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tipologia: Analitici; Id: 1465083


Area del titolo e responsabilità
Tipologia Periodico
Titolo Vittorio Strada, Per una teoria del romanzo russo
Riferimento diretto ad opera
Viginia Woolf, Il punto di vista russo, in Virginia Woolf, Per le strade di Londra, Milano, 1963, pp-46-54 {The Russian Point of View}+++   recensione+++   
Responsabilità
Strada, Vittorio+++
  • ente ; ente
  autore+++    
Area della trascrizione e della traduzione metatestuale
Trascrizioni
Trascrizione Non markup - automatica:
Bibliot. (:Oi. ,;!~~~u .Via 11/1a;-• r! t;;
SAGGI E STUDI
PER UNA TEORIA DEL ROMANZO RUSSO
Nel saggio intitolato Il punto di vista russo Virginia Woolf ha esposto alcune riflessioni sul romanzo russo che, a, loro volta, aprono alcuni problemi. Come altri critici e scrittori dell'Europa occidentale, la Woolf esprime il suo senso di stupore e di incanto di fronte a una letteratura cosí diversa come quella di Dostoevskij, Tolstoj e Cechov. Il metro di paragone è, per la Woolf, la letteratura inglese, ma, pur riconoscendo la specificità che questa ha rispetto a ognuna delle letterature europee continentali e rispetto alla letteratura nordamericana, il senso di novità provato da lei di fronte al romanzo russo è piú illuminante, in senso generale, di quanto non sia il celebre resoconto pionieristico del visconte de Vogüé.
Il protagonista principale della letteratura russa, dice la Woolf, è P« anima ». È l'« anima », con la sua passione, il suo tumulto, il suo « miscuglio stupefacente di bellezza e di viltà » che imprime al romanzo russo un ritmo particolare, per cui i suoi elementi si mostrano « non distaccati in scene comiche e in scene appassionate, come la nostra lenta mente inglese li concepisce, ma intrecciati, intessuti, inestricabilmente confusi » e si apre cosí un « nuovo panorama dell'animo umano », in cui « le antiche divisioni si fondono » e « non c'è piú quella precisa separazione tra il bene e il male, alla quale eravamo abituati » 1.
Il « punto di vista inglese » (e, in una certa misura, direi, quello europeo-occidentale in generale) è quello di una « società composta di popolani, borghesi, aristocratici », dove « ogni classe ha le sue tradizioni, i suoi costumi, e fino a un certo punto la sua lingua ». Sul romanziere inglese, lo voglia esso o no, agisce « una pressione continua, che tende all'ammissione
* A Bellagio, alla Fondazione Rockfeller, ha avuto luogo nell'agosto-settembre 1979 un convegno internazionale sul romanzo russo. Il testo che qui si pubblica fu letto a Bellagio in una redazione in lingua russa.
1 The Russian Point of View apparve in «The Common Reader », serie I, 1925. Lo cito nella traduzione italiana nel volume V. WOOLF, Per le strade di Londra, Milano 1963, pp. 46-54.
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di queste barriere: cosi gli sono imposti un ordine e una specie di forma; egli è piú predisposto alla satira che non alla compassione, all'esame della società che non alla comprensione degli individui stessi ». Per la letteratura russa, invece (la Woolf parla qui esplicitamente di Dostoevskij, ma il suo discorso ha un senso generale) queste limitazioni non esistono e « essere nobile o contadino, vagabondo o nobildonna è lo stesso »: « tutti sono, senza eccezione, un recipiente che porta dentro quel perplesso liquido, quella materia nebulosa, fermentabile e preziosa: l'anima ».
Queste impressioni della Woolf ci sembrano un'ottima impostazione del problema del romanzo russo. $ vero, esse, contro l'intenzione della scrittrice, possono aprire una via interpretativa banale e tautologica e far risorgere il fantasma della famigerata « anima slava » come portatrice del particolare « punto di vista russo ». Il che sarebbe come dire che l'oppio fa dormire perché è provvisto di una virtú dormitiva. Ma se delle impressioni della Woolf accogliamo la sorpresa e persino il disagio provocati a tutta prima nel lettore europeo dal romanzo russo, allora ci domandiamo in che cosa consista e su che terreno poggi quel « punto di vista russo » che ha generato un universo romanzesco cosi singolare.
L'espressione « punto di vista russo » è particolarmente appropriata in questo caso perché il romanzo russo non è che la piú alta espressione poetico-intellettuale di un'esperienza storica nazionale che, a livello di autocoscienza, si può compendiare in un particolare « punto di vista »: il « punto di vista » della Russia moderna sull'Europa occidentale e su se stessa in quanto parte organica dell'Europa e insieme alterità autonoma rispetto ad essa.
