Area della trascrizione e della traduzione metatestualeTrascrizioni | Trascrizione Non markup - automatica: RECENSIONI 359 corpo gli viene mostrato egli finge, per rispetto, di non guardarlo, e quando finalmente potrebbe possederlo esso gli viene, definitivamente, negato. Al corpo i due personaggi finiscono con il trovare dei sostituti di tipo feticistico: il cinto, il velo. Essi non si incontrano mai veramente perché in realtà non si cercano oppure si cercano solo quando pensano che il corpo dell'altro sia stato sbranato dai lupi o lacerato dalle rocce. Dafne e Tirsi, che agiscono per loro, li manovrano e li ammaestrano, li fanno passare attraverso l'esperienza della rinuncia, del compiacimento narcisistico, dell'inganno e della violenza per poi condurli alla finale accettazione dell'equilibrio instabile e malinconico dell'idillio. E il coro, in un commento conclusivo, esprime maliziosamente, e malinconicamente, la sua soddisfazione. REMO CESERANI CURT PAUL .JANZ, Vita di Nietzsche. Il profeta della tragedia (1844-1879), Bari, La-terza, 1980, pp. xiv-802. Si è ormai da alcuni anni affermata e consolidata, nella storiografia filosofica italiana ed europea, una generale tendenza ad una riconsiderazione critica della figura e dell'opera di Friedrich Nietzsche. Un rinnovato interesse ha investito un pensatore che, principalmente in campo marxista, ha conosciuto il peso della svalutazione e dell'anatema. Come è stato anche altrove ripetutamente affermato, la responsabilità maggiore dell'operazione ideologica di « neutralizzazione » del filosofo tedesco è da attribuire al Lukács de La distruzione della ragione che, confinando Nietzsche sul versante estremo dell'« irrazionalismo » vitalistico, gli ha affidato la mera funzione di espressione teorico-filosofica delle istanze di aggressiva espansione dell'imperialismo germanico. Su questa linea interpretativa Nietzsche è stato letto come momento di una piú generale rivolta contro la « ragione » che informerebbe la totalità dello sviluppo storico dell'Occidente. Cosi la storia è diventata campo di una lotta — di sapore gnostico-manicheo — tra un originario telos storico in via di realizzazione in virtú di una interna necessità (appunto la Ragione come scansione di momenti in sé logicamente « positivi »), ed una confusa e torbida rivendicazione del « vitale » sull'intelletto e la ragione dialogica che raffigurerebbe, sempre secondo Lukács, la manifestazione specifica della stagnante e parassitaria (« negativa ») opposizione reazionaria allo stesso sviluppo capitalistico ed alla conseguente formazione di quel proletariato moderno che è chiamato ad ereditare le « inadempienze » storiche della borghesia. Per Lukács, insomma, Nietzsche è la punta di diamante di questo movimento generalmente ed intrinsecamente regressivo che punta ad una fuoriuscita dalla razionalità storica o, quanto meno, a comprometterne lo svolgimento. Non si può tacere il fatto che questa riduttiva assunzione della filosofia nietzschea-na ha contribuito non poco a lasciare Nietzsche completamente nelle mani della pubblicistica di destra, sempre vigile ed ansiosa di gettarsi su anche grossolane ed improvvisate legittimazioni « culturali », ed in questo modo il filosofo ha finito per rappresentare, agli occhi del grande pubblico, il « precursore », l'antesignano della dottrina e del movimento nazional-socialista. Nella tradizione filosofica italiana soltanto Antonio Banfi, come si sa, ha reagito a questa impostazione ed è sembrato uscire dalle secche di una considerazione puramente « irrazionalistica » del pensiero nietzscheano, ma il suo tentativo si è scontrato con esigenze di politica culturale interne alla sinistra italiana del secondo dopoguerra che imponevano una rigida, e naturalmente semplificatoria, scelta di campo anche ideo- 360 RECENSIONI logico-filosofica, e che hanno per lungo tempo precluso la possibilità di un'analisi