Area della trascrizione e della traduzione metatestualeTrascrizioni | Trascrizione Non markup - automatica: RECENSIONI HANS ULRICH GUMBRECHT, Funktionen parlamentarischer Rhetorik in der französischen Revolution. Vorstudien zur Entwicklung einer historischen Textpragmatik, München, Wilhelm Fink Verlag, 1978, pp. 165. Si ha l'impressione che gli storici e gli studiosi delle idee politiche, se apprezzano e cercano di trar vantaggio da indagini semantiche sul- lessico politico, stentano a vedere l'utilità di analisi linguistiche e testuali di scritti o discorsi politici condotte a livelli diversi da quello lessicale (ad es. quello retorico); un'impressione che diventa certezza leggendo articoli come la rassegna di I. Zanni Rosiello su alcuni studi francesi sulla lingua politica (Lessicologia e storiografia politica, « Lingua e stile », VI, 1971, pp. 121-131), dove si afferma esplicitamente che solo la semantica strutturale « attrae l'attenzione, secondo le rispettive finalità di ricerca, dello storico non meno dello studioso di scienze sociali » (p. 123). Il libro di Gumbrecht sembra fatto apposta per smentire questa limitazione ed anzi, come chiarisce il sottotitolo, si propone proprio di fondare una metodologia specifica per lo studio di testi storici. A questo obiettivo è dedicata l'introduzione (Rezeptionsästhetik - Sprachhandlungstheorie - Historische Textpragmatik: Einleitung in systematischer Perspektive, pp. 9-43), precisa e dettagliata come si conviene ad ogni buon studioso tedesco, ma di difficile lettura, oltre che per la complessità e l'interdisciplinarietà dei concetti messi in campo, per lo stile dell'autore, spesso arduo anche per il lettore tedesco, come hanno già notato alcuni recensori (germanofoni) di sue opere precedenti. La verifica degli assunti teorici in una situazione storica ritenuta esemplare, la Rivoluzione Francese, è affidata a tre capitoli che analizzano altrettanti discorsi o gruppi di discorsi: Die Bildung von politischem Konsens: ein Projekt d'adresse des Grafen Mirabeau und seine Diskussion vor der Assemblée nationale (16. Juli 1789) (pp. 44-61; precedentemente pubblicato in italiano come Cos'è « sollecitazione del consenso con mezzi retorici »? Interpretazione di una discussione tenutasi all'Assemblea Nazionale francese il 16 luglio 1789, in Attualità della retorica, Padova, Liviana, 1975, pp. 65-88); Die allmähliche Entwicklung von Gruppenidentitäten: eine Rede Robespierres im Rahmen des Prozesses gegen Ludwig XVI. und die Replik des Girondisten Vergniaud (28.131. Dezember 1792) (pp. 62-92); Die Sicherung institutionalisierter Einmütigkeit: epideiktische Reden zum Tode Marats (Juli/September 1793) (pp. 93-125). I testi esaminati sono riportati in appendice. La base teorica di tutto il libro proviene dalla Rezeptionsästhetik e dalla linguistica pragmatica (quella parte della linguistica che, recependo gli spunti della filosofia del linguaggio inglese, si interessa della lingua come mezzo d'azione e non solo di comunicazione e descrive, quindi, modalità, motivazioni e fini delle azioni linguistiche e il loro rapporto con la situazione comunicativa che le genera). Le azioni linguistiche del passato, quelle che formano l'oggetto di studio anche della storiografia, ci sono trasmesse attraverso testi. Da essi possiamo ricostruire (sia pure in maniera incompleta, 236 RECENSIONI perché non ci sono tramandati tutti gli elementi del contesto comunicativo) il senso delle azioni linguistiche e interpretare la situazione comunicativa, operando un procedimento di tipo ermeneutico che rapporta il significato superficiale, manifesto del testo ad un significato profondo, latente: partendo dalle informazioni che provengono dalla storiografia è possibile formulare un'ipotesi sulle funzioni che l'oratore si è prefisso (le reazioni, cioè, che si è proposto di indurre negli ascoltatori); l'analisi della costruzione del discorso (intesa come descrizione di atti linguistici in successione) porta a verificare la fondatezza dell'ipotesi di partenza; le repliche degli ascoltatori contemporanei rivelano sia l'influenza di questi discorsi sulle azioni (linguistiche) successive, sia il grado e il tipo di comprensione della situazione da