In questo senso l'esperienza russa col suo correlato « punto di vista » rappresenta un fatto del tutto nuovo della storia mondiale, che in forme cosí specifiche non si è piú ripetuto, anche se, come diremo, per certi aspetti la Russia moderna, in quanto cosciente di sé nel suo rapporto di affinità e opposizione rispetto all'Europa, ha prefigurato altre forme di autocoscienza culturale di nazioni e continenti.
La novità del « punto di vista russo » non sta soltanto nella particolare angolazione e prospettiva, ma prima ancora nel fatto di essere tale, di costituire cioè il primo « punto di vista » sull'Europa.
L'Europa moderna ha avuto il privilegio di « vedere » e di non « essere vista ». Potremmo legare questo monopolio della visione a un'ideologia e a una situazione « coloniale » e, a partire dalla scoperta dell'America e dalla simultanea nascita di un'espansione colonizzatrice e dei primordi dell'antropologia, questo legamento avrebbe una sua giustificazione. Ma, in un senso piú lato, l'Europa sempre si è sentita e definita come entità culturale in quanto differenziata da altre entità culturali, cioè contrappo-
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nendosi a qualcosa che Europa non è. Contrapposizione che troviamo per la prima volta nel pensiero greco, quando, come scrive Chabod, tra l'età delle guerre persiane e l'età di Alessandro Magno si forma il senso di una Europa che rappresenta lo spirito di « libertà » contro il « dispotismo » asiatico.
La contrapposizione greca tra « civile » e « barbaro », acquistando nel medioevo cristiano una connotazione religiosa, nell'età delle scoperte geografiche diventa contrapposizione tra « europeo » e « selvaggio » e simultaneamente, nel comparativismo e relativismo dei filosofi, incomincia a incrinarsi la superiorità indiscussa dell'« europeo » e del « civile ». Superiorità che, tra Sei e Settecento, è sottoposta a discussione anche in un'altra prospettiva con la querelle sugli antichi e sui moderni. Disputa nuova e esemplare perché in essa il confronto non è geografico-spaziale come quello tra barbari e civili, ma storico-temporale all'interno di una stessa civiltà, all'interno della stessa idea d'Europa. Queste due prospettive poi tenderanno a fondersi: tra l'« antico » e il « selvaggio » o « primitivo » i confini tenderanno a venir meno come quelli tra il « moderno » e il « civile » o l'« europeo » sulla base di una teoria del « progresso » e, successivamente, dello « sviluppo » e della « modernizzazione ».
Ma resta il fatto che l'Europa nel suo insieme non è mai vista dal « barbaro » o « primitivo » che dir si voglia, cioè dal suo « altro ». E quando essa vuole « vedersi » deve immaginare di mettersi essa dal « punto di vista » di questo « altro » con un procedimento di « straniazione » che già troviamo nella letteratura rinascimentale (in Montaigne, ad esempio), ma che nell'illuminismo trova la sua applicazione critica piú alta. Basterà ricordare le Lettere persiane di Montesquieu, complesso gioco di « punti di vista » parigini e orientali, e la Cina di Voltaire come « punto di vista » mitico di un immaginario regno della saggezza e dell'equilibrio.
La situazione muta radicalmente dopo la rivoluzione francese, che consideriamo come il momento politico piú esplicito e decisivo di una rivoluzione piú vasta, piú lenta e piú complessa: la rivoluzione industriale. Due nuovi « punti di vista » si fronteggiano: quello della tradizione e quello della modernità (e poi della modernizzazione). Non c'è bisogno di fare i nomi di Burke e di Tocqueville, il quale ultimo introduce potentemente un nuovo termine di confronto: non semplicemente l'America, ma la democrazia americana come prototipo della futura società di massa.
Tutti questi « punti di vista » erano parziali, anche se tendenti a una universalizzazione. Con l'idealismo tedesco, con la sua filosofia della storia e, in particolare, con l'idealismo storico-filosofico hegeliano compare un « punto di vista » assoluto che ricompone in un grandioso disegno dinamico tutta l'Europa e la non-Europa: è il punto di vista dello Spirito, che
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ha eletto la sua sede ultima nella civiltà europea e si dispiega nel fiore supremo nato sul terreno di quella civiltà, la filosofia hegeliana appunto.
Dopo Hegel viene Marx. E il panorama storico-universale costruito da Hegel si spezza per ricostituirsi secondo un nuovo disegno e una nuova prospettiva. Il disegno è quello tracciato non da uno spirito speculativo, ma da un progetto attivo; e la prospettiva è quella di un futuro rispetto al quale il presente e il passato, pur nella disgiunzione loro, si saldano in un tutto che deve essere superato come « preistoria » 2.
