come espressione di un effettivo sentimento nazionale, che nulla ha a che fare con espressioni puramente letterarie e retoriche di italianità. Nel giudizio di Gramsci, che sarà approfondito nelle note del carcere, la borghesia italiana acquista coscienza di classe solo dopo la rivoluzione francese. Machiavelli rimane perciò un isolato 2. Ma già nel 1916 Gramsci ricava dalle pagine di Machiavelli un « mito » stabile e permanente: il « mito » di Caterina Sforza. Com'è noto ai lettori di Machiavelli, l'esempio di Caterina Sforza è ricordato nel xx capitolo del Principe a dimostrazione della conclusione che « la migliore fortezza che sia, è non essere odiato dal populo ». Le fortezze, spiega Machiavelli, non hanno mai giovato a nessun Príncipe, se non Caterina Sforza, e solo durante la congiura del 1488. Nel 1499, le fortezze non bastano a difendere Caterina Sforza dall'assalto del Valentino, « el qual, sotto la insegna de' tre gigli, / d'Imola e Furli si fe' signore / e cavonne una donna co' suo figli », come si legge nel primo dei Decennali. Gramsci ha in mente soprattutto il vr capitolo del iii libro dei Discorsi: Ammazzarono, alcuni congiurati Forlivesi, il conte Girolamo loro signore, presono la moglie ed i suoi figliuoli che erano piccoli; e non parendo loro potere vivere sicuri se non si insignorivano della fortezza e non volendo il castellano darla loro, Madonna Caterina (che cosí si chiamava la contessa) promise ai congiurati, che se la lasciavano entrare in quella, di farla consegnare loro, e che ritenessono a presso di loro i suoi figliuoli per istatichi. Costoro sotto questa fede ve la lasciarono entrare; la quale come fu dentro, dalle mura rimproverò loro la morte del marito e minacciògli d'ogni qualità di vendetta. E per mostrare che de' suoi figliuoli non si curava, mostrò loro le membra genitali, dicendo che aveva ancora il modo a rifarne. Questa pagina ha posto ai suoi interpreti, a partire dall'Ottocento, il non facile problema della sua verosimiglianza storica; e probabilmente Gramsci non ignora il dibattito critico sull'argomento. Si hanno in breve due opinioni contrastanti: da un lato, nella sua monumentale biografia, il Pasolini considera questa mirabile difesa della rocca di Forlí per opera di Caterina Sforza come una specie di epopea popolare; Vittorio Cian, la cui attività critica è ben nota a Gramsci, proprio recensendo il volume del Pasolini, preferisce invece richiamarsi all'indole della fiera contessa, e ricordando alcuni dei suoi atti storicamente 1 Lettere dal carcere, a cura di S. Caprioglio e E. Fubini, Einaudi, Torino 1965, p. 412. 2 R. MARTINELLI, Una polemica del 1921 e l'esordio di Gramsci sull'o Avanti! » torinese, in « Critica marxista », a. X, n. 5, settembre-ottobre 1972, pp. 155-6. 708 VARIETA E DOCUMENTI provati, concludere all'opposto che la narrazione del Machiavelli deve essere considerata di una verosimiglianza innegabile 3. Possiamo anche pensare che Gramsci (il quale nei suoi Quaderni del carcere si richiamerà nel corso della sua interpretazione di Machiavelli a una pagina dei Ragguagli di Parnaso) debba aver tenuto conto, nel momento in cui utilizza il « mito » di Caterina Sforza, della riduzione operata da Traiano Boccalini dell'episodio machiavelliano a exemplum mitico-letterario 4. La pagina di Machiavelli è infatti considerata dal giovane Gramsci come esempio di letteratura « mitologica », dove la verità piú rigorosa dei particolari si accompagna ad un'estrema fantasia nella composizione 5. Le membra genitali che colpiscono la fantasia di Gramsci diventano La matrice che dà il titolo al corsivo pubblicato nella rubrica Sotto la mole, sul-l'« Avanti! » torinese del 23 giugno 1916. È evidente che la pagina di Gramsci è una parafrasi del testo machiavelliano: Raccontano i biografi di Caterina Sforza che quando il duca Valentino volle prendere d'assalto la città di Ravenna, per costringere la donna alla resa, applicò alle macchine d'assedio i figlioli di lei. Ma Caterina di sopra alle mura assisté impassibile allo strazio delle sue creature, e al duca che irrideva beffardo, ella, la madre, la donna castissima, fece un gesto plebeamente eroico. Con una mossa violenta scopri gli organi del sesso, dicendo, che finché lei, la madre era viva, non doveva il nemico menare trionfo, perché chi aveva dato alla luce quei giovani, altri ne poteva creare e meglio vigorosi perché