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tipologia: Analitici; Id: 1465034


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Tipologia Periodico
Titolo Ernesto De Martino, Nuie simme 'a mamma d' 'a bellezza
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Trascrizioni
Trascrizione Non markup - automatica:
DIFESA DELLA LETTERATURA DIALETTALE
Hule Siffiffle 'a mamma (ra flelleiia
«Noi siamo la mamma della bellezza» : con questa poetica immagine i contadini lucani esprimono la presa di coscienza delle masse popolari di essere la parte migliore della nazione, la portatrice di un nuovo umanesimo. E in ciò sta la validità, oggi, della poesia dialettale progressiva.
LA LOTA,
PER LA TERA
(La lotta per la terra)
del poeta popolare ravennate
RAOUL BERTOLOTTI
A l'impruvis
All'improvviso
d'nèz i riz di du fang
davanti ai raggi dei due fanali
u m'é piers d'avdé da ql'i òmbar mi tiarso di vedere delle ombre
e a s'e armòst séza rispir
e sono rimasto sema respiro
Ombrar
Ombre
ch'al's'muvévo
che si muovevano
coma qui' ch'aveva davinti come quelli che avevo davanti
cun dal ghêmb e cun dal braz
con delle gambe e delle braccia
d'arivè a tuchè é zil d'arrivare a toccare il cielo
Ombar
Ombre
ch'al biaséva dal paròl
che mormoravano delle parole
che me an capéva par la ria che io non capivo per il ronzio
d'é mutor
del motore
mo um paréva chat fis défi ma mi pareva che fossero dette
cun rarcheda d'e sumnador: con la bracciata del seminatore
a Tèra tiro - tèra tira e Terra terra - terra terra
tira tira - tèro tira »
terra terra - terra terra »
cun un botar sec dal mê
con un battere secco delle mani
Oh signor s'aiò capì!
Oh signore se ho capito!
Ombar -
Ombre
di nostar Odor
,dei nostri padri
avnùdi da la val
venute dalla valle
pina d'pilégra
piena di pellagra
Ombar
Ombre
dal nostri mèdar
delle nostre madri
avnùdi do la riséra
venute dalla risaia
pina d'malaria
piena di malaria
Ombar
Ombre
di nostar mud
dei nostri morti
avnùdi da tot al pèrt
venute da tutte le parti
in d'ò ch'ú s'à pad i
dove si è patito
la fim d'la tèra
la fame della terra
in d'ò che tint
dove tanti
l'a pérs la vita sgafignènd hanno perduto la vita prendendo
la prima gimba, d'érbaf
ìl primo gambo d'erba!
Adis
Ora
os'io qua cannu
siete qui con noi
a botar è temp'
a battere il tempo
parchè o marcièma:
perçhè marciamo:
a Tèra tèra - . tèra tère
« Terra terra - terra terra »
tira tèra tire tère »
terra terra - terra terra »
Forza fiùl
Forza figlioli,
vindichìs sèzo piétè
vendicateci senza pietà
nù ch'avè strapè la tira
noi che abbiamo strappato la terra
a la cana e a la palùd
alla canna e alla palude
ch'a rove bunifichèda - che l'abbiamo bonificata
cun e sang'e cané spud con il sangue e con a sputo »
fata bona i's'rò rubèda resa fertile ce l'hanno rubata
par gudésla i sfrutadur per godersela gli sfruttatori
« Tèra tiro - fera tiro
« Terra terra - terra terra
tèra tèra - tire tiro » terra terra - terra terra »
Sramo da tempo debitori di una risposta a Giuseppe Vernich e Amelia de Sanctis di Nardò, che in due lettere datate rispettivamente il 20 agosto e il 30 ottobre 1951 hanno posto con una certa vivacità polemica il problema della poesia dialettale. Secondo Giuseppe Ver-rich e Amelia de Sanctis, ogni incoraggiamento dato alla poesia dialettale è « anticostruttivo e antipro-gressista », e ciò per il fatto che il dialetto sarebbe costituzionalmente affetto da « pochezza espressiva e inadeguatezza alla affinata sensibilità moderna », per la quale soltanto la lingua nazionale varrebbe come mezzo espressivo adeguato. « La poesia vernacola — dicono i nostri due lettori di Nardò — per il suo carattere casalingo e arcaico, sarebbe per natura condannata a non librarsi nell'alto cielo dell'arte col canto di elevati sentimenti, mancando ai vernacoli maniere e forme evolute, neologismi e forme erudite che esprimano l'evoluzione del pensiero », ecc.