È in questo contesto che si colloca l'inizio del romanzo russo (e in generale della cultura russa moderna). Il suo « punto di vista » è quello di una nazione che per la prima volta abbraccia col suo sguardo l'intera storia europea nel suo passato e nel suo presente e che solo attraverso questa visione dell'Europa può vedere se stessa. Tra la Russia, in quanto soggetto del « punto di vista », e l'Europa, in quanto suo oggetto, c'è un rapporto che è insieme di alterità e di omogeneità: la Russia non è il
« totalmente altro » rispetto all'Europa e la sua visione.. non è quindi
« etnografica »: la Russia è una parte speciale della cultura europea e il suo atteggiamento verso l'Europa è dialogico: interrogandosi sul significato della storia europea, la Russia si interroga sulle possibilità della sua propria storia. Il rapporto tra Russia e Europa non è quello del « selvaggio » rispetto al « civile » (anche se la cultura europea dapprima tende a interpretarlo secondo questo schema tradizionale), ma quello tra il tarde veniens e chi è giunto alla maturità, per cui la querelle tra antichi e moderni qui tende a porsi come querelle tra moderni-antichi (l'Europa) e moderni-futuri (la Russia). In termini piú concreti, il confronto tra Russia
e Europa, e quindi anche lo svolgimento del romanzo russo, si pone in un periodo che, per la Russia, è postrivoluzionario (successivo cioè alla rivoluzione francese) e prerivoluzionario (precedente alla rivoluzione russa). Dopo questo periodo, cioè dopo la rivoluzione russa, nel periodo cosiddetto
« sovietico », anche per il romanzo russo, come vedremo, oltre che per il rapporto Russia/Europa, si apre una fase nuova.
D'altra parte, per la cultura russa il problema del rapporto con la cultura europea si intreccia con quello del rapporto tra la sua fase moderna di sviluppo (successiva alle riforme di Pietro il Grande) e i sette secoli del suo sviluppo antecedente, problema che riguarda anche il romanzo russo, nato nella Russia moderna, ma, come diremo, legato anche alle forme narrative russe preromanzesche. Tutto ciò, a sua volta, apre il problema del
2 Ho qui esposto brevemente la parte iniziale di una mia comunicazione intitolata Il populismo come punto di vista letta a un Seminario sul populismo russo organizzato dalla Fondazione Luigi Einaudi (Torino, maggio 1978).
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rapporto tra due diverse strutture del mondo medievale e tra due diverse manifestazioni della spiritualità cristiana, ovvero il problema del rapporto tra Oriente e Occidente europei e non solo europei.
Il concetto di « punto di vista » si è dunque fatto piú complicato e complesso rispetto alla formulazione di Virginia Woolf da cui abbiamo preso le mosse. Complessità che vale in generale per tutta la cultura russa moderna intesa come « punto di vista », e che presenta aspetti particolari per il romanzo, come « punto di vista » specifico, provvisto di una sua propria ottica determinata dal «genere», se per «genere letterario » intendiamo non una struttura formale normativa, ma una concreta modalità che la coscienza sociale e individuale ha per aprirsi sul mondo e su se stessa. La prima difficoltà sta proprio nel fatto che mentre nell'Europa occidentale il romanzo ha trovato la sua patria di formazione e si è costituito attraverso un secolare processo (qui non ci interessa optare per una particolare teoria circa l'origine e lo sviluppo del romanzo), in Russia il romanzo si è affermato secondo un modello già esistente e maturo (quello europeo-occidentale appunto). Cosa che comporta non solo il problema del rapporto tra romanzo russo neonato e romanzo europeo antico (contemporaneo e precedente a quello russo), ma anche il problema non meno centrale e intricato del rapporto tra il romanzo russo e le precedenti forme narrative (preromanzesche e non-romanzesche) propriamente russe (un'altra questione, assai importante, riguarda poi il rapporto dinamico tra il romanzo e, in generale, la narrativa russa e gli altri « generi » come la lirica e il dramma).
Questa questione si presenta già nella preistoria del romanzo russo in senso proprio, cioè nel romanzo settecentesco (in Culkov, in particolare), che si lega, da una parte, alle forme romanzesche europee (nel caso di Culkov al romanzo picaresco) e, dall'altra, alla tradizione narrativa folclorica. In quello che possiamo considerare il primo vero e proprio iniziatore del romanzo russo moderno, in Karamzin, il rapporto tra i generi si fa più complesso. Se è vero, come scrive Boris Ejchenbaum, che la sua Storia dello Stato russo « non è, naturalmente, tanto una storia, quanto un epos eroico » 3, nello stesso modo possiamo riconoscere che le sue Lettere di un viaggiatore russo non sono un resoconto di viaggio, ma « un romanzo che narra della formazione dell'animo di un giovane nobile russo di fronte alla vita politica e culturale dell'Europa a lui contemporanea » 4. Queste due opere, la Storia e le Lettere, sono, per altro, la sintesi simbo-
