Area della trascrizione e della traduzione metatestualeTrascrizioni | Trascrizione Non markup - automatica: 220 NOTERELLE E SCHERMAGLIE LA GOCCIA DI SAKHAROV Per nove anni, dal 1961 al 1970, ho ricoperto la carica di Segretario Generale dell'Associazione italiana per i rapporti culturali con l'Unione Sovietica (tra parentesi: nella storia ormai trentacinquennale dell'Italia-uRs s sono stato il Segretario Generale che è rimasto in carica piú a lungo). Ho poi fatto parte per tre anni della Presidenza, quindi sono stato eletto nel Comitato Direttivo. Da esso ho dato le dimissioni il 28 gennaio con questa lettera indirizzata all'attuale Segretario Generale on. Vincenzo Corghi: Caro Corghi, le ultime iniziative assunte dalle autorità dell'Unione Sovietica (e non mi riferisco neppure tanto a quelle attinenti alla politica estera, con l'invasione dell'Afgha-nistan, quanto soprattutto alle misure di repressione interna nei confronti di tanti intellettuali) mi fanno sentire come incompatibile la permanenza in un organismo come l'Associazione Italia-uRs s, che per gli intenti con cui è nata, per lo statuto che la regge e per lo spirito con cui abbiamo sempre cercato di operarvi dovrebbe custodire e sviluppare i buoni rapporti culturali tra i nostri due Paesi. Ma quali rapporti è possibile coltivare in spirito di parità, di sincerità e di lealtà con un Paese le cui autorità, in spregio all'opinione pubblica mondiale, assumono, proprio nel campo della cultura e tra gli uomini di cultura, provvedimenti cosí illiberali e repressivi come quelli che sono da ultimo culminati nell'ostracismo e nel confino comminato a uno scienziato e a un intellettuale del valore e del prestigio dell'Accademico Sakharov? Ti prego pertanto di accogliere — in segno di vibrata protesta — le mie dimissioni da membro del Comitato Direttivo dell'Associazione italiana per i rapporti culturali con l'Unione Sovietica. È questa una decisione che prendo dopo matura riflessione e, naturalmente, con senso di pena, tanto piú che per i ben nove anni in cui ho tenuto la carica di Segretario Generale dell'Associazione, negli anni seguenti in cui ho fatto parte della sua Presidenza e poi del suo Comitato Direttivo, mi sono sempre battuto come ho potuto, sia pure con spirito di moderazione, per far trionfare quel rispetto dei valori di libertà che è inseparabile da ogni beninteso rapporto culturale. Ti prego di dare comunicazione di questa mia lettera ai membri della Presidenza dell'Associazione Italia-uRss, nonché, alla prima occasione, agli stessi colleghi del Comitato Direttivo. Molto cordialmente PAOLO ALATRI Vorrei innanzi tutto spiegare una frase della mia lettera che a prima vista può sembrare strana o poco comprensibile: la frase, cioè, in cui dico che a determinarmi nella mia decisione non hanno agito tanto le misure sovietiche attinenti alla politica estera, con l'invasione dell'Afghanistan, quanto cuelle di repressione interna nei confronti degli intellettuali. Ciò significa forse che io considero di NOTERELLE E SCHERMAGLIE 221 poco conto iniziative di politica estera quali l'invasione di un paese indipendente come l'Afghanistan? No davvero. Soltanto che è sempre stato nello spirito dell'Associazione Italia-uxss, intesa a promuovere gli scambi e i rapporti culturali, lo sforzo di prescindere dalle congiunture strettamente politiche. Sia nell'arena mondiale, sia nei rapporti bilaterali italo-sovietici, vi sono state fasi di tensione e di distensione, momenti di difficoltà e periodi di riavvicinamento. Scopo di un organismo come l'Associazione italiana per i rapporti culturali con l'Unione Sovietica è sempre stato — come del resto dichiara la sua stessa denominazione — proprio quello di gettare un ponte al di sopra della politica per salvaguardare, promuovere e . sviluppare il dialogo culturale. Non che, naturalmente, sia mai stato possibile tracciare una netta linea di separazione tra politica e cultura; e le ripercussioni di determinate iniziative o tendenze politiche dell'Unione