Area della trascrizione e della traduzione metatestualeTrascrizioni | Trascrizione Non markup - automatica: 941 Lo studio del folklore in Italia I. — Oltre alla poesia e alla letteratura degli scrittori colti, trasmesse attraverso la Lcrittura, esistono una poesia e una lettera- tura trasmesse oralmente : sono la poesia e la letteratura popolari` che, assieme alle usanze tradizionali, alle credenze, alle leggende. alle arti domestiche ecc. diffuse tra le classi umili, costituiscono ciò che suole designarsi generalmente con il nome inglese di folklore: e folkloristica si chiama la scienza che ne fa oggetto di studio. E' evidente che questa scienza presenta oggi un grande interesse per il movimento proletario: attraverso la conoscenza del folklore contadino, artigiano e operaio, è possibile mettere in luce una cultura popolare. in part, ancora arcaica e quindi da superare, in parte nuovissima e progressiva, e quindi da valorizza- re. Inoltre uno studio condotto con animo aperto ai problemi del proletariato può permettere di demolire molte posizioni ideologiche borghesi sia sul terreno della letteratura e dell'arte, e cioè dell'estetica, sia sul terreno più propriamente storico dei rapporti tra le classi dirigenti tradizionali e il proletariato; .consente di porre in rilievo anche per questa via la funzione che le classi popolari hanno sinora assolto nella vita delle nazioni e il ruolo che ad esse spetta nel mondo moderno. E' opportuno quindi conoscere quali siano stati sino ad oggi gli orientamenti degli studi di folklore in Italia. 11. — Il primo settore del mondo folkloristi-co che attirò l'attenzione dei letterati e degli studiosi fu quello della poesia popolare. Questa anche in Italia fu scoperta sotto l'impulso delle idee romantiche sopratutto tedesche (Herder. Grimm. ecc.) al principio del secolo scorso. L'entusiasmo fu grande : nelle ballate, negli strambotti, negli stornelli oralmente tramandati di generazione in generazione i letterati scoprirono una serie di bellezze fresche ed ingenue che li riempivano di stupore e di amore per il a popolo » e per la sua anima vicina alla natura, schietta, libera dagli impacci delle tecniche artificiose e dalle ricercatezze della poesia colta. I romantici, e particolarmente i romantici tedeschi che cercavano attraverso la poesia popolare del loro paese di distaccarsi dalla soggezione alla tradizione latina, erano tutti più o meno convinti rhe la poesia da essi tanto ammirata fosse opera non di questo o di quell'individuo, ma di tutta la collettività: creazione dell'anima popolare, del genio nazionale dei popoli, come essi dicevano. Questa teoria della creazione collettiva ebbe i suoi echi anche in Italia. non tanto in Giovanni Berchet (1783-1851), — che concepiva la poesia popolare più come poesia destinata a educar^ e dilettare il popolo che non come poe ia nascente dal popolo stesso, — quanto in Nicolò Tommaseo (1802-1874) che invece senti in modo più acceso a il popolo come poeta e come ispirator di poeti ». Questo amore per la poesia popolare toccò un po' tutti gli uomini del nostro Risorgimen. to : dobbiamo ricordare infatti Giuseppe Giusti, Vittorio Imbriani, Costantino Ni-gra. Anche il famoso padre Bresciani, gesuita e sostenitore accanito della- reazione clericale, fu spinto a occuparsi di folklore sardo e romano, naturalmente anche a a incremento della religione ». Ma ad un uomo modesto, ardente propugnatore dell'unità italiana, nemico accanito delle correnti clericali, Ermolao Rubieri, dobbiamo una Storia della poesia popolare in Italia (iniziata nel 1857 e pubblicata nel 1871) che ancora oggi può essere letta con profitto. In essa il Ru-bieri, con devota ammirazione, cerca di ricostruire attraverso i canti popolari il carattere della vita popolare italiana per contribuire alla effettiva unificazione della nazione. E questo era l'intendimento di tutti gli studiosi patrioti, i quali così facevano leva sulle classi umili per rompere la dominazione aristocratica nostrana e straniera. Tuttavia in questo periodo, che ben possiamo chiamare romantico-risorgimentale, il concetto di a popolo » rimase piuttosto