3 B. EJCHENBAUM, O proie, Leningrad 1969, p. 204.
4 S. E. PAvLoviè, Puti razvitija russkoj sentimental'noj proxy xviii veka, Saratov 1974, pp. 61-62.
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lica, sulla soglia del romanzo russo, delle due direzioni del « punto di vista » russo: l'Europa e la Russia, e delle due dimensioni del soggetto di questo « punto di vista »: la formazione, l'educazione (la Bildung) attraverso l'esperienza (il « viaggio ») di tutta la civiltà europea, e la coscienza epica del proprio passato nazionale. È all'incrocio di queste due direzioni
e dimensioni del « punto di vista russo » che troviamo l'opera propriamente narrativa pii interessante di Karamzin: La mia confessione (1802), prefigurazione di tante situazioni del romanzo russo (in particolare, di Dostoevskij) e prefigurazione anche di una delle forme predilette di questo stesso romanzo, la « confessione » appunto. Questo racconto, che è stato
« scoperto » e apprezzato da Ejchenbaum nel suo giovanile e penetrante articolo su Karamzin (1916), introduce una figura tipica del romanzo russo: quella del russo-europeo, dell'intellettuale di raffinata educazione, sradicato in patria e in Occidente e neppure ancorato al suo proprio egoismo, bensì disponibile per ogni esperienza che riempia il suo vuoto e il vuoto che lo circonda.
Dicendo che in Karamzin troviamo anticipate le posizioni fondamentali del romanzo e della cultura russa successiva, si è detto solo una parte di verità. Perché all'avvio del romanzo russo moderno troviamo un altro libro anticipatore: il Viaggio da Pietroburgo a Mosca di Radiséev. A differenza del « viaggio » esterno e estero di Karamzin, che è una scoperta della cultura europea e una costruzione dell'« io » del protagonista, il
« viaggio » di Radiscev non è solo interno alla Russia, ma è interno anche all'autore, nel senso che è un viaggio puramente ideologico che trova nella realtà la cruda illustrazione e conferma di una verità intellettuale preacqui-sita e si risolve in un'opera che è insieme di alta pedagogia politica e di alta retorica morale. Il Viaggio di Radiséev è importante nella storia della narrativa russa non solo perché apre idealmente la linea della letteratura
« sociale » che troverà nel Che fare? di Cernysevskij il suo punto piú alto, ma anche perché il rapporto Russia-Europa qui è interiorizzato e implicito: è la visione del mondo intellettuale europeo (nel caso di Radiscev, delle idee illuministiche con un'impronta pietistica) dal « punto di vista russo » che porta poi l'osservatore russo a guardare, alla luce di questa visione, la sua propria realtà nazionale e a trarne le conseguenze teoriche e pratiche. La visione russa è comparativa e stereoscopica: vede la Russia sullo sfondo dell'Europa •e viceversa.
La visione culturale e romanzesca russa ha il suo soggetto non nel russo in generale, ma in quel russo assai particolare che è l'intellettuale (dapprima nobile, poi, per lo piú, plebeo e borghese) e lo scrittore. Il che vuol dire che anche l'oggetto della visione non è soltanto l'Europa, né è soltanto la Russia nella sua astratta generalità e nel suo rapporto di com-
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parazione con l'Europa, bensí è essenzialmente la Russia nella sua stratificazione fondamentale tra intelligencija « europea » e popolo puramente
« russo » (un'altra stratificazione, non meno importante, è quella tra in-telligencija e popolo, da una parte, e autocrazia e burocrazia, dall'altra). Potremo dunque dire che il « punto di vista russo » col suo sguardo « interno » discerne la dialettica tra il proprio soggetto (l'intellettuale) e il proprio oggetto (il popolo e l'intellettuale nel suo rapporto col popolo, nonché il rapporto di intellettuale e popolo verso il potere), mentre col suo sguardo « esterno » mette a confronto questa complessa realtà con quella europea.
