Area della trascrizione e della traduzione metatestualeTrascrizioni | Trascrizione Non markup - automatica: RECENSIONI 367 incomprensibile per gli uomini ». Spesso la particolare predilezione dell'autore per i toni pungenti offre ai dialoghi efficaci soluzioni di fronte alle quali si rimane divertiti e sconcertati, a volte elegantemente beffati; certamente l'età dell'autore, secondo quanto egli stesso afferma, lo consente, ma soprattutto lo consente la sua credibilità di scienziato e di scrittore. Questi dialoghi, ben lungi dal sottrarre dignità alla sua figura « pubblica », la arricchiscono di una nuova, anche se non completamente sconosciuta, veste letteraria. Alcuni fra questi scritti già si conoscevano; su queste stesse pagine, tempo addietro, Musatti faceva esplicito riferimento alla genesi del dialogo con Freud, « composto qualche tempo fa per ischerzo », ma la nuova edizione consente di cogliere appieno il progetto unico al quale tutti rispondono: l'indagine critica sulla realtà umana attraverso l'uso dello strumento psicoanalitico che offre, affidato alle mani di questo scrittore, effettive garanzie di veridicità, di competenza metodologica (è Musatti ad affermare, stizzendosi non del tutto a torto, che « qualsiasi primovenuto oggi si proclama psicoanalista, o può dirsi socialista. E in tal modo è possibile attribuire a socialisti e psicoanalisti ogni genere di sciocchezze »). L'altro fondamentale strumento è naturalmente quello linguistico di cui l'autore si serve con estrema scioltezza, rivelando un indubbio gusto per la parola culta e per un discorso letterario quasi prezioso che si giova anche, a riprova della sua raffinatezza, dell'apporto di espressioni popolari e dialettali; le cadenze venete, inoltre, costituiscono un goldoniano sottofondo musicale a tutto il libro. Questo linguaggio, pur rimanendo sostanzialmente fedele a se stesso, non esita ad accogliere parole provenienti da ambiti lessicali eterogenei per essere in grado di piegarsi con disinvoltura alle esigenze della terminologia scientifica, del parlato, dei parlanti, per penetrare le innumerevoli sfaccettature di cui si compone il grande prisma che è ogni essere umano, per adeguarsi alla varietà delle situazioni, per essere rappresentativo di una realtà che variamente si configura. Il risultato, tuttavia, non è qùello di un discorso stilisticamente frammentario: i toni fondamentali, l'umorismo, l'ironia, lo schema formale, dialogico e dialettico, il linguaggio, comunque elegante e costantemente misurato, riconducono il libro a una sostanziale unità. L'esito complessivo è quello di un testo dotto ma anche urticante e comico. Non è difficile leggere queste ventisei composizioni come le diverse scene di un'unica commedia di cui Musatti è il mattatore che può tutto, anche risolvere in risata una situazione difficile, anche trasformare in aneddoto pungente l'illustrazione di un caso clinico grave, anche divulgare in modo accattivante un'esperienza di vita e di studio piuttosto complessa. « Del resto », sono parole di un pronipote di Giulio Cesare e di Freud, « certi atteggiamenti, anche se comici, possono raggiungere il loro scopo ». E in un libro come questo è difficile che certe affermazioni sfuggano per caso. MARIA LUISA VECCHI PATRICK BOYDE, Retorica e stile nella lirica di Dante, a cura di C. CALENDA, Napoli, Liguori, 1979, pp. 431. Che dall'originale Dante's Style in his Lyric Poetry si sia trascorsi nell'edizione italiana (che esce a otto anni di distanza da quella di Cambridge) al piú accattivante — ed attuale — Retorica e stile è, forse, segno del malvezzo tutto nostrano di rincorrere, almeno terminologicamente, mode letterarie e non. 368 RECENSIONI Scrive il Boyde all'inizio della sua vasta Introduzione che si può considerare questo libro « sia come un contributo allo studio della poesia di Dante, sia come un contributo allo studio dello stile `personale' o `individuale' in ogni opera letteraria. Questi due aspetti o propositi sono uguali e complementari. La teoria generale deve essere verificata nell'analisi di testi particolari; l'analisi di testi particolari dovrebbe rivelare la sua base teorica » (p. 35). Il volume si presenta dunque esplicitamente come un complesso studio di stilistica, di cui la retorica (l'approccio retorico all'opera letteraria) risulta essere modo e strumento opportunamente misurato e duttile. Cosí, il saggio introduttivo, ancor prima che una premessa alle problematiche inerenti allo stile del Dante lirico, vale come discussione sulle premesse stesse della stilistica e sulle diverse forme in cui essa si è esplicitata in tempi a noi relativamente prossimi. In quest'ambito si situa la « riscoperta », nella