Sovietica si sono ,fatte sentire negativamente in diversi momenti, e talvolta anche in modo drammatico: basti pensare alla repressione della « primavera di Praga » e all'invasione della Cecoslovacchia. Ma è sempre prevalso lo sforzo di non chiudere i canali della comunicazione culturale. Certo, se l'assioma da salvaguardare era che i rapporti culturali si svolgessero su un piano di lealtà e di sincerità, anche da questo punto di vista le cose non si sono sempre svolte nel modo migliore, o comunque in modo indolore. Numerosi sono stati gli episodi incresciosi: intellettuali sovietici invitati ai nostri convegni, o comunque segnalati alle autorità sovietiche come da noi desiderati per partecipare a questo o quel convegno, ai quali invece non veniva concesso di prendervi parte; e al loro posto, talvolta, inviate altre persone assai meno note e di scarso prestigio, quando non addirittura burocrati che con la vera cultura avevano poco a che fare; ed anche conferenzieri venuti a propinarci lezioncine di ortodossia sovietica, e perciò incapaci di sostenere un franco dibattito con gli intellettuali italiani, non senza effetti negativi sul prestigio della stessa Associazione Italia-uxss, che di tali manifestazioni appariva come l'organizzatrice. Ma, nel complesso, si può dire che si è trattato di episodi non veramente clamorosi, e comunque tali da consigliare di portare pazienza e, per cosi dire, di « incassare ». Come però ho spiegato in un'intervista che Lucio Caracciolo mi ha chiesto per « La Repubblica » (pubblicata il 30 gennaio), accade che si pazienta, si « incassa », si accumula malessere, malcontento, senso di protesta e di ribellione, e poi a un certo punto scatta qualcosa, nella coscienza individuale, per cui si dice: basta! Per me, questo qualcosa, vale a dire la goccia che ha fatto traboccare un vaso già colmo, è stato il confino comminato a Sakharov. Perché? Perché qui non si ha piú a che fare con decisioni politiche con le quali si possa essere piú o meno d'accordo; qui si ha a che fare con una misura, ultima del resto in ordine di tempo al termine di una serie di provvedimenti repressivi della stessa natura, che investe direttamente proprio quel mondo della cultura, proprio quegli intellettuali sovietici con i quali l'Associazione Italia-uxs s intende stabilire, promuovere e sviluppare i rapporti. Il mio ha quindi voluto essere un gesto di solidarietà verso gli intellettuali sovietici, verso il loro diritto di esprimere libera- 222 NOTERELLE E SCHERMAGLIE mente le loro opinioni; un gesto di protesta contro il modo in cui le autorità sovietiche considerano di dovere e potere « gestire » paternalisticamente il mondo della cultura, gli intellettuali, tenendoli sotto tutela. Non voglio neppure nascondere che nel dimettermi dal Comitato Direttivo dell'Italia-uxss, e nel rendere pubbliche le mie dimissioni, mi sono anche pro- posto di gettare un sasso nello stagno: in quello stagno dell'indifferenza nel quale mi pare che l'Associazione stesse navigando di fronte a fatti che non dovrebbero lasciare indifferenti. Non sono un uomo politico, non ho ambizioni politiche, e ritengo che per un libero intellettuale (l'essere iscritto al Pci non mi fa sentire minimamente diminuita la mia libertà) l'appello della coscienza debba passare, al di là di un certo limite, avanti ad ogni considerazione di opportunità politica. Tuttavia credo di non essere tanto privo di senso politico da non comprendere che l'essere membro del Comitato Direttivo dell'Associazione Italia-uxss, lungi da suggerirmi il silenzio, m'imponeva di prendere posizione e d'incoraggiare altri a prendere posizione. Non che mi faccia, in proposito, troppe illusioni. Nel momento in cui scrivo questa nota, mi risulta che è stato convocato per la prossima settimana il Consiglio di Presidenza dell'Associazione (anche se è sintomatico che non ne sia stato convocato al tempo stesso il Comitato Direttivo). Dalle dichiarazioni del-l'on. Gorghi e del sen. Bufalini è facile concepire