piú spregiudicata della filosofia di Nietzsche. Su un fronte « avverso » a quello lukácsiano si deve innanzitutto registrare l'influenza, forse ancora piú nefasta, della « grande biografia » che Elisabeth Förster-Nietzsche, sorella del filosofo, venne pubblicando tra il 1895. ed il 1904. Se è sicuramente avventato che quest'ultima è la principale causa della « nazificazione » di Nietzsche, va però sottolineata la sua responsabilità nelle vistose deformazioni biografiche, oltre che nella pubblicazione dell'apocrifa Volontà di potenza che, com'è noto, lungi dal raffigurare una compiuta teorizzazione nietzscheana, rappresenta l'immagine che Elisabeth si era formata di Friedrich. Bisogna dire che, sul piano piú specificamente biografico, le ricostruzioni della personalità di Nietzsche si sono mosse per lo piú oscillando tra l'esaltazione agiografica e celebrativa da un lato e l'affossamento spesso denigratorio dall'altro. Per la prima fa fede, appunto, la « grande biografia »; per quanto riguarda il secondo orientamento non possiamo non ricordare la discussa Catastrofe di Nietzsche a Torino (Torino, Einaudi, 1978) di Anacleto Verrecchia che legge in chiave di « patologia » lo svolgimento delle principali vicende della vita del filosofo. Ma sembra giunto il momento, a giudicare dall'estensione e dal rilievo della tendenza prima accennata, di tentare di decifrare questa vita e quest'opera, anche sul piano biografico, abbandonando ipoteche e schemi precostituiti, senza per questo accettare i presunti dettami di un'improbabile « obbiettività ». Un passo sicuramente decisivo in questa direzione è stato compiuto dalla pubblicazione, ad opera di Giorgio Colli e Mazzino Montinari dell'edizione critica tedesca dell'opera nietzscheana, che ha finalmente consentito di fruire della totalità degli scritti, carteggio compreso. Cosí, a partire dalla fatica dei due studiosi italiani, è stato possibile accostarsi in modo nuovo ad un pensiero certamente non esente, come si è visto, da equivoci e da anche clamorose deformazioni e semplificazioni tutte piú o meno ruotanti intorno al tentativo di interpretarlo sulla base di stereotipi ritenuti in grado di spiegare la globalità del « fenomeno » Nietzsche. Da questo punto di vista i problemi della biografia sono diventati, ad esempio, quello della (piú o meno presunta) affezione sifilitica, della data di inizio della malattia mentale, della conoscenza o meno da parte del filosofo dell'Unico stirneriano e cosí via. E la ricostruzione di una personalità quanto mai ricca e complessa è rimasta spesso appannaggio dell'esasperazione cronachistica e delle iperboli di un moralismo insipido e bacchettone. Il miglior modo per decapitare e rendere inoffensiva l'incandescente ed incontenibile eversività del filosofo di Naumburg. Va però sottolineato che biografie « neutrali » e pregevoli non sono mancate, ed hanno anche esercitato la loro benefica influenza. E noto, ad esempio, il lavoro compiuto da Charles Andler (uscito tra il 1920 ed il 1931 e ristampato nel 1958 da Gallimard). Ma sicuramente piú significativa è stata la pubblicazione del primo volume del libro di Richard Blunck (Friedrich Nietzsche Kindheit und Jugend, München-Basel, 1953). Quest'opera era il frutto del rifacimento di un piú ampio lavoro che le vicissitudini del secondo conflitto mondiale avevano disperso e vanificato. Il primo volume della nuova stesura usciva nel '53 e nel '62 lo studioso moriva. Ma intanto egli aveva avuto modo di introdursi all'Archivio Nietzsche ed alla consistente mole dei documenti in esso contenuti che erano in precedenza « custoditi » gelosamente da Elisabeth Nietzsche. Con la morte di Blunck l'incarico di stendere una nuova biografia nietzscheana viene affidato allo svizzero Curt Paul Janz, autore di un pregevole testo sulle composizioni musicali del filosofo uscito nel 1976, il quale può, cosí, beneficiare del mate- RECENSIONI 