prima metà del nostro secolo, della retorica, come sistema di analisi stilistica oltreché nel riconoscimento del concreto, storico valore del suo insegnamento che consente, una volta individuata e recuperata una certa normativa, di valutare attraverso spogli e campionature ben calibrate i rapporti specifici — e dunque gli scarti — tra l'opera letteraria presa in esame e, appunto, la `norma'. Su questa linea il Boyde ripropone e discute in particolare la stilistica di Spitzer e di Bally per poi accostarsi piuttosto alla metodologia di Michael Riffaterre (di cui si vedano gli Essais de stylistique structurale, Paris 1971), volta a mediare tra le due posizioni precedenti e ad « annettere saldamente la stilistica al territorio della moderna linguistica » (p. 71). Il fattore stilistico può essere individuato e definito solo in rapporto ad un contesto dato, rispetto al quale risulta « di ridotta prevedibilità » (non siamo lontani, come si vede, dal concetto di straniamento del formalismo russo). Poste queste basi, e riconosciuti i debiti verso la stilistica riffaterriana, il Boyde si preoccupa di collocare la sua metodologia e il suo lavoro entro limiti modesti, ma non per ciò privi di validità: la stilistica, afferma, « può essere benissimo paragonata ad una sorta di stato-cuscinetto tra la linguistica e la critica letteraria: certo piú di una `terra di nessuno', ma in nessun caso una grande potenza » (p. 78). Entro questi limiti; l'applicazione a Dante lirico di un'accurata indagine stilistica porta da un lato all'individuazione — abbastanza solidamente accertata — delle auctoritates, di quelle opere, cioè, che hanno esercitato sicura influenza nel periodo in cui Dante scrive (opere classiche, artes poeticae, artes dictaminis: cfr. pp. 79-82); dall'altro, dato quasi per scontato un nucleo di « variabili » da descrivere e analizzare scelte nell'ambito della retorica tradizionale, alla necessità di determinare gruppi sostanzialmente omogenei di liriche entro i quali esercitare l'approccio stilistico sí da consentire anche, mediante gli opportuni raffronti, la possibilità di misurare in qualche modo gli elementi di uno sviluppo (se non di un'evoluzione) dello stile dantesco. Si pone perciò nella sostanza un problema sia di scelta che di modi della campionatura: fattore decisivo è innanzitutto la cronologia, per cui, ad esempio, le liriche della Vita Nuova occupano i primi otto gruppi (A-H) individuati dal Boyde. Piú discutibile, forse, all'interno di questa prima grande scansione, il raggruppamento secondo indizi latamente tematici, per cui si parla di una fase cavalcantiana secondo la quale viene costituito il gruppo B (i « sonetti del lamento »: x-xiii secondo l'edizione Barbi) o di una guinizelliana per il gruppo C (xvi, xvii, xxI-xxIV). Ma sono, forse, rischi ineliminabili in lavori di questo tipo, in cui pure, in assenza di costanti e sicuri riferimenti cronologici, ci si deve rifare a criteri per forza di cose abbastanza soggettivi di raggruppamento. Lascia invece, a mio avviso, maggiormente perplessi la questione in sé della campionatura e dunque delle esclusioni, ancorché dichiarate. Se é vero, come già Con- RECENSIONI 369 tini e poi tutta la critica recente avevano individuato — e come l'ampia messe di dati organizzati dal Boyde stesso sostanzialmente riconferma e dimostra — se è vero, dicevo, che il Dante lirico opera costantemente in direzioni plurime di uno sperimentalismo che tende, per cosí dire, alla Commedia, ma vive anche di singole tappe ben caratterizzate e di possibilità aperte di recuperi a distanza, allora, in una ricerca cosí ampia e scrupolosa, non si comprende né si giustifica appieno, ad esempio, l'esclusione dall'indagine dei sonetti di corrispondenza con Dante da Maiano né — tanto meno! — di quelli a Forese Donati. E pur vero, come osserva il Boyde, che lo stile della corrispondenza col Maianese « è precisamente quello che avremmo potuto prevedere in poesie che sembrano, da ogni punto di vista, precedenti a quelle del gruppo A, e devono essere considerate probabilmente le piú antiche tra le poesie dantesche sopravvissute » (p. 89). Ed è anche vero che i sonetti a Forese « sono gli unici esempi del loro genere in Dante e, almeno dal punto di vista lessicale, sono diversissimi da tutte le altre sue poesie » (ibidem). Ma proprio per questo, e soprattutto a verifica ulteriore e puntuale della riconosciuta « inquieta sperimentazione » che presiede alla composizione delle liriche dantesche, sarebbe stato opportuno condurre schedatura ed analisi anche su questi gruppi (peraltro già di per sé bene individuati). Ché, ad esempio, un'indagine sulla tenzone con Forese (databile, come è noto, agli