il timore che l'Associazione, attraverso la propria Presidenza, cerchi di limitarsi a concedere ai suoi singoli membri di pensarla come ciascuno di essi vorrà, senza però assumere una posizione in quanto Associazione; o, se sarà proprio costretta ad assumerla, si sforzi di farlo in termini cosí asettici da corrispondere al nulla. Mi stupirei tuttavia se da tutti fosse accettata una soluzione di questo genere, dal momento che non credo che tale tesi possa essere condivisa, per esempio, dal prof. Argan, il quale è stato il primo a chiedere all'on. Gorghi di convocare la Presidenza; e sembra probabile che non la condividano anche altri membri della Presidenza. Del resto, dalle reazioni che vi sono state alle mie dimissioni e di cui ho avuto tante e tante testimonianze personali e pubbliche, posso affermare con sicurezza che il mio gesto non ha trovato che consensi. Parlo, si badi, di consensi ricevuti dall'area alla quale appartengo: l'area cioè del Pci al quale mi onoro di essere iscritto da oltre trent'anni, l'area della sinistra socialista e comunista. Parlo perfino di persone che da anni lavorano nell'ambito dell'Associazione Italia-uxss e che proprio per questo ben conoscono, per cosí dire, dall'interno, tutti quei meccanismi tutelatori, censori e repressivi che le autorità sovietiche mettono sistematicamente in atto nei confronti dei loro intellettuali. E credo che in generale il fatto che proprio l'Associazione Italia-uxss assuma posizioni chiare in proposito, aiuti il mondo della cultura sovietica nella lotta che esso quotidianamente sostiene per emanciparsi dalla pesante tutela che le autorità gli impongono. È vero che, sollecitato dallo stesso Lucio Caracciolo a commentare su « La Repubblica » le mie dimissioni, l'amico e compagno Paolo Bufalini ha creduto di dovermi tirare abbastanza duramente le orecchie. Abbastanza duramente, ma NOTERELLE E SCHERMAGLIE 223 nel contesto di una dichiarazione che contiene frasi addirittura affettuose. « Paolo Alatri — ha detto Bufalini — sia pure per motivi generosi e nobili, si è messo sulla linea della signora Thatcher». E ha poi spiegato: « Sono amico di Alatri da 45 anni, ci siamo conosciuti nel 1936 e abbiamo in comune l'attività clandestina antifascista. Parlo quindi con la schiettezza di un vecchio amico e compagno. Alatri ha sottoscritto un appello di protesta per i provvedimenti repressivi adottati nei confronti di Sakharov insieme ad altri intellettuali, anche comunisti, fra cui membri del Comitato Centrale (del PcI) come Guttuso e Zangheri. Ha fatto bene. Ma non condivido le sue dimissioni. Infatti che cos'è l'Associazione Italia-uRss? Non certo un'organizzazione partitica, tant'è vero che nei suoi organismi dirigenti vi sono esponenti del PcI, del PSI, del PSDI, della Dc, del PRI, del PLI e indipendenti. Il suo scopo è quello di organizzare e sviluppare i rapporti culturali, economici e commerciali con il popolo sovietico. Quindi se tutti ci dimettessimo significherebbe voler rompere i rapporti culturali ed economici con l'URSS. Ora, questo non è giusto. Non è la linea di Schmidt, né di Giscard, di Indira Gandhi, dello stesso pontefice, delle socialdemocrazie europee. È la linea della signora Thatcher ». Troppo onore, caro amico e compagno Bufalini, paragonarmi niente di meno che al Primo Ministro della Gran Bretagna! Ma, a parte ogni scherzo, un paio di osservazioni. Innanzi tutto non credo si possa dire che scopo dell'Associazione Italia-uRss è di « organizzare e sviluppare » (oltre che i rapporti culturali) « i rapporti economici e commerciali con l'URSS ». Ci mancherebbe altro! La denominazione completa e precisa dell'Italia-uRss è: Associazione italiana per i rapporti culturali con l'Unione Sovietica. Ciò che riguarda i rapporti economici e commerciali tra i due Paesi può anche cadere sotto l'attenzione dell'Associazione Italia-uRss, ma soltanto sotto il profilo culturale: come studio, cioè, delle condizioni nelle quali si verificano e possono svilupparsi i rapporti economici