361 riale che Blunck aveva riunito e procedere ad un'ulteriore e piú approfondita rielaborazione. Dopo il 1960 l'ancora accresciuta possibilità di reperire documenti di prima mano permette a Janz di costruire un quadro sempre piú esauriente delle vicende della vita di Nietzsche. L'accesso all'Archivio Goethe-Schiller di Weimar, nella RDT, nel quale sono contenuti anche i fondi dell'ex Archivio Nietzsche e la pubblicizzazione del materiale posseduto da E. Pfeiffer di Gottinga relativo al discusso rapporto tra il filosofo, Lou Salomé e Paul Rée completano il quadro dei riferimenti documentari che costituiscono la materia « grezza » del lavoro dello studioso di Basilea. È precisamente il frutto di questa fatica che la Laterza di Bari mette a disposizione degli studiosi rompendo, bisogna dire, una tradizione editoriale che non la ha mai vista indulgere troppo a « cose » nietzscheane. Se escludiamo, infatti, la traduzione de La nascita della tragedia (1919) con Introduzione di Enrico Ruta e le successive ristampe a cura di Paolo Chiarini, la pubblicazione di questa biografia sembra inaugurare una fase nuova per la casa editrice di Bari. Non possiamo che rallegrarcene, proprio per la piacevole novità rappresentata dal testo di Janz nel panorama degli studi, non solo biografici, sul pensatore tedesco. Dietro questa ricostruzione della vita di Nietzsche c'è, con ogni evidenza, una domanda di fondo sulla legittimità di un'operazione di ricomposizione biografica che, tuttavia, non appesantisce lo svolgimento dell'esposizione complessiva, ma la rende, anzi, piú densa e pregnante. Cosí, nel volerne indicare limiti e possibili insufficienze, l'autore ne evidenzia proprio l'intrinseca validità, la misura di un'originalità la cui esigenza era da tempo avvertita nel campo degli studi su Nietzsche. La piena consapevolezza di muoversi su un terreno aspro, scivoloso e cosparso di pericoli come quello biografico, fa assumere a Janz un atteggiamento piuttosto cauto nei confronti non solo del vasto materiale che occorre coordinare e rielaborare, ma di un metodo che egli vuole con forza sottrarre alle ipoteche della « neutralità » o del ripercorrimento di ipotesi interpretative ormai abusate fino alla nausea. Pertanto egli riesce a svolgere la vita di Nietzsche in modo sorprendentemente distaccato, focalizza questa figura quasi separandosi con decisione da essa, e la spinge visibilmente sullo sfondo di un piú ampio ed oggettivo sviluppo delle vicende storiche e spirituali; pur ribadendo l'impossibilità di ripristinare fattualmente il « vero » Nietzsche, l'autore ci restituisce una personalità singolarmente reale e singolarmente aderente ad un ambiente che egli si dimostra in grado di decifrare con perizia ed altrettanta modestia. Mantenendosi su questo terreno problematico, cioè sulla linea della rievocazione di una particolare atmosfera storica e culturale, Janz supera di slancio e neutralizza ogni esausta partizione tra agiografi e denigratori del filosofo, vale a dire ogni linea di demarcazione ideologica sulla quale la quasi totalità dei biografi si era attestata ritenendo con ciò di aver detto su Nietzsche tutto quanto vi fosse da dire. Ne esce una figura viva, piacevole, significativamente calata nella serie concreta degli eventi storici e spirituali dell'epoca, che non « precorre » o « anticipa » questo o quell'orientamento politico, che non prefigura messianicamente mondi e società future, che non compie operazioni di avallo per questa o quell'ideologia. Janz non si sovrappone al suo oggetto né tenta eroiche identificazioni tra esso e l'autore della ricerca, nella persuasione, per altro esplicitamente affermata, che in ogni lavoro biografico la difficoltà principale consiste proprio nel ricostruire integralmente contorni, linee evolutive e « sostanza » dell'oggetto che, in sé, rimane assolutamente inesauribile ad onta della ricchezza del