Sul piano romanzesco tutto ciò crea particolari problemi nella costruzione del personaggio e dell'intreccio. Il romanzo russo è popolato da una serie di figure che sono i centri di una « doppia visione » (interna e esterna) che, a differenza del romanzo europeo-occidentale (almeno di quello inglese e francese) coevo, non è arrestata e frenata da quella massa opaca, spessa e complicata che è la Società moderna (quella società che, secondo l'osservazione della Woolf, esercita una « pressione continua » sul romanziere occidentale). Possiamo aggiungere che nel romanzo russo non c'è neppure quell'altro medium costituito dalla personalità come oggetto di formazione e coltivazione puramente interiore che troviamo nel romanzo tedesco (Bildungsroman). Le figure del romanzo russo sono pre-. cise nei loro tratti poetici, ma labili e fluttuanti nei loro contorni sociali, aperte a un mondo in cui non sono saldamente radicate: il lisnij éelovek, il malen'kij éelovek, il novyj èelovek, il podpol'nyi celovek, il kájuséijsja dvorjanin, il kájuséijsja intelligent, i bednye ljudi, le mërtvye dusi 5. E si aggiunga quella figura storica (in Puskin, ad esempio, nel Boris Godunov
e nella Figlia del capitano) e quotidiana (in Gogol', nel suo Revisore, ma anche nelle Anime morte, e in Dostoevskij, nei Demòni) che è il samozva-nec, l'usurpatore. A queste figure fa da degno sfondo per lo piú una città
Le espressioni in russo significano rispettivamente « uomo superfluo », che non si radica in un ambiente sociale e vive in un suo proprio mondo etico-intellettuale, votandosi all'introspezione e negandosi all'azione (si pensi ai personaggi del romanzo russo, dall'Evgenij Onegin di Puskin al lermontoviano « eroe del nostro tempo », da tante figure turgeneviane agli stessi eroi di Dostoevskij); « piccolo uomo »
o « pover'uomo », l'oppresso e l'umiliato, come, per tutti, l'Akakij Akakievié del Cappotto di Gogol'; « uomo nuovo », il rivoluzionario (ad esempio, il Rachmetov del Che fare? di Cernysevskij); « uomo del sottosuolo », dall'omonimo romanzo dostoevskiano; « nobile penitente » (l'aristocratico roso da un senso di colpa e oppresso dal peso di un « debito » verso il popolo, come in vari personaggi tolstojani); « intellettuale penitente », figura analoga alla precedente, ma di altra estrazione sociale (ricorre in vari romanzi populisti); « povera gente », secondo il tipo che si trova in Dostoevskij; « anime morte », simbolo generato dal romanzo di Gogol'.
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spettrale, russo-europea, Pietroburgo, mito problematico che di continuo si ripresenta nel romanzo e nella cultura russa, oppure una Russia provinciale e contadina che trova la sua caratteristica in un illimitato spazio amorfo gravitante intorno al suo centro-capitale.
Sul piano delle forme narrative si è già detto di Karamzin, della sua Storia che apre lo spazio epico in cui si svolgeranno le prove epico-romanzesche « minori » dell'Ottocento (da Puskin a Gogol') e quella maggiore
e suprema che è Guerra e pace, e si è detto anche delle sue Lettere, che aprono la via dell'anima e della mente russa al contatto formatore con la realtà europea (si pensi allo scritto di Dostoevskij Osservazioni invernali, pur con tutta la diversità di tempo e di spirito tra i due viaggiatori). Ma i primi due grandi romanzi russi già nella loro autodefinizione sono la testimonianza della commistione o contaminazione di generi che si crea sul terreno della « doppia ottica » russa: l'Evgenij Onegin è un « romanzo in versi » (non un poema), mentre le Anime morte sono un « poema » in prosa (non un romanzo). Messi a capostipite della genealogia « realistica » della narrativa russa, questi due « romanzi » (usiamo le virgolette per rispettare la loro voluta ambiguità strutturale) sono tra le opere piú sofisticate, « costruite », autoconsapevoli della narrativa ottocentesca. Non si tratta di rovesciare il luogo comune (di nobile origine belinskiana) e di negare che l'Onegin sia un'« enciclopedia » della società russa del suo tempo e che le Anime morte siano un verdetto sulla servitú della gleba: esse sono anche questo, ma l'Onegin è prima di tutto un romanzo ironico, con un'ironia rivolta dall'autore prima di tutto verso se stesso e il suo lavoro, il che non gli impedisce di prendere sul serio il suo protagonista
e il suo mondo; e le Anime morte, col loro progetto tripartito di caduta, purgazione e redenzione del protagonista, sono prima di tutto una sintesi senza pari di picarismo e lirismo, una perlustrazione dell'anima malata e fiduciosa di Gogol' e una visione fantastica della Russia da un « punto di vista » remoto (dalla « bellissima lontananza » dell'Europa occidentale). Si può dire che tutti i grandi romanzi russi hanno questa incertezza strutturale di « genere » e di oggetto narrativo: non sono quasi mai romanzi
« puri » (se prendiamo per campione quelli dell'Ottocento inglese, francese e tedesco) e non sono per lo piú romanzi orientati sulla Società come insieme organico e stabile di istituti, ma, attraverso un complesso gioco ottico di riflessioni russo-europee, si aprono sulla storia e sulla metastoria della Russia in quanto « punto di vista » sull'Europa.