avrebbero succhiato col latte materno l'odio per gli assassini 6. Utilizzata liberamente la pagina di Machiavelli come « mito » morale e sociale, il gesto di Caterina Sforza diventa per Gramsci il simbolo dell'irruzione violenta della classe proletaria nella storia, il simbolo dell'Internazionale. Com'è noto, dall'epoca di Zimmerwald e di Kienthal, Gramsci inizia a porsi il problema di conoscere e di collegarsi colle correnti rivoluzionarie del movimento operaio internazionale 7. Come simbolo dell'Internazionale, Caterina Sforza si contrappone cosí alla figura oleografica dell'Italia come donna con la corona turrita e il peplo classico, di cui gli italiani sono i figli. Nel « mito » il gesto plebeo è elevato a simbolo del proletariato, secondo 3 P.D. PASOLINI, Caterina Sforza, Loescher, Roma 1893, vol. I, pp. 234-5; V. CIAN, Caterina Sforza (A proposito della «Caterina Sforza » di Pier Demetrio Pasolini), in « Rivista storica italiana », a. X, fasc. 4, ottobre-dicembre 1893, pp. 577-610. 4 T. BOCCALINI, Ragguagli di Parnaso, a cura di G. Rua, Laterza, Bari 1910, pp. 120-1. 5 E la ricetta soreliana, alla quale Gramsci si richiamerà esplicitamente nella sua interpretazione del Príncipe di Machiavelli come « mito ». Cfr. G. SOREL, L'Opera di Luciano Jean, in « Divenire sociale », 1 giugno 1910, p. 148. 6 La matrice, in Cronache torinesi (1913-1917), a cura di S. Caprioglio, Einaudi, Torino 1980, pp. 397-8. 7 P. TOGLIATTI, Il capo della classe operaia italiana, in Gramsci, a cura di E. Ragionieri, Editori Riuniti, Roma 1967, p. 20: « Sin dall'epoca dei convegni di Zimmerwald e di Kienthal, una delle maggiori preoccupazioni di Gramsci era stata quella di riuscire a conoscere e a prendere contatto con le correnti rivoluzionarie del movimento operaio internazionale e in primo luogo del bolscevismo ». Cfr. anche P. Spriano, Storia di Torino operaia e socialista. Da De Amicis a Gramsci, Einaudi, Torino 1958, p. 355. VARIETA E DOCUMENTI 709 lo stesso procedimento per cui il Principe di Machiavelli è innalzato nei Quaderni del carcere a simbolo della volontà collettiva nazionale-popolare. Dal punto di vista formale non esiste quindi una differenza fra l'utilizzazione giovanile di Machiavelli e l'utilizzazione che Gramsci farà di Machiavelli in carcere. Ma il rapporto fra il « mito » giovanile di Caterina Sforza e il piú noto « mito » gram-sciano del moderno Principe non si riduce a un'analogia esteriore. Caterina Sforza non rimane infatti il cappello piccante di un articolo scritto alla giornata che deve morire dopo la giornata: dalle iniziali nebbie culturiste questo « mito » resta, attraverso il ritmo del pensiero in sviluppo, come elemento stabile e permanente del pensiero di Gramsci negli anni 1916-1919. Il simbolo della matrice è applicato direttamente alla storia intesa come catena degli sforzi che l'uomo ha fatto per liberarsi da privilegi e da pregiudizi. La storia, che è la « religione » in senso crociano, cioè la concezione del mondo del giovane Gramsci, è cosi intesa come matrice feconda delle esperienze umane 8. È questo il tema, che rimarrà sempre caro a Gramsci, della storia come matrice di tutto ciò che gli uomini possono conoscere. In questo modo vediamo che Caterina Sforza è il simbolo della lotta teorica e politica condotta da Gramsci contro la concezione riformista dei socialisti positivisti. Il simbolo gramsciano della matrice si contrappone al simbolo loriano della « scala d'oro ». Ancora nei Quaderni del carcere, Gramsci ricorderà la concezione di Loria degli intellettuali che tengono diritta la « scala d'oro » sulla quale sale il popolo, e gli avvertimenti di Loria a tenersi buoni questi intellettuali. Giudicando la confusa concezione positivistica dei riformisti italiani (Treves, Turati, Loria) come caricatura del marxismo e come causa del ristagno della produzione intellettuale del socialismo italiano, Gramsci inizia a considerare gli scritti teorici di Antonio Labriola come un principio fulgido e pieno di promesse del marxismo italiano. Secondo lo stesso artificio che induce Gramsci a identificare nel Principe di Machiavelli antropomorficamente il simbolo della volontà collettiva, Caterina Sforza, l'eroica donna romagnola, la fecondissima ed astutissima donna — forte ed astuta donna aveva definito Caterina Sforza l'Oriani 9 — è antropomorficamente assunta a simbolo della Storia. Scrive Gramsci: la Storia è una fecondissima e astutissima donna, che non si lascia sopprimere né da pugnali né dalle bombe incendiarie né dalle mitragliatrici; non teme il colpo d'audacia degli avventurieri prezzolati, non teme l'azione complessa e sistematica dell'apparato autoritario... la Storia può ben essere assomigliata alla eroica donna romagnola che al nemico implacabile, torturatore dei suoi figli, con gesto grandiosamente osceno, mostra il sesso generatore di nuovi strenui lottatori... la Storia è una fecondissima e astutissima donna che non arretra 10. 