nebuloso e oscillante: i nostri romantici non pensavano certo alla a classe » o al a proletariato », ma piuttosto idealizzavano i ceti di artigiani e di contadini medi. Anche il problema della capacità creativa delle masse popolari -- che fu in generale risolto positivamente, attribuendo cioè al popolo capacità creativa, — venne tuttavia affrontato più con entusiasmo che con rigore: l'idea della creazione collettiva rimase allo stato fluido con tendenza a diventare un mito nazionalistico. III. — Ma questo primo moto di entusiasmo e di amore per la poesia popolare, si estinse o prese altre direzioni qúando lo slancio ascen_ sionale della borghesia italiana si arrestò nel compromesso con la monarchia. E' molto significativo ad es. che Giosuè Carducci, il quale nel 1860 aveva sostenuto la origine popolare di alcuni generi di poesia, negasse invece dieci anni dopo ogni capacità di creazione poetica agli uomini del popolo. Si studiò ancora con passione la poesia popolare, ma questa interessò più come forma letteraria che come espressione di sentimenti : venne cioè analizzata filologicamente, stu- diando l'evoluzione delle forme metriche (ballata. strambotto, stornello ecc.), la zona geografica di diffusione di ciascuna di esse, il loro rapporto con le forme letterarie delle origini della letteratura italiana (duecento e trecento). Si volle dunque fare la a storia » della poesia popolare : ma.. fu una storia delle sue forme esterne, non la storia dei sentimenti religiosi, politici o familiari che essa manifesta. In questo secondo periodo, che è stato appunto chiamato filologico-storico e che fu influenzato dal positivismo, le ricerche quasi interamente libresche provocarono in ta- luni una maggiore imprecisione del concetto stesso di a poesia popolare ». Così ad es. Alessandro D'Ancona (1835-1914), che si può considerare l'iniziatore di questi studi filologici, scrisse che a poesia popolare è locuzione facilissima a proferirsi, ma difficile a definire il genere che per essa si designa ». Si conserva però anche in questo periodo un concetto piuttosto vago della capacità creativa del popolo, come ad es. nel dottissimo Pio Raina (1847-1930) che sostenne l'origine popolare delle leggende cavalleresche: ma sarebbe difficile precisare cosa si intendesse allora per a popolo a. D'altronde le ricerche di questi filologi, rivolte a rintracciare e a confrontare documenti, si chiusero troppo nelle biblioteche e perdettero il contatto vivo e fraterno con le masse popolari reali. IV. — Al popolo invece si accostò direttamente, nella sua lunga opera di medico condotto, Giuseppe Pitrè (1841-1916). Il suo interesse per il mondo popolare non fu più esclusivamente letterario come per i filologi. Infatti egli, pur non trascurando di studiare 1, forme e la diffusione dei canti popolari. =i preoccupa - essenzialmente di cogliere nel vivo la poesia popolare a quale espressione del sentimento speciale dell'individuo o del popolo da una parte e dall'altra dell'incivilimento dell'individuo e del popolo che lo possiede »; si ricollegò così all'orientamento che aveva già seguito il Rubieri. Inoltre la sua indagine non si limita alle tradizioni orali (canti, leggende, fiabe ecc.), ma si estende anche alle così dette tradizioni oggettive, cioè alle feste, alle usanze, alle superstizioni ecc. Quanto alla nascita dei canti, Pitrè sostiene la tesi della creazione individuale e della elaborazione collettiva : a il canto di uno solo diventa il canto di tutti, perchè... risponde agli affetti naturali, ai costumi, alle tradizioni del popolo» il quale, egli afferma, ripetendo il canto, ne varia D'Ancona la forma o anche il contenu- to: teoria ancora oggi studiata e discussa. Ma che cosa è per il Pitrè questo popolo? Egli non ce ne dà un chiaro concetto. Inclina a considerarlo, riprendendo le idee del filosofo Giambattista Vico e anche dei romantici tedeschi, come la fase mitica e fantastica della vita nazionale; ma vi è in lui un accenno che avrebbe meritato un più ampio sviluppo, e che invece non è stato ripreso dagli studiosi che l'hanno seguito. a La vita del popolo — egli scrive — si è