In generale si può dire che nel romanzo russo non si ha una ricerca della forma, come in Occidente, bensì sulla forma, cioè per il romanzo russo non si tratta di creare una nuova struttura narrativa (romanzesca appunto), già costituita e collaudata nella letteratura europeo-occidentale,
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bensí di rinnovare, ampliare e superare questa struttura, di liberarsene e contemporaneamente di adattarla alla particolare esperienza spirituale della Russia. In questo senso, oltre al tradizionale confronto tra romanzo russo
e romanzo europeo-occidentale (confronto giustificato anche dal rapporto storico diretto tra essi), sarebbe interessante anche un confronto tipologico tra romanzo russo e romanzo americano (sia settentrionale che meridionale) e quindi ii confronto tra questi romanzi (russo e americano), insieme europei e non-europei, col romanzo europeo-occidentale, analizzando il modo diverso in cui il rapporto con l'Europa si pone nella cultura russa
e in quella americana. Si scoprirebbero una serie di equivalenze funzionali, ad esempio, tra la persistenza di forme narrative antico-russe (delle cronache o letopis', dell'agiografia o iitie, del folclore, cioè delle povesti e skazki) nel romanzo russo, del romance nel romanzo nordamericano e del mito indigeno nel romanzo sudamericano. Tutte e tre le culture in cui nascono questi romanzi si pongono, sia pure in modi profondamente diversi, in un rapporto problematico col mondo della cultura europea e quindi il confronto tipologico loro col romanzo europeo-occidentale sarebbe piú produttivo di quello, comunque non ignorabile, tra le forme di narrativa europea e quelle di una civiltà del tutto autonoma come quella cinese.
Abbiamo detto che l'Europa, abituata a vedere coi suoi occhi l'« altro » (il « selvaggio » o il « primitivo »), per la prima volta è stata «vista» globalmente da quel suo « altro » consanguineo e omogeneo che è la Russia. E abbiamo precisato che la Russia che guarda l'Europa è, in realtà, la Russia colta, la Russia intellettuale, che attraverso la visione europea cerca di vedere se stessa. In quanto « europea », questa Russia ha, come l'Europa, un suo proprio « altro » che nel romanzo russo ha tutta una linea di sviluppo non trascurabile. Questo « altro » dell'intellettuale e dello scrittore russo è costituito da una figura che assume vari sembianti: gli zigani di Puskin, i cosacchi di Gogol' e di Tolstoj, il mugico di tutti (fino a Cechov, che respinge questa possibilità dell'« altro », e sospende anche il confronto con l'Europa, illustrando il trionfo del byt, di una Russia quotidiana e feriale che trova il suo « altro » soltanto in un indefinito futuro ironico-lirico). Il mondo del romanzo russo è lo spazio libero tra queste due forze universali antitetiche: le forme conchiuse della civiltà europea
e l'amorfa sconfinatezza di una vita « primigenia » o di un futuro rinnovatore.
Ma lo spazio romanzesco russo non si estende su un piano orizzontale soltanto: esso (o una sua parte decisiva, almeno) ha anche una dimensione verticale: il sovrammondo simbolico-religioso di Dostoevskij e di Tolstoj. Già notiamo tra i titoli dei maggiori romanzi russi alcune associazioni concettuali emblematiche: Padri e figli, Delitto e castigo, Guerra e pace, quasi
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si aspirasse a toccare i problemi e le situazioni piú universali. In questa direzione il romanzo di Dostoevskij raggiunge il posto piú estremo e si presenta non come un'« enciclopedia » della vita intellettuale russa e europea, ma come una summa « polifonica » (nel senso in cui Bachtin usa questo termine) di tutto un secolare sviluppo della coscienza europea e della sua crisi cosí come è confluita nell'esperienza storica russa ed è illuminata dal suo « punto di vista ». Si può definire il romanzo dostoevskiano come « romanzo ermeneutico », come grandiosa interpretazione dialogica della cultura europea in quanto partecipata dalla Russia e della cultura russa in quanto parte speciale dell'Europa. Lo spazio ermeneutico del romanzo dostoevskiano non solo è aperto a un infinito dialogo interno di voci, ma rimanda a un piano metafisico-religioso che è privo di una consistenza dogmatica e diventa un nuovo punto di riferimento problematico del dialogo, in cui è coinvolto anche quello che sembrerebbe l'unico suo centro intangibile: la figura di Cristo.