parte dei partecipanti alla comunicazione; i modi di comportamento collettivo ricostruiti dalla storiografia permettono, infine, di determinare gli effetti della azione linguistica e di verificare se il senso e le funzioni attribuite al discorso dai riceventi coincidono con quelle volute dall'oratore. In questo procedimento, che si fonda sulla progressiva verifica e revisione delle ipotesi formulate, la sempre migliore precisazione del senso del testo e la sempre piú approfondita comprensione della situazione comunicativa si illuminano a vicenda. In particolare, attraverso l'analisi delle azioni (linguistiche) precedenti e successive, si può arrivare a determinare i motivi per cui è stata effettuata una determinata azione linguistica (non sempre chiari, per altra via, né allo storico, né allo stesso protagonista, a volte ostacolato quest'ultimo da barriere ideologiche) e i suoi scopi. In questo quadro concettuale si inserisce la definizione di « retorica » proposta da Gumbrecht (pp. 18-24): retorica è quella parte della pragmatica linguistica che si occupa della produzione (cui prepara l'« arte del dire ») di discorsi che riguardano problemi per i quali manchi l'evidenza e che abbiano come obiettivo consapevole la coazione all'azione. In questa definizione, che si propone di ritagliare uno spazio specifico e determinato a quelle azioni linguistiche che possono ricadere sotto il dominio della retorica (per non correre il rischio di considerare retorica ogni azione linguistica), è evidente, per segnalazione esplicita dell'autore, l'influsso di Perelman (per la condizione « mancanza dell'evidenza ») e di H. Blumenberg (Approccio antropologico alla attualità della retorica, « Il Verri », 35/36, 1973, pp. 49-72, soprattutto per la condizione « coazione all'azione »); è rilevante anche la profonda differenza fra la concezione di Gumbrecht e quella rappresentata, per es., negli Elementi di retorica di H. Lausberg: quest'ultima parte dal presupposto che alcune parti del discorso, ricorrenti in testi soprattutto letterari, siano portatrici di funzioni retoriche, indipendentemente dalla postulazione di un'ipotesi di lavoro sulle funzioni di ogni singolo testo esaminato; la prima procede invece da una ipotesi specifica sulle funzioni del singolo testo in esame e del suo contesto extralinguistico e ricerca gli elementi sintattici, semantici e pragmatici portatori di tali funzioni, indipendentemente dal fatto che si tratti di elementi codificati o no. Il rapporto fra la retorica, tosi come è intesa in questo libro, e l'ermeneutica è chiarito dalla definizione di « uso linguistico retorico » che proviene dalla analisi del discorso di Mirabeau effettuata nel 2° capitolo: si può qualificare come retorica l'utilizzazione di mezzi allocutori a livello superficiale, la cui funzione non corrisponde a quella complessiva dell'azione linguistica, cosí come è ricavabile dall'analisi della situazione (p. 59, o p. 83 dell'ed. it. con un testo leggermente diverso). Nel caso concreto, la maggior parte del discorso di Mirabeau, formato dagli atti linguistici del ringraziamento al re, della dichiarazione di fiducia nei suoi confronti, della preghiera deferente, non fa altro che preparare ma anche nascondere l'atto linguistico finale, che è anche l'atto complessivo dell'intero discorso, un atto di richiesta perentoria (di destituzione dei ministri). Ne esce una concezione dell'atto retorico in gran parte RECENSIONI 237 analoga a quella proposta in Italia dai ricercatori dell'Istituto di Psicologia del CNR di Roma (cfr. D. Parisi e C. Castelfranchi, La retorica come scopistica della comunicazione, in Retorica e scienze del linguaggio, Roma, Bulzoni, 1979, pp. 5-9), che vedono negli atti comunicativi la compresenza di scopi e sovrascopi, questi ultimi spesso nascosti (con la sola, ma fondamentale differenza che in questo modo viene attribuito un carattere retorico ad ogni evento comunicativo). Le applicazioni dei concetti della pragmatica linguistica a concreti testi storici, e non solo a situazioni comunicative ideali costruite a tavolino, ha provocato in Germania un intenso dibattito in campo linguistico (v. per es. H. U. Gumbrecht, Historische Textpragmatik als