e commerciali, come raccolta di dati statistici e scientifici; ma non oltre. È alquanto pretestuoso sostenere che una presa di posizione dell'Associazione Italia-uRss sul « caso Sahkarov » e sul modo in cui sono trattati gli intellettuali sovietici minaccerebbe i rapporti economici e commerciali tra l'Italia e l'Unione Sovietica! Lasciamo che ognuno faccia il suo mestiere: i governi, la Fiat, la Montecatini si occupino di affari, l'Associazione Italia-uRs s si occupi della cultura e degli intellettuali. Ma ho un'altra osservazione da fare alla dichiarazione di Bufalini. Ed è che una presa di posizione dell'Associazione Italia-uRss, in quanto tale, su ciò che concerne direttamente il suo campo di attività, che è quello della cultura, non potrebbe che giovare alla chiarezza, alla sincerità e alla lealtà di tali rapporti: i quali, al di fuori della chiarezza, della sincerità e della lealtà, non hanno, in definitiva, molta ragione di essere coltivati. Come può un organismo quale l'Italia-URS S restare silenzioso e indifferente di fronte a provvedimenti come il confino comminato a Sakharov, una misura che istituzionalmente non credo sia neppure prevista dalla stessa legislazione sovietica, che è certamente contraria agli accordi di Helsinki sottoscritti anche dal governo sovietico, e che sembra farci tornare 224 NOTERELLE E SCHERMAGLIE indietro di oltre sessant'anni, a quell'arbitrio che regnava sovrano nel regime zarista? L'amico e compagno Paolo Bufalini, nella sua dichiarazione a « La Repubblica », ha infine aggiunto: « Critico Alatri tanto piú perché è uno storico, e in fondo la differenza fra uno storico e un politico non è tanto grande ». Non so dar torto, in ciò, a Bufalini. Ma proprio perché uno storico non può non sentirsi portatore, al tempo stesso, di una coscienza politica, provvedimenti di repressione politica per « reati » di opinione da parte di intellettuali sovietici non possono lasciarlo indifferente. E come ho già detto, le ragioni dell'opportunità politica, se spinte oltre una certa misura, confinano e si confondono con l'opportunismo. Non vorrei illudermi; ma mi pare significativo che, mentre « l'Unità » ha pubblicato con rilievo la notizia delle mie dimissioni dal Direttivo dell'Italia-uRs s citando anche alcune frasi della mia lettera all'on. Gorghi, non abbia invece riprodotto la dichiarazione che Bufalini, sollecitato da Lucio Caracciolo, ha creduto di dover rilasciare a « La Repubblica » (mentre invece ha pubblicato sia il documento di protesta per il relegamento al confino di Sakharov e l'appello in suo favore indirizzato al governo sovietico dal Comitato nazionale per le scienze fisiche del CNR, sia l'analogo documento firmato da oltre 50 docenti dell'Università di Roma, in massima parte comunisti). Non credo infatti che il mio gesto sia giudicato unanimamente, in seno al Pci, nello stesso modo in cui lo giudica Bufalini. Mi pare anzi evidente il contrario. Non posso non dichiarare, in proposito, che nei nove anni in cui sono stato Segretario Generale dell'Associazione, ho sempre avuto l'appoggio del mio partito nel braccio di ferro che sempre si è esercitato tra italiani e sovietici nel concepire la natura e le funzioni delle due Associazioni consorelle, l'Italia-uRss, e l'uRss-Italia. Il braccio di ferro consisteva nel contrasto tra la tendenza sovietica a concepire le Associazioni come casse di risonanza propagandistiche e la tendenza italiana a designarle invece come luoghi deputati per un franco confronto di posizioni e di opinioni. Forse il maggiore attrito fu raggiunto verso il termine del mio mandato di Segretario Generale, al convegno italo-sovietico su « Il cittadino e la pubblica amministrazione », tenuto a Roma nel dicembre 1968. Poiché si trattava della posizione del cittadino di fronte allo Stato, e cioè, in sostanza, dei diritti civili, è facile immaginare come i pur distinti giuristi e storici che componevano la folta delegazione sovietica presentassero un quadro della situazione esistente in