materiale disponibile e della meticolosità esegetica. Ma è questa inesauribilità, questa sempre relativamente scandagliata profondità, 362 RECENSIONI ovviamente non solo biografica, a costituire il fondamentale stimolo ad un lavoro di ricerca che, in quanto tale, costruisce acquisizioni sempre parziali ma sempre utili a proseguire sulla strada tracciata. Corollario naturale di questa disposizione è la modestia del biografo, la sua sincerità nel tener conto di quei limiti entro i quali si muove e dai quali non può prescindere se vuole tenere fede ad un impegno seriamente scientifico ed espositivo. Cosí sfuggire alle naturali insidie del lavoro biografico . significa, per lo studioso svizzero, evitare ogni sorta di arbitraria sovrapposizione alla personalità da ricostruire, significa espungere ogni violenza esercitata sul « dato » in nome della completezza ed esaustività dell'affresco la quale rimane, in tal modo, ideale programmatico « limite » al quale uniformare modalità d'indagine ed intenti piú che credi- bile ambito di analisi critica. Ne esce pertanto rafforzata l'importanza di un settore di ricerca che è stato spesso confinato ai margini della cultura come se non possedesse la forza ed il rilievo di un contributo ineliminabile per fondare con piú concretezza idee e movimenti e renderli maggiormente significanti. È soprattutto questo che lo studioso vuole ricordarci: comprendere un pensiero vuol dire, prima di tutto, radicarlo dal punto di vista documentario e biografico in situazioni determinate storicamente e storicamente riconoscibili, altrimenti esso finisce col costituire l'ineffabile prodotto di una « pura » attività in sé autosufficiente e conchiusa, da sé legittimantesi, quasi operante in una sfera di presunta asettica teoreticità, incontaminata dal reale procedere della storia, dalle sue svolte, dalle sue sinuosità. Ed in tal senso l'opera del biografo torna ad acquistare, per Janz, una dignità ed uno spessore che ad essa si è voluto troppo spesso negare, riducendola a mera cronaca di fatti in sé « bruti » e privi di valenza specifica. Questa cautela intorno all'approssimazione del lavoro biografico, questo vissuto rigore esegetico percorrono tangibilmente lo svolgimento dell'opera di Janz e costituiscono, allo stesso tempo, l'assunto metodologico fondamentale con il quale l'autore accosta un tema ed una figura tradizionalmente controversi della storia intellettuale europea e, come abbiamo visto, inficiati da « interpretazioni » che si sono su di essi adagiati, stravolgendone i connotati reali. Pertanto le preoccupazioni dello studioso si incentrano anche su questo terreno; la narrazione biografica, il cronologico disporre i fatti secondo un ordine che si vuole imposto da sé, scivola con facilità ed anche inavvertitamente in un'interpretazione che, rassegnata ad abbandonare il proprio oggetto alla sfera della inconoscibilità sostanziale, viene a costituire spezzoni e frammenti di una « lettura » che sembra tanto piú inevitabile, quanto piú vuole strutturarsi sulla semplice esposizione, neutra e puramente descrittiva. Rimane difficile pur sempre, dice Janz, saper distinguere se il tentativo di esposizione dell'opera rimane ancora mero resoconto o se già diventa interpretazione, cosa che in linea di principio non è nelle intenzioni di quest'opera. Cosi la dichiarata intenzione espositiva, se non esorcizza di per sé da un esito siffatto — che, per altro, nel testo è ben lontano dall'imporsi —, è pur sempre segno di una correttezza d'intenti che percorre palesemente il suo libro e lo tiene al riparo da « cadute » interpretative. Sulla base di questa problematica impostazione metodologica l'autore viene svolgendo una rigorosa ricostruzione dei momenti dell'esistenza del filosofo che non lascia spazio alcuno alla congettura laddove il materiale documentario non l'autorizzi in modo manifesto, ma che non esita ad offrire una coerente