anni 1293-1296) avrebbe avvalorato — in un rapporto nuovo e diverso con le altre « variabili » esaminate — uno tra i molti risultati interessanti della schedatura boydiana, e cioè la sostanziale assenza di metafore nella prima produzione lirica dantesca (il decennio 1283 c. - 1293 c.; virtualmente, quello delle liriche incluse nella Vita Nuova). Solo in seguito « Dante divenne un poeta metaforico, non lo era affatto sin dall'inizio » (p. 175). In questo senso si può affermare, con la dovuta prudenza, che i sonetti contro Forese fungono in certo modo da spartiacque, se si considera che il gruppo delle petrose (cronologicamente di poco successivo, se lo si può ascrivere a tempi immediatamente prossimi alla fine del 1296, secondo la datazione ricavabile da Io son venuto al punto de la rota) fruisce abbondantemente della metafora (dr. lo stesso Boyde, pp. 188-195). Nei tre sonetti a Forese possono invece rilevarsi essenzialmente non piú di tre metafore. L'accostamento, del resto, non sembri casuale: anche al di là del fattore cronologico tra i due gruppi esiste (pur con differente accentuazione) affinità nel lessico tendenzialmente `realistico' che li rende comparabili. Ma scatta nelle petrose un contenuto astratto fortemente contrastante col lessico concreto che, nella riorganizzazione attuata dalla esplicita e forte presenza dell'« io » (praticamente assente nella tenzone con Forese, ove compare solo, non rilevato, in Lxxvii, 2), consente un dilatarsi sinora inconsueto del campo metaforico. Del resto, se l'assenza — dalle tabelle e dall'analisi — di alcune zone della lirica dantesca può rendere parziali talune considerazioni, c'è da ritenere, sulla base del vastissimo materiale microscopicamente sottoposto ad esame (« 1624 versi su di un totale di 2720 », p. 85: circa il 60% della produzione dantesca), che i dati del Boyde costituiscano a tutt'oggi il risultato piú obiettivamente sicuro di un'indagine « dello stile di Dante, e dell'evoluzione di tale stile, nel complesso della sua attività lirica » (p. 90). Si può non concordare con qualche particolare impostazione della ricerca: tipico, direi, il caso del capitolo su L'endecasillabo (il v, pp. 263-293), in cui, fermo restando il riconosciuto `limite' della soggettività che in buona parte presiede alla scansione, è però opinabile almeno la distinzione — e l'esemplificazione — fra accentazione principale e intermedia sulla base del valore semantico della parola, a maggior ragione quando poi il Boyde stesso deve descrivere, come eccezioni, i casi in cui l'accento intermedio 370 RECENSIONI viene promosso a principale (e su tali questioni cfr. COSTANZO DI GIROLAMO, Teoria e prassi della versificazione, Bologna 1976, specificamente a p. 44). Peraltro, osservazioni sporadiche o dissensi particolari nulla tolgono all'importanza di un'opera quale quella del Boyde, bene articolata nelle premesse teoriche, puntuale nell'organizzazione della ricerca, sapientemente modulata nella ricca dialettica tra obiettiva presentazione di dati e discussione spesso acuta di essi. Il succedersi dei capitoli (Conversiones; Il lessico; Tropi; La struttura della frase; L'endecasillabo; Ripetizione e antitesi; La situazione retorica e le sue figure; Descriptio, simile, sententia) progressivamente illumina, senza impressionismi o schemi di maniera o conclusioni preordinate, gli elementi centrali dello stile lirico dantesco secondo angolature successive che consentono un approccio via via piú complesso e completo ai singoli gruppi di liriche (volta a volta ripresi in esame) e insieme mostrano in concreto, sin nelle minute sfaccettature, i modi — anche contraddittorii — di uno sviluppo. Il capitolo finale, Stile e struttura in `Doglia mi reca' (che già era comparso, sostanzialmente analogo, come studio a sé in « Italian Studies », xx, 1965), è in senso lato un tentativo d'applicazione concreta su un testo specifico dei materiali accumulati e ordinati nell'indagine generale. Ed è buona prova — su una delle canzoni dantesche meno amate dalla critica moderna, e comunque meno prossime alla nostra sensibilità e al nostro gusto — della validità critica di un metodo di ricerca individuato con serietà e seguito con rigore. A buon diritto Vincenzo Pernicone, nella voce dedicata alle Rime nell'autorevole Enciclopedia Dantesca (vol. Iv, Roma 1973, p. 960) ha ritenuto di poter parlare del volume del Boyde come del « piú importante dei contributi recenti... per impegno e per ampiezza, oltre che per i risultati ». È certo su queste linee di ricerca che possono continuare a svelarsi molti modi non ancora del tutto palesi della poesia dantesca. PIERO CUDINI
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