URSS tutto proiettato sulle norme che stanno scritte nella legislazione e nei codici, senza però dare minimamente conto dei molti arbitri che, al di là di quelle norme, venivano e vengono compiuti da parte dell'autorità, della mancanza di reali garanzie dei diritti civili, e tanto meno si prestassero a un'analisi accettabile di tutto ciò che di ben piú grave era accaduto durante il lungo periodo del dominio staliniano. L'articolo che, per illustrare lo svolgimento e i risultati di quel convegno, Umberto Cerroni, allora Vice Segretario dell'Associazione Italia-uRs s, pubblicò nel febbraio 1969 sulla rivista « Realtà Sovietica », metteva in rilievo, sia pure con molto garbo diplomatico, le difficoltà che il dialogo aveva incontrato NOTERELLE E SCHERMAGLIE 225 nel confronto tra gli studiosi italiani e quelli sovietici; e terminava con queste parole: « Il convegno ha rilevato la necessità e l'utilità di continuare un discorso comune necessariamente lungo e ha formulato l'auspicio che un nuovo incontro possa avvenire presto, stavolta in Unione Sovietica ». Ma non è privo di significato che quell'auspicio sia poi rimasto tale e che il dialogo e il confronto, sul tema dei diritti civili, non siano piú stati ripresi. Ma per tornare adesso alla questione dell'appoggio che nella mia gestione della Segreteria Generale dell'Associazione ho sempre avuto dal PcI, vorrei ricordare in modo particolare l'episodio piú significativo. Avendo organizzato e guidato a Mosca una delegazione di cineasti italiani (critici, autori, attori) per un incontro-convegno con i cineasti sovietici, c'imbattemmo in una concezione ufficiale della cultura come veicolo privilegiato di propaganda che m'indusse a intervenire nel dibattito. Sostenni allora che in base all'argomentazione-principe dei rappresentanti ufficiali della cinematografia sovietica (che non si possa propinare al pubblico niente che il pubblico non sia preparato ad accogliere, esaltando cosí il piú piatto conformismo e la negazione di qualunque esperimento e avanzamento delle forme espressive della cultura) non si dovesse, nei concerti, eseguire Bach, compositore certamente difficile per un pubblico non particolarmente preparato dal punto di vista musicale, e neppure Stravinskij, che del resto, in quegli anni, stava appena uscendo dall'ostracismo che per tanto tempo gli era stato votato in Unione Sovietica; e che quindi l'ideale sarebbe stato di limitarsi ad eseguire e trasmettere le canzonette, che sono certamente il genere musicale piú facilmente godibile da parte della generalità del pubblico, delle « masse », come molto si ama dire in Unione Sovietica. Al nostro ritorno in Italia, dopo che « l'Unità » aveva dato un resoconto molto ampio e dettagliato del vivacissimo dibattito che lo scontro tra le due concezioni della comunicazione culturale aveva provocato in quella occasione, ci trovavamo, in Italia, alla vigilia delle elezioni politiche generali, e il tema della libertà della cultura in URSS era già uno di quelli piú dibattuti nei nostri ambienti politici e culturali. Ebbene, in una conferenza alla stampa estera tenuta da Togliatti, il Segretario Generale del PcI, interrogato in proposito da un giornalista straniero, citò le tesi da me sostenute (pur senza fare il mio nome, ma con un accenno inequivocabile alla mia persona) come quelle che in sostanza corrispondevano alle posizioni del PcI, in contrasto con quelle prevalenti negli ambienti ufficiali dell'Unione Sovietica. E sottolineo che si trattava e si tratta degli ambienti ufficiali: perché dopo il mio intervento polemico al convegno cinematografico di Mosca non furono pochi i cineasti e gli intellettuali sovietici che molto riservatamente vennero a congratularsi con me, dicendo che prese di posizione, come quella da me fatta, li aiutavano nella loro battaglia per la propria libertà di espressione. All'amico e compagno Paolo Bufalini, cui mi legano vincoli di grande affetto, tengo comunque a esprimere il riconoscimento che egli, che è uno dei membri della Presidenza dell'Associazione Italia-uxss in rappresentanza del pci, non poteva probabilmente, in un momento come questo e di fronte al « caso » suscitato dalle mie dimissioni, commentarle diversamente da come ha fatto. Per 226 NOTERELLE E SCHERMAGLIE un uomo politico investito delle sue alte responsabilità, è naturale e legittimo che valga il motto: politique d'abord! A me sia però concesso di essere un po' meno politico, o di esserlo nel modo che piú credo convenga a un intellettuale libero da dirette responsabilità politiche. 