confusa fin'oggi con quella dei suoi dominatori, nella quale si è perduta; della sua storia si è voluto fare una cosa stessa con la storia dei suoi governi, senza pensare che il popolo stes- so ha memorie- ben diverse da quelle che tanto spesso gli si attribuiscono sì dal lato delle sue istituzioni, e sì da quello degli sforzi da caro durati a sostegno dei propri diritti ». E' vero che qui il Pitrè pensava sopratutto ad una contrapposizione nazionalistica di a popolo italiano » e di dominatori stranieri; ma è altrettanto vero che giusta è quella sua contrapposizione di una storia delle classi popolari alla storia delle classi dirigenti. V. — L'allargamento della indagine folklo-ristica agli usi e alle credenze che abbiamo visto nel Pitrè era stato però già operato dallo sviluppo degli studi di mitologia comparata che sorsero e crebbero alla metà del secolo scorso particolarmente in Germania e in Inghilterra. Sotto l'influenza delle teorie di Max Müller (il quale riferiva ogni leggenda mitologica ai fenomeni naturali del sorgere e del tramontare del sole basandosi sopratutto sulla mitologia dei popoli dell'antica India), Angelo De Gu-bernatis volle mettere a confronto gli usi nuziali, funebri e natalizi d'Italia con quelli di tutti gli altri popoli indoeuropei (antichi abitanti dell'India, greci, romani, germa- Pitrè ni, slavi ecc.) giungendo per questa via ad un concetto di supremazia razziale : a l'uomo indoeuropeo... com'è il più bello nella specie umana ha pure creato i più belli Iddii ». Il concetto romantico di folklore maturava cosí il suo valore nazionalista con orientamento razzista. Ma la nascita e lo sviluppo degli studi di etnologia (e cioè di storia delle civiltà dei primitivi, o a selvaggi », come si diceva un tempo), portarono un ampliamento a questa visione ristretta e ancora letteraria: il confronto degli usi, dei costumi, delle leggende ecc., si estese quindi fuori del mondo indoeuropeo ai primitivi dell'Africa, dell'Ameri-na, dell'Oceania, dell'Asia : in tal senso lavo- rarono tra noi G. Bellucci, G. Pansa e poi più specificamente Raffaele Corso. L'influenza delle correnti etnologiche e lo sviluppo degli studi di storia comparata delle religioni hanno portato a precisare diversamente quel concetto di a popolo » che abbiano visto sino ad ora considerato o nazionalisticamente o razzisticamente. Si è cominciato infatti a parlare di volghi dei popoli civili (Raffaele Pettazzoni), cioè di classi umili, ed in esse non si sono più cercati gli aspetti nazionali o quelli razziali, ma piuttosto i caratteri di primitività. Il folklore etnologicamente orientato ha così cercato di contribuire non più alla storia del sentimento nazionale, ma a quella delle forme religiose e culturali dell'umanità : orientamento questo che è certo ancora fecondo di ampi sviluppi. VI. — Le scuole di comparazione etnologica e storico-religiosa a cui abbiamo ora accennato. pur non ponendosi specificamente il problema della poesia popolare, erano e sono orientate verso il riconoscimento di una capacità creativa autonoma tanto dei primitivi che dei avol-ghi » dei popoli civili. La corrente filologico-storica italiana dei D'Ancona e dei Raina aveva anch'essa conservato, nel suo settore più strettamente letterario, la convinzione che il popolo fosse capace di creare. Altre correnti invece, particolarmente fuori d'Italia, presero un atteggiamento decisamente negativo nei confronti di questo problema: cosí i filologi J. Meier -e Bédier. Il primo, tedesco, al principio del nostro secolo formulò una teoria secondo cui il popolo non crea ma riceve dalle aristocrazie intellettuali la sua poesia, la sua ,musica, la sua arte. Il secon- do, francese, affermò, nel 1925: a La poesia popolare è un mito. Il popolo non ha mai creato nulla a. E' evidente l'intenzione reazionaria di svalutare il mondo popolare. Quali sviluppi ebbero queste teorie in Italia? Non molti nè molto importanti; ma possiamo dire che la teoria di Croce ha adempiuto la stessa funzione. Tale teoria è certo molto più intelligente e sottile delle affermazioni dei filologi tedeschi e francesi, apertamente reazionari, ma