Grundlagenwissenscha f t der Geschichtsschreibung, «Lendemains » 6, 1977, pp. 125-136 e B. Schlieben-Lange e H. Weydt, Streitgespräch zur Historizität von Sprechakten, « Linguistische Berichte » 60, 1979, pp. 65-78); ma qui importa notare, tornando proprio alle osservazioni da cui siamo partiti, da quali punti di vista un simile lavorio sui testi può portare a modificazioni delle ipotesi storiografiche. Gumbrecht (p. 32) evidenzia tre aspetti: quello del rilevamento di nuovi dati storiografici (o della sostituzione, dei vecchi) rilevando segmenti di conoscenza dei protagonisti storici ricavabili proprio dalla analisi testuale; quello della scoperta di motivazioni all'azione, rimaste nascoste agli attori storici benché essi fossero potenzialmente in grado di coglierli; quello, infine, della messa allo scoperto di motivazioni all'azione di cui i protagonisti non potevano rendersi conto, perché l'ideologia si frapponeva come barriera comunicativa. Che l'analisi testuale possa per lo meno portare nuove prove a favore o contro una determinata ipotesi storiografica è dimostrato proprio dallo studio di eventi concreti effettuato nel corso del volume; cosí nel 3° capitolo la ricostruzione della struttura dei discorsi di Robespierre e Vergniaud, rispettivamente contro e a favore del ricorso al popolo per decidere sulla sorte di Luigi xvi, permette di confermare l'interpretazione di alcuni storici che, al momento del processo al re, i due gruppi dei Giacobini e dei Girondini non si fossero ancora formati in frazioni parlamentari omogenee, portatrici di interessi contrapposti; l'analisi del 4° capitolo sui discorsi in morte di Marat cerca di coprire la lacuna interpretativa sui fondamenti psico-sociali del Terrore. (Fra parentesi notiamo che questa analisi è la piú ampia del volume, quella in cui il procedimento di continua revisione delle ipotesi di lavoro che si rivelano via via insufficienti è piú marcato, ma contemporaneamente quella in cui la ricerca di significati latenti si allontana sempre piú dalla lettera del testo, ponendo con ciò il problema metodologico del confine della legittimità testuale del processo ermeneutico.) Quello che resta ancora problematico, e neppure le analisi di questo volume riescono a dare una risposta positiva, è se e quanto l'aspetto retorico-linguistico sia determinante nella presa di decisioni da parte di una assemblea parlamentare: sempre nel processo contro Luigi xvi, che pare una situazione ideale per il primato della retorica dati l'assoluta mancanza di evidenza della decisione da prendere, il fatto che i due oratori principali siano portatori in questa circostanza di posizioni diverse dalle loro abituali (il democratico Robespierre è contro l'appello al popolo, il moderato Vergniaud si presenta invece come difensore della democrazia diretta) ed infine il gran numero di parlamentari privi all'inizio del dibattito di convinzioni precise sull'argomento, dal dibattito esce sconfitto Vergniaud, il cui discorso risulta dall'analisi come il meglio costruito e dai resoconti parlamentari come il piú applaudito. Dal complesso delle analisi delle tre situazioni comunicative si possono utilmente estrarre numerosi spunti per lo studio di alcuni comportamenti tipici della prassi politica, verificabili anche in contesti diversi da quelli illustrati in questo libro: a parte la questione di fondo della non omogeneità fra il significato dei singoli atti linguistici e quello dell'intera azione linguistica, di cui abbiamo già parlato: l'uso spesso alternante del « voi » e del « noi » nel discorso parlamentare, che comporta l'ambiguità o la mutevolezza del rapporto fra oratore e pubblico; il processo di salvaguardia della coerenza della propria immagine, effettuata in genere attraverso la messa in discussione di quella dell'avversario, quando si procede — come è frequente in politica a mutamenti di comportamento politico (si pensi al Mussolini interventista rispetto al Mussolini socialista, oppure al reazionario Strauss — « Ein Chamäleon als Kanzlerkandidat », come ha titolato la « Zeit » — che ora cerca di vestire i panni piú moderati del conservatore); la tendenza del codice politico a polarizzarsi in un sistema binario, nel quale ogni