A me sembra che i due nostri amici pugliesi siano del tutto fuori strada, o, se più piace, ne abbiano imboccato una che non spunta. Se dovessi definire in breve di quale difetto fondamentale risente l'impostazione del loro problema, direi che essi sono come prigionieri di un pericoloso settarismo culturale, di una sorta di illusionismo immediato, per cui ogni problema di cultura viene concepito in termini di diffusione dall'alto di lumi razionali, come educazione delle «plebi» Ora il problema fondamentale del nuovo umanesimo non è quello di illuminare le plebi, ma di enuclea-re sempre meglio la nuova civiltà espressiva che già vive nel mondo popolare, il nuovo più ampio umanesimo di cui è portatore il proletariato in lotta per la propria emancipazione. Senza dubbio sussiste anche il problema di diffondere tra le masse popolari le conquiste tecniche della civiltà borghese, e di addestrare e istruire tali masse a queste conquiste: ma per quanto riguarda la cultura vera e propria, la nuova visione della vita e del mondo, la nuova arte, la nuova morale, la nuova concezione dei rapporti politici, giuridici e sociali, è il proletariato che nel corso della sua emancipazione, e per il fatto di questo movimento, guida, indirizza, ispira, forma i suoi intellettuali e la loro cultura. Per quan- to concerne l'Italia, noi dobbiamo partire, mi sembra, dalla impostazione gramsciana di a Letteratura
e vita nazionale », e cioè dalla constatazione che in Italia, a cagione della sua storia, più forte che in altri paesi è il distacco fra intellettuali e popolo, fra alta cultura
e cultura italiana. Fallito il tentativo risorgimentale di creare la nazione culturale italiana, noi siamo oggi in presenza di un secondo grande tentativo, di portata decisiva, e che si e iniziato con la Resistenza. Questo secondo tentativo di unificazione culturale, di formazione di una nuova unità popolo-intellettuali, ha due aspetti distinti: da una parte assistiamo a uno sblocco del folklore dalle sue posizioni tradizionali, e la costituzione di un folklore progressivo, legato alle esperienze della Resistenza, della occupazione delle terre, della occupazione delle fabbriche, ecc. ecc.; dall'altra parte, tutta una schiera , di intellettuali demo-
cratici, avvertendo come già esaurito il destino espressivo della cultu-
ra tradizionale, cercano di istituire
saldi legami con l'umanesimo popolare e di inaugurare un fecondo
dialoga con gli uomini semplici:
Cristo si è fermato a Eboli di Levi, Le terre del Sacramento di Jo-
vine, il cinema neorealistico di De
Sica, di Visconti, di De Santis ecc., le tele o i disegni di Guttuso, di
Purificato, di Mazzullo, di Ricci,
ecc., il rifiorire della poesia dialettale di un Vann'antò, di un Euge-
nio Cirese, dï un Rocco Scotellaro ecc. appartengono in proprio a questo movimento. Si sta dunque determinando, sia pure con lentezza fatica, con deviazioni e errori, quel processo di unificazione della cultura nazionale che fu indicato come compito da Gramsci, e che ora sta davanti a noi non già come programma astratto di alcuni letterati, ma come fatto spontaneo, che l'esperienza nazionale-popolare della Resistenza ha iniziato e alimentato. Nella concretezza di tale processo storico, che metterà capo attraverso vie e modi imprevedibili al nuovo umanesimo socialista, deve essere valutata la qui-stione del dialetto, o più esattamente il problema del valore e della funzione della letteratura dialettale nel momento presente della vita culturale nazionale. Che cosa esprime, oggi, la letteratura dialettale dei canti popolari progressivi
e della poesia dialettale? Esprime, nel folklore progressivo, l'unico modo storicamente possibile per cui alcuni - strati delle masse popolari in movimento possono, prendere culturalmente contatto con la loro storia e con il loro destino, esprimendo letterariamente il loro mondo. Quando i contadini della Ràbata di Tricarico in Lucania cantano: « Nuie simme a' mamma d'a' bellezza, nun simme nè trifugghie e neanche avezza » (noi siamo la mamma della bellezza, non siamo