contiene egualmente elementi decisi di svalutazione del mondo popolare. Il neo-idealismo crociano infatti ritiene di poter risolvere il problema dell'arte popolare solo sul terreno estetico e rivolge tutta la sua attenzione al concetto teorico di a poesia popolare ». E poichè la concezione romantica di a popolo » era rimasta, come si è visto, sempre confusa e imprecisa (nè d'altronde si voleva riconoscere alcuna realtà alle classi), Croce nega al termine a poesia popolare » ogni valore sociologico. Inoltre, poichè il concetto di creazione collettiva dei romantici o dei positivisti, appariva assurdo (nè d'altro canto si voleva accettare una concezione che pone :se l'individuo come espressione del suo ambito sociale, della sua classe), Croce sostenne a spada tratta la creazione assoluta- mente ed esclusivamente individuale della poesia popolare. Ed affermò cosí: 1) La poesia popolare è popolare non perchè creata dal popolo o diffusa tra il popolo, ma solo perchè esprime a sentimenti semplici in corrispondenti semplici forme » (la poesia d'arte, o colta, ,invece a sommuove in noi grandi masse di ricordi, di esperienze, di pensieri » ecc.); 2) poi-chè la popolarità di una poesia sta solo nel suo tono (che è un tono minore), ne deriva che poesia popolare (cioè di tono minore o popolare) può trovarsi anche presso poeti colti, e poesia d'arte (cioè di tono colto e complesso) può trovarsi anche presso poeti del popolo: 3) nessun significato o valore può essere riconosciuto alla elaborazione collettiva. Da questa teoria deriva con chiarezza che agli occhi di Croce e in genere dei neo-i- dealisti nessun valore hanno per la comprensione della poe- ,r sia popolare i gruppi arti- giani, contadini, operai, con i loro problemi di oppressione e di liberazione; nessun rapporto esiste tra la creazione individuale di un canto, di una poesia, e il mon. do sociale del cantore; nessun significato ha il proletariato in quanto tale nella costruzione storica e culturale delle nazioni. Insomma artigiani, contadini, operai scompaiono nella loro realtà di classe, e restano solo astratti individui. Il valore negativo di questa teoria si scopre anche meglio quando si osserva che essa, in alcuni seguaci, si accoppia con grande facilità e naturalezza alla teoria della incapacità creativa del popolo : come per es. in M. Sansone il quale ancora oggi afferma che la poesia diffusa tra le classi popolari è tutta poesia colta degradata. Bene dunque fu definita la teoria crociana da un critico borghese quando affermò che il Croce inclina sempre più a verso la destra tanto nella scienza politica che nell'estetica » (G. A. BORGESE). VII. — Non tutti gli studiosi hanno però accettato supinamente la tesi del neo-idealismo crociano. Così già Michele Barbi (18671941), continuatore della tradizione letteraria e filologica italiana, sostenne di contro al concetto crociano che non si poteva cambiare di punto in bianco il nome alle cose, e cioè chiamare popolare un tipo estetico, quando invece con popolare si è sempre voluto significare Ciò che è legato al popolo. Altri stu- diosi poi, pur accettando in parte l'idea crociana, reagiscono tanto alla grossolana negazione della capacità creativa del popolo, quanto al sottile individualismo di Croce. E ricercano non solo i documenti che provano come un grande numero di poesie, di canti, di leggende, sono nati tra le classi popolari ma precisano meglio anche quella a elaborazione popolare » già accennata dal Pitrè: a un, motto, un canto, un uso ha alla sua origine una creazione o innovazione individuale, ma diventa folklore, nasce alla vita sociale, solo quando riesce a diventare patrimonio espressivo di una collettività, che se ne serve per tutte le occorrenze della sua vita pratica e spirituale » (PAOLO Toscni). Nasce da questa impostazione la necessità di analizzare l'ambiente nel quale la poesia di tono popolare si diffonde : e alcuni studiosi appunto cercano di identificare gli stili popolari, le scuole poetiche popolari (P. Toschi, S. Baldi), contrapponendo cosí all'astratto individualismo crociano la concreta presenza delle collettività di artigiani e di contadini entro cui vivono i canti. 