3 febbraio 1980 PAOLO ALATRI POST-SCRIPTUM. Martedí 5 febbraio si è poi riunito il Consiglio di Presidenza dell'Associazione Italia-uRs s, il quale ha approvato all'unanimità (all'unanimità dei dieci intervenuti alla riunione sui venticinque suoi componenti) un comunicato in cui, dopo aver riaffermato « la funzione dell'Associazione che non riguarda la politica interna e internazionale dei due paesi, ma vuole promuovere la conoscenza reciproca e lo sviluppo degli scambi scientifici e culturali, in un quadro di distensione e di pace, nello spirito degli accordi di Helsinki » (e quest'ultimo accenno non è privo di significato), cosí prosegue: « La Presidenza ritiene suo dovere farsi interprete del sentimento, che condivide, di deplorazione e grave turbamento per l'intervento in Afghanistan e, per quanto piú direttamente attiene al campo specifico di attività dell'Associazione, per i provvedimenti repressivi presi nei confronti dell'accademico Sakharov. La Presidenza dell'Associazione Italia-uRss rileva che si è creata cosí una situazione che determina nel paese e tra le forze politiche democratiche, pur nella varietà di opinioni e di atteggiamenti, una comune preoccupazione. L'Associazione, fedele al proprio compito dimostratosi positivo per un trentennio, anche nei momenti piú difficili, di salvaguardare e sviluppare i rapporti culturali, sociali ed economici tra i due paesi, vuole esprimere in tale senso la convinzione che questi atti rendono arduo un lavoro proficuo e si ripercuotono negativamente su larghi strati dell'opinione pubblica italiana, che hanno sempre considerato e considerano utile l'attività delle due Associazioni (Italia-uRss e URss-Italia) ». Infine, la Presidenza ha deciso di diramare questo comunicato alla stampa, di consegnarlo, tramite una delegazione, all'Ambasciatore sovietico a Roma e di comunicarlo all'Associazione uRss-Italia. Da parte mia, un breve commento. Sono molto soddisfatto del testo del comunicato, che condivido sia nella parte costruttiva sia in quella critica. Come risulta da quanto avevo scritto nell'articolo qui sopra pubblicato, è molto di piú di quanto mi aspettassi. E sono contento di avere provocato, con il mio gesto, che ha avuto cosí larga ripercussione, questa presa di posizione. Due notazioni. La prima è che alla riunione del Consiglio di Presidenza non era presente Paolo Bufalini, che, pur condividendo le ragioni della mia protesta, aveva criticato le mie dimissioni e sostenuto che l'Associazione, come tale, non avrebbe dovuto esprimersi su fatti che riguardano la politica dell'Unione Sovietica, mentre tra i membri comunisti hanno partecipato alla riunione Giancarlo Pajetta, Renato Guttuso e Amerigo Terenzi, oltre al socialista Riccardo Lombardi, ai repubblicani Biasini e Mammí, al socialdemocratico Sullo, al liberale Bucalossi e agli indipendenti Argan e Zavattini (entrambi vicini, come è noto, al PcI). La seconda è che, da informazioni confidenziali, ho saputo che — paradossalmente — chi piú di tutti premeva perché il comunicato contenesse affermazioni recise di condanna delle ultime iniziative sovietiche in campo internazionale e interno, era proprio il comunista Pajetta, frenato dagli altri membri della Presidenza. Successivamente il democristiano Granelli ha manifestato la sua adesione al testo del comunicato, il cui testo è stato comunque stilato in collaborazione da Pajetta e Mammí. (P. A.).
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