nè trifoglio e neanche veccia), essi esprimono compiutamente, con una immagine poeticamente efficace, la presa di coscienza di essere la parte migliore della nazione, quella che ne contiene il futuro reale. Qui la forma dialettale è pienamente aderente a un certo mondo di sentimenti e di aspirazioni, a un certo ambiente sociale ed umano, a una certa trama di esperienza in fermento, e combattere codesta forma dialettale significa combattere tutto il resto a fui essa è organicamente legata, significa combattere l'unico modo reale, sincero, spontaneo, col quale i contadini della Ràbata possono entrare nel mondo della cultura, acquistare coscienza culturale della loro vita, della loro posizione storica, del loro destino. Certamente, quando, in un domani che speriamo prossimo, quei contadini, nella nuova società, saranno diversi da quello che oggi sono, quando non abiteranno insieme alle bestie, quando nuove forme di economia agricola collettiva avranno distrutti gli attuali rapporti semifeudali, e il nuovo Stato provvederà alla istruzione e all'educazione delle masse popolari, domani, dico, può darsi che il dialetto venga gradualmente esauren do il suo destino éspressivo, e alla unificazione reale della nazione culturale finisca anche col corrispondere la unificazione reale della sua lingua. In altri termini. domani, nelle nuove condizioni, la poesia dialettale potrà essere insincera, e quindi anche casalinga e arcaica e recessiva: ma oggi, nelle condizioni attuali, è già un fatto importante ehe quei contadini inizino il loro progresso culturale in forme vernacole, e in queste forme inaugurino il distacco dal folklore tradizionale. Ma il valore e la funzione del dialetto nell'attuale momento storico della vita culturale nazionale non si esaurisce nel fatto che il dialetto può mediare l'ingresso di certi strati delle masse popolari nel mondo del nuovo umanesimo in movimento. Il dialetto, la letteraturadialet-tale, può mediare anche, attraverso la poesia dialettale culta, la formazione di una nuova unità intellettuali-popolo, -esprimendo nuovi motivi di comunione umana nazionale-popolare, e nuovi fermenti di universalità in una letteratura che è appunto in crisi di umanità e di universalità per il progressivo esaurirsi della funzione storica dei rapporti sociali tradizionali. Forse gioverà a illustrare questa funzione progressiva della poesia dialettale
culta il riferimento a un esempio concreto (1). Nella provincia di Ravenna sono state recentemente occupate le terre dei Baldi, e la lotta è ancora in corso. Il poeta dialettale Raoul Bartolotti ha scritto in questa occasione una lirica, « La Iota per la tèra » di cui qui riporto alcune strofe.
Questa poesia è stata letta dall'autore davanti agli autentici protagonisti della vicenda narrata, davanti ai braccianti che avevano occupato le terre dei Baldi, e la dizione ha avuto luogo a S. Alberto in occasione delle Assise del Lavoro e della Terra, il 18 nov. 1951.
« Non ti so descrivere — mi ha scritto Bartolotti riferendomi questo suo primo incontro reale con le masse popolari — l'entusiasmo suscitato in quella numerosa assemblea di autentici braccianti: ho dovuto fare il bis e ne sono ancora tutto emozionato. Credo sia stata la prima volta che ho sentito il congiungimento quasi carnale con la massa, e -anche la prima volta che ho capito come noi intellettuali possiamo essere la voce - del popolo... ». Ebbene, a me sembra che sia un fatto importante nella storia del costume letterario nazionale che per la prima volta nella lo ro vita i braccianti convenuti in S. Alberto hanno trovato il loro poeta, l'intellettuale col quale cantare le loro gesta, nei modi, con le immagini, con le vibrazioni della loro parlata quotidiana, di quella stessa parlata con la quale essi si sono scambiati gli ordini o hanno imprecato contro la Celere durante la occupazione, con la parlata della loro vita reale, che ora, attraverso il cantore, è stata piegata organicamente a>--un'altra funzione, a sospendere per un momento la immediatezza della loro azione, e a proseguire la loro umanità su un altro piano, su quella della poesia. Cantando insieme a Bartolotti i ver- si dialettali che rappresentano il loro dramma, i braccianti del ravennate hanno mosso un passo, per la prima volta nella loro vita, verso la nazione culturale in movimento, e ciò ha la sua importanza storica, mentre non ne ha proprio nessuna molta letteratura in lingua, che in quanto si indugia a esprimere contenuti non più storicamente attuali, suona insincera, settaria, accademica, antinazionale e antipopolare.