1) Nella fase romantico-risorgimentale la borghesia scopre con entusiasmo la poesia e il mondo popolare e di ciò si avvale nella propria lotta per la sconfitta della reazione austriacante e clericale; in tale periodo si afferma in genere la capacità creativa del popolo e la forza collettiva della sua poesia; 2) Spentosi lo slancio iniziale di conquista anche l'amore borghese per la poesia popolare prende altre direzioni : si comincia a negare la capacità creativa al popolo e, comunque, si vive lontano da esso e dalla sua vita, immersi totalmente nel lavoro filologico che studia le forme e trascura i sentimenti; 3) In seguito, il progressivo inaridirsi del liberalismo e del democratismo borghesi, la paura dell'ascesa delle classi lavoratrici spinge o a trasformare in miti nazionalistici e razziali i concetti del primo romanticismo rivoluzionario, o a negare qualsiasi capacità creativa al popolo in quanto tale; 4) Tuttavia a queste concezioni decisamente reazionarie si oppongono, in seno stesso alla cultura borghese, più libere correnti: sia sul terreno più strettamente letterario ed estetico che su quello della comparazione etnologica e storico-religiosa si afferma, per diversi motivi, la capacità creativa del a popolo » o dei a volghi a, e si sostiene l'importanza dell'ambiente culturale in cui canti, credenze, usi si formano o si tramandano. 5) Ma gli studi di folklore prendono oggi nuovo e più deciso impulso sotto la spinta ascensionale delle olassi lavoratrici. 11 vero protagonista è infatti il proletario: il quale oggi rivendioa a sé il diritto di non essere più «oggetto n dello studio, della curiosità o del disprezzo borghesi, ma di essere «soggetto» della sua storia tradizionale e di :Masse. Per questa ragione il concetto abituale di a popolo », rimasto sino ad ora confuso, o anche degenerato nei miti. razziali e nazionalistici, si chiarifica e si precisa nel concetto di «popolo lavoratore n, di «classe lavoratrioe n. Ed il concetto di creatività e di elaborazione popolare consolida la sua opposizione alle correnti denigratrici aristocratiche o individualiste ponendo in rilievo i problemi sociali di sfruttamento e di liberazione presenti nel mondo culturale del popolo quando esso era ancora a plebe » o a popolino », vivissimi oggi che è divenuto classe cosciente. Ed infine anche il rapporto fra il . folklore dei popoli civili e la cultura dei popoli primitivi, già messo in luce dalle correnti etnologiche, si illumina ulteriormente e si precisa riferendosi alla identità della lotta che tanto le classi lavoratrici del mondo così detto a occidentale » quanto i popoli coloniali conducono per la propria liberazione. A questi orientamenti, sollecitati dallo sviluppo del movimento operaio e contadino, si ricollegano gli studi che oggi in Italia mirano a documentare, attraverso la poesia popolare dal Medio Evo ad oggi, l'atteggiamento e la storia culturale delle classi popolari italiane (Emilio Sereni); o tendono a rivelare gli elementi progressivi che si manifestano nella poesia e nelle costumanze nuove delle comunità contadine meridionali (Ernesto De Martino); o si indirizzano a ricercare il folklore operaio o artigiano, quasi del tutto trascurati sino ad oggi tra noi. Con questi studi è il proletariato stesso che prende a tracciare la storia della propria poesia e dei propri costumi: con una ricerca non più filologica o estetica soltanto, ma ampiamente storica, la quale. vuole identificare sia gli elementi della tradizione invecchiati e arcaici che vanno superati, sia gli elementi progressivi e liberatori che vanno diffusi e valorizzati. E' il proletariato stesso che si vale tanto degli elementi positivi già presenti negli studiosi borghesi (ricordiamo l'affermazione del Pitrè restata senza eco), quanto del" contributo degli studi sovietici, e si introduce nel quadro degli schemi ideologici tradizionali, rovesciandolo ed affermando la sua funzione di protagonista della storia moderna. Alberto Mi Cirese Berchet Tommaseo Giusti Raina Barbi Sereni De - Martino
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