sequela di credibili ipotesi quando questo lo consenta con larghezza. Ritroviamo Nietzsche bambino nella casa paterna e studente a Röcken, a Naumburg, a Lipsia; lo vediamo muoversi nell'ambiente universitario di Basilea nel quale viene prendendo corpo e rilievo la figura emergente di Jacob Burckhardt. Vediamo sfilare personaggi noti e meno noti, riconosciamo l'im- -11 RECENSIONI 363 mancabile Paul Rée, Malwida von Meysenburg, Erwin Rohde, Franz Overbeck ed altri. Troviamo rievocata con delicatezza e tatto l'amicizia di Nietzsche con Cosima e Richard Wagner e, finalmente, possiamo leggere serenamente e senza concessioni al pettegolezzo il rapporto con la madre e, soprattutto, con la sorella. E tutto questo in una forma ed uno stile che sono un'autentica novità nel campo della pubblicistica nietzscheana, da sempre vincolata ad un linguaggio che subisce il fascino dell'espressione oracolare ed aforismatica. ENRICO MARIA MASSUCCI ELVIO FACHINELLI, La freccia ferma. Tre tentativi di annullare il tempo, Milano, L'erba voglio, 1979, pp. 176. `Anomala' e tuttavia oltremodo interessante è questa recente ricerca di Fachinelli. Essa nasce « all'interno dell'esperienza psicoanalitica, come effetto primo della sorpresa » (p. 7) di trovarsi di fronte a un uomo (nevrotico ossessivo) che annulla il tempo, ma giunge, poi, — allargandosi e quasi capovolgendosi — a toccare altri problemi (p. 7), specificamente storico-antropologici (il fascismo, le società arcaiche, ecc.). La ragione di questo tipo di sviluppo è dovuto non tanto alla logica stessa dei problemi posti dall'analisi, quanto al fatto che l'esperienza del trovarsi di fronte a « un comportamento del tutto insolito nei confronti del tempo » (p. 135) ha scosso e sorpreso, svegliando l'uno e l'altro da un sonno dommatico, piú l'intellettuale che lo psicoanalista: non a caso quest'ultimo pone in secondo ordine e si riserva di affrontare in un prossimo lavoro la questione — tra l'altro ritenuta centrale per la psicoanalisi stessa — del tempo dell'analisi e nell'analisi (pp. 7-8). Ma perché la sorpresa, e perché l'esigenza di una tal risposta? Il motivo è storico: l'irruzione sulla scena del presente di un agire strano nel tempo e sul tempo ha riposto all'intellettuale i non risolti problemi di quella crisi che investí (e investe tuttora, dato che ancora non si è data una risposta esaustiva — il dibattito sulla crisi della razionalità ha qui le sue profonde radici) la cultura europea di fronte all'affermarsi dell'ininterpretabile fascismo (p. 110), che fu proprio sí una parentesi, — spiega Fachinelli, restituendo cosí a Croce parte delle sue ragioni, — ma lo fu come « un modo di fúnzionare della storia, radicalmente diverso da ciò che si era conosciuto fino allora » (p. 110), e, totalmente dirompente nei confronti delle formalizzazioni ideologiche esistenti (« la Storia delle `magnifiche sorti e progressive' », p. 150). Inoltre, gli stessi esiti `autocritici' (« le esperienze di questo secolo ci hanno costretto ad aprire gli occhi », p. 150) sulla Storia intesa come « flusso irreversibile, come totalizzazione, a senso unico in cui si riassorbono tutti i processi precedenti » (pp. 149-150), o, piú in generale, su un modello di razionalità che, proprio in « una concezione totalitaria e omogeneizzante del tempo storico » (p. 150), ha una delle sue strutture portanti, e, dall'altra, il tentativo di elaborare su un'idea molteplice di tempo storico un nuovo tipo di ricerche, inscrivono il contributo di Fachinelli in tale ambito e lo caratterizzano di un originale sforzo di superamento. Da ciò, anche, il vago percepirsi, — dentro e al di là della risposta creativa alla sorpresa — nello stesso ritmo `narrativo' della ricerca, di una tonalità emotiva, quasi di testimonianza. La ricerca prende le mosse, dunque, dall'analisi dell'uomo che annulla il tempo
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