Senza dubbio per comprendere il dialetto dei canti popolari e della poesia dialettale culta occorre superare alcune difficoltà, derivanti non solo dal lessico, ma anche dal fatto che l'espressione dialettale è in particolare simbiosi con la dizione viva, e quindi anche con la mimica, e, nel caso dei canti popolari, col canto e con la melodia. Oltre a ciò, per raggiungere il piano sul quale si muove il mondo popolare come civiltà espressiva, è necessario avere familiarità con certi ritmi del costume e dei sentire che hanno diffusione geograficamente limitata (talora a un solo paese di una data provincia). Ma tutto ciò non costituisce un argomento contro il dialetto, ma, se mai, contro gli intellettuali che hanno perduto contatto con l'umanità popolare, e che, a cagione di certa storia passata vissuta nel dispregio del « volgo », sì trovano oggi davanti alla civiltà espressiva del popolo quasi nella stessa condizione - in cui stanno rispetto alla letteratura straniera. La necessità di accompagnare i prodotti dialettali con traduzioni in italiano, glossari, commentari, ecc. non è dunque una prova della limitata universalità del dialetto, ma esprime solo il fatto che nell'attuale momento storico, cioè nel processo di formazione del nuovo umanesimo, della nuova unità intellettuali-popolo, la nazione culturale non esiste ancora, e sussistono difficoltà per inaugurare concretamente il dialogo unificatore.
Riassumendo: la quistione del dialetto va impostata nel quadro del momento storico attuale della nazione italiana. In questo quadro il
dialetto dei canti popolari e della poesia dialettale culta esprime uno
dei modi con i quali, in date cir-
costanze, può ristabilirsi il contatto fra popolo reale e cultura, fra
intellettuali democratici e mondo
popolare. In linea di fatto é sempre possibile combattere determinati
prodotti letterari dialettali ormai
scontati, perchè insinceri, cioè storicamente inadeguati al processo
reale in corso, così come è sempre
possibile, in linea di fatto, sottoporre a critica per la stessa ragio-
ne determinati prodotti letterari in
lingua. Ma la pretesa di combattere in linea di principio il dialetto in
nome della lingua, e dì ostacolare
la letteratura dialettale prima che il suo destino espressivo sia esauri-
to, sembra frutto di un curioso illuminismo che nella terra di Vico, De Sanctis, Croce e Gramsci rischia di essere particolarmente fuor di stagione. ,
Ernesto De Martino
(1) L'articolo' dell'illustre studioso di etnologia e folklore, prof. De Martino, che qui pubblichiamo, contribuisce certo anche a mettere in luce l'importanza dell'iniziativa della nostra rivista per il « Premio Cattolica » che nelle sue due edizioni (1950 e 1951) ha rivelato autentici poeti popolari.
(N. d. R.)
Rispondiamo ai lettori Giuseppe Vernioh e Amelia de 8anotis
Giuseppe gains Ritorno dei bracelet* -
 
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in: Catalogo KBD Periodici; Id: 31096+++
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Area unica
Testata/Serie/Edizione Calendario del Popolo | Serie unica | ed unica
Riferimento ISBD Il calendario del popolo. - A. 1, n. 1 (27 mar. 1945)-. - Roma : Partito Comunista Italiano, 1945-. - v. : ill. ; 27 cm (( Quindicinale, mensile dal 1946. Il complemento del titolo varia: rivista di cultura, dal 1958. Dal 1973: Milano : Teti. )) {Il calendario del popolo [almanacco, 1945-]}+++
Data pubblicazione Anno: 1952 Mese: 2
Numero 89
Titolo KBD-Periodici: Calendario del Popolo 1952 - numero 89 - febbraio


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