8 Socialismo e cultura e Preoccupazioni, in Cronache torinesi (1913-1917) cit., pp. 103 e 678. 9 Fino a Dogali, Gherardi, Bologna 1912, p. 181. 10 Le astuzie della storia, in Scritti 1915-1921, a cura di S. Caprioglio, Moizzi, Milano 1976, pp. 178-80. TV' VARIETÀ E DOCUMENTI 710 Possiamo quindi meglio comprendere il progetto gramsciano di scrivere in carcere, sul modello del Principe, un libro drammatico nel senso di un dramma storico in atto, in cui le massime politiche si presentano come necessità individualizzata, tenendo presente che per Gramsci la storia è già, nella figura di Caterina Sforza, una necessità individualizzata. Nel primo editoriale che Gramsci scrive per l'« Ordine Nuovo », La taglia della Storia, Caterina Sforza è definita la sovrana assoluta del destino degli uomini: una dea Storia che Gramsci ormai contrappone alle alcinesche seduzioni idealistiche della dea Libertà di Croce. Cosa domanda ancora la Storia al proletariato russo per legittimare e rendere permanente le sue conquiste: quale altra taglia di sangue e di sacrifizio pretende ancora questa sovrana assoluta del destino degli uomini?... La Storia domanda per il suo buon riuscimento taglie mostruose come quelle che il popolo russo è costretto a pagare... la Storia è dunque in Russia... la rivoluzione russa ha pagato la sua taglia alla storia, taglia di morte, di miseria, di fame, di sacrifizio, di volontà indomata 11. Nasce cosi lo storicismo assoluto di Gramsci. Con l'esperienza ordinovista, a partire dal 1919, Gramsci ha finalmente modo non solo di teorizzare ma anche di realizzare la sua concezione ormai materialistica della storia. Ponendo il problema della rivoluzione proletaria come realizzazione della dittatura del proletariato in Italia, Gramsci inizia a considerare il proletariato italiano come erede della scienza politica classica del Machiavelli. Nella lotta contro il fascismo i comunisti, essendo la Storia una madre, sono i figli della Storia, eredi — come direbbe Benjamin — di una debole forza messianica su cui il passato ha un diritto 12. Caterina Sforza è adesso la genitrice del nuovo uomo: la madre del nuovo Principe. La contraddittoria accusa, mossa agli ordinovisti, di essere spontaneisti e volontaristi-bergsoniani, è la prova, non solo della giustezza, ma anche della « fecondità » del movimento torinese: « I `volontaristi' non vogliono creare nulla. I `volontaristi' vogliono solo interpretare la storia e non deformare le leggi che ne regolano il processo. Questi `volontaristi', che sarebbero poi i comunisti, non vogliono essere dunque che i figli della storia. Essi non s'inventano, né vogliono inventarsi, una storia che si deve adagiare nelle loro vedute e non rifuggono dall'assumersi le responsabilità che comporta la loro posizione » 13 Si comprende che Gramsci nei Quaderni del carcere definisca la Storia come attività rivoluzionaria che crea nuovi rapporti sociali. Cosi Gramsci ricava da Machiavelli i due simboli, fra loro indissolubili, nei quali è possibile riassumere tutto il suo pensiero: Caterina Sforza è la Storia, il Principe è il Partito. FEDERICO SANGUINETI 11 La taglia della Storia, in L'Ordine Nuovo (1919-1920), Einaudi, Torino 1954, pp. 6-10. 12 Manca ancora un lavoro organico sulla concezione gramsciana della storia confrontata con le Tesi di Benjamin; si veda per ora F. DESIDERI, Il nano gobbo e il giocatore di scacchi. Le «Tesi sul concetto di Storia » di Benjamin, in « Metaphorein », a. I, n. 3, marzo-giugno 1978, pp. 48-81. 13 Senza uscita?, in Socialismo e fascismo. L'Ordine Nuovo (1921-1922), Einaudi, Torino 1966, p. 303. Cfr. anche Passato e presente. Spontaneità e direzione consapevole, in Quaderni del carcere, edizione critica dell'Istituto Gramsci, a cura di V. Gerratana, Einaudi, Torino 1975, p. 330.
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