Lo slavofilismo e il populismo, per quanto cristallizzati in un loro sistema intellettuale, contribuirono potentemente a portare il « punto di vista » russo a una nuova visione (e visionarietà) sia sul piano letterario e romanzesco, sia sul piano ideologico e politico. Su quest'ultimo piano, nella prospettiva del rapporto rivoluzione europea/rivoluzione russa, si pone il problema dell'azione, che diventò un nuovo elemento del romanzo nel suo rapporto col momento della riflessione teorica e della responsabilità morale (in Dostoevskij con forza particolare, ma anche nei romanzi politici degli anni Sessanta dello scorso secolo). Mentre il romanzo francese, da Stendhal a Balzac, vive la fase del riflusso e dell'assestamento postrivolu-zionario con tutte le sue contraddizioni e delusioni, il romanzo russo vive una fase di aspettativa critica prerivoluzionaria, sullo sfondo però delle già avvenute e verificate rivoluzioni europee. Nel populismo russo il problema della rivoluzione industriale con le sue conseguenze sociali e politiche (pro-letarizzazione e democrazia) trova lo scioglimento in una progettata modernizzazione non-capitalistica e in una lotta sociale antizarista che ne consenta l'attuazione. L'esperienza rivoluzionaria russa, oltre che variamente riflessa nei romanzi, ha la sua massima espressione letteraria nell'opera di Herzen e, in particolare, nel suo Passato e pensieri, che è la storia della formazione (Bildung) di una coscienza intellettuale che cresce e resiste attraverso le prove e le crisi della storia. In questo senso Passato e pensieri è l'antitesi del maggior Bildungsroman tedesco, il Meister goethiano, intorno al quale in Russia si ebbe un significativo scambio di idee all'inizio degli anni Cinquanta. In un articolo dedicato al Meister, Apollon Grigor'ev dalle sue particolari posizioni slavofile respinge la « concezione tedesca » come « concezione del protestantismo », « tutta risolta nell'individualità e an-
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gusta come la sfera dell'individualità » 6. Goethe è, per Grigor'ev, appunto il rappresentante di questa poesia dell'individualismo germanico, della « bella individualità » (schone Individualität), che mai sa rinunciare a se stessa. È significativo che l'unico romanzo russo in cui l'« educazione » (Bildung) dell'individuo si affermi nella sua assolutezza sia un Bildungsroman ironico e patetico, dove la coltivazione della propria « bella individualità » arriva a una sorta di Nirvana elegiaco e Biedermeier: l'Oblomov di Gonearov. D'altra parte, in questo stesso romanzo, troviamo forse l'unico, certo il piú emblematico personaggio romanzesco russo che incarni il webe-riano « spirito dell'etica protestante »: Stolz, che non diventa però un centro di forza etico-poetica capace di equilibrare col suo dinamismo la staticità intensa e toccante di Oblomov. La dinamicità che, nel romanzo russo, riesce a controbilanciare la « superfluità » di tanti personaggi della nobiltà e dell'intelligencija è quella del rivoluzionario. Nel romanzo ideologico degli anni Sessanta è, soprattutto, Rachmetov come quintessenza del tipo ascetico e rigoristico dell'« uomo nuovo ». Ma se questo personaggio è un paradigma che si propone come un modello di comportamento poi fin troppo meccanicamente seguito e imitato, l'autentica Bildung rivoluzionaria della letteratura russa è incarnata in Herzen, nel suo Passato e pensieri, libera sintesi di un doppio ordine di svolgimento temporale: interiore e etico-psicologico l'uno, storico e politico-morale l'altro.
In Herzen il rapporto Russia-Europa diventa non solo centro di una esperienza di vita, ma nucleo di una teoria dello sviluppo storico e dell'azione politica (il cosiddetto « socialismo russo »), che accoglie posizioni slavofile e inaugura la dottrina populista. Rispetto ad altre successive concezioni dell'originalità storico-culturale (si pensi, ad esempio, alla fortuna di una simile concezione nell'America Latina), l'idea dell'originalità storica russa ha la caratteristica di non esaurirsi in una meccanica contrapposizione alla cultura europeo-occidentale, ma di porsi in un rapporto di dialettica continuità rispetto a essa su una base comune: quella del cristianesimo e del socialismo. A costruire l'ossatura di questo rapporto Europa-Russia interviene la filosofia della storia dell'idealismo tedesco, e di Hegel in particolare, e poi la filosofia della storia marxiana, nata essa stessa da quella hegeliana. Per il romanzo russo questo orizzonte filosofico-storico ha importanza costante. In un certo senso lo sviluppo storico viene vissuto come lo sviluppo di un intreccio romanzesco, poiché è proprio delle filosofie della storia di costruire uno schema « narrativo » di sviluppo storico. E il
6 Stat'i Lorda Dzeffri o Vil'gel'me Mejstere, in « Moskvitjanin », 1854, t. n, n. 8, kn. 2, otd. kritiki, p. 172. Cfr. al proposito V. ZIRMUNSKIJ, Gete y russkoj literature, Leningrad 1937, pp. 486-92.
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romanzo russo si presenta quasi come una metafora di questo grandioso romanzo filosofico-storico nel cui intreccio entra un nuovo e decisivo personaggio: la Russia appunto. Una struttura filosofico-storica articola variamente il mondo del romanzo russo, secondo principi che variano da autore a autore. In Leskov, dove una filosofia della storia è assente come momento esplicito e consapevole, c'è tuttavia una impostazione di racconto secondo i moduli di una tradizione « orale » e nella direzione di realtà « indigene » che risalta su un implicito sfondo di « modernità » europea. In Tolstoj la rivolta contro la civiltà moderna è, evidentemente, una rivolta antieuropea che si fa esplicita in Guerra e pace, entrando a far parte della stessa struttura narrativa e sorreggendone la vastità epica e l'aura idillica.
