Area della trascrizione e della traduzione metatestualeTrascrizioni | Trascrizione Non markup - automatica: 344 NOTERELLE E SCHERMAGLIE non tanto « piú somigliante » d'un ritratto disegnato o dipinto, quanto piú carica di quella valenza iconica che è presente del pari, in un calco (si pensi ai famosi calchi pompeiani di cadaveri sepolti dalla cenere e dai lapilli). Se — seguendo Cassirer — concepiamo l'uomo come un animal symbolicum, la fotografia si può considerare come una sua simbolizzazione, che, attraverso la stessa, acquisterà una doppia simbolicità, magica oltre che iconica. Questo può anche spiegare perché il cagnolino di marmo di cui Gombrich discorre, come il « topolino » marmoreo dello scultore francese, stupiscano, inquietino e sconcertino lo spettatore: è proprio la loro « rassomiglianza » coi relativi modelli a presentare una qualità che non possiamo che definire magica, tale da trasformarli — anche ai nostri occhi di occidentali miscredenti — in autentici feticci. GILLO DORFLES LA DIARCHIA DIPARTIMENTO - FACOLTA La legge delega sulla docenza universitaria nell'art. 10 autorizza la sperimentazione dipartimentale. Questa innovazione ardita — come viene definita non senza un brivido di terrore — è ben altro dalla « carta bianca » che si pretende che sia. Presentata piú con trepidazione che con coraggio, essa è cautamente ristretta da una serie di condizioni. La prima è data dal carattere di affinità e di omogeneità che deve costituire la base della istituzione dipartimentale, vale a dire da un riferimento a concetti quant'altro mai indefiniti e indefinibili e pertanto perfettamente superflui ai fini di una realizzazione positiva, ma estremamente utili ai fini di qualunque azione politica o burocratica di remora o conservazione. La seconda condizione è implicita nel concetto stesso di sperimentazione, con che non si intende un sano empirismo, cosí estraneo del resto alla tendenza metafisica e filosofante degli « intellettuali » del nostro paese che vivono lontano dalla concreta problematica della ricerca in una specifica disciplina, ma s'intende piuttosto un andare a caso verso qualcosa di misterioso e di ignoto. Di qui anche la terza condizione che è quella di orientare e in qualche modo imbrigliare questo andare a caso entro le sicure guide e i limiti precisi che il Consiglio Universitario Nazionale, nella sua saggezza di organo burocratizzato, saprà porre a salvaguardia delle incaute iniziative delle singole università, inclini a tentazioni pericolose e pronte a precipitare. Ma la peggiore limitazione non sta in queste condizioni, che dimostrano ancora una volta quanto la legge delega cosí esaltata come un grande atto rivoluzionario sia in realtà una legge superficiale e timida priva del coraggio di affrontare alla radice neppure uno dei problemi fondamentali; essa piuttosto dà per scontato che dipartimenti e facoltà possano convivere e che la struttura dipartimentale possa essere assunta nei quadri di una struttura di facoltà. NOTERELLE E SCHERMAGLIE 345 Sarebbe bastato un minimo di osservazione di quelle che sono le realizzazioni delle università non italiane per rendersi conto che facoltà e dipartimenti sono incompatibili, in quanto organi decisionali. Infatti dove le scelte decisive sono affidate alle facoltà non esistono dipartimenti autonomi nel senso vero e proprio della parola, cioè secondo quella figura che si vorrebbe realizzare da noi. Pure in Italia l'esperienza delle due università che hanno da tempo organizzazione dipartimentale — l'Istituto Universitario Orientale di Napoli e l'Università della Calabria — ha mostrato nella pratica cotidiana la difficoltà della convivenza di due sistemi paralleli, destinati necessariamente a doppiarsi ed a sovrapporsi in tutti i processi decisionali. Il rettore Pietro Bucci dell'Università della Calabria ha esposto in maniera assai lucida a una riunione di Rettori e Direttori Amministrativi tutte le disfunzionalità implicite in questo doppio processo. Anche all'Istituto Universitario Orientale di Napoli le difficoltà sorte da tale parallelismo sono state enormi e in molti casi paralizzanti. Si tratta dunque di scegliere tra dipartimenti e facoltà. Senza questa scelta qualsiasi dipartimento non potrebbe essere tale se non di nome; di fatto esso resterebbe o un istituto policattedre o un agglomerato di istituti, poiché l'unico tratto caratterizzante del dipartimento è la sua autonomia non solo amministrativa ma anche decisionale rispetto a tutti i problemi essenziali della vita accademica. Se le due forme di organizzazione sono dunque alternative, l'unico problema reale è quello di chiarire i motivi che possono determinare la scelta. Come Pietro Bucci ha messo bene in luce — e la nostra esperienza all'Istituto Universitario Orientale lo conferma —, la facoltà ha sul dipartimento soprattutto il vantaggio di diluire in un consesso molto piú vario le decisioni che riguardano lo sviluppo degli organici universitari. In questo modo si può evitare che dominino interessi troppo ristretti se non addirittura personali, che il gruppo di docenti piú limitato e anche piú vicino negli orientamenti problematici ha la tendenza a far prevalere. Il vantaggio del dipartimento consiste invece nell'offrire una struttura piú duttile, piú dinamica e quindi meglio rispondente alla esigenza di costante innovazione non solo teorica ma anche organizzativa della cultura universitaria moderna. La scelta dunque si presenta basata su un criterio chiaro: o si ha fiducia nei professori e si accoglie la struttura piú funzionale, cioè il dipartimento, con tutti i rischi possibili; o non si ha fiducia nei professori e si mantiene la struttura della facoltà che offre una migliore garanzia contro interessi particolari ma che ai fini delle esigenze di un'università moderna si sta rivelando, non solo in Italia, scarsamente funzionale. Come in tutte le altre questioni dell'università italiana anche in questo caso il legislatore deve assumere una posizione precisa rispetto al dare o meno fiducia ai docenti. Solo col chiarimento di questa posizione si può orientare una legislazione coerente ed evitare la formula della « sperimentazione » con cui la classe politica cerca di rinviare ancora la responsabilità di una scelta. NULLO M1NIS SI
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