protagonista storico viene associato al valore positivo o a quello negativo (un processo descritto ad esempio da E. Leso, « Lingua Nostra », 37, 1976, pp. 1-7, a proposito di moderato nel triennio rivoluzionario italiano 1796-1799, quando la parola da termine medio di una opposizione fra terrorista, cioè « rivoluzionario » e aristocratico, diventò membro di 238 RECENSIONI una opposizione binaria moderato-terrorista, in cui moderato assume il valore negativo e viene assimilato a aristocratico, realista ecc.); l'esistenza di situazioni politiche nelle quali l'unanimità di giudizio è data per obbligatoria e l'unico tipo di discorso accettato è quello epidittico, che prevede l'identità di conoscenze fra emittente e ricevente (però se l'unanimità è solamente postulata e non reale, il procedimento ermeneutico permette di riconoscere i reali atti linguistici che vengono attuati: una chiave di interpretazione, ad esempio, per numerosi messaggi e ordini del giorno di solidarietà nell'Italia d'oggi). Il valore e l'importanza del libro di Gumbrecht, lo si vede dal taglio dato alla recensione, sono soprattutto di ordine teorico, sia dal punto di vista linguistico (i principi della pragmatica sono applicati, credo per la prima volta, a testi storici), sia dal punto di vista della sociologia politica (per le analisi di processi tipici della prassi politica moderna); ma non va sottovalutato il contributo che viene dato alla conoscenza di tre momenti importanti della Rivoluzione Francese. Del resto la scelta di tale momento storico come caso esemplare per lo studio delle convenzioni di interazione comunicativa istituzionalizzate è condivisa da molti altri romanisti tedeschi. Lo si è visto anche al recente « Romanistentag » (Saarbrücken, 26-28 settembre 1979), nel quale una densa sezione, diretta dallo stesso Gumbrecht e dalla Schlieben-Lange, era dedicata proprio a « Lingua e letteratura nella Rivoluzione Francese »: le analisi di testi politici (come, ad esempio, i « Cahiers de doléances ») si sono affiancate a quelle sul lessico politico della Rivoluzione e a quelle sulla sua politica linguistica. Dagli studi in questi tre settori di contatto fra lingua e Rivoluzione Francese (coltivati, naturalmente, anche in Francia ed ora in parte anche da noi), proviene una gran messe di informazioni, di interpretazioni ed anche di ipotesi nuove di cui gli storici non possono non tener conto. MICHELE A. CORTELAZZO MARGHERITA ISNARDI PARENTE, Città e regimi politici nel pensiero greco, Torino, Loescher, 1979, pp. 266. Accade spesso di ripetere la definizione aristotelica secondo la quale « l'uomo è un animale politico », ma non altrettanto spesso di riflettere sul singolare fatto per cui se ne travisa e nello stesso tempo non se ne travisa il senso. Lo si travisa obiettivamente in quanto per il filosofo di Stagira politikon aveva il significato molto preciso di « animale atto (o destinato) a vivere nella polis », cioè in un'organizzazione politica che non ha assolutamente corrispondenze nel mondo moderno; eppure non lo si travisa in quanto, in quella traduzione, si esprime in qualche modo la continuità di una riflessione sulla società e sulla socievolezza umane che appunto per noi trova la sua origine nella polis greca. l; senza dubbio paradossale questa pur problematica compatibilità delle nostre considerazioni politiche che si rivolgono ad un mondo quanto mai complesso e articolato, con quelle che originariamente riguardavano una realtà, economicamente e socialmente, per lo meno meschina al confronto e storicamente effimera nell'ambito stesso della civiltà ellenica. Il paradosso, a dire il vero, è già avvertibile in quella perentoria ed unilaterale definizione di Aristotele — il quale non prevede al di qua e al di là della polis nessuna umanità, ma o bestie o dèi —, che si afferma quando ormai la polis era al suo tramonto in un periodo di vasti sconvolgimenti economici e politici, ed il suo modello ideologico era profondamente logorato da tutta una serie di sollecitazioni conseguenti che spingevano in ben altre direzioni. Ora, non solo la nostra parola `politica' con buona parte della sua terminologia tecnica ha origine
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