L'orizzonte filosofico-storico del romanzo russo ha varie conseguenze sostanziali e formali. Sul piano dei contenuti si ha una radicale problema-tizzazione di tutti i valori e di tutte le istituzioni storico-sociali: non solo la società tradizionale (feudale) e la società moderna (borghese) nei loro meccanismi culturali e psicologici, ma lo stesso cristianesimo storico e la stessa alternativa rivoluzionaria vengono sottoposti ad analisi spesso distruttiva. E infine in Cechov la corrosione critica intacca il flusso stesso della vita quotidiana e la consistenza del suo abitatore, l'uomo qualunque. E in Rozanov il « nichilismo » narrativo arriva al dissolvimento delle strutture narrative stesse, del loro centro etico-psicologico (l'« Io ») e dello stesso concetto di letteratura. Sul piano formale il romanzo russo, mettendo radicalmente in questione la storia, colloca i personaggi in un tempo narrativo che è piú di quello della traiettoria di un destino individuale e richiama come proprio sfondo un ritmo temporale in cui il momento dominante è costituito dal futuro. Un futuro che, a parte i romanzi rivoluzionari degli anni Sessanta, non ha i connotati di un concreto e limitato progetto, ma si presenta come il luogo della massima apertura etico-utopica, confondendosi, al punto estremo del suo orizzonte, con la volta di un firmamento metafisico-religioso oppure di un cielo deserto e infinito. Per questo il rapporto dell'autore coi suoi personaggi non è, al suo limite, il rapporto ironico di chi sa verso chi non sa, cioè il campo visivo dell'autore non ha una superiorità (maggiore vastità) di principio rispetto al campo visivo del protagonista cieco di fronte al proprio destino. In un certo senso l'autore è prigioniero del futuro quanto lo è il personaggio e anche quando ha delle certezze, le immette nel crogiolo della metafisica della storia in cui si fondono tutti i valori romanzeschi.
Il rischio cui è sottoposta questa apertura su un futuro sconfinato e su una trascendenza simbolica è la perdita del futuro mediante la sua riduzione a concreto e deludente presente e la dissoluzione della trascendenza mediante un trionfo oppressivo dell'immanenza storica. Questo svuota-
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mento della letteratura russa è avvenuto con la fine del suo ciclo « classico » e col passaggio all'epoca postrivoluzionaria (« sovietica »). Il romanzo russo perse la libertà del futuro e si trovò chiuso nella prigione totale del presente (naturalmente, non parlo del futuro propagandistico-politico, mistificatorio e repressivo, che anzi nel « realismo socialista » trovò un potenziamento). Il dramma della perdita del futuro e della caduta nel presente struttura il piú autentico e emblematico romanzo russo degli anni Venti, Invidia di Olesa, che, secondo la magistrale interpretazione di Gladkov', registra la resa volontaria e autodistruttiva del mondo dell'immaginazione al mondo della realtà. Ma nel romanzo russo sovietico possiamo vedere anche un'altra linea: quella della riconquista di questa libertà interiore e dello spazio illimitato del futuro etico-utopico e della trascendenza metafisico-religiosa: in Platonov e Bulgakov, in Pasternak e Sol-zenicyn.
Se il romanzo russo « classico », abbiamo detto, può essere visto come una metafora dell'intreccio filosofico-storico universale, il romanzo russo sovietico può essere interpretato come una metafora del suo proprio sviluppo, della sua caduta e del suo riscatto e, piú ampiamente, come la cifra spirituale di tutta la vita della Russia moderna codificata nel suo romanzo ottocentesco. E se il romanzo russo classico si era svolto tra due eventi epocali (la rivoluzione francese e la rivoluzione russa) e all'interno di un confronto tra due entità storico-simboliche (la Russia e l'Europa), il romanzo russo sovietico si svolge in un tempo aperto postrivoluzionario e in uno spazio cosmico-storico che non si risolve piú nell'opposizione bipolare Russia-Europa, ma che trova il suo centro nel rapporto della Russia col suo proprio complesso passato e presente e, di riflesso, col destino dell'intera umanità.
L'intreccio della storia universale è aperto sulla « cattiva infinità » o sulla cattiva catastrofe. Il romanzo non solo russo, ma mondiale non vive piú nel presagio di un'epoca nuova o nella delusione di questo presagio, ma nella prospettiva di una lunga fine. E nella ricchezza di un grande passato. Il « punto di vista russo » è ancora un ottimo punto di osservazione romanzesca su Russia e non-Russia, ma si apre su un paesaggio spazio-temporale ormai profondamente mutato, pur nella continuità della sua struttura geologica. Un paesaggio al quale, come faceva Virginia Woolf, possiamo dare il nome desueto ma autentico di « anima ». L'anima di un mondo che cerca e non trova la propria identità.
VITTORIO STRADA
7 A. GLADKOV, Slova, slova, slova..., in « Rossija/Russia », 1974, n. 1, pp. 185-
240.
 
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Riferimento ISBD Belfagor : rassegna di varia umanità [rivista, 1946-2012]+++
Data pubblicazione Anno: 1980 Mese: 5 Giorno: 31
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Titolo KBD-Periodici